L’homo cosmicus *
Poche parole, per innescare un possibile argomento di discussione. Si dice spesso che l’uomo è nato pioniere e Ulisse ne è la prova. Lo scoprire nuovi mondi e toccarli con mano fa parte dell’essenza umana. E’ ovvio quindi che la prossima tappa deve essere lo Spazio. Prima i pianeti e poi -tecnologia permettendo- anche le stelle. A parte l’isolamento perpetuo di questi eroi che non potrebbero che accettare la realtà di uno spazio-tempo che non permette inversioni della freccia del tempo (avanti, solo avanti, dimenticando il passato, ossia: “Evitiamo di spingerci anche dentro i buchi neri per cercare di ritornare sui propri passi… non esageriamo!”), esistono problemi ben più terra-terra che li colpirebbero anche nei primi passi verso la nuova avventura e che, a parte la relatività, gli vieterebbero, comunque, il rientro a casa.
Sto parlando dei problemi “fisici” dovuti alla micro gravità che, spesso, la smania dell’ignoto ci fa dimenticare. Per periodi relativamente brevi, molti “acciacchi” legati ai muscoli, alle ossa, e altre parti del corpo umano sembrerebbero rientrare dopo qualche mese passato a “casa” (molto dipende da quanto tempo si sta fuori). Vi è un’intera bibliografia a riguardo e il bisogno “politico” di mandare l’uomo su Marte sta andando a rilento proprio perché immolare vittime sacrificali per scopi di prestigio nazionalistico potrebbe avere un impatto controproducente. Il viaggio di Colombo aveva interessi “economici”, quelli nello spazio no o -almeno- non abbastanza da essere accettati dall'opinione pubblica.
Bisognerebbe mettere qualche “pezza” alla salute, prevedendo ogni guaio fisico e obbligando gli astronauti a eseguire una ginnastica specifica continua. Insomma, cercare di creare robot in carne ed ossa. Perché allora non mandare davvero robot elettronici che farebbero di più e meglio, Rosetta insegna… (su Marte, però, basta!).
Andare su Marte, però, è una gita fuori porta. Qui intendo parlare di veri viaggi, di imprese che necessitano anni e anni di permanenza nello spazio, almeno interplanetario. E allora, mi spiace, ma qualsiasi palliativo legato a ginnastiche preventive perde di significato. Se Colombo poteva tornare in Patria dopo aver scoperto l’America, lo stesso non potranno farlo i vagabondi dei pianeti o delle stelle. Il loro fisico si adatterebbe in modo irreversibile a quelle condizioni e non potrebbe più sopportare quelle di casa.
Una nuova ricerca medica sembra proprio dare il colpo definitivo: il cuore diventa più sferico di circa il 9-10% anche solo durante periodi di pochi mesi (così dicono le analisi fatte sui villeggianti della Stazione Spaziale). Il rientro a casa può causare una serie impressionante di problematiche cardiache e… con il cuore non si scherza.
Se leggete gli articoli a riguardo, noterete che si cerca di sminuire apparentemente la faccenda, dicendo che, anzi, il dover fronteggiare questo tipo di problema aiuterebbe la ricerca medica. Tutte storie… parliamoci chiaro. Che bisogno c’è di creare un cuore sferico per poi cercare di intervenire. Basterebbe svolgere ricerche mirate, senza bisogno delle cavie spaziali o -magari- tenersi il cuore com’è e che dà già abbastanza problemi. O qualche vittima farebbe, invece, molto “colore”?
Insomma, dove voglio arrivare? Non mi azzardo a dire che l’uomo non è fatto per viaggiare nello Spazio (anche se lo penso), malgrado la tecnologia che sta sviluppando sembrerebbe proprio mirare al contrario (perché rischiare la vita quando le macchine fanno di più e meglio?). Avrei contro tutti quelli che pensano che l’avventura è insita nella natura umana (“nati non foste a viver come bruti…”). Tuttavia, dobbiamo accettare un dato di fatto che si sta delineando sempre meglio: l’uomo che decide di andare nello Spazio è destinato a non poter più tornare a casa, ossia è obbligato a dare il via a una nuova razza, quella dell’homo cosmicus, con mente e fisico completamente diversi da quelli dei suoi antichi progenitori.
Qualche notizia in più QUI, in attesa della pubblicazione del lavoro
16 commenti
Pienamente in accordo Enzo.
Il nostro corpo é nato sul pianeta per vivere sul pianeta.
Sono peró convinto che sia solo una fase della nostra evoluzione, e come dici tu probabilmente dovremo cambiare per andare oltre ai confini che la nostra attuale evoluzione ci ha imposto.
Alla fin fine cosa intendiamo per essere umano? Se intendiamo il nostro corpo, allora mi pare ovvio che non siamo fatti per lo spazio....se invece (e questo é quello che penso io) la nostra vera essenza é la mente, allora il corpo é nulla piú di uno strumento adatto a uno scopo. Chi ci vieta di cambiare strumento quando nascono nuove necessitá e le possibilitá per farlo?
Ok, é fantascienza, ma perché se la Natura ci ha dotato della capacitá di vedere oltre i confini di quello che siamo non dovremmo cercare di farlo?
mi trovi pienamente d'accordo Andrea! Sotto questo punto di vista la cosa mi sembra ... più logica (per modo di dire, ovviamente :))
sono d'accordo con Andrea, se quel giorno verrà si creerà una nuova razza che avrà lo spazio come casa e che creerà tante piccole colonie in tanti pianeti con la possibile creazione di tante specie diverse (sperando che poi non si facciano la guerra tra loro)
C'è però da dire che a mio avviso è anche vero che, almeno per quanto riguarda i problemi sulla gravità e le radiazioni, quando l'uomo avrà creato la tecnologia sufficiente a viaggi interplanetari (magari anche fuori dal nostro sistema solare), sono sicuro che avrà anche trovato soluzione a questi problemi (teoricamente non è impossibile simulare la gravità terrestre e, in linea teorica, nemmeno creare particolari campi magnetici a copertura delle radiazioni)
Ho prenotato il viaggio verso Trantor!
La variante "Cosmicus" del genere homo sapiens sapiens è secondo me la visione più ottimistica e trasognante del futuro dell'esplorazione spaziale.
Quella che ipotizziamo è la risultante di fortuiti adattamenti a uno stile di vita artificiale che nulla ha di umano, in quanto sono fermamente convinto che la nostra specie non possa distaccarsi, se non per periodi molto limitati, dal suo habitat.
Anche se riuscissimo a risolvere i problemi di adattamento fisico quali osteoporosi, perdita di massa muscolare, danni da esposizione ai raggi cosmici, perdita della vista, i problemi legati alla lunga permanenza in un ambiente confinato portano inesorabilmente a delle criticità che sfociano in conflitti tra membri dell'equipaggio.
Forse non tutti sanno che il pericolo maggiore per la salute degli astronauti durante una missione di lunga durata non viene dalle micrometeoriti o dai raggi cosmici, ma dai loro colleghi! La storia dell'astronautica annovera in questo senso vari episodi, uno su tutti il caso di una missione sovietica in cui il livello di stress emotivo giunse a limiti intollerabili.
Qui allego il link della vicenda.
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/1995/10/29/lite-cosmica-nella-navicella-puniti-multati.html
Il rischio più grande è DENTRO l'essere umano, l'evoluzione che ci consentirebbe viaggi interstellari non dovrebbe essere fisica ma culturale!
Ottima considerazione la tua Luciano... Il nostro homo cosmicus, dal cuore grosso ma debole sta un po' vacillando
ah,mi viene in mente un racconto di fantascienza -che ora non ricordo- dove una colonia umana intraprende nello spazio un viaggio "preprogrammato". individuato un pianeta abitabile e con l'umanità oramai in possesso di un'evoluzione tecnologica in grado di creare un mondo completamente autosufficiente sull'immensa astronave,partono tot uomini e donne con la prospettiva di arrivare a destinazione decine di migliaia di anni dopo con l'avvicendarsi di tot generazioni di questi uomini "cosmicus"
comunque,più che immaginare motori a curvatura,velocità prossime a quelle della luce o tunnel spaziali,così ad occhio mi pare forse lo scenario più verosimile a cui l'umanità potrà realmente forse arrivare.comunque si,ovviamente solo andata
Ma dato che l'uomo, per poter colonizzare altri mondi, dovrebbe potersi moltiplicare sia durante il lungo viaggio, sia una volta atterrato su di un altro corpo celeste, mi domando: ma come si svilupperebbe un feto nello spazio, in assenza di gravità, o su un pianeta che non abbia la nostra stessa forza di gravità? Magari non si potrebbe proprio sviluppare e quindi l'uomo non riuscirebbe in ogni caso a raggiungere altri mondi... Una sorta di stratagemma della natura per tenerci confinati nel nostro pianeta...
Però vi concentrate troppo sul problema dell'assenza di gravità, laddove simularne una di intensità decorosa è - in rapporto alla perfezione richiesta dai sistemi di riciclaggio di acqua e gas respirabili - banale.
Senza dover arrivare alla ruota di Von Braun, basterebbe che una nave spaziale avesse una parte della sua massa (magari dove fosse situato un generatore a radioisotopi, sempre poco desiderabile da avere accanto) allontanabile tramite un cavo, e poi il tutto messo in rotazione attorno al suo baricentro. Sarebbe facile raggiungere un livello di gravità artificiale adeguato a ridurre i problemi fisici di cui stiamo parlando. Ma poi? La tenuta nervosa di una piccolissima comunità, prigioniera di un microambiente al quale NON avrebbe alternativa alcuna? Anche un ergastolano, nell'ora d'aria in cortile, può mettersi al sole, sentire dalla sua cella i tuoni e percepire i fulmini di un temporale, cercar di addomesticare a furia di briciole sul davanzale un passero più confidente degli altri, percepire l'alternarsi delle stagioni, cercar con la buona condotta di ottenere la possibilità di lavorare e studiare, frequentare la biblioteca interna ed acculturarsi. E magari con la riserva mentale di uscire, fosse pure dopo trent'anni.
Ma i cosmonauti di lunghissimo periodo, magari diretti ad un sistema planetario di una stella vicina, che prospettiva esistenziale avrebbero? Potrebbero saziarsi solo coi DVD del National Geographic vedendo cascate neozelandesi mai più visitabili, sentendo racconti di tempeste di cui non avrebbero contezza né di cui potrebbero annusare l'odor di salsedine, sentir di infiorate a Genzano per la festa dell'Assunta e di stormi di oche canadesi migranti in perfetta formazione?
Anche se a furia magari di psicofarmaci si riuscirebbero ad evitare conflitti interni pericolosissimi, come sfuggirebbero alla più profonda depressione che si possa immaginare?
Io riesco pure ad immaginarmi per tre mesi sulla ISS, specie se molto impegnato, ma già l'idea di stare in tre dentro l'angusta cabina del modulo di comando dell'Apollo 7, per undici interminabili giorni senza nemmeno EVA, mi fa desiderare di farmi spazio coi gomiti. E avrei ancora la Terra sotto, tutta da osservare affascinato dall'alto.
Quanto grande dovrebbe essere una nave spaziale in grado di affrontare senza portare alla follia totale in breve tempo i suoi occupanti, per un viaggio di molti anni?
...E allora, la miglior nave spaziale possibile, non è quella che ci ha dato i natali e che stiamo cercando per insipienza collettiva di distruggere piano piano?
..si riuscirebbero... prima avevo scritto si riuscisse... pardòn!
Mi chiedo:
se il viaggio fosse un incubo, la psiche portata a livelli incontrollabili, la claustrofobia dilagante, il cuore che scoppia, le liti all'ordine del giorno... ben pochi si interesserebbero di ciò che li circonda (molto poco per anni e anni). Poi, mettiamo in conto che una volta arrivati il pianeta X sarebbe ben poco simile alla Terra. Se fosse spopolato l'iniziare a colonizzare qualcosa con pressione, temperatura, flora e fauna diverse sarebbe un altro incubo terribile. Se fosse abitato le incomprensioni con gli indigeni sarebbero terribili, anche se non guerrafondaie. Uno potrebbe chiedersi: "Perché? chi me lo ha fatto fare?". Occhio che se anche trovassi miniere immense da sfruttare non potrei portare la notizia a chi mi ha mandato sul nuovo mondo? Magari, al ritorno(?) ormai sarebbero cambiate tutte le regole del mercato e l'oro non varrebbe più niente... Ulisse e Colombo avevano speranze di sfruttamento (non solo di conoscenza, e un viaggio spaziale dà meno conoscenze di un telescopio ultra dedicato), i nostri "cosmici" di che cosa? Insomma, a volte mi sembrano solo frasi fatte... Ognuno al suo posto è meglio... oppure no?
si ma infatti anche nel romanzo,tutto naufraga non per problemi tecnico logistici o fisiologici ma per contrasti e incapacità di gestione dell'equilibrio psicologico - umano e sociale nella grande comunità dei viaggiatori.
comunque,ognuno al suo posto si,finchè si può....quando ci arriverà lo sfratto dal sole, se ci saremo ancora,tentativi del genere l'uomo li farà per forza
E tanto per fare una cosa nuova, la faccenda riguarderà solo un manipolo di straricconi... per gli altri, tanta crema solare fattore protezione 50 (ché la mutua più di quello non passerà) Dolce Euchessina gratis per tutti attendendo l'arrosto...
Secondo me facciamo un errore a supporre che chi dovrá affrontare questi problemi lo fará con la nostra mentalitá e con il nostro modo di pensare.
Penso che per cercare di ragionare su queste cose dovremmo prima di tutto fare un sforzo di immaginazione per provare a "indovinare" come sará l'essere umano quando si dovrá porre questo dilemma
Giusta riflessione Andrea, come giuste sono le altre proprio perché al momento siamo così.
Io proporrei comunque di andare, al momento, con i piedi di piombo, di continuare intensamente la ricerca senza pensare all'immagine e senza vittime sacrificali, ma anche senza freni alla fantasia.
Credo che i problemi fisici e psicologici che affligono gli astronauti siano ben noti a tutti: è da 50 anni che mandiamo esseri umani (e non solo) nello Spazio, benché molto vicino casa, e i medici e i fisiologi hanno una tale abbondanza di dati a disposizione da poter affermare che qualunque viaggio interplanetario serio è una pura follia. Lo stesso viaggio umano su Marte è ormai di fatto escluso, proprio per questi motivi.
Ci ho riflettuto un po' sopra e mi è venuta però l'idea che il problema riguarderebbe soltanto la "prima" generazione di astronauti. In maniera del tutto ipotetica (tanto qui siamo nella fantascienza ), ho immaginato che la seconda generazione di astronauti, cioè i figli nati già nell'astronave, non dovrebbero avere gli stessi problemi dei genitori, per la semplice ragione che non conoscerebbero altro mondo che l'astronave: è un po' la differenza che passa tra un animale nato libero e catturato e un animale nato in cattività. Capisco le gravi conseguenze che ci potrebbero essere, sia in termini fisici sia soprattutto riguardo ai rapporti famigliari, ma mi pare che con tutti questi voli umani nel cosmo è ancora mancato l'aspetto decisivo della "sperimentazione": il concepimento, la gravidanza, il parto e l'educazione di un bimbo nato nel cosmo. A questo punto, è giunto il momento di spedire mariti e mogli sulla ISS e vedere cosa succede.
P.S. Parentesi scherzosa: chissà come dev'essere fare l'amore in assenza di gravità! Mi sa che è MOLTO complicato...