Categorie: Meccanica quantistica
Tags: elettrodinamica quantistica La QED di Feynman probabilità QED riflessione
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Feynman e la QED. 3: tutto lo specchio lavora ***
Ricapitoliamo
Cosa abbiamo imparato fino ad adesso? Riassumiamo brevemente i concetti fondamentali. Innanzitutto abbiamo stabilito che la luce viene trasportata da particelle. La prova? Decisiva! Quando la luce di un solo colore (monocromatica) colpisce un rivelatore, si “sentono” nettamente i fotoni che la colpiscono. Inoltre, diminuendo la luminosità, ciò che si ottiene è la riduzione dei segnali che arrivano, ma la loro singola “intensità” non cambia.
Abbiamo poi stabilito, con non poco imbarazzo, che se la luce colpisce una superficie di vetro, alcuni fotoni vengono rimandati indietro, mentre altri (la maggioranza) proseguono all’interno del vetro. Comunque si cerchi di spiegare questo fatto non si riesce a capire perché qualche fotone scelga di rimbalzare e altri no. Soprattutto, non si riesce a stabilire chi di loro prenda una o l’altra decisione.
Se si aggiunge una seconda superficie riflettente, a breve distanza dalla prima, le cose diventano ancora più misteriose. Il numero totale di fotoni che subiscono una riflessione, o sulla prima o sulla seconda, invece di essere il doppio di quelli osservati con una sola superficie possono variare da zero fino a un valore massimo, superiore a ciò che ci si poteva aspettare. Sembra proprio che i fotoni che rimbalzano sulla prima superficie debbano attendere cosa facciano quelli sulla seconda per prendere una decisione. Assurdo, veramente assurdo. Malgrado una situazione di totale incomprensione, siamo riusciti ad affrontare e a descrivere il fenomeno considerando solo la probabilità di rimbalzare dei fotoni e, addirittura, di calcolare il risultato finale con due o più superfici. Ci si è riusciti attraverso delle semplici frecce e un ottimo cronometro ultra rapido. Ovviamente, si sono dovute seguire alcune regole molto precise:
1) La probabilità che accada un evento è data dal quadrato della lunghezza di una freccia che abbiamo chiamato ampiezza di probabilità.
2) Per calcolare la probabilità finale di un evento che ammette più vie alternative, basta disegnare un’ampiezza di probabilità per ogni alternativa (ogni “scelta” ?) e combinarle insieme secondo lo stesso metodo che ci permette di sommare dei vettori.
Non dimentichiamo, però, che è necessario anche usare un cronometro che sappia scandire il movimento dei fotoni per determinare la direzione delle frecce. Un cronometro che gira in modo diverso a seconda del codice-colore del fotone. Più lentamente per il rosso e più velocemente per il blu.
Applicheremo, adesso, queste semplici regole ai principali fenomeni naturali che vedono la luce come protagonista. Lo faremo per i più comuni e conosciuti, ma Feynman ci assicura (e non possiamo fare altro che crederci) che il successo è garantito anche per fenomeni molto più complicati, come la diffrazione e anche “peggio”.
Uno specchio tuttofare
Iniziamo proprio con il fenomeno che ci è servito per introdurre le regole enunciate precedentemente, ossia la riflessione della luce. In poche parole, vogliamo descrivere come la luce si riflette su una superficie e perché l’angolo di incidenza è uguale all’angolo di riflessione.
Ricordiamo brevemente cosa ci dice l’ottica geometrica “normale” e come si rappresenta la riflessione. Si considera una sorgente di luce S, uno specchio e un rivelatore R. Si traccia un bel raggio di luce che arriva sullo specchio in un certo punto M (non è un punto qualsiasi!), si calcola l’angolo tra la superficie e il raggio (o il suo complementare) e lo si riporta tale e quale dall’altra parte del punto. Il nuovo raggio finisce, ovviamente, sul rivelatore R. Lo vediamo nella Fig.14. Quante volte abbiamo disegnato questo semplice e logicissimo schema?
Ebbene, cerchiamo di cambiare un po’ il nostro modo di pensare, come potrebbe fare Alice. Per quale motivo abbiamo disegnato un solo raggio che lascia la sorgente S? In fondo, sappiamo benissimo che i fotoni possono andare in qualsiasi direzione. Perché scegliere solo la direzione che ci fa comodo? Perché trascurare tutte le altre? Un po’ alla volta questo modo di ragionare così “normale” comincia ad apparirci illogico. E’ come se avessimo fatto una scelta arbitraria che favorisce certi fotoni solo perché sappiamo il risultato finale, senza curarci della realtà dei fatti.
D’altra parte i rivelatori ci hanno dimostrato senza ombra di dubbio che i fotoni sono corpuscoli che sembrano viaggiare in linea retta e che quando arrivano sul rivelatore ci informano attraverso il loro “tac”. Dobbiamo trattarli così e analogamente dobbiamo accettare che essi vadano in ogni direzione. Ciò vuole anche dire che i fotoni che partono da una sorgente possono toccare qualsiasi punto dello specchio e non solo il punto M che ci mostra la riflessione di un SOLO raggio e che si trova per ovvi motivi geometrici proprio alla stessa distanza da S e da R.
Potremmo concludere che sì, è vero che vi sono molti altri raggi, ma nessuno di essi, riflettendosi, può raggiungere il rivelatore R e, di conseguenza, li possiamo tranquillamente trascurare e concludere che vale la pena disegnare solo quello che serve. In altre parole, potremmo concludere che i fotoni che colpiscono lo specchio vicino ai suoi estremi (più vicini a S e a R) non abbiano niente a che fare con quelli che hanno la possibilità di raggiungere R, come sembra indicare perfettamente la Fig. 14.
Se, però, questo ragionamento comincia a sembrarci troppo semplicistico, come se cercasse di mettere la polvere sotto al tappeto, vuol dire che abbiamo buone possibilità di seguire Alice nel suo mondo assurdo. La MQ ci ha ormai segnato e il dubbio che si stia sbagliando a vedere le cose in modo troppo “normale” diventa sempre più forte.
Serviamoci ancora della stessa Fig. 14, ma la ridisegniamo come Fig. 15. Non cambia la situazione, ma cambia il modo di affrontare il problema. La sorgente S “spara” un fotone alla volta, dello stesso codice, per esempio il codice “rosso”. Qualsiasi traiettoria dei fotoni che partono da S è possibile e nessuna va trascurata. In R mettiamo il solito rivelatore di fotoni. Cosa dobbiamo fare per seguire gli insegnamenti della QED? Dobbiamo calcolare la probabilità di arrivare su R di qualsiasi fotone, dopo che ha toccato lo specchio. Nessuno è favorito a priori e lavoriamo in modo del tutto imparziale, come dovrebbe fare qualsiasi VERO arbitro di una partita di calcio.
Per evitare che qualche fotone prenda una scorciatoia (i fotoni ne sanno una più del diavolo), mettiamo uno schermo tra sorgente e rivelatore, in modo che i “furbi” che volessero prendere la direzione diretta da S a R vengano bloccati. Liberata la mente da riflessioni troppo comuni e razionali, immergiamoci completamente in quello che ci ha insegnato, finora, la QED. Applichiamo, quindi, le regole che conosciamo.
La probabilità che un certo evento si verifichi è il quadrato della freccia finale che si ottiene combinando assieme tutte le frecce delle varie possibilità che possono portare all’evento finale. Non spaventatevi… è proprio quello che abbiamo fatto usando la lamina di vetro. In quel caso vi erano solo due possibilità per raggiungere R1: o attraverso la riflessione sulla prima superficie o sulla seconda. Ricordatevi che per calcolare la probabilità finale abbiamo proprio combinato due frecce relative a queste due possibilità di azione.
Nel “nuovo” esperimento le cose si complicano non poco (apparentemente), dato che vi sono milioni o miliardi, o il numero che volete, di possibilità per far giungere la luce di S in R. Il tragitto del fotone, infatti, non è assolutamente legato a ciò che noi vogliamo dimostrare (angolo di incidenza uguale all’angolo di riflessione), ma segue tutte le possibili vie che ha a disposizione. Non possiamo certo limitarne le possibilità sapendo qual è il risultato. Vale proprio il contrario: considerando tutte le vie di manovra dobbiamo dimostrare che l’angolo di incidenza è uguale a quello di riflessione. Il discorso è completamente diverso!
Accettiamo, quindi, stringendo i denti e annullando tanti concetti imparati a scuola, che i fotoni possano fare tutti i percorsi possibili, colpendo lo specchio in qualsiasi suo punto e poi giungere, comunque, in R, “fregandosene” bellamente delle regole dettate dal buon senso. Quanto detto è rappresentato nella Fig. 15, dove abbiamo disegnato solo qualche percorso possibile. Non sentiamoci “pazzi” perché stiamo accettando un qualcosa che sappiamo che non “dovrebbe” essere logico. Affidiamoci solo e soltanto alle probabilità.
Per essere ancora più chiari, eseguiamo una semplificazione che non cambia certamente il risultato (lo abbiamo imparato studiando la definizione di limite e cose del genere). Consideriamo il nostro specchio sotto forma di striscia e dividiamolo in tanti tasselli quadrati tutti uguali tra loro. Accettiamo, inoltre, che per tutti i punti del tassello la luce si comporti in un solo modo, come descritto in Fig. 16. Spieghiamoci meglio. Sappiamo benissimo che ogni punto dello specchio colpito dalla luce dà luogo a una certa freccia probabilistica, ossia dà luogo a un comportamento diverso dai punti adiacenti. Per trattare, però, milioni e milioni di punti, con comportamenti diversi, dovremmo fare uso, quantomeno, degli integrali. Molto meglio, dividere lo specchio in piccoli tasselli di dimensioni “finite” e assumere che ognuno di essi dia luogo a un certo comportamento.
Il risultato che otteniamo è soltanto più approssimato, ma non cambia più di tanto. Sicuramente è più che sufficiente per i nostri scopi. Niente ci vieta, inoltre, di migliorare la rappresentazione riducendo sempre più le dimensioni dei singoli tasselli, facendoli un po’ alla volta tendere verso dimensioni nulle (e qui saltano fuori i concetti di limite e via dicendo…). Non lo faremo, proprio perché non vogliamo introdurre le formule molto “cattive”, ma perfette, che sono il punto di forza della QED. Accontentiamoci e non ce ne pentiremo!
Fatte queste premesse, possiamo concludere che ogni tassello è caratterizzato da un’unica freccia che ha una certa lunghezza e una certa direzione. Cominciamo con la lunghezza. Nuovamente non facciamo il solito errore a cui ci porta la logica comune. La lunghezza di una freccia indica, in pratica, la probabilità che ha un fotone che arriva su di esso di rimbalzare esattamente sul rivelatore R. Verrebbe da dire che la probabilità è sicuramente massima per il tassello (chiamiamolo pure punto) che sta a metà dello specchio, ossia in M. Ne dovrebbe seguire che la lunghezza di questa freccia debba essere la massima. Ovviamente, commetteremmo un errore, dato che partiremmo condizionati dal risultato che tutti conoscono nell’esperienza comune. Analogamente, saremmo portati a disegnare una lunghezza piccolissima per le frecce di A e B. No, no… dobbiamo seguire le regole imparate nell’articolo precedente. Un fotone che arriva in un qualsiasi punto ha “praticamente” sempre la stessa probabilità di dirigersi da qualsiasi parte esso voglia. Attenzione: in realtà una leggerissima differenza esiste, ma è talmente insignificante che possiamo trascurarla (parola di Feynman e delle sue formule). Possiamo perciò considerare costante la lunghezza della freccia relativa a ogni punto (o -meglio- tassello). Il che vuol dire che anche il suo quadrato rimane costante e quindi anche la probabilità del singolo evento. Questo concetto è veramente fondamentale per tutta la MQ: la probabilità relativa a una qualsiasi "scelta" fatta dal fotone è sempre la stessa. Il fotone ha la stessa probabilità di raggiungere qualsiasi punto ( e anche -come vedremo- di seguire qualsiasi traiettoria). Tutta la MQ si fonda su questo semplicissimo principio: la realtà si descrive così. Punto e a capo!
La stessa cosa, però, non succede certo per la direzione della freccia. La direzione dipende da quanti giri ha fatto la lancetta del cronometro tra la partenza del fotone da S e il suo arrivo in R. Tuttavia, i percorsi SR sono ben diversi a seconda del punto in cui il fotone tocca lo specchio. Maggiore o minore è il percorso e maggiore o minore è l’angolo della direzione finale della lancetta rispetto a una certa direzione di riferimento. Ricordiamoci che tutti i fotoni hanno lo stesso codice e quindi il cronometro gira alla stessa velocità per tutti.
Consideriamo la Fig. 17. Due fotoni seguono due percorsi differenti. Il primo tocca lo specchio in A e il secondo in M. Entrambi devono poi arrivare fino a R. Beh, non c’è QED che tenga: il percorso SAR è sicuramente più lungo di SMR. Percorso più lungo vuole dire posizione diversa della lancetta del cronometro che ha dovuto compiere una frazione di giro in più (o magari anche molti giri completi più una frazione di giro). In altre parole, c'è voluto più tempo per descrivere il percorso SAR che non quello SMR. La velocità del cronometro è sempre la stessa, ma il percorso ha lunghezza differente.
Introduciamo un nuovo tipo di figura decisamente comoda e comprensibile. Per ogni punto dello specchio colpito, il percorso SR ha lunghezza diversa e di conseguenza varia il “tempo” (giri e frazioni di giro) misurato dal cronometro dalla partenza all’arrivo del fotone corrispondente (la velocità è la stessa) . La Fig. 18a rappresenta schematicamente i percorsi eseguiti dai vari fotoni che abbiamo considerato (forse sarebbe meglio dire il percorso scelto da ogni fotone per arrivare in R), mentre la Fig. 18b descrive proprio la relazione tra posizione del punto colpito e tempo di percorrenza del tragitto relativo. In poche parole, inseriamo come ascissa la distanza di ogni punto dello specchio rispetto ad A (per esempio) e in ordinata il “tempo” impiegato dal fotone che ha colpito lo specchio in quel punto, per andare da S a R.
Otteniamo una specie di parabola (unendo i punti vediamo proprio una parabola disegnata a “scatti”, che sarebbe sempre più raffinata aumentando i punti). All’inizio (in A) il tempo è molto lungo. A mano a mano che il punto si avvicina a M il tempo diminuisce. Superato M il tempo ricomincia ad aumentare fino ad arrivare in B, dove è ovviamente uguale a quello di A per come è stato rappresentato lo specchio, la sorgente e il rivelatore.
Possiamo anche vedere (e questo fatto è veramente importante!) che spostandoci anche di poco rispetto ad A il tempo cambia sensibilmente, mentre avvicinandosi a M la variazione decresce sempre di più. L’andamento si ripete andando da M verso B. Conoscere bene le caratteristiche della funzione “parabola”, o quello che è, può servire moltissimo se volessimo scrivere le formule relative (ecco perché è importante lo studio delle funzioni…).
Quanto detto per i tempi si trasferisce immediatamente alla direzione della lancetta del cronometro. Vicini ad A la differenza di direzione della freccia varia notevolmente da punto a punto, mentre vicini a M la lancetta cambia di poco la direzione, che si mantiene pressoché costante. Poi, ricomincia a variare sempre di più, giungendo in B con la stessa direzione di A, dato che il percorso SAR è uguale, per costruzione, a SBR. Possiamo, perciò disegnare al fondo della Fig. 18 (Fig. 18c) le frecce calcolate punto per punto, con lunghezza costante e direzione più o meno variabile a seconda del tempo impiegato o –meglio ancora- dello spostamento della lancetta.
Ovviamente, abbiamo scelto la direzione della freccia di A qualsiasi (poco importa). Quelle successive hanno però una stretta correlazione con la prima, seguendo quanto detto precedentemente.
Non ci rimane, adesso, che “sommare” tutte le frecce, ossia combinarle con le regole imparate la volta scorsa. Prima di farlo, devo fare un'importante precisazione. Nell’esperimento della lastra di vetro dell’articolo precedente, avevamo invertito il verso della prima freccia e non quello della successiva. La regola non vale più in questo caso, dato che la riflessione avviene nello stesso modo per tutti i percorsi. In altre parole, la freccia gira di 180° o non gira affatto, a seconda del materiale in cui avviene la riflessione. Ricordiamoci, infatti, che stiamo sempre usando la semplificazione che dice di considerare una riflessione come fenomeno che coinvolge solo la superficie. In realtà non è così, ma per essere più esatti dovremmo sapere fare interagire fotoni con materia. E questo lo faremo solo più in là. Accettiamo, quindi, queste rotazioni di mezzo giro che a volte si compiono e a volte no, come un piccolo atto di fede che risolveremo in seguito. Nel caso in esame, abbiamo la riflessione su vetro, provenendo da aria, per tutti percorsi effettuati dalla luce. Non vi è quindi bisogno di introdurre capovolgimenti di verso della freccia.
Un bel "lento" o un bel "tango"?
Torniamo al caso in oggetto e combiniamo le frecce mantenendo per tutte il verso della lancetta. Il risultato è oltremodo simpatico e intrigante, come mostrato in Fig. 19.
Non solo è simpatico, ma anche descrivibile molto bene. Le prime frecce, vicine ad A, cambiano drasticamente direzione e ciò vuol dire che in pratica la loro combinazione fa tanto fumo e poco arrosto: la freccia finale, relativa a loro, rimane piccola. Ricordate l’analogia con la “danza”? Ebbene, vicini ad A è come se ballassimo un lento. Ogni passo avviene in una direzione completamente diversa da quella precedente, ma alla fine si rimane sempre sulla stessa “mattonella”. Le cose invece cambiano drasticamente avvicinandosi a M. I vari passi sono, adesso, tutti diretti verso una direzione quasi costante. La combinazione di queste frecce così simili porta a uno spostamento non certo trascurabile. Poi, andando verso B le frecce tornano ad essere caotiche e “inconcludenti”. Ne segue che la freccia finale, dipende essenzialmente dalla direzione, quasi costante, delle frecce vicine al punto medio M. Vi prego di non prendere la figura come una disegno precisissimo: l’ho tracciata un po’ a occhio e con ovvie approssimazioni. Ricordiamoci, comunque, che la lunghezza delle singole frecce deve essere sempre uguale.
Non perdiamo di vista lo scopo di questo bel gioco di frecce e lancette. Ciò che volevamo trovare era proprio la direzione e la lunghezza della freccia finale, il cui quadrato indica proprio la probabilità di avere una riflessione sullo specchio e raggiungere R. Ci siamo riusciti e abbiamo visto che questa probabilità è alta (dipende dalla lunghezza della freccia finale) ed è essenzialmente legata alla somiglianza della direzione delle frecce vicine al punto di mezzo dello specchio. Attenzione: la direzione della freccia finale, in sé, conta poco; quello che conta è la lunghezza della freccia finale o, se preferite, dalla costanza della direzione delle frecce che permette di sommare veramente la loro lunghezza. In altre parole, ciò dimostra che per raggiungere il rivelatore M è molto meglio che il fotoni tocchino lo specchio vicino al punto di mezzo, dove l’angolo di incidenza è quasi uguale all’angolo di riflessione e il “tempo” impiegato è quello minimo. Questa è la zona dello specchio che dà il massimo contributo alla probabilità totale che l'evento (riflessione) avvenga.
Se guardiamo bene la Fig. 19, notiamo che il risultato finale non sarebbe cambiato di molto se avessimo eliminato il contributo delle prime frecce a sinistra e delle ultime a destra. In parole povere, chi comanda sono le frecce vicine a M. Questa conclusione può approssimarsi nella visione del mondo normale, che dice che i fotoni che partono da S, e si riflettono sullo specchio raggiungendo R, lo fanno colpendo lo specchio nella parte mediana, ossia con un angolo di incidenza uguale all’angolo di riflessione, impiegando il minor tempo possibile per andare da S a R.
Possiamo anche fare un’ulteriore considerazione: le probabilità che i fotoni che colpiscono lo specchio vicini ad A e a B, e poi raggiungono R, sono del tutto simili a quelle della parte mediana dello specchio, ma esse sono talmente “variabili” che le loro probabilità praticamente si annullano a vicenda , quando vengono combinate. Troppa agitazione porta, veramente, a poco o niente. La calma e la costanza delle frecce mediane, invece, premia, dato che le frecce si sommano dando luogo a una probabilità finale decisamente grande.
Solo dopo aver fatto questa riflessione possiamo dire di escludere tranquillamente le parti laterali dello specchio e ottenere lo stesso risultato! Inoltre, ragionando in termini di probabilità, il fatto che la probabilità che capiti un evento composto da due eventi, possa essere minore o maggiore della probabilità di un singolo evento, diventa un risultato del tutto “normale”. L’esperimento della lastra di vetro della volta scorsa perde molto della sua assurdità, che sembrava mostrare che i primi fotoni decidessero qualcosa solo dopo che i secondi avevano fatto la loro scelta? Sembrerebbe di sì, dato che l’annullamento o la somma delle probabilità dipende solo dalla direzione delle frecce.
No, no, non cerchiamo di riportare Alice nel nostro mondo. Resta sempre il problema di partenza. Perché un fotone decide di andare in una direzione e non in un’altra, di attraversare o non attraversare il vetro? La QED ci permette di ottenere il risultato finale con estrema esattezza, ma non riesce assolutamente a spiegare il perché! Un po’ alla volta, iniziamo a capire che le particelle non possono sempre essere trattate come tali e che a ognuna di esse bisogna collegare o sostituire (o quello che volete) la probabilità e non la certezza di un fenomeno di fisica classica.
Insomma, abbiamo capito benissimo che tracciare la solita retta che parte da S, arriva in M e giunge, infine, in R è solo e soltanto un’approssimazione di un comportamento più complesso descritto dalla QED! Sembrerebbe un’inutile perdita di tempo, dato che si ottiene lo stesso risultato della fisica classica, ma studiando meglio la situazione, vedremo che è in realtà molto più corretto (e utile) accettare che tutta la superficie dello specchio concorre al fenomeno della riflessione. Troppo semplice e parziale limitarci a una sola direzione privilegiata. Entrando nella logica illogica della MQ, cominciano veramente ad apparire troppo limitativi gli espedienti usati nella fisica classica per spiegare certi fenomeni all’apparenza molto, anzi troppo, ovvi.
La prossima volta studieremo meglio la situazione, divertendoci a sezionare lo specchio… e anche a fare degli strani giri di danza (valzer, tango, ecc…).
Fermiamoci a riflettere e non picchiatemi
Un consiglio… mentre andiamo avanti con questa descrizione essenzialmente grafica e un po’ empirica, cercate di confrontare certi concetti (espressi in modo diverso) con quelli che avevamo “toccato” spiegando l’esperimento della doppia fenditura. Vi renderete conto che stiamo dicendo le stesse identiche cose… Uno sforzo non trascurabile, senza far uso di formule esatte, ma molto stimolante e fondamentale per capire quanto sia incomprensibile la MQ e quanto sia corretta e precisa nel descrivere la Natura. Invece di sprecare tempo e capacità mentale a immaginarsi stringhe, universi paralleli, buchi neri e buchi bianchi che si accavallano, tempi che rallentano, accelerano e/o invertono la loro freccia, dedichiamoci PRIMA a capire le basi della MQ, ormai perfettamente descrivibili con esempi semplicissimi. Senza di esse qualsiasi sproloquio sulle ultime teorie dell’Universo diventa un falso Picasso…
Non odiatemi per la ripetizione di questo concetto che sembra negare la fantasia e l’immaginazione. Lo faccio sia per voi che per me stesso. La fantasia è meravigliosa solo se poggia su una conoscenza completa di ciò che vogliamo estrapolare e inventare. Altrimenti è solo e soltanto un gesto di arroganza e di superficialità…
19 commenti
Molto interessante la riflessione sulla .... riflessione Ci rifletterò su!
Il problema è tutt'altro che banale...
Ho un quesito:
il fotone che raggiunge R è lo stesso che è partito da S oppure è un fotone assorbito e riemesso da M ??
caro Beppe,
per adesso i fotoni non possono riemettere! Lui è e lui rimane. Mi raccomando non cerchiamo di inserire la nostra logica... Ci deve bastare descrivere le probabilità che un fotone ha di raggiungere il rivelatore sfruttando i mezzi primitivi che abbiamo. La materia interverrà al momento opportuno...
Bella e interessante spiegazione "alternativa". Leggendo mi è subito venuta la domanda se cambierebbe qualcosa se M fosse vicino al bordo dello specchio invece che in mezzo. L'esperienza mi dice che nella realtà nulla cambia... Ma Feynman è d'accordo?
caro Mik,
non capisco bene cosa intendi dire... Ci sono molti punti "M" vicini al bordo dello specchio, ma loro portano frecce che si annodano e non concludono niente per la probabilità finale. Se intendi il punto che ha pari distanza da S e da R, allora è obbligato a trovarsi in quella posizione centrale... Potresti spiegarti meglio?
In conclusione, però, non è una spiegazione "alternativa", ma l'unica che funziona perfettamente... Quella che diamo noi con la fisica classica è solo un'approssimazione... e lo vedremo meglio in seguito.
Posso provare a fare una piccola riflessione per capire se ho afferrato il concetto?
Per quanto il fotone possa compiere qualunque scelta, anche quelle che sembrerebbero inusuali, la probabilità mutano in relazione al maggior o minore percorso da compiere per raggiungere il rilevatore.
Su 1000 fotoni una buona parte "tenderà" a scegliere il percorso più breve (anche ai fotoni sembra piacere la comodità), ciò non esclude però che altri compiano scelte meno comode.
Se copriamo lo specchio e lasciamo scoperta solo l'area prossima ad A (il bordo a sinistra), l'ampiezza delle probabilità si riduce moltissimo, ma non è nulla. Infatti, basta per esempio sommare i primi tre vettori vicino ad A per rendersi conto di quanto piccola risulterebbe l'ampiezza di probabilità.
E' corretta questa breve riflessione ?
Paolo
Bravo Paolo... ci sei quasi direi . In realtà non è proprio giusto dire che arrivano più fotoni nella zona centrale (tieni conto che ci sono anche quelli che arrivano nella zona centrale, ma se ne vanno per altre strade). Forse potremmo dire che i fotoni che arrivano nella parte centrale (e che raggiungono R) hanno percorsi quasi uguali anche se maggiormente dispersi in relazione alla superficie dello specchio che toccano.Tuttavia, cerchiamo di non provare a descrivere ciò che fa la QED con fenomeni resi "normali". la QED descrive solo la probabilità che un certo evento capiti e non come in realtà capita. Va beh... in ogni modo dici molto bene relativamente alla riflessione lontana dal centro: se il fascio di fotoni è abbastanza "aperto" le probabilità si annullano, ma non del tutto. Proprio nel prossimo articolo discuteremo di questo e ci porterà al ... reticolo di diffrazione. Un'altra magia della QED. Dopo, invece, vedremo che se si restringe troppo un fascio di fotoni, il percorso totale perde di importanza... Insomma, con la QED non si è mai certi di niente.
In MQ conta molto il gruppo e non l'oggetto singolo (sempre che oggetto sia). Essa non tratta di percorsi effettivi o di traiettorie di corpuscoli, ma solo e soltanto della probabilità di essere in un posto o in un altro...
Penso, comunque, che sei sulla strada giusta!!!
Intendevo, nella tua figura 15 e 16 il punto M sta nel mezzo dello specchio. Se sposto lo specchio, lasciando fermi S ed R in modo tale che M (che pure rimane fermo) cada in prossimità del bordo dello specchio, cambia qualcosa ai fini del calcolo, visto che così la situazione non è più simmetrica? Oppure la simmetria non ha importanza, perché i cammini che contribuiscono effettivamente solo quelli che "riflettono" in un intorno di M?
Altra cosa, quando avevo studiato a suo tempo la riflessione in termini diciamo "classici", il modello era quello di un fascio incidente di raggi paralleli (fotoni paralleli?). In questo caso, il modello QED sarebbe diverso?
no, Mik. Non conta la simmetria, ma solo il tempo impiegato a percorrere il tragitto. Ho, infatti, preso S e R alla stessa altezza solo per semplicità di figura. Sulla posizione dello specchio ci torneremo la prossima volta
Il fatto dei raggi paralleli è una semplificazione dell'ottica geometrica. Non cambia niente nella QED, dato che quello che conta è il cronometro, ossia il tempo impiegato per arrivare e cosa fanno gli amici vicini...
Vediamo se ho capito il senso della tua affermazione, ossia che nella MQ conto il gruppo.
Se ogni singolo fotone può compiere un numero n di scelte diverse, soffermandoci solo su questo singolo comportamento, ci porterebbe a rimanere "imprigionati" nell'indeterminazione del suo comportamento.
Confrontando invece le diverse scelte possibili di un gruppo di fotoni, è possibile definire l'ampiezza di probabilità, ossia cosa è più probabile che accada e cosa è meno probabile ed a qaunto pare anche con una certa precisione.
Paolo
ops dimenticavo, il fatto che un comportamento sia meno probabile, non significa che non può accadere, semplicemente ha meno possibilità di accadere.
Ciao Enzo,
ho un dubbio.
Per un fotone come può la lastra di vetro apparire liscia come nelle figure?
A naso io penso che a quelle dimensioni, considerando il vetro un solido nel breve periodo, il fotone si confronti con spazi "vuoti" ,protoni, neutroni ecc..
E' possibile che quella morfologia
molecolare/atomica/sub-atomica incida nelle varie direzioni che prende il fotone riflesso??
Comunque è bello denudarsi delle proprie convinzioni ed essere trasportati in questo mondo fantastico che, con il tuo modo di divulgare, sembra così stranamente ovvio.
Grazie!
Scusa Enzo ma mi é venuto un dubbio...quello che hai descritto, all'atto pratico, vale veramente anche per uno specchio specchio? O lo specchio é un caso particolare e qui stiamo parlando di una superficie riflettente generica...? Scusa non voglio fare il puntiglioso ma veramente ho questo dubbio...se facciamo un esperimento reale come quello in figura 18a e leviamo lo specchio in M lasciando tutti gli altri...veramente il rivelatore rileverebbe dei fotoni...? Anche solo uno...?
cari ragazzi,
sono contento del vostro impegno... però vi chiedo di non voler correre troppo in avanti. Che durante il suo viaggio il fotone incontri altri personaggi è ovvio e proprio di questo si occupa la QED. Tutto ciò che stiamo facendo adesso è prendere dimestichezza con le regole da applicare per poter calcolare la probabilità di un evento. Facendo ciò, alcune applicazioni delle regole ci portano a descrivere fenomeni ottici alla portata di tutti i giorni.
Dobbiamo accettare le regole e non cercare continuamente di confrontare con ciò che sappiamo. Si parla di ampiezza di probabilità e sua direzione, indipendentemente da cosa ha fatto e chi abbia incontrato nel frattempo il fotone. Il fatto stesso che una freccia si inverta in un caso e nell'altro no, la dice lunga. Dipende essenzialmente da dove e come viaggia. Ma lo diremo dopo, perché ora non siamo ancora preparati a comprenderlo...
Inoltre stiamo molto attenti a "cosa" applichiamo le regole. Per semplicità descrittiva e per non rinunciare del tutto a una logica innata, si fa spesso riferimento a una serie di fotoni inviati da S. Contando quelli che arrivano su R, come dice Paolo, sapremmo la probabilità... Ma, attenzione, ciò che sto applicando a una serie di fotoni, ognuno dei quali segue un certo percorso, è una visione molto parziale. Posso dire benissimo che su 100 fotoni ,4 arrivano su R. Ma posso anche dire che un singolo fotone ha una probabilità del 4% di arrivare su R. E' la stessa cosa? Apparentemente sì, ma non per la MQ. E' il fotone singolo che si trova di fronte a tutte le possibilità ed è su di lui che posso benissimo applicare le regole che abbiamo imparato, sommando e girando frecce. In altre parole, basta un solo fotone che esce da S per potere agire con i nostri calcoli.
Fatemi dire qualcosa che avrei voluto dire dopo... ma non vorrei che causasse malintesi:
Quando un fotone parte da S, esso dà luogo a una serie di fotoni virtuali (le sue possibili traiettorie), le quali portano a frecce che si combinano e ci dicono dove il singolo fotone può andare a finire e con che probabilità. Questo discorso è identico a quello di pensare a 100 fotoni che partono tutti assieme e che seguono ognuno la loro traiettoria. Identico... apparentemente. Nel secondo caso ogni fotone avrebbe già fatto una scelta fin dall'inizio e mi interesserei a vedere come queste scelte si combinano e quanti fotoni arrivano a segno. Il ragionamento fila comunque. Tuttavia, la stessa cosa capita se considero un solo fotone e lo divido in tutte le sue possibili traiettorie e poi combino e ruoto le sue possibili frecce. In questo caso, però, che è quello che ci immerge nella MQ, il fotone dà origine a una numero infinito di fotoni virtuali (ossia di possibili percorsi che può fare) e nessuno può sapere dove sia realmente e cosa decida di fare. Possiamo solo calcolare la probabilità di effettuare un percorso invece che un altro (e a questo punto è identico considerare tanti fotoni che hanno già deciso e uno solo che non ha ancora deciso) e alla fine possiamo calcolare dove è più probabile che vada a finire e come lo fa. In questo senso possiamo considerare fasci stretti e/o larghi di fotoni "virtuali" così come stiamo trattando fasci di fotoni separati.
Capite allora perché posso tranquillamente parlare di fotone particella? Lo posso fare applicando le regole probabilistiche a tanti fotoni e il discorso per adesso fila abbastanza bene per tutti i fenomeni che descriviamo. Se, però, pensiamo che sia il singolo fotone che si divide in tante tragitti virtuali, eseguiamo lo stesso calcolo, ma stiamo considerando il fotone non come una particella, ma come un insieme di possibilità della particella, che solo alla fine apparirà singola. In questa ottica prende senso il fenomeno della doppia fenditura, altrimenti otterremmo il risultato dei fucili...
Utilizziamo quindi l'idea di un fascio di fotoni, ma pensiamo anche che il discorso è più giustamente applicabile a una sola particella che non ha ancora deciso dove andare e che lo farà solo dopo aver valutato le probabilità dei vari percorsi che si trova davanti. Solo così riusciamo a trattarla. Se poi, però, voglio sapere dov'è prima della fine del percorso... Beh, allora, è ovvio che rovini tutto il gioco probabilstico! Ho avuto una certezza e tutto il sistema virtuale... COLLASSA.
Basta, però... fatemi continuare con l'idea più plausibile e comprensibile di un fascio di fotoni.... C'è sempre tempo a fare il salto dentro la MQ.
OK?
Grazie Enzo, sei sempre molto chiaro nelle tue esposizioni.
Ti dirò che questi articoli ed i ragionamenti che suscitano li considero un pò come quando prima di fotografare galassie (per diletto) passo un certo tempo a curare la messa a fuoco.
Più questa è precisa e più nitida risulterà l'immagine, esattamente come più si riesce a mettere a fuoco i concetti base, più ne guadagna la comprensione necessaria per ragionare su fenomeni “più complessi”.
E chissà se grazie a queste interessanti discussioni, si amplieranno anche le mie probabilità di comprensione (sto barando cercando di modificare l'ampiezza delle probabilità dei miei neuroni di compiere percorsi neurali idonei per capire).
Paolo
direi proprio che non bari assolutamente e ti ringrazio di cuore per interessarti così tanto ai miei tentativi di avvicinarci al nocciolo di tutto ciò che ci circonda.
Ciao Enzo,
molto interessanti e stimolanti questi articoli...
E' giusto pensare che se fossimo grandi quanto un fotone e fossimo davanti ad uno specchio, potremmo anche non vedere il nostro riflesso se proprio il fotone che ci dovrebbe raggiungere fosse quello che non si riflette? Oppure, dato che se un avvenimento prima o poi deve succedere, ci vedremmo sempre e comunque?
cara Giorgia,
ottima riflessione... Beh, dipende: se tu sei unico puoi tornare indietro solo 4 volte su 100 e quindi puoi benissimo non essere visto da R1. Se ne partono 100 tutti assieme, almeno 4 li devi vedere... o meglio li vede R1.
Grazie della preziosa e chiara esposizione...in parallelo stò leggendo il libro QED e queste tue esposizioni mi chiariscono meglio il tutto.
caro Massimo,
tutto il merito è di Richard... io mi sono solo limitato a cercare di rendere ancora più semplice quello che era già un capolavoro di chiarezza. Comunque, ti ringrazio... vuol dire che anch'io sono riuscito a farmi aiutare da Feynnam a capire e riuscire a divulgare...