Categorie: Meccanica quantistica
Tags: entangled fotoni immagine
Scritto da: Vincenzo Zappalà
Commenti:6
Illuminare con luce che non si vede e vedere quella che non ha illuminato ***
Normalmente per ottenere l’immagine di qualcosa, si deve illuminare l’oggetto e poi usare un rivelatore sensibile alla luce che è trasmessa o diffusa dall’oggetto. Il problema è che, spesso e volentieri, la luce migliore per illuminare un certo oggetto non riesce a dare informazione al rivelatore, che non “vede” quel tipo di luce. Un bel problema, se non ci fossero i fotoni “entangled”.
Ecco ciò che è stato fatto all’Università di Vienna: è stata ottenuta l’immagine di una silhouette di gatto (tanto per cambiare) senza ricevere la luce che l’ha illuminata, ma solo attraverso luce che non l’ha nemmeno sfiorata. Detta così sembra veramente una frase senza senso. Tuttavia, conoscendo il mondo di Alice, cominciamo a sentir puzza di MQ. I risvolti pratici di questo esperimento sono enormi. Possiamo infatti illuminare un certo oggetto con luce di un lunghezza d’onda particolarmente interessante, ma che non può essere rilevata, e ottenere l’immagine attraverso la luce di un’altra lunghezza d’onda, facilmente rilevabile, che non ha minimamente toccato l’oggetto da illuminare, ossia che è passata ben lontana da lui. Ovviamente, tutto ciò è possibile attraverso particelle (fotoni in questo caso) che siano intrecciati (entangled). Pur non sapendo ancora cosa realmente rappresentino queste particelle così unite tra loro, indipendentemente dalla distanza che le divide (e che non hanno fatto dormire Einstein), non solo si sanno trattare matematicamente e si usano in molta tecnologia d’avanguardia, ma ormai si riescono a creare abbastanza facilmente attraverso speciali prismi non lineari (non chiedetemi di più…).
Il succo dell’esperimento è rappresentato nella Figura che segue. Un fascio laser (molto potente) viene subito diviso da BS1 in due fasci (a) e (b). Il fascio (a) incontra il cristallo non lineare NL1 e crea due fotoni intrecciati: uno ha la lunghezza d’onda dell’infrarosso (linea rossa) e l’altro quella del rosso (linea gialla). Questi due fotoni sanno perfettamente cosa fa il gemello e si comportano di conseguenza. Il fotone infrarosso viene inviato verso l’oggetto da illuminare (O) e compie il suo lavoro, interagendo con lui (cambiando la sua ampiezza). Poi prosegue e viene inviato all’interno di un altro cristallo non-lineare NL2, dove arriva anche la parte (b) del fascio laser che, a sua volta, può creare una coppia intrecciata. Il fotone infrarosso che proviene da O e quelli che si originano in NL2 si combinano tra loro e niente e nessuno sa più riconoscere se provengono da NL1 o da NL2. Poco importa, tanto il loro lavoro l’hanno già fatto, possono essere trascurati del tutto e mandati “in castigo” attraverso D3. Ricapitolando, la luce infrarossa che ha illuminato l’oggetto O e ha subito il contatto con lui, trasformando la sua “ampiezza” (ormai la conosciamo molto bene), viene mischiato con altri fotoni infrarossi che gli fanno perdere qualsiasi identità. La luce che ha illuminato l’oggetto viene eliminata, dato che non potrebbe essere comunque rilevata.
Il percorso del fotone rosso è invece molto più semplice. Esso si guarda bene dal passare attraverso O (non si sporca le mani): le informazioni necessarie gliele trasmette il fratellino infrarosso. Ne consegue che il fotone rosso sa esattamente ciò che è capitato in O e mantiene ben stretta questa informazione. Per non perderla non va certo a finire in NL2, dove sarebbe costretto a mischiarsi con i fotoni rossi che nascono in quel cristallo. Questi ultimi, però, non hanno la più pallida idea di cosa sia successo in O, dato che hanno fatto un percorso del tutto separato e ben lontano da O, attraverso il fascio (b). Quando si incontrano con i fotoni rossi, gemelli degli infrarossi che hanno vissuto in prima persona il contatto con l’oggetto O, possono tranquillamente interferire con loro in modo da evidenziare le trasformazioni subite. L’interferenza avviene proprio tra fotoni che non sono passati da O e fotoni che, pur non essendo passati anch’essi da O, ricordano perfettamente cosa è successo ai gemelli e hanno cambiato, di conseguenza, la loro ampiezza. In poche parole si creano zone chiare e zone scure che forniscono un’immagine di O in una lunghezza d’onda che il rivelatore riesce a vedere benissimo. Questi fotoni, però, non hanno minimamente interagito con O.
Concludo dicendo che mentre rivelatori sensibili al rosso sono di normale produzione commerciale, quelli infrarossi sono praticamente introvabili. Tuttavia, molte cose danno il meglio di loro solo se illuminate con l’infrarosso. Basta pensarci un attimo e si capisce subito quali fantastiche applicazioni si potrebbero ottenere in tutte le scienze che hanno bisogno di analizzare immagini…
Fantastico, veramente fantastico.
Lavoro originale QUI (a pagamento...)
6 commenti
Mi viene voglia di dire: che spettacolo!!
non ho capito se la figura di interferenza si forma in "g" o in "h"...
forse c'è un piccolo refuso, lo specchio che manda la parte infrarossa in castigo è "D3"?
Comunque esperimento molto interessante che non mancherà di sviluppi futuri!!
caro Beppe,
grazie, hai ragione su D3 (corretto). Non so esattamente cosa viene fatto in BS2, ma teniamo predente che arrivano solo fotoni rossi che hanno ampiezze diverse. probabilmente vengono separati...
Wow...tecnologia futuristica! Non capisco come si riesca a ricostruire l'immagine di O attraverso l'interferenza dei due fasci rossi ma...spettacolare davvero!
Fantastico Enzo, bella anche la figura del gatto che ho trovato qui: http://www.nature.com/nature/journal/v512/n7515/carousel/nature13586-f3.jpg
Una sola noticina: forse nella figura era meglio non usare il colore rosso per il fascio di fotoni "non-rossi" ;)
Io ti avrei consigliato linee di colore grigio per l'infrarosso e rosso (appunto) per il rosso
Un caro saluto,
Alex.
caro Alex,
sono completamente d'accordo con te... ma.... la figura l'ho recuperata direttamente dalla fonte. E non avevo voglia di rifarla...