Categorie: Sistema Solare Sistemi extrasolari
Tags: migrazione pianeti pianeti terrestri spettro stelle cannibali
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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La fortuna di sopravvivere **
Se non è facilissimo creare un pianeta terrestre è ancora più difficile farlo sopravvivere. Questo sembra diventare sempre di più un dato di fatto. Impostiamo il problema in modo molto generale, semplificandolo al massimo, in modo da avere un quadro formativo il più ampio possibile prima di addentrarci nella nuova ricerca. Riassumere fa sempre bene.
I pianeti si formano all’interno del disco di gas e polvere che ogni stella mantiene intorno a sé dopo avere raggiunto la massa giusta per poter innescare la sua fonte energetica interna, in grado di farla sopravvivere. Le stelle non cercano di strafare inutilmente e ciò che non è più che necessario per far partire il proprio motore non viene ingoiato solo per golosità. Una gran parte di materia sovrabbondante rimane a ruotare attorno a loro e in breve si sistema in un disco molto sottile e più o meno esteso.
Esso è formato dalla stessa materia dell’astro, ma per la formazione dei pianeti sono particolarmente importanti gli elementi pesanti, che la stella ha catturato dal gas che circondava e formava la nube originaria. Tutto ciò che è più pesante dell’idrogeno e dell’elio viene normalmente chiamato “metallo”. Quando si parla di stelle ad alta metallicità vuol proprio dire che la nebulosa origianle conteneva un’alta percentuale di elementi più pesanti dell’elio. La distribuzione di questi elementi “rubati” a qualche vecchia stella esplosa, sono i semi fondamentali per far sbocciare i nuclei planetari solidi. Essi servono anche alla stella vera e proria per innescare o accelerare certi processi di fusione, ma sono essenziali per la formazione dei suoi figli.
Ogni stella, quindi, mantiene un segnale ben chiaro del grado di “metallicità” da cui è partita, ma è molto più facile vedere la distribuzione dei metalli nei pianeti che le si formano attorno, dato che essi concentrano nel loro nucleo solido solo questi elementi pesanti. Al limite, se sono piuttosto grandi, rivestono il nocciolo solido con un vestito di idrogeno ed elio cercando di imitare la “mamma”. Ovviamente, questo seconda possibilità si ottiene solo per nuclei planetari di massa (e quindi gravità) sufficiente a non farsi scappare il gas leggero.
Dov’è più facile formare un pianeta? Beh… semplicissimo rispondere: dove c’è più materia a disposizione. E’ perciò quasi impossibile creare giganti come Giove in prossimità della stella, dove il disco proto planetario ha un volume per unità di distanza nettamente inferiore (una corona circolare ha una superficie maggiore al crescere del raggio). Non bisogna, però, nemmeno esagerare, perché se si va troppo lontano la materia nel disco comincia a scarseggiare e una superficie più grande ha una densità di gas e polvere in netta decrescita. Insomma, ogni pianeta ha un suo luogo preferenziale dove nascere. I pianeti come la Terra possono, perciò, formarsi anche vicini alla stella (hanno bisogno di poco), mentre quelli come Giove e Saturno possono formarsi a una certa distanza, dove il materiale sia sufficiente.
Chi nasce vicino alla stella deve, inoltre, fare i conti con la temperatura più elevata e i suoi mattoni formativi possono essere solo quelli che rimangono solidi anche a temperature proibitive per molti altri. In poche parole si possono usare gli elementi refrattari, come il silicio, l’allumino, il calcio. Questi sono gli elementi più indicativi per la possibile presenza di pianeti terrestri. Se una stella non li aveva a disposizione, difficilmente ha potuto formare pianeti di tipo terrestre. D’altra, però, ne servono quantità relativamente piccole, dato che le dimensioni finali da raggiungere sono modeste. Per formare i pianeti giganti, ha meno rilevanza il tipo di “metallo”, l’importante è solo che ce ne sia tanto. Alla temperatura che serve a loro, condensa un po’ di tutto. Insomma, i giganti preferiscono la quantità, i piccoli la qualità.
Questo schema estremamente semplificato ci dice già che studiando lo spettro di una stella possiamo già capire molte cose sul tipo di pianeta che può avere formato. Tuttavia, la strada dei neonati è ancora lunga e travagliata. I nuclei rocciosi, ossia i semi di partenza per i futuri “fiori” planetari, si cominciano a costruire quando sono ancora immersi in un disco spesso e denso di materia gassosa e non solo. Se essa è importante per fornire il materiale di base, è però anche estremamente fastidiosa, in quanto frena il movimento dei pianeti informazione e gli toglie momento angolare. In altre parole, ne rallenta il movimento attorno alla loro stella e li costringe ad avvicinarsi sempre di più fino a essere fagocitati dalla stessa mamma.
No, non è un gesto di cannibalismo, ma solo e soltanto di selezione e di raggiungimento delle migliori condizioni per la vita di coloro che riusciranno a sopravvivere. Le tartarughe marine depositano centinaia e centinaia di uova, da cui riescono a nascere solo pochi cuccioli. Ma solo una parte ancora più piccola riesce ad arrivare al mare e ancora molti meno riescono a raggiungere dimensioni in grado di farli sopravvivere ai predatori. Uno su mille ce la fa! Ma, che dire, questa è la Natura! Lo stesso capita per i cuccioli delle stelle.
I pianeti giganti sono più fortunati, dato che resistono meglio all’attrito del disco e, grazie alla loro gravità e alla velocità di accrescimento, riescono a svuotare in fretta la zona di disco che li circonda. Sono salvi e stabili? No, non è detto. Pur avendo raggiunto una certa libertà d’azione, devono fare i conti con i mattoni solidi che ancora scorrazzano nel disco e che entrano continuamente nel territorio di proprietà dei giganti e, malgrado le dimensioni inferiori, hanno dalla loro il numero. Anche i microbi possono uccidere un elefante. Essi non arrivano a tanto, ma sono in grado di portare via un po’ di momento angolare al gigante in formazione e a farlo cadere verso la stella. Questo tipo di meccanismo lavora verso l’interno, ossia frena e quindi porta costantemente a una migrazione in direzione della stella. Da un lato i vari urti aumentano la massa dei giganti, ma dall’altra li avvicinano alla “mamma”. In parole più tecniche, questo è il probabile meccanismo che conduce all’esistenza dei “Giove caldi”, ossia pianeti giganteschi troppo vicini alla stella per essersi potuti formare in quella posizione (troppa poca materia a disposizione).
Trascuriamo altri effetti che influenzano la formazione planetaria, come l’immissione in risonanze costruttive e/o distruttive, perturbazioni dei corpi più o meno distanti, effetti mareali, e tanti altri piccoli e grandi intoppi. Ricordiamo, però, che un gigante che migra verso l’interno non può che disturbare i fratelli più piccoli già alle prese con i loro problemi di sopravvivenza e favorirli nella loro caduta verso la stella.
Ci basta quanto detto per inquadrare il problema affrontato dalla nuova ricerca che ha cercato di legare formazione di pianeti e composizione chimica della stella.
In poche parole, si è creato un modello di abbondanze chimiche stellari per stabilire se e quanti cuccioli le mamme hanno dovuto eliminare nella fase di formazione. Il succo del discorso è: “Se una stella presenta un’anomala percentuale di elementi refrattari è molto facile che questo sia un chiaro segnale di un gesto di cannibalismo”. I pianeti terrestri sono stati in parte o completamente ingoiati. Non per cattiveria ovviamente, ma solo perché la situazione generale non gli avrebbe consentito una vita tranquilla e duratura.
Non è facile verificare il modello, dato che nessuno sa com’era la stella prima di aver formato i pianeti. La percentuale “metallica” è quella di partenza o è stata modificata dalle pillole planetarie prese a grandi dosi? Bene. Molto dipende dal tipo di stella e dalla sua posizione nella galassia. Si può stabilire abbastanza bene una regola di partenza. Con alcune ipotesi di base, il modello riesce a diversificare queste situazioni, ma è necessario metterlo alla prova su una vera stella di cui si sappia con sicurezza se ha ingoiato qualcosa. I ricercatori hanno, perciò, scelto una stella doppia. Non solo, però: una coppia di sorelle, ognuna delle quali ha almeno un suo proprio pianeta.
Innanzitutto, bisogna sfruttare l’altissima potenzialità raggiunta nella spettroscopia stellare. Oggi si riescono a identificare tutti gli elementi presenti nell’atmosfera stellare. In particolare, la ricerca, ne ha selezionato 15, tra cui proprio quelli tipici dei pianeti terrestri. Le due stelle sono nate assieme, dalla stessa nebulosa e quindi devono essere partite con la stessa abbondanza di elementi metallici. Sono anche relativamente vicine a noi (100 anni luce) e quindi nate da una nube simile alle nostra. Se il loro spettro mostra differenze significative vuole dire che la formazione dei pianeti e la loro fine prematura è l’unico meccanismo che può aver causato la differenza. Un dato di fatto che può essere considerato praticamente sicuro. Entrambe le stelle sono di tipo solare e quindi si può stabilire abbastanza bene la situazione originaria. La prima possiede due pianeti di tipo nettuniano, non troppo piccoli e nemmeno troppo grandi, posti molto vicini a lei. La seconda possiede un solo pianeta delle dimensioni di Giove che segue un’orbita molto eccentrica (anche l’eccentricità orbitale è un segno di particolari processi formativi), arrivando quasi a sfiorare la propria mamma.
La domanda è: “Distruggono di più due Nettuno o un Giove un po’ strambo?”. L’analisi spettrale delle due stelle ha dato una risposta netta e chiara: “E’ più deleterio per i pianeti terrestri avere che fare con due oggetti piccoli che con uno molto grande che capita nelle zone interne una volta ogni tanto”. Infatti, la stella con i due Nettuno mostra una quantità più alta di elementi refrattari, segno chiaro che ha mangiato una numero maggiore di pianeti terrestri. Entriamo nei dettagli, perché ne vale proprio la pena. Le due stelle hanno entrambe una quantità di elementi pesanti maggiore di quella che ha il nostro Sole. In particolare, maggiore è la temperatura di fusione dell’elemento considerato e maggiore è la sua presenza nell’atmosfera stellare. Ne segue che entrambe le stelle devono essersi cibate dei loro figli. Tuttavia, mentre quella con il solo Giove mostra un’eccedenza di refrattari pari a una massa dieci volte quella terrestre, quella con i due Nettuno deve aver ingoiato almeno venti pianeti terrestri!
Cosa può essere successo attorno a questa strana coppia?
Immaginiamo che all’inizio le due stelle (o meglio i loro dischi) abbiano formato un certo numero di pianeti terrestri. Ne avevano la possibilità avendo una metallicità sicuramente alta e soprattutto una quantità elevata di refrattari. Una di esse ha, però, formato anche un bel Giove (era sempre nelle sue possibilità). Questo pianeta si è trovato a lottare con i planetesimi che ancora circolavano dalle sue parti e ha iniziato a migrare verso l’interno. Brutta situazione per le terre già formatesi. La gravità dello scomodo fratello le ha facilmente spinte verso l’interno e il salto finale verso la mamma è stato facile. E’andata ancora peggio per le terre nate assieme ai due pianeti nettuniani. In conclusione, che li abbiano formati o no, sicuramente attorno a quella coppia di stelle non esistono più pianeti terresti. Il sistema non se li può permettere.
Capite facilmente l’importanza di questo modello. Se la strategia operativa fosse di tipo generale, basterebbe studiare attentamente lo spettro di una stella per sapere se può possedere pianeti di tipo terrestre. Purtroppo, la migrazione dei pianeti giganti sembra un processo piuttosto normale e quindi la difficoltà di sopravvivere per una Terra diventa abbastanza fortuita.
Insomma, cari ragazzi, se il modello si dimostrerà valido su altre stelle dobbiamo proprio considerarci fortunati. O, meglio, NOI ci siamo perché nessun Giove caldo o coppia di Nettuno sono mai venuti a disturbarci… Accidenti, gli alieni si allontanano…
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19 commenti
Enzo, deve esserci stato qualche problema col copia/incolla: c'è una parte del testo che viene ripetuta.
Per quanto riguarda l'articolo, sempre interessante... e capita proprio a fagiolo perché ho letto proprio ieri sera il capitolo di Rosetta riguardante la formazione dei Pianeti del Sistema Solare.
Un paio di domandine a riguardo:
- è stato fatto uno studio simile anche per il Sole, per sapere se durante la formazione del Sistema Solare anche lui s'è mangiato qualche proto-Pianeta?
- c'è un limite minimo di dimensioni per un Pianeta gassoso? Può formarsene uno, ad esempio, grande come la Terra?
- oltre ai Pianeti che potrebbero essere ingoiati, c'è stato qualche studio relativo anche a quelli che potrebbero essere sfuggiti dalla propria Stella, dopo la fase di formazione?
Grazie come sempre.
si mi unisco anche io alla domanda di michael sul sole (anche se secondo me il modello dovra' essere perfezionato con il piu alto numero di osservazioni possibili).
stando al modello proposto il sole dovrebbe aver mangiato molti figli perche' ha due pianete giganti gassosi non troppo lontani...
comunque dovrebbe essere facile applicare questo modello al sole, soprattutto perche' puo' essere confrontato anche con la sua sorella recentemente scoperta!
Ops... che pasticcio si era formato!! Non so come mai, ma era tutto ingarbugliato e raddoppiato! Grazie Michael
Dunque, il Sole è stato preso proprio come stella di riferimento per valutare l'ammontare di elementi refrattari che contiene. Essa, infatti, non ha alcun pianeta gassoso così vicino da aiutare la caduta dei pianeti terrestri verso di lei. Al limite può aver mangiato qualcosa proprio all'inizio durante la loro formazione, ma le abbondanze riscontrate sono molto piccole e quindi è facile che niente sia caduto dentro alla mamma.
Bisogna considerare che essere vicini vuol dire proprio sfiorare la stella o quasi. I due Nettuno sono decisamente più vicini della Terra dal Sole e il Giove caldo arriva più vicino di quanto non faccia Mercurio. I nostri giganti sono a distanza di sicurezza: se mai sono migrati non hanno disturbato i pianeti di tipo terrestre che sono ancora lì tranquilli o quasi (tranne gli asteroidi che però sono stati interrotti nella crescita e che sono stati mandati sul Sole, ma a pezzetti...).
L'espulsione verso l'esterno dipende, quando c'è, da meccanismi di perturbazione legata spesso a risonanze di vario tipo. Problemi di tipo "meccanico" soltanto. Le comete della Nube di Oort potrebbero essere state confinate in questo modo. Così come i KBO.
Le dimensioni di un pianeta gassoso dipendono molto da dove si forma. La gravità terrestre può anche bastare dove il vento solare è meno violento. Tuttavia, in quei casi vi è tanta materia a disposizione e si diventa giganti in fretta. Diciamo meglio... una Terra solida dalle parti di Nettuno... sarebbe diventato Nettuno! Può, invece, essere vero il contrario. Un Nettuno roccioso potrebbe esistere vicino al Sole, dato che il vento solare potrebbe avergli strappato l'idrogeno.
Ha perfettamente ragione Alex, quando dice che uno spettro molto accurato potrebbe dirci molto sulla sorella del Sole. Speriamo lo facciano! Se anche lei ha pochi elementi refrattari potrebbe veramente possedere una Terra e magari anche abitata, dato che è partita con gli stessi mattoncini biologici del Sole.
L’espulsione verso l’esterno dipende, quando c’è, da meccanismi di perturbazione legata spesso a risonanze di vario tipo. Problemi di tipo “meccanico” soltanto.
Quando parli di risonanze, ti riferisci agli stessi meccanismi che poi sotto forma di di fly-by reiterato vengono utilizzati per riuscire a raggiungere con le nostre sonde pianeti per i quali invece altrimenti la necessità di propellente sarebbe stata eccessiva?
No Valerio,
quelli sono gravity assist o, se preferisci, fionda gravitazionale. Parlo delle risonanze esistenti tra i corpi celesti sulla base delle relazioni tra i loro parametri orbitali. Le più celebri sono quelle di moto medio, ossia quando i periodi di rivoluzione stanno tra loro come numeri interi piccoli. Ma, esistono anche quelle secolari, di Kozai, e molte altre ancora. Ne ho parlato in vari articoli.
Mi riferivo proprio a quelli... quelli che erano la passione di Bepi Colombo... che quindi se ho capito bene non han bisogno di risonanze secondo numeri piccoli, corretto?
caro Valerio,
la fionda gravitazionale è un'applicazione semplice della legge di conservazione dell'energia. Quando un pianeta si muove, la velocità della navicella si somma a due volte quella del pianeta e il risultato è un aumento della velocità. E' la stessa cosa che capita se butti una pallina contro un automobile. Se la macchina è ferma la pallina torna indietro con la stessa velocità di andata (vP =10 km/h, vM= 0, vPR = 10). Se, invece, è in movimento (vM=50 km/h) verso di te, la pallina la colpisce con una velocità che è data dalla somma delle due (vscontro = vP + vM = 60 km/h). La pallina torna indietro con questa velocità sommata ancora a quella della macchina (VPR = 60 + 50 = 110). Questo è il massimo che si può ottenere con un gravity assist eseguito nelle condizioni migliori.
Comunque, per una spiegazione più dettagliata, guarda qui:
http://www.astronomia.com/2009/08/24/l%E2%80%99effetto-fionda-o-%E2%80%9Cdel-ciclista-temerario%E2%80%9D/
Caro Valerio,
una postilla che può aiutarti a inquadrare il problema nella dinamica elementare. Poniti nel sistema di riferimento di Giove e guarda la navicella: lei arriva con velocità v verso di lui, compie una mezza orbita e scappa da dove è venuta. Per un gioviano, nessun problema: la navicella arriva a velocità v e rimbalza con velocità -v. Per un terrestre, questa situazione vuol dire che la navicella arriva vicino a Giove con v e poi scappa con V = - v - 2vG . Se leggi bene quello che ho scritto parlando di forza centrifuga e sistemi di riferimento, la faccenda ha una sua collocazione perfetta.
Ciao Enzo,
la vita di un pianeta gassoso è quindi impossibile vicino alla propria stella, ma allora perchè esistono pianeti gassosi più grandi di Giove che orbitano a distanze irrisorie dalla loro stella (nell'ordine di Sole - Mercurio)? E' perchè il loro Sole non è ancora riuscito a "mangiarsi" tutti i gas del pianeta???
Cara Gio,
i pianeti gioviani esistono vicino alla stella (sono quelli terrestri che finiscono dentro...). Tuttavia, spesso ci cadono anche i giganti. Esiste, però, un meccanismo di difesa che avevo descritto qualche tempo fa... Devo riuscire a recuperarlo...
Articolo molto interessante Enzo, lo farò leggere ai miei amici "esperti" e scopritori di esopianeti
Ciao Enzo, mi è sorto un dubbio...ma l'essere nati dalla stessa nebulosa perché dovrebbe dare la certezza di una stessa composizione? Non esistono nebulose eterogenee in cui gli elementi pesanti cominciano a collassare da una parte formando una prima stella mentre la seconda metà di nebulosa, con soli elementi leggeri, collassa poi in un secondo momento formando la seconda stella...?
Articolo interessantissimo cmq...grazie.
anch'io ho una domanda,enzo: nella stessa modalità per cui una stella può avere fagocitato alcuni dei suoi figlioli,può essere che anche un pianeta,magari un gigante gassoso, può fagocitare alcuni dei suoi satelliti?alla fin fine sono modelli in scala che seguono le stesse regole,no?
caro Lampo,
direi che è molto improbabile... una nebulosa deve in gran parte la sua composizione alla zona della galassia in cui si trova. Poi, la faccenda è più raffinata. In realtà, un pianeta formandosi seleziona in qualche modo certi elementi particolari a seconda della sua posizione (mentre la stella non fa molte differenze) e quando li riconsegna alla stella lo fa attraverso pillole che mantengono segni particolari (abbondanze relative anomale solo di certi elementi e non di tutti). E' un po' come se fossero dei cercatori d'oro. Nella sabbia del fiume c'è di tutto e di più, ma loro tengono solo le pagliuzze. Se dopo una settimana di ricerca buttassero nuovamente l'oro nel fiume, si troverebbe, in quella zona, un'anomalo eccesso di oro che non può essere naturale...
caro davide,
in linea di principio hai ragione. D'altra parte il satellite distrutto di Saturno ha creato gli anelli, ma probabilmente parte di esso è caduto sul pianeta. tuttavia, la differenza sta nel fatto che il pianeta e il satellite sono fatti degli stessi elementi, dato che entrambi hanno un nucleo solido costruito a una certa distanza dalla stella. Non vi è, quindi, l'opera di selezione da parte del satellite e le abbondanze restano molto più simili tra loro. Al limite, puoi vedere l'atmosfera di un gigante sporcata, ma questo succede anche adesso dato che Giove, ad esempio, riceve continuamente polvere che proviene dai satelliti attraverso micro impatti (gli anelli di Giove sono proprio formati dalla polvere che decade lentamente su Giove).
Caro Enzo,
Io invece avrei qualche domanda sull'immagine dello spettro, magari banale ma è sempre meglio aver chiare le idee sui punti banali. D'altra parte è dallo spettro che ricaviamo praticamente tutte le informazioni sulle stelle e quindi volevo cominciare a capirci un po' di più.
Le righe nere sarebbero le famose "righe di assorbimento", di cui ogni tanto sento parlare, cioè lunghezze d'onda che a noi non arrivano (e quindi le vediamo nere) perché sono state assorbite dagli atomi dell'atmosfera esterna solare? Da ciò si potrebbe concludere che gli elementi metallici si troverebbero principlamente nella parte "esterna" della stella? Strano, perché gli elementi "pesanti" dovrebbero convergere verso il nucleo, o no?
caro Pier,
su una stella la gravità è bilanciata dalla radiazione e quindi non domina come negli interni planetari. Oltretutto, a noi interessano proprio gli elementi che le sono stati "scaricati" addosso
Cito Enzo:
"Cara Gio,
i pianeti gioviani esistono vicino alla stella (sono quelli terrestri che finiscono dentro…). Tuttavia, spesso ci cadono anche i giganti. Esiste, però, un meccanismo di difesa che avevo descritto qualche tempo fa… Devo riuscire a recuperarlo… "
L'articolo dovrebbe essere questo: http://www.astronomia.com/2013/08/07/le-stelle-fanno-di-tutto-per-non-mangiare-i-propri-figli/
Ciao,
Alex.
grazie Alex!!!!!!