Categorie: Relatività Sistemi extrasolari
Tags: effetto lente Einstein esoluna esopianeta microlensing
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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La prima esoluna? Calma e sangue freddo! *
Utilizzando la tecnica di microlensing si è forse scoperto il primo satellite di un pianeta vagabondo. Tuttavia, non vi è certezza, dato che potrebbe anche essere una stella accompagnata da un pianeta gigante. E’ sempre questione di distanza. Purtroppo, non abbiamo a disposizione una seconda possibilità e dobbiamo restare nel dubbio in attesa di abbinare queste scoperte a una misura di parallasse trigonometrica.
Il sistema si chiama MOA-2011-BLG-262 e la sua scoperta è dovuta solo al caso. In realtà, il telescopio utilizzato cerca proprio questo tipo di eventi, ma non può prevederli e qui sta una buona parte del problema. Una tecnica per l’osservazione di esopianeti si basa sull’effetto lente ipotizzato da Einstein e poi verificato innumerevoli volte nel Cosmo. Quando la luce proveniente da una sorgente lontanissima è costretta a passare vicinissima a un corpo celeste in primo piano, rispetto a noi, quest’ultimo devia i raggi luminosi della sorgente lontana e ci permette di vederla anche se è troppo debole e/o se è nascosta completamente da lui.
L’oggetto si comporta come una lente e permette di studiare (anche se deformate) galassie altrimenti invisibili per i nostri strumenti. Normalmente l’oggetto che si vuole studiare è quello lontano, ma il fenomeno previsto da Einstein permette anche di avere informazioni sull’oggetto “lente”, ossia quello più vicino a noi. La tecnica di microlensing sfrutta questa seconda possibilità.
Se una stella, anche invisibile a occhio nudo, passa proprio davanti a una galassia o a una stella lontana, ma decisamente più luminosa e osservabile, si può notare un aumento improvviso della sua luminosità causata dall’effetto lente dell’oggetto vicino (invisibile al telescopio, ma la cui massa è sufficiente a fare da lente alla stella lontana). Se la stella vicina possiede un pianeta che le gira attorno, anche lui agirà come piccola lente (microlensing) e causerà una leggera, ma osservabile, variazione di luminosità dell’oggetto lontano. Questa doppia deformazione permette di risalire alla distanza tra le due “lenti” e anche al loro rapporto di massa.
Basta studiare il cielo in lungo e in largo con una certa regolarità e prima o poi qualche stella lontana mostra questa anomalia e il nuovo sistema extrasolare è localizzato, anche senza essere visto direttamente. Ovviamente, l’ideale sarebbe poter vedere anche la stella attorno a cui rivolve il pianeta. In questo caso avremmo un’idea della massa e della distanza di quest’ultima e si deriverebbe subito anche quella del pianeta. Nel caso in oggetto il rapporto di massa è risultato 1/2000. Purtroppo (o per fortuna), la stella non si vede e allora ecco sorgere la speranza di aver “beccato” il primo esosatellite. Infatti, la deformazione finale della luce della stella lontanissima è esattamente la stessa sia per una coppia relativamente lontana e massiccia sia per una coppia molto vicina e ben più “leggera”. In altre parole, si sarebbe scoperto un pianeta di circa 20 masse terrestri attorno a una piccola stella, oppure un satellite, anche più piccolo della Terra, attorno a un pianeta di tipo gioviano “vagabondo”.
Dubbio irrisolvibile, in quanto, come detto, gli effetti sono identici e la distanza è sconosciuta. Oltretutto, la fortunata coincidenza delle direzioni Terra-sistema doppio e Terra-stella lontanissima è passata e non si può tornare indietro per effettuare ulteriori misure. Vale la pena fare una piccola puntualizzazione.
Quando si parla di galassie lontane e di effetto lente che le rende visibili non ci preoccupiamo tanto del fatto che il fenomeno sia osservabile solo per un brevissimo intervallo di tempo. In realtà non lo è. La posizione fortunata galassia lontana-oggetto lente-Terra si conserva nel tempo, dato che le distanze in gioco sono enormi. Lo vediamo in Fig.1. A sinistra vi è l’oggetto lontanissimo S, identificato con una forma a stella. Se la “lente” è relativamente vicina a lui (e quindi anch’essa molto lontana), la durata del fenomeno è molto lunga. Benché essa si muova a grande velocità intrinseca nello spazio, quello che conta è l’angolo sotto cui la Terra vede il suo spostamento nel Cielo, che indica la velocità relativa vista da Terra. Questo angolo è molto piccolo. A destra, vediamo una “lente” vicina a noi che si muove alla stessa velocità intrinseca di quella di prima. Questa volta, però, a causa della distanza minore, l’angolo che sottende lo stesso spostamento è nettamente più grande e la lente vicina viaggia a una velocità relativa vista da Terra pari a quella di un “missile”: la durata dell’occultazione dell’oggetto lontanissimo dura pochissimo. In altre parole, nello stesso intervallo di tempo, la lente lontana percorre un angolo quasi nullo, mentre la lente vicina percorre un angolo molto grande.
Insomma, bisogna aver fortuna, senza sperare di poter osservare nuovamente l’evento.
Come si potrebbe eliminare questo tipo di dubbio nelle osservazioni future? Beh… basterebbe osservare lo stesso fenomeno con due telescopi (sia spaziali che terrestri) posti a grande distanza tra loro. Per il fenomeno della parallasse, ognuno di loro vedrebbe una leggera, ma percettibile, differenza nel microlensing. In altre parole, si determinerebbe la distanza della lente da noi. Non si potrà, ovviamente, applicare questa tecnica sulla stesso sistema MOA-2011-BLG-262, ma su altri sicuramente sì. La tecnica è già in fase di studio per una prossima applicazione.
Perché si è pensato a un pianeta vagabondo e a un satellite? Beh… sicuramente perché non vedendosi ed essendo abbastanza vicino a noi (se no il tempo di occultamento sarebbe stato più lento) è rimasta aperta la possibilità di un pianeta vagabondo piuttosto che di una stella molto debole.
Insomma, prendiamo con le giuste cautele questa “scoperta”…
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NEWS!! Finalmente, il vecchio Hubble è riuscito in quello che avrebbe desiderato Einstein: misurare una massa stellare attraverso la deviazione della luce di una sorgente più lontana. Non soltanto per il Sole, ma per stelle qualsiasi (o quasi).
5 commenti
un bell'enigma enzo,comunque volendo vi è un'altra possibilità: su un vecchio articolo tuo che non mi metto neanche a provare a cercare parlavi delle prime applicazioni diciamo potenzialmente "programmate" per testare questa tecnica del microlensing: si trattava se non ricordo male,del passaggio di proxima centauri su due stelle di fondo che avverrà tra il 2014 e il 2016. un eventuale confronto tra questo passaggio(sempre se rileverà qualcosa o meno) che ha comunque parametri di base conosciuti come la massa e la distanza dell'oggetto lente(proxima) e delle sorgenti lontane(le stelle di fondo)- e questi diciamo casuali e senza parametri potrebbero fare luce sulla situazione,giusto?
caro Davide,
scusa, ma non capisco bene dove vuoi arrivare. Dici giustamente che nel caso di proxima conosciamo la distanza della lente. Il che vuol dire che sapremo, durante il passaggio, se esiste qualcosa di molto vicino a lei e invisibile. sapremo anche dire subito che massa ha, conoscendo quella di proxima...
Ma, come possiamo applicare questo risultato al caso dell'articolo? Lì non conosciamo (e nemmeno vediamo) la stella lente e quindi la sua massa può essere qualsiasi (grande come una piccola stella o piccola come un pianeta).
Non riesco a vedere il nesso tra le due cose... Ogni stella/pianeta lente fa storia a sé... O mi sfugge qualcosa???
mmm si,hai ragione non porterebbe a nulla....è a me che sfugge qualcosa,anzi un tot di cose mi sfuggono in realtà
Caro Enzo,
Allora, noi non vediamo L1 o L2 bensì S distorta e deduciamo la presenza di L1 e L2 (nonostante siano più vicini) grazie a questa distorsione? Incredibile, 'sta cosa: mi sembra un gioco di prestigio da illusionisti e invece è tutto vero, senza trucco !!
Stavo infatti per domandarti se non si poteva fare un'analisi spettroscopica della luce ricevuta, che avrebbe permesso magari di capire se si trattasse di una stella+pianeta o di pianeta+satellite, quando ho capito (credo) che in realtà noi vediamo la luce della galassia che sta dietro...
Provo una grande tenerezza per quel pianeta isolato e solitario: chi è stato così crudele da abbandonarlo?
P.S. Nella didascalia della figura, hai scritto due volte "a sinistra": penso che la seconda riga si riferisse al disegno "a destra".
@Davide,
se riesci a riassumere il concetto che ti sfugge... vediamo di risolverlo assieme. Magari ci si scrive sopra un articoletto. Se sfugge a te è segno che sfugge a molti altri...
@Pier,
hai azzeccato in pieno il problema. Stiamo osservando un qualcosa che non ci manda nessuna informazione diretta. Tutto ciò che sappiamo di lui ce lo racconta la luce di chi gli passa accanto.
Sui pianeti vagabondi non è ancora chiara l'origine. Qualcuno sicuramente è stato strappato alla "mamma", ma altri potrebbero essersi formati direttamente da una nube: vere e proprie stelle mancate, il che porterebbe ad annullare le diversità tra nana bruna e pianeta anche a livello formativo... Mmmm... chissà....