Categorie: Meccanica quantistica
Tags: atomo doppia riflessione elettrodinamica quantistica elettrone La QED di Feynman QED scattering vetro
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Feynman e la QED. 14: atomi, cronometri fasulli e pezzi di vetro****
La casa dell’elettrone
Abbiamo parlato di elettroni, considerandoli liberi di muoversi a loro piacimento, quasi come fossero dei… fotoni. In realtà, la situazione è piuttosto diversa. Gli elettroni sono normalmente (nei fenomeni più comuni) legati a un peso non trascurabile. In altre parole… hanno sempre una palla al piede che li tiene ancorati a un qualcosa. Quel qualcosa è il nucleo atomico, dove si rifugiano i protoni e i neutroni, a loro volta “casa” di particelle ancora più piccole.
Feynman chiama il protone il “vaso di Pandora”: guai ad aprirlo! Al livello raggiunto finora possiamo permetterci di non complicare troppo le cose e considerare il nucleo atomico come una singola particella in quiete, ossia priva di movimento spaziale. Anche a lui si associa, ovviamente, un’ampiezza di probabilità di andare da un punto a un altro e l’espressione è del tutto simile alla E(A,B) dell’elettrone, solo che contiene un numero maggiore di “n” (ricordate?). Il nucleo è però ben più “pesante” dell’elettrone e non commettiamo un grave errore se lo consideriamo fermo.
Sempre per motivi di semplicità riferiamoci all’atomo più semplice, ossia a quello dell’idrogeno. Il nucleo si riduce a un protone ed è presente un solo elettrone. La Fig. 60 illustra il diagramma spazio-temporale di questo atomo.
La linea verticale rappresenta il protone (non si muove nello spazio), mentre la linea ondulata è l’elettrone, che scalpita, ma che viene trattenuto a una certa distanza da un continuo scambio di fotoni virtuali con il protone. Un messaggio continuo, una mediazione della forza che tiene unito l’atomo. Un vero e proprio balletto che l’elettrone compie “attorno” al nucleo. Ovviamente, se il nucleo è composto da più protoni, gli elettroni aumentano e il diagramma corrispondente si complica in modo mostruoso, ma non per questo cessa di essere rappresentabile con le solite regole della QED. Ricordiamoci che le lettere dell’alfabeto rimangono solo e soltanto tre.
L’ampiezza di un fotone che viene scambiato tra protone ed elettrone è semplicemente (–j) x P(A,B) x j. In altre parole, l’ampiezza di un fotone che va da un punto a un altro, moltiplicata per le ampiezze dei due accoppiamenti. Il segno meno di j definisce quello relativo all’accoppiamento protone-elettrone. Non preoccupatevi di un fotone che esce ed entra nello stesso elettrone e nemmeno di quello strano cerchietto che individua la nascita e la morte simultanea di un positrone: possiamo trascurarli (almeno per adesso).
Se quello precedente è il diagramma relativo al mantenimento di un elettrone nei pressi del protone, non è difficile disegnare lo “scattering” della luce quando l’elettrone è ancorato al suo atomo. Lo vediamo in Fig. 61.
Mentre continua ad avvenire il continuo scambio di fotoni, un fotone estraneo può facilmente colpire l’elettrone ed essere assorbito. Dopo poco tempo, l’elettrone “sputa”un nuovo fotone, dando luogo al fenomeno di scattering. Può anche capitare (e l’abbiamo già visto) che l’elettrone emetta prima un fotone e poi l’assorba. Le varie combinazioni danno luogo a tutti i fenomeni di scattering che conosciamo.
Possiamo concludere questa rapida analisi dell’atomo con una constatazione veramente semplice: l’ampiezza di probabilità di avere uno scattering (di qualsiasi tipo sia) è data da una serie di rotazioni e accorciamenti che può essere definita come Sc. Sapremmo benissimo (non è un vero problema) scrivere quest’ampiezza, che dipende, ovviamente, dal nucleo e da come si sistemano gli elettroni vicino a lui. In parole semplici, l’ampiezza varia da materiale a materiale. Finora ci siamo soprattutto “fissati” sul vetro (e continueremo a farlo), ma ogni materiale ha la sua propria ampiezza di scattering.
Un piccolo commento prima di proseguire: vi siete accorti come è diventato banale e intuitivo disegnare (qualitativamente) un atomo e le interazioni tra nucleo ed elettrone? Per non parlare dei fenomeni di scattering e di interazione elettromagnetica. Sì, d’accordo, per passare alla quantificazione è necessario tradurre tutto in formule matematiche, ma praticamente non vi sono problemi concettuali, dato che ogni lettera ha una sua ben definita ampiezza di probabilità. Basta solo moltiplicare e sommare, operazioni alla portata di chiunque… Potrei permettermi di dire che più si va avanti e più le cose sembrano semplificarsi. Lo stesso succede a scuola: è molto più difficile scrivere le prime lettere dell’alfabeto che, una volta imparatele molto bene, iniziare a scrivere delle parole e delle frasi a senso compiuto.
Un cronometro fittizio
Penso che uno dei concetti, che vi ha “disturbato” di più, sia stato quel cronometro che, associato a una freccia, la faceva girare in modo diverso a seconda del colore della luce. La sua importanza è fondamentale, dato che la direzione della lancetta ci permette di sommare o di eliminare ampiezze di pari lunghezza. Un po’ come fa la velocità con l’accelerazione. Due velocità uguali possono dar luogo a un’accelerazione diversa da zero (il moto circolare uniforme ce lo insegna).
Dover vedere questa caratteristica così importante rappresentata da un cronometro astratto che non esiste in Natura è una fatica mentale che viene mal sopportata anche nel mondo di Alice. Ormai, però, siamo in grado di svelare cos’ è veramente questo cronometro e come funziona. Lo possiamo fare perché non ci spaventano più i diagrammi spazio temporali (almeno spero…).
Prima di iniziare, ricordiamoci ancora una volta di non confondere traiettorie spazio temporali con traiettorie soltanto spaziali. Quando avevamo illustrato la riflessione e la doppia riflessione, usavamo traiettorie inclinate. Può anche darsi che qualcuno abbia confuso, saltuariamente, gli angoli indicati dalla lancetta del cronometro con gli angoli fatti dalle traiettorie. Adesso, questo non è più possibile, dato che lo spazio si è ridotto a una retta e quindi tutti i movimenti spaziali avvengono su di essa. Rimane, invece, inalterata la direzione della freccia-ampiezza e l’angolo ad essa relativa. Le traiettorie che vedremo indicheranno, d’ora in poi, percorsi immaginari nello spazio-tempo, l’unico foglio in cui possono essere rappresentate le tre lettere di Alice.
Per svelare il mistero del cronometro, pensiamo un attimo a come abbiamo definito l’ampiezza P(A,B) del viaggio di un fotone da un punto a un altro. Abbiamo parlato di rotazione della freccia? Assolutamente no. Eppure, andare da A a B vuol proprio dire partire dalla sorgente e giungere in un certo luogo (lo specchio, il vetro, il rivelatore). Si è sempre detto che durante questo viaggio spaziale il cronometro continua a girare e adesso, improvvisamente, non ce ne importa più niente e concludiamo che passare da A a B non comporta nessuna rotazione della freccia-ampiezza P(A,B).
Forse qualcuno ci aveva già pensato e aveva trovato questo confronto del tutto assurdo, anche per il mondo di Alice. E avrebbe avuto sicuramente ragione. Non possiamo più nasconderci dietro la rappresentazione ingenua e simbolica del cronometro.
L’angolo della ampiezza, infatti, non dipende dallo spazio percorso e dal tempo impiegato a percorrerlo, ma solo e soltanto dall’istante in cui la luce lascia la sorgente. Ma come?! Ci crolla il mondo addosso (quello normale). Tanta fatica a parlare di differenza di traiettoria e adesso la trascuriamo completamente?
Pensiamo un momento a ciò che succederebbe se la rotazione dell’ampiezza venisse impartita subito, all’inizio del viaggio. Se le frecce partissero tutte assieme avrebbero tutte la stessa direzione. Niente e nessuno la potrebbe cambiare senza incontri strani durante il percorso. Che una freccia faccia un percorso più lungo o più corto non potrebbe modificarla. Tuttavia (state bene attenti!), esse viaggiano alla stessa velocità e, quindi, se voglio ricevere la luce di due fotoni sullo stesso rivelatore allo stesso medesimo istante (quello che capita in realtà), devo considerare, per loro, tempi di partenza diversi. Solo tempi di partenza diversi danno angoli diversi alla freccia.
Tuttavia, se voglio che due fotoni partano in tempi diversi (angolo di ampiezza diverso) e arrivino contemporaneamente nello stesso punto, è necessario che uno dei due faccia un percorso più lungo o più corto. In caso contrario (ossia percorsi spaziali uguali), dato che la loro velocità è costante (e la possiamo considerare uguale a c su lunghe distanze), uno dei due arriverebbe o prima o dopo l’altro. Da questa conclusione non si scappa neanche nel mondo di Alice.
Insomma, tempi di partenza diversi e arrivi simultanei implicano anche percorsi diversi: i due metodi di calcolo dell’angolo sono perfettamente equivalenti.
Non confondetevi… sto dicendo una vera banalità. Se due atleti vanno alla stessa velocità e voglio vederli arrivare sul traguardo nello stesso istante, facendoli partire in tempi diversi, è necessario che uno dei due faccia un percorso più lungo. O, inversamente, se voglio che arrivino insieme, ma hanno davanti percorsi diversi, è necessario che partano in tempi diversi. Le due cose sono perfettamente uguali. Da questa semplice riflessione se ne deduce che non abbiamo commesso nessun errore finora a far girare la lancetta del cronometro: il risultato finale è lo stesso. Tuttavia, lo spazio-tempo e le lettere del nuovo linguaggio ci permettono, adesso, di essere un po’ meno assurdi nel mondo dell’assurdo.
Ancora la doppia riflessione (che barba!)
Bando alle ciance e a tante parole, vediamo cosa capita in realtà. L’evento da descrivere è: “Parti da S e arriva in R a un certo istante, dopo la riflessione su una lamina di vetro ”. Come si vede, non parliamo più di doppia riflessione… non c’è più bisogno di semplificazioni artificiose (lo vedremo meglio tra poco). L’evento è, però, sempre lo stesso, lo conosciamo molto bene.
Iniziamo con analisi accurata della sorgente S. Restiamo nell’ambito di luce monocromatica, ossia di un solo colore. In queste condizioni, l’ampiezza di probabilità che un fotone venga emesso varia in modo regolare col tempo. In particolare, varia in modo regolare l’angolo della freccia. Cambiando colore, cambierebbe la velocità di variazione. Esattamente ciò che faceva il nostro cronometro “fittizio”. Se la luce fosse un mix di colori (ad esempio luce bianca) l’angolo cambierebbe in modo caotico, senza alcun regolarità. Nel caso di luce monocromatica, invece, è possibile sapere perfettamente come avviene la rotazione della freccia e quindi conoscere l’ampiezza di probabilità.
La faccenda è molto semplice: l’angolo varia a velocità costante, esattamente come faceva quello della lancetta del cronometro, ma andando in senso inverso. La Fig. 62 ci mostra la situazione relativa alla sorgente S. Essa, ovviamente, non si muove e descrive, perciò, una retta verticale. In istanti successivi facciamo partire un fotone che descrive la sua traiettoria verso il rivelatore. La lunghezza della freccia di probabilità è sempre la stessa, ma l’angolo gira in verso antiorario, come illustrato nella parte sinistra del grafico. Notate che le traiettorie spazio temporali dei fotoni sono parallele, dato che su distanze grandi la velocità della luce può essere considerata costante e uguale a c (angolo di 45°).
La luce è ora partita e viaggia verso la lamina di vetro. Non vi è più nessun cronometro e l’angolo dell’ampiezza rimane immutato fino al momento dell’incontro con il nuovo materiale. Non mi picchiate! Ricordo ancora che il viaggio e l’incontro successivo avvengono nello spazio-tempo e NON nello spazio come nei capitoli iniziali. Nello spazio attuale, tutto avviene lungo una direzione orizzontale costante.
Questa volta, ci conviene partire dal rivelatore R. L’importante, ricordiamolo bene, è che la luce emessa in tempi diversi arrivi allo stesso istante T. Questo fatto, come abbiamo già visto prima, è fondamentale. In quel momento il rivelatore deve fare “tic”. Lui riceve un solo fotone, ma la sua ampiezza di probabilità dipende dall’ampiezza di probabilità di tanti ipotetici “fotoni” inviati in tempi diversi da S. Capiamoci bene, però. E’ la solita vecchia storia che il fotone diventa fotone solo quando arriva, mentre prima è solo un ampiezza di probabilità. Poco sopra avevo parlato di fotoni che partivano e arrivavano, solo per rendere più “comprensibile” la faccenda. In verità la situazione è ben diversa. A ogni istante ciò che parte da S sono ampiezze di probabilità che solo alla fine si combinano tutte assieme per descrivere la probabilità di avere un “tic” in un certo istante.
L’evento dice esattamente questo: “La luce parte da S, ma deve arrivare in R al tempo T” non una frazione di tempo prima o dopo. Vogliamo soltanto calcolare la probabilità che ha un fotone partito da S di arrivare in R al tempo T, ossia di fare “tic”. Quanto tempo ha a disposizione la sorgente per tentare di far accadere l’evento? Dipende… Da cosa? Dallo spessore della lastra di vetro, come vedremo prestissimo.
Ancora un attimo di pazienza… Finora abbiamo parlato di doppia riflessione della luce su una lamina di vetro e ci siamo limitati alla riflessione su due sole superfici, quella superiore e quella inferiore. In realtà ciò non è vero e adesso siamo in grado di dire veramente le cose come stanno. Ogni atomo di vetro concorre al fenomeno, in particolare i suoi elettroni. Essere capaci di descrivere lo scattering della luce con le nuove lettere ci permette di parlare seriamente e di evitare semplificazioni inutili. Le superfici non hanno alcuna importanza particolare.
Tutto il processo viene gestito dagli elettroni interni al vetro che continuano ad assorbire fotoni e a riemetterli. Tuttavia, il risultato è esattamente lo stesso, per cui la divisione in due superfici continua a essere un procedimento più che valido. Solo che tra poco sapremo perché possiamo permetterci di eseguire questa semplificazione.
Disegniamo la Fig. 63 e non spaventiamoci. Sembra complicata ma non lo è. Basta descriverla e seguirla con molta calma. Dividiamo la lamina di vetro in un certo numero di straterelli (sei, ad esempio). Facciamo anche una premessa. Da quanto abbiamo dedotto nelle prime lezioni, sappiamo che la luce è soprattutto riflessa nella parte mediana della lamina di vetro. Non solo, però. Sappiamo anche che la direzione che può prendere è o verso il rivelatore R1 o verso l’interno della lamina. Per ottenere questo risultato avevamo sommato frecce relative a percorsi diversi. Ricordate? Bene, questo risultato vuole anche dire che lo scattering della luce che c’interessa è quello che emette fotoni in una di queste due direzioni. Tutte le altre possibilità, quando vengono combinate, danno una freccia finale nulla.
Possiamo perciò semplificare la figura, considerando come ampiezze da sommare alla fine solo quelle che colpiscono i punti mediani relativi a ogni straterello (da x1 a x6). (Nota Bene: devo ammettere di aver commesso una piccola inesattezza nelle Fig. 63 e 63bis ( e lo commetterò anche per quella relativa alla trasmissione della luce). Per semplicità di disegno ho sempre fatto avvenire lo scattering nella parte terminale degli straterelli. In realtà era meglio utilizzare un punto medio, ma… fatico già abbastanza a fare tutte queste figure e spero mi perdoniate… L’importante è saperlo).
Ovviamente, avremmo una precisione maggiore aumentando il numero di strati. Mi raccomando, non fissatevi sull’angolo delle traiettorie incidenti: esso non è assolutamente l’angolo di incidenza, ma rappresenta solo la velocità della luce c costante. Quello che conta è solo la posizione dei punti all’interno della lastra di vetro: la figura “spaziale” in due dimensioni è quella di Fig. 63bis e i punti sono situati tutti sulla verticale, linea mediana tra sorgente e rivelatore.
Torniamo alla Fig. 63 e iniziamo a calcolare le ampiezze lungo le traiettorie spazio-temporali che toccano i sei punti considerati. Sono quelle che permettono di finire in R1 nello stesso istante T. Capisco che può sorgere qualche difficoltà, ma cercate di estraniarvi più che potete dalla solita visione a due dimensioni spaziali. Le traiettorie sono solo e soltanto dei diagrammi di Feynman relativi allo scattering della luce, come mostrato nel cerchio a destra della figura (lo riconoscete?). Le ampiezze delle loro probabilità permettono di calcolare la P(S,R1) di ogni diagramma attraverso la moltiplicazione delle parti in cui vengono divise, tenendo anche conto delle rotazioni relative ai punti di accoppiamento. Avremo una P(S,R1) per ogni traiettoria e alla fine potremo sommarle vettorialmente. In fondo, è sempre lo stesso procedimento che abbiamo già usato numerose volte.
Ogni singolo tragitto (da x1 a x6) può essere diviso in quattro “step”:
(1) un fotone è emesso dalla sorgente in un certo istante
(2) il fotone va dalla sorgente a un certo punto x del vetro
(3) nel punto x avviene lo scattering da parte di un elettrone
(4) il nuovo fotone raggiunge il rivelatore
Stiamo parlando di fotoni, ma sappiamo benissimo cosa intendiamo: l'ampiezza di probabilità che un fotone segua quella particolare traiettoria per finire in R1 al tempo T.
I passi (2) e (4) non causano assolutamente niente. La traiettoria si svolge nell’aria e nel vetro, ma l’ampiezza di probabilità non subisce né accorciamenti né rotazioni (a parte l’indebolimento dovuto alla distanza da percorrere, ma in questo caso interessa poco dato che è uguale per tutte le frecce).
Si può, infatti, assumere che tutta la luce segua il percorso tracciato, senza perdite o dispersioni (come indicano, in fondo, i diagrammi “simbolici” di Feynman nei tratti rettilinei).
Il passo (3) è lo scattering vero e proprio e implica accorciamento e rotazione, ma è una costante che dipende dal tipo di materiale, ossia il vetro. L’abbiamo chiamata Sc all’inizio del capitolo. Esso dà sicuramente luogo a un certo accorciamento e a una rotazione in senso orario che per il vetro risulta essere di 90°.
Il passo (1) è invece decisivo, dato che ogni traiettoria inizia a un tempo diverso e, di conseguenza, la freccia è diretta in una direzione variabile con regolarità (luce monocromatica). In poche parole, il passo (1) esegue in un istante quello che il vecchio “cronometro” faceva lungo la traiettoria. Se guardiamo la Fig. 63 vediamo benissimo che la distanza percorsa della luce nelle varie traiettorie è più piccola per x1 e più lunga per x6. Succede proprio quello che avevamo detto poco fa: per arrivare tutti assieme è necessario che chi fa il percorso più corto parta per ultimo e chi fa il percorso più lungo parta per primo.
Moltiplicando le ampiezze dei vari passi, otteniamo, quindi, frecce tutte accorciate della stessa lunghezza e tutte girate di 90° (a causa dello scattering nel vetro). Le differenze tra le loro direzioni rimangono identiche a quelle relative agli istanti in cui hanno lasciato S. Non ci resta che sommarle com’è rappresentato in Fig. 64. A sinistra abbiamo le sei frecce iniziali, come erano disegnate nella Fig. 63. Per non complicare la figura, abbiamo eseguito l’accorciamento e la rotazione (freccetta rossa) solo per la numero 1. Le frecce finali di ogni traiettoria vengono sommate vettorialmente nella parte destra, ottenendo l’ampiezza finale della probabilità che ha un fotone, partito da S, di colpire il rivelatore al tempo T.
Ancora un piccolo sforzo e finiamo questo “terribile” capitolo. Le frecce seguono un tratto di circonferenza, di cui la freccia finale è la relativa corda. E facile intuire che quando il tratto di circonferenza diventa esattamente la metà della stessa, la corda non è altro che il diametro. Essa è anche il valore massimo dell’ampiezza di probabilità. Poi la corda inizia ad accorciarsi per arrivare a zero quando si chiude la circonferenza. Questa variazione dipende dal tempo tra la prima e l’ultima traiettoria, ossia dallo spessore del vetro.
Un piccolo accenno alla realtà quotidiana: non vi sarà certo sfuggito il perfetto accordo con la “classica” lunghezza d’onda. Il periodo per compiere un intero giro della freccia è proprio la lunghezza d’onda divisa per la velocità della luce. Lo spessore del vetro, che porta a un giro completo della freccia, è proprio la lunghezza d’onda…
Torniamo a noi e vediamo perché avevamo potuto ridurre il tutto a due sole riflessioni (superficie superiore e inferiore), con quello “strano” ribaltamento della freccia per la prima riflessione e non per la seconda. Era solo un semplice “trucco”… Dimostriamolo con la Fig. 65.
Consideriamo la stessa situazione precedente e individuiamo il centro C della circonferenza descritta dal’ampiezza. Tracciamo i due raggi che contengono la corda. Possiamo dire, con tranquillità, che la somma vettoriale dei due raggi è uguale alla corda, ossia all’ampiezza finale. Tuttavia, per poter sommare questi due raggi, è necessario invertire il verso del raggio che dal centro arriva all’inizio della freccia 1. Quello che va dal centro alla fine della freccia 6 rimane invece immutato. Cosa concludiamo? Per ottenere l’ampiezza finale basta sommare il primo raggio ribaltato e il secondo lasciato inalterato.
Considerando il primo come la freccia della prima riflessione e il secondo come quello della seconda riflessione, il gioco è fatto! Non commettiamo nessun errore, dato che il diametro del cerchio ha un’ampiezza di 0.4 (come si determina attraverso calcoli ed esperimenti). Ogni raggio vale, quindi, 0.2, proprio il numero magico che dava luogo alle ampiezze che variavano da 0 a 0.4 (e alle probabilità finali dallo 0 al 16%).
Nei capitoli iniziali, abbiamo potuto falsificare la situazione assumendo che la riflessione attraverso una lastra di vetro avvenisse solo nella prima e nella seconda superficie, dando luogo a due frecce di ampiezza uguale a 0.2 che si combinavano tra loro. La prima, però, doveva essere ribaltata di 180°.
In realtà, abbiamo visto che tutto si verifica “quantisticamente” attraverso lo scattering della luce in ogni punto della lamina. Possiamo quindi concludere che la riflessione parziale di una lastra di vetro dipende solo e soltanto dallo scattering della luce all’interno del vetro. Tutto si riduce a una parola semplicissima dell’alfabeto che abbiamo imparato da poco. E la stessa cosa capita per qualsiasi fenomeno legato alla luce e alla sua interazione con la materia.
Appendice (facoltativa) per i più curiosi
Qualche parola in più sul valore 0.4 dell’ampiezza finale. Il raggio della circonferenza dipende essenzialmente dall’ampiezza delle singole freccette che lo descrivono. Quest’ultima dipende dall’ampiezza Sc che ha un elettrone del vetro di produrre un’azione di scattering. Lo scattering, però, non è altro che una parola dell’alfabeto di Alice-Feynman, formata dalle tre uniche sue lettere. Con le formule a disposizione e tenendo conto di tutte le possibili strade che permettono tale azione si può arrivare al valore del raggio della circonferenza. Per sostanze semplici, il calcolo non è impossibile, mentre per sostanze più complesse (come il vetro, ad esempio) sono stati necessari esperimenti di laboratorio. In realtà, il valore di 0.2 approssima molto bene la riflessione che avviene con la luce che colpisce perpendicolarmente la lamina.
Beh… direi proprio che può bastare. Lo ammetto, questa volta è stato un capitolo piuttosto “ostico” (non per niente gli ho affibbiato quattro asterischi). La prossima volta, utilizzando lo stesso sistema “serio” vedremo casa succede alla luce che penetra nel vetro e finisce nel rivelatore al di sotto della lamina. Coloro che sono riusciti ad affrontare questa parte senza grossi problemi, possono anche cercare di descrivere, da soli, il passaggio attraverso la lamina. Questa sarà sempre divisa in sei straterelli, ma sarà ancora necessario considerare traiettorie partite in tempi diversi?
Provateci… è più semplice di quanto non sembri, basandosi sempre sullo scattering, dato che ormai siamo abbastanza “grandi” da scrivere parole compiute nel nuovo alfabeto. Anche se -forse- non li analizzeremo in dettaglio, si può intuire come i fenomeni di scattering siano tutti riconducibili a una sola parola del mondo di Alice…
Alla prossima e buon divertimento
18 commenti
Ciao Enzo se mi permetti una riflessione... Vedo che quando cerco di parlare di scienza alla gente mi accorgo come questi cerchino di cambiare discorso come ad evitare di scontrarsi con la Scienza che mette a nudo i castelli in aria che ognuno di noi ha, me compreso, altrimenti non sarei qui, certo in parte colpa dei media esempio palese il celeberrimo Global Worming ,ma non solo, forse il DNA si sa quanto sia difficile per noi uomini ammettere i propri limiti, tutti sanno tutto di tutto poi comprensibilmente presi dalle cose di tutti i giorni pensano che gli scienziati vivono in un mondo a parte cioè come Alice nel paese delle meraviglie ma non sanno che per cercare risposte alle domande che costantemente la scienza si pone bisogna essere come tu dici nell'articolo un po' come Alice staccati dalle percezioni della nostra realtà e dalla nostra quotidianità per catapultarsi in questo altro mondo, la meccanica quantistica ce lo insegna e più impariamo più ci accorgiamo che l'approccio è quello giusto il difficile è mantenere questo status mentale ma quelli che più ci sono riusciti sono quelli che più hanno contribuito a nuove scoperte.
Volendo sintetizzare si potrebbe dire che la la meccanica quantistica sia intrinseca in tutte le esperienze ed i fenomeni reali che noi viviamo quotidianamente di cui pure noi siamo parte e che quindi facendone parte non possiamo osservare dedurre direttamente ci serve uno specchio questo specchio io la chiamo scienza nel senso più ampio del termine.
Già rendersene conto è positivo ed il buon Enzo con i suoi articoli ce lo tiene sempre ben presente.
P.S.
Enzo solo una cortesia:
Per favore non chiedermi di spiegarti cosa ho afferrato dell'articolo e cosa no
Pero se vuoi mi butto
Mi pare che la serie di articoli dedicati alla QED stia per terminare mentre è stata avviata un'altra serie di articoli dedicati all'atomo che ci condurranno - immagino - fin dentro il nucleo. Visto che pur sempre di MQ si tratta, chiedo se si toccherà il tema della cromodinamica quantistica e delle relative interazioni nucleari, forte e debole per finire - mi rendo conto dell'ampiezza dei temi - all'Universo "parallelo" del vuoto/vacuo ed a ciò che oggi si sta facendo per comprendere anche la gravità all'interno della MQ. Pongo il quesito perchè credo sia molto importate avere il quadro generale della MQ e dei suoi meandri in modo da riuscire a collegare i diversi aspetti dello strano mondo delle particelle in una visione unitaria che non faccia perdere la "trebisonda" a noi lettori.
Considerato lo straordinario modo in cui Lei riesce a spiegare concetti molto complessi, non dubito che riuscirà ad illuminare con lo schiocco di un ... click le buie caverne della nostra ignoranza come faceva il Magico Alverman negli anni '60 della nostra TV!
caro Foscoul,
hai fatto un'analisi ottima della situazione e mi trovi d'accordo anche sulle conclusioni. Posso aggiungere questo: il fatto stesso che gli antichi greci attraverso la sola mente si scontrassero e in pratica affrontassero problematiche che oggi trattiamo come MQ, la dice lunga. Siamo ancora all'inizio e molte cose sono vaghe, come il passaggio dl microcosmo al macrocosmo... ma la "nostra" strada penso sia proprio questa... Una strada che è scritta da qualche parte del nostro cervello e di cui abbiamo ancora molta paura ...
No, non ti faccio domande, ma ti prego solo di non spaventarti. Il suco di tutto è molto semplice: per arrivare insieme bisogna partire in tempi diversi.
caro Alvermag,
quello che chiedi dovrebbe essere sicuramente la parte conclusiva di un lungo percorso. Ciò che sto facendo adesso è in pratica arrivare alla struttura esterna al nucleo. La QED e il modello atomico ci permettono di affrontar la spettroscopia, con basi sia in fisica classica che quantistica. Il balzo ulteriore è decisamente più complesso e necessita una bella digestione. Inoltre, la spettroscopia ci riallaccia a qualcosa di veramente astrofisico (è un po' che mi sto dedicando troppo alla fisica della materia...). Insomma, mentre ti ringrazio per le belle parole , ti chiedo di avere pazienza... i colori, per adesso, manteniamoli per i fotoni...
Io sono fuori concorso, non perché mi senta superiore, sia ben chiaro, ma perché ho letto QED di Feynman di recente, quindi non sarebbe onesto, mi sento solo di suggerire di rivedere le prime 3-4 lezioni, c'è la scorciatoia...
caro Beppe,
vuoi dire che ho scritto dieci capitoli inutili?
Caro Enzo, per vedere cosa e se ho compreso questo articolo, ho provato a descrivere l'evento opposto, ossia il percorso da S1 a R2, in cui R2 è un rilevatore piazzato dietro alla lamina di vetro.
Vorrei provare a descrivere i vari passaggi, sollevando anche alcuni dubbi.
Il primo grafico descrive una possibile traiettoria dal S1 a R2.
http://www.astrobin.com/full/38892/B/
Ho considerato i 6 strati del vetro come 6 fenomeni di scattering nel tragitto.
La lettera che ho usato è simile a quella della figura 63, ma il fotone ha una direzione opposta.
Usando questa lettera ho anche provato a descrivere i 6 fenomeni di scattering, con il fotone emesso da un elettrone che viene riassorbito e riemesso da un altro elettrone e così via.
Ho anche provato a descrivere l'ampiezza di probabilità di tale percorso legato indissolubilmente al tempo.
Guardando il grafico è piuttosto intuitivo notare come all'aumentare dello spessore del vetro, aumentano anche i fenomeni di scattering, per cui si riduce l'ampiezza di probabilità (la moltiplicazione contiene più j).
Alla domanda se anche in questo caso è necessario considerare diversi istanti di tempo, risponderei in maniera ambigua e provo a spiegare il perché.
Tra S1 e R2 il percorso può essere considerato come una linea che collega direttamente sorgente e rilevatore, per cui altri possibili percorsi attraverso lo stesso vetro, del medesimo spessore, tendono ad assumere velocemente probabilità nulle (il cerchio che si chiude), ossia il percorso risulterebbe solo più lungo, per cui il fotone arriva in istanti successivi rispetto a quello che ci interessa.
Tuttavia non mi sento di escludere la possibilità che possano esserci istanti T più bassi di T1 (istante di invio fotone da S1) che compensino esattamente il tragitto più lungo, facendo arrivare tale ipotetico fotone al medesimo tempo al rilevatore R2.
La questione importante, però, a mio avviso è che il primo grafico in realtà non considera davvero tutte le traiettorie da S1 a R2.
Infatti il fotone potrebbe arrivare in R2 anche attraverso un percorso alternativo, utilizzando anche uno scattering diverso, di segno opposto (riflessione).
Il secondo grafico descrive proprio questo ipotetico percorso alternativo confrontandolo con il primo.
http://www.astrobin.com/full/38892/C/
Anche in questo caso ho mostrato le diverse possibili interazioni fotone elettrone, negli strati del vetro da x1 a x6: una combinazione di “rifrazione” e “riflessione”.
Le probabilità di simili percorsi alternativi vanno sommate vettorialmente a quelle maggioritarie del percorso S1-R2 di solo attraversamento del vetro ed in alcune particolari condizioni (vetro molto sottile) tale somma può far raggiungere la probabilità del 100% che si verifichi questo evento annullando le probabilità del percorso di riflessione S1-R1.
Ho descritto i vari passaggi che ho fatto, così è più semplice individuare eventuali errori.
Due piccole domande mi sorgono spontanee: quando si attribuisce il valore di 0.2 allo scattering del vetro, ciò vale per la riflessione, ma tale valore dovrebbe essere diverso per lo scattering dovuto alla rifrazione nel vetro (attraversamento), o sbaglio?
La rotazione di 90° si deve effettuare anche in caso di solo attraversamento del vetro (oppure qualunque scattering descritto nelle spazio tempo produce una simile rotazione)?
Paolo
caro Paolo,
non so più che dirti... hai una passione e una volontà veramente speciali (e anche una capacità interpretativa non comune)!
Molte cose che hai detto sono vere, ma UNA no (o -meglio- hai scelto un fotone poco indicativo) e quindi ti ha portato un po' fuori strada. Posso dirti una cosa: quello che hai descritto è un fotone MOLTO sfortunato... L'hai fatto scatterare ad ogni passaggio di vetro. Come hai detto anche tu, il tuo fotone ha molte moltiplicazioni per j. E questo gli da un'ampiezza bassissima rispetto ad altri.
Prova a pensare a strade molto più semplici e probabili, tipo: il fotone non subisce scattering per niente. Il fotone subisce un solo scattering, in uno straterello, e poi va dritto. Questi sono i fotoni che interessano di più.... Hanno tutti la stessa ampiezza e compiono lo stesso percorso... Quello come il tuo e gli altri che hai pensato (riflessione multipla, ossia scattering multiplo) danno un piccolo contributo (essenziale, ma secondario...). Come ti dicevo, hai solo sbagliato fotone... ma il concetto è giusto!
Sì, hai ragione: lo 0.2 vale per lo scattering nel vetro, qualsiasi sia la direzione finale del
fotone. Così come la rotazione di 90°. la lettera è sempre la stessa!
Scusa, non vado oltre, ma preferirei spiegare tutto meglio con il prossimo articolo che ha anche le figure... Comunque, ci sei quasi e basta che pensi a fotoni più fortunati...
Caro Enzo, confrontando i fotoni fortunati, come nel grafico
http://www.astrobin.com/full/38892/D/
Il percorso T7, diretto ad S1 a R2 è quello senza alcuna interazione, come se il vetro non ci fosse..
E' evidente che più il vetro è sottile più sarà probabile che il fotone schivo non interagisca con alcun elettrone.
Gli altri sei percorsi (S1-Xn-R2), prevedono un solo scattering e partono da tempi da T1 a T6, per arrivare nel medesimo istante ad R2.
Anche in questo caso più aumenta lo spessore del vetro, più si riduce l'ampiezza finale delle probabilità, infatti l'ampiezza di probabilità del percorso diretto S1-R2 non è stata ruotata di 90° né ha subito variazioni di ampiezza, poiché non c'è stato alcuno scattering, per cui ha verso opposto rispetto alla somma vettoriale del sei percorsi S1- Xn-R2.
Spero che cosa sia corretto.
Non mi resta che attendere il prossimo articolo.
Paolo
Caro Paolo,
come temevo... ti ho solo confuso. Pensaci bene: perché fotoni che hanno ognuno un solo scattering nel vetro (sia al primo che all'ultimo straterello) dovrebbero partire in tempi diversi? Il percorso che fanno è esattamente lo stesso. Inoltre, andare senza scattering è decisamente la strada più probabile, dato che non compare la j. La composizione delle frecce dei fotoni scatterati segue una regola molto più semplice (pensaci bene... fanno tutti la stessa cosa e impiegano lo stesso tempo per andare dalla sorgente al rivelatore....).Dai... ancora un paio di giorni e poi concludiamo la QED (almeno, la parte più semplice e molto limitata...)
Vorrei affrontare un piccolo grande tema che riguarda la propagazione della radiazione elettromagnetica in mezzi diversi dal "vuoto" cosmico.
L'assunto è che in mezzi "frenanti" la radiazione subisce una diminuzione della velocità di propagazione. Ora, visto che V=lunghezza d'onda*frequenza, se ne deduce che in tali mezzi dovranno variare i parametri (uno o entrambi ?) in modo che il loro prodotto dia il nuovo valore della velocità V minore di C.
Ragionando cum grano salis mi attendo che l'energia (proporzionale alla frequenza) diminuisca ed altrettanto faccia la quantità di moto (inversamente proporzionale alla lunghezza d'onda): se è così la lunghezza d'onda aumenta (vuol dire che cambia il colore della luce che osserviamo?) mentre la frequenza dovrà diminuire più di quanto aumenti la lunghezza d'onda. Corretto?
Come avrai ormai capito sono sempre interessato all'aspetto analitico delle questioni (oltre che a quello descrittivo): mi sembra di entrare maggiormente nell'argomento. Ti chiedo quindi se esiste una formula (matematicamente ... abbordabile) che chiarisca questo meccanismo e che fornisca i nuovi valori di lunghezza d'onda e frequenza in funzione delle caratteristiche del mezzo attraversato.
Nello spazio è tutto più facile: dovendo essere sempre V=C si ottiene che se aumenta la lunghezza d'onda (per effetto gravitazionale ad esempio) parimenti diminuirà la frequenza. Ma in altri mezzi???????
Estendendo (di molto...) la faccenda, in caso di Universo chiuso (sembra non essere il caso del nostro) destinato al futuro collasso si avrebbe un aumento dell'energia di radiazione, visto che la frequenza di tutte le radiazioni (anche quelle emesse dopo il BB dalle diverse stelle) aumenterebbe a dismisura? Come la mettiamo con il principio di conservazione dell'energia? C'è qualche aspetto che on sto considerando?
Ti prego non mi sparare. Un chilometrico (anzi ... parsecchiano )GRAZIE anticipato!
caro Alvermag,
in realtà il dire che la velocità della luce diminuisce attraversando un mezzo è un'apparenza che fa comodo sintetizzare in questo modo. Ciò che capita, realmente, è che aumentano gli scattering possibili e il loro valore sulle ampiezze probabilistiche e, quindi, ciò che cambia e l'ampiezza di probabilità finale. Questo cambiamento porta all'apparente deviazione del raggio rifratto e all'indice di rifrazione (che è poi riferito proprio ai cambiamenti di direzione delle varie frecce). Il risultato è lo stesso che potremmo trovare dicendo che la velocità è diminuita. In effetti, se non vi sono fenomeni di scattering il fotone viaggia allo stesso modo dovunque... Il prossimo capitolo ne farà cenno.
Caro Enzo, penso e spero di aver capito.
L'errore era che l'istante di partenza dalla sorgente di qualunque percorso preveda un solo scattering verso R2 è lo stesso, non importa se lo scattering avviene in uno strato del vetro piuttosto che un altro (X1, X2, X3, X4, X5, X6) poiché la riduzione di ampiezza di probabilità e la rotazione è la stessa.
Per cui il tempo impiegato è il medesimo.
Se invece aumenta il numero di scattering, (nel grafico ne ho previsti 2)
http://www.astrobin.com/full/38892/E/
allora cambia anche l'istante di partenza (deve partire prima, un po' come in una corsa ad ostacoli, più aumentano gli ostacoli più tempo si impiega per arrivare), poiché l'ampiezza di probabilità si riduce notevolmente e se non ho capito male avviene anche un a rotazione di 90° per ogni scattering (due scattering= due rotazioni di 90° = 180° ???).
Paolo
caro Paolo,
il concetto è quello giusto. E anche sulle rotazioni dovresti esserci, ma.... temo che tu sia caduto nella confusione che temevo (e di cui vi avevo anche avvertito): non confondiamo la direzione del fotone nello spazio tempo con la direzione della freccia (ampiezza). Sono due cose indipendenti, da trattare separatamente. Nel diagramma NON si vede la direzione della freccia, ma gli scattering dicono solo che essa deve essere ruotata di 90° rispetto alla direzione precedente (che, ripeto, non ha niente a che vedere con la direzione del fotone).
Se il fotone non ha nessuno scattering allora la sua ampiezza non cambia (il vetro per lui è come se non esistesse) e arriva con una certa direzione (quella avuta al momento della partenza dalla sorgente) e con ampiezza unitaria (a parte l'affievolimento dovuto alla distanza percorsa). Tutti fotoni che hanno avuto un solo scattering nel vetro hanno ampiezze più piccole e sono ruotate di 90° rispetto a quella senza scattering...
Come dici giustamente tu, questi fotoni che hanno un solo scattering partono tutti assieme e quindi hanno tutti la stessa direzione dell'ampiezza sia prima che dopo aver avuto lo scattering (non conta se l'hanno nel primo o nell'ultimo straterello). Conclusione: tutte queste frecce sono dirette a 90° rispetto a quella principale (e più lunga) senza scattering. La combinazione finale è quindi ora abbastanza ovvia.
Inoltre, come dici tu, a queste frecce principali bisogna aggiungere quelle con doppio e multiplo scattering che ritoccano un po' la freccia finale... e che hanno direzioni della propria freccia leggermente diversa sia dalla partenza...
Dai, che oggi o domani inserisco l'ultima parte...
Comunque, sempre complimenti!
Accidenti, sono rimasto di nuovo indietro
Spero di riuscire a recuperare qualcosa nei prossimi giorni.
Niente, era solo per segnalare che sono ancora vivo
Un carissimo saluto Enzo!
meno male!
Cominciavo a preoccuparmi!!!!!
Niente, troppi impegni, non riesco ad essere costante