Categorie: Meccanica quantistica
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Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Feynman e la QED. 15: attraversiamo il vetro e fermiamoci…****
Abbiamo visto che vi sono molte strade per giungere al rivelatore R1, attraverso la doppia riflessione (che sappiamo essere stata una semplificazione indolore), dato che ogni punto della lamina contribuisce alla probabilità finale attraverso l’umile lavoro degli elettroni del vetro, capaci di assorbire e di riemettere fotoni nella direzione che ci interessa. Sono dei veri e propri “fucili mitragliatori” che raccolgono proiettili e li sparano verso il bersaglio.
Zone diverse del vetro, però, vogliono dire percorsi più o meno lunghi e quindi istanti di partenza, dalla sorgente, diversi. Ormai sappiamo che non esiste il famoso cronometro, ma che la direzione dell’ampiezza si origina fin dall’inizio a seconda dell’ora segnata da un unico orologio, al momento della partenza della luce monocromatica. Essa viene ristretta e rivoltata solo quando gli elettroni fanno il loro lavoro, ossia quando applicano la terza lettera dell’alfabeto: l’interazione o accoppiamento.
Un fotone che non … riflette
Pensiamo, adesso, alle traiettorie del nostro fotone che voglia attraversare tutta la lamina e arrivare in R2 (perché lo faccia lui e non i suoi fratelli riflessi resta, ovviamente, un mistero). Disegniamo la Fig. 66. Come già fatto precedentemente, consideriamo solo percorsi rettilinei. Il modo migliore per arrivare in R2 è quello di non incontrare nessun elettrone, ossia non subire scattering. E’ sicuramente la via più diretta e più probabile, dato che non vi sono accorciamenti o rotazioni. La sua ampiezza è decisamente grande, praticamente identica a quella iniziale (a parte l’affievolimento dovuto alla distanza da percorrere, che NON dipende dal vetro). Tuttavia questa stessa traiettoria è irta di ostacoli: gli elettroni del vetro.
Altri fotoni (o, meglio, altri percorsi alternativi) possono dar luogo a scattering. In prima approssimazione, prendiamo in considerazione le ampiezze che derivano da uno scattering avvenuto all’interno di uno dei sei “straterelli” del vetro. Esse sono decisamente più corte di quella “diretta” e, inoltre, sono ruotate di 90° (come nel caso della riflessione… siamo o non siamo nel vetro?). Tuttavia, ognuna subisce la stessa identica azione e quindi sono tutte uguali tra loro. Cosa dire della loro direzione? Sappiamo che dipende dal momento della partenza dalla sorgente S. Ma, questa volta, tutte le varie alternative da tenere in conto avvengono sullo stesso percorso spazio-temporale, dovendo arrivare tutte in R2 al tempo T (qualcuna esegue lo scattering prima, altre dopo, ma alla fine il percorso è uguale, ossia attraversa tutta la lamina). La luce deve quindi essere inviata da S nello stesso istante. Quella “diretta” è teoricamente inviata dopo, ma c’interessa poco, dato che la differenza di direzione è compresa nella rotazione di 90° (come già considerato nella riflessione).
In conclusione, abbiamo una freccia molto lunga (praticamente unitaria) a cui si devono sommare sei freccette uguali, ruotate tutte di 90° e quindi situate lungo la stessa direzione, come rappresentato in Fig. 67.
A prima vista sembrerebbe che l’ampiezza finale sia più lunga di quella della via diretta. In realtà non è vero, se si considerano scattering multipli (in pratica, quello che avevamo fatto considerando riflessioni multiple all’interno del vetro). Alla fine si ottiene una freccia finale che è, al massimo, uguale, come lunghezza, a quella della luce diretta. D’altra parte deve essere così se non si vuole concludere che mettere una lamina di vetro davanti alla luce aumenti la probabilità rispetto a un percorso senza alcun ostacolo! Lo scattering multiplo gioca in modo che non si ottenga più luce di quanta se ne invii… e inoltre permette all’ampiezza finale di andare da 0.92 a 1 e, di conseguenza, assecondare la riflessione e ottenere una probabilità finale, data dalla somma “bruta” dei due eventi separati (riflessione e trasmissione), pari al 100%. La Natura lavora in modo bizzarro, ma non sbaglia un colpo… come la QED ci dimostra!
Il fatto che l’ampiezza finale, dopo la trasmissione attraverso il vetro, ruoti rispetto a quella del passaggio senza scattering (percorso diretto, come se vi fosse solo aria), crea l’impressione che il vetro ritardi il passaggio della luce (ossia la luce impieghi più tempo). In realtà, questo effetto è dovuto alla rotazione e all’accorciamento della freccia a causa dello scattering. Questa capacità di “rallentamento” dovuto alla minore o maggiore inclinazione della freccia finale si chiama indice di rifrazione del materiale. Lo stesso effetto si ottiene, ovviamente, aumentando lo spessore del vetro, dato che si sommano più freccette e la direzione finale si piega di più. Questo è il vero fenomeno su cui si basa una lente, che utilizza uno spessore variabile. In parole semplici, dato che la freccia finale ha una certa inclinazione rispetto a quella senza scattering (ossia quella prima dell'entrata nel vetro) si conclude che essa deve essere partita a un tempo diverso rispetto a quello dell'ampiezza senza scattering. Tempo diverso vuol dire più tempo per raggiungere il rivelatore... e il gioco è fatto: la luce sembra viaggiare più lentamente.
Quanto detto vale per materiali trasparenti. Se il materiale è più “opaco”, la direzione delle freccette da sommare a quella principale fa un angolo minore di 90° e quindi l’ampiezza finale si riduce rispetto a quella diretta. Non solo ruota, ma si accorcia di molto. Questo vuol solo dire che un materiale opaco ha una minore probabilità di essere attraversato dalla luce. Vediamo la situazione in Fig. 68.
Uno più uno uguale a quattro
Sembra impossibile che tutti i fenomeni di interazione tra luce e materia possano essere descritti attraverso tre sole lettere di un alfabeto. Se entrassimo a fondo nella matematica che c’è dietro riusciremmo a verificarlo direttamente. Ma questa impresa va oltre le nostre possibilità. Limitiamoci a pochi altri fenomeni e poi abbandoniamo con un po’ di nostalgia la QED.
Torniamo al ben noto fenomeno dell’interferenza, che ormai conosciamo come le nostre tasche. Affrontiamolo nello spazio-tempo. Consideriamo il caso più generale: due sorgenti S1 e S2 e due ricevitori R1 e R2. L’evento da verificare è: un fotone parte da S1 e uno da S2. Entrambi devono raggiungere R1 e R2. Sappiamo che esistono due vie perché l’evento accada. Le traiettorie S1R1 e S2R2, ma anche la S1R2 e la S2R1 (Fig. 69) Le ampiezze associate ad esse sono: P(S1,R1), P(S2,R2), P(S1,R2) e P(S2,R1). Esse vanno moltiplicate a coppie, dato che solo così si ha l’ampiezza finale per ogni alternativa. Abbiamo le frecce P(S1,R1) x P(S2,R2) e P(S1,R2) x P(S2,R1). I due risultati vanno sommati vettorialmente per ottenere l’ampiezza finale. Una vera banalità per noi. Agendo così nasce il fenomeno dell’interferenza, dato che, variando le posizioni relative delle sorgenti e/o dei rivelatori, possiamo avere sia la somma che l’annullamento della luce.
Immaginiamo, ora, che i due rivelatori si sovrappongano. Vale comunque il calcolo di prima che porta, però, a due ampiezze uguali attraverso la moltiplicazione, dato che P(S2,R1) = P(S2,R2) e P(S1,R1) = P(S1,R2). Ossia, P(S1,R1) x P(S2,R1) = P(S2,R1) x P(S1,R1). Ne consegue un’ovvia … ovvietà: in R1= R2 = R, entrambe le vie danno la stessa ampiezza (freccia) da sommare. Lunghezza e direzione sono identiche per costruzione! La somma delle due frecce è uguale a 2 volte l’ampiezza singola e, quindi, dato che la probabilità finale è il quadrato dell’ampiezza finale, essa è pari a quattro volte quella della singola moltiplicazione. La faccenda è rappresentata in Fig. 70.
Abbiamo detto qualcosa di interessante? A prima vista sembrerebbe di no. Ma, pensiamoci, un po’ sopra… Se spostassimo le due sorgenti, cosa succederebbe? Una cosa del tutto identica: si otterrebbe, in R, sempre la somma di due frecce identiche e una probabilità quattro volte quella della singola moltiplicazione. L’interferenza non fluttuerebbe più, ma sarebbe sempre positiva. Per farla diventare zero dovrebbe essere nulla la singola freccia, che, però, non lo è sicuramente.
Se aumentassimo il numero di fotoni che escono dalle sorgenti, l’effetto sarebbe sempre più macroscopico. In altre parole, questo risultato vuol dire che i fotoni tendono verso una stessa “condizione” (il rivelatore è una condizione) o -meglio- “stato”. Non possiamo approfondire di più, ma i risultati pratici sono enormi. La probabilità che un atomo emetta un fotone aumenta di molto se alcuni fotoni sono già presenti. Questo fenomeno è stato studiato da Einstein e prende il nome di emissione stimolata. I laser lavorano proprio basandosi su di lei.
O uno o l’altro
Se facessimo la stessa cosa con gli elettroni dovremmo trovare lo stesso risultato. Invece capita proprio il contrario, dato che bisogna tener conto che essi sono polarizzati (finora non avevamo avuto bisogno di inserire questa caratteristica fondamentale). Si può dire che il loro spin NON può essere zero (ma questa è un’altra storia). In ogni modo, ciò che capita è che le due frecce ottenute dalle due moltiplicazioni, hanno uguale ampiezza e verso opposto (Fig. 71). Ciò vuol dire che l’ampiezza finale è sempre ZERO. In parole povere, gli elettroni, a differenza dei fotoni, non amano andare nello stesso luogo! E questo, in fondo, lo sappiamo bene…
Più tecnicamente, si conclude che due elettroni con lo stesso spin non possono trovarsi ambedue nella stessa posizione. Questo risultato prende il nome di principio di esclusione. Penso che questo nome non suoni tanto astruso … Da questo principio seguono moltissime delle proprietà chimiche dell’atomo. Tutto si basa solo e soltanto sullo scambio di fotoni tra protoni ed elettroni e sulla loro impossibilità di convivere con i fratelli. Se gli elettroni non fossero polarizzati si ammucchierebbero tutti attorno al loro nucleo atomico e non potrebbero essere catturati facilmente da altri atomi. Insomma: le reazioni chimiche sarebbero molto, molto difficili! Un giorno, magari, ne parleremo.
Un inseguimento perfetto
Senza entrare nei particolari tecnici, facciamo un esempio di come la QED abbia aiutato nel calcolare teoricamente un “numero” estremamente importante nel contesto della fisica delle particelle elementari. Il grande Dirac riuscì a calcolare il momento magnetico di un elettrone, ossia la risposta dell’elettrone a un campo magnetico esterno. Il valore venne determinato attraverso i calcoli e risultò essere uguale semplicemente a 1, in certe unità di misura. In seguito si ci accorse, attraverso gli esperimenti, che quel valore non era esatto ed era pari a circa 1.00118. Cercando di miglioralo attraverso considerazioni teoriche la faccenda degenerò, dato che il numero tendeva a infinito, ossia a un’assurdità. Una prima e rozza applicazione della QED ottenne, invece, 1.00116, ben più vicino al valore sperimentale. La strada era quella giusta.
Negli anni ’80 del ventesimo secolo, la QED ottenne un valore di 1.00115965246 (con un errore di 5 unità nell’ultimo decimale) contro un valore sperimentale di 1.00115965221 (con un’incertezza di 4 unità nell’ultima cifra). Un risultato niente male, se pensiamo che stiamo parlando di incertezze equivalenti allo spessore di un capello di una persona di New York, visto da Los Angeles.
Come si è arrivati a questo risultato eccezionale? Facile (si fa per dire): aggiungendo più lettere alla “parola” base dell’interazione elettrone-fotone. Il valore 1 ottenuto da Dirac, si riferisce, infatti, alla traiettoria più semplice, ossia a quella di un elettrone che assorbe un fotone generato dal campo magnetico (Fig. 72).
Complicando leggermente il percorso (ossia introducendo un’altra interazione) si arriva al valore di 0.00116. Qual è questo percorso alternativo? Lo vediamo in Fig. 73. E’ capitata una cosa “assurda”, ma non certo per il mondo di Alice: un fotone virtuale è stato emesso ed è stato riassorbito dallo stesso elettrone. Un gesto di cannibalismo? No, cari amici, le formule della QED lo ammettono e non dobbiamo farci condizionare dal nostro … moralismo.
Intanto, però, gli esperimenti miglioravano il numero, aggiungendo nuovi decimali. Problemi? No di certo per la QED. Bastava aggiungere altri percorsi alternativi come quelli raffigurati in Fig. 74. Nessuna sorpresa, ammettendo perfino, ultimo grafico a destra, che un elettrone e un positrone si creino da un fotone e si distruggano per emettere un nuovo fotone (cerchietto che si chiude su se stesso).
Il valore sperimentale migliorava ancora? E, allora, via con qualche ulteriore “accoppiamento”, come mostrato nella Fig. 75, che rappresenta solo tre di una serie di 70 “combinazioni”: il valore teorico rimane incollato a quello sperimentale. Fantastico. Malgrado la Natura tenti di essere sempre più imprevedibile, la QED non si fa impressionare.
Non crediamo, però, che sia stato facile aumentare gli accoppiamenti e calcolare la quantità da aggiungere, proveniente da un numero sempre crescente di percorsi alternativi. Ogni miglioramento ha necessitato di periodi di tempo molto lunghi, che l’avvento dei supercomputer ha decisamente sveltito, fino a portare alla precisione odierna… (se non sbaglio, dovremmo essere a 1.01159652188 sperimentale contro 1.01159652140 teorico). Sembra un bel piccolo miglioramento, ma più si va nel piccolo e più le combinazioni aumentano e di conseguenza i calcoli relativi… In qualche modo si è spaccato un capello in dieci!
Conclusioni
C’è poco da dire. La QED sembra uniformare tutti i fenomeni della fisica (funziona anche con altre particelle e non solo con i fotoni e gli elettroni). Quello che stupisce è la semplicità dell’alfabeto e la continua ripetizione di azioni sempre uguali tra loro: moltiplicazioni e somme di ampiezze. Eppure tutto (o quasi) torna benissimo. Feynman non è stato l’inventore della QED, ma, a parte il contributo fondamentale che gli è valso il Nobel, solo lui è riuscito a renderla simile a una semplice e fantastica avventura. Non ci resta che applaudirlo!!!
Una bella fatica, ma penso ne sia valsa la pena…
6 commenti
Vedo che hai effettivamente inserito un richiamo alla mia domanda sul (a questo punto apparente) rallentamento della velocità della luce nei mezzi più opachi del vuoto.
Mi rimane però il dubbio sull'uso che dobbiamo fare in MQ di grandezze come la frequenza (e quindi l'energia associata al fotone) e la lunghezza d'onda (e quindi la quantità di moto associata al fotone).
Essendo grandezze fisiche legate dal principio di Heisenberg, devo considerarle (al pari della posizione) come variabili probabilistiche che - per nostra comodità - associamo a grandezze deterministiche che esistono solo nella nostra mente?
La maggiore difficoltà che incontro con la MQ è il complicato (diciamo pure impossibile) collegamento della realtà naturale con il senso logico di cui l'evoluzione ha dotato il mio cervello.
D'altra parte se quest'ultimo si è evoluto per risolvere i problemi di sopravvivenza della specie umana mi pare che faccia parecchi miracoli...
sai... il principio di Heisenberg si applica a tutto ciò che è caratterizzato da una posizione e da una quantità di moto. Non annulliamo, però, tutto ciò che riusciamo a spiegare con la fisica classica. Il fatto che la frequenza e la lunghezza d'onda possano variare il loro rapporto non è così grave, in fondo. D'altra parte solo per la luce questo rapporto è c, mentre per altre onde è solo uguale alla velocità. Se cambia quest'ultima, a parità di frequenza, deve cambiare la lunghezza d'onda. Possiamo sempre interpretare quasi tutto con i normali processi mentali. Che male c'è se cambia la frequenza (o viceversa), a parità di lambda, cambiando la velocità di propagazione? Puoi sempre pensare che attraversando un mezzo la velocità della luce diminuisca e con essa il legame frequenza-lunghezza d'onda... Anzi, più esattamente, nel mezzo la frequenza della luce è costante, mentre varia la lambda: il rapporto tra le due lambda è proprio l'indice di rifrazione. Gira e rigira si arriva sempre allo stesso punto...
Caro Enzo, dopo quest'ultimo articolo ho la necessità di sviscerare meglio alcune questioni.
In particolare vorrei tornare sulla figura 67.
Ora, io ho provato a prendere in considerazione 4 diverse situazioni alterative:
Percorso (S1-R2) diretto ;
Percorso (S1-Xn-R2)con 1 scattering (ne ho indicato solo 1, ma sono 6: scattering in X1; X2, X3, X4, X5, X6);
Percorso (S1-Xna-Xnb-R2)con 2 scattering (ne ho indicato solo 1, ma sono 15: scattering in X1-X2; X1-X3, X1-X4; X1-X5; X1-X6; X2-X3; X2-X4; X2-X5;X2-X6; X3-X4; X3-X5; X3-X6, X4-X5; X4-X6; X5-X6);
Percorso (S1-Xna-Xnb-R2) con 2 scattering con riflessione verso R2 (ne ho indicato solo 1, ma sono 15: scattering in X6-X5; X6-X4; X6-X3; X6-X2; X6-X1; X5-X4; X5-X3; X5-X2; X5-X1; X4-X3; X4-X2; X4-X1; X3-X2; X3-X1; X2-X1);
IL grafico è nello spazio tempo, per cui le posizioni assunte da X1, X2, X3; X4, X5, X6 nella direzione delle ordinate (alto-basso), indicano la loro posizione nel tempo non in altezza.
http://www.astrobin.com/full/38892/F/
Tutti i possibili percorsi, con 1 scattering, partono nel medesimo istante dalla sorgente (il percorso è lo stesso e tutti vengono prima o poi assorbiti e riemessi da un elettrone del vetro, per cui subiscono il medesimo “rallentamento”). Questi possibili percorsi partiranno, però, un attimo prima rispetto al percorso diretto, che non viene rallentato da nulla.
Tutti i possibili percorsi, con 2 scattering, senza riflessione, partono nel medesimo istante dalla sorgente (esattamente come nel caso di 1 solo scattering). Questi possibili percorsi partiranno, però, un attimo prima rispetto al percorso con 1 solo scattering;
Invece, i possibili percorsi con 2 scattering con riflessione, partono in istanti diversi dalla sorgente poiché i percorsi sono più o meno lunghi, in base ai due punti del vetro dove avviene la doppia riflessione (come descritto nell'articolo precedente: figura 63).
Partendo da queste considerazioni ho provato a descrivere cosa accade all'ampiezza delle probabilità.
Ovviamente la direzione delle frecce di probabilità non indica la direzione spaziale del fotone, ma determina come si combinano le diverse frecce di probabilità riferite ai vari percorsi alternativi che realizzano l'evento finale (da S1 a R2 nel medesimo istante).
http://www.astrobin.com/full/38892/G/
Ho però due domande.
La prima riguarda la rotazione delle frecce.
Nel caso di 1 o 2 scattering senza riflessione, ho leggermente ruotato anche le frecce iniziali poiché partono un istante prima rispetto al percorso diretto.
E' corretto oppure la rotazione di 90° (1 scattering) o la doppia rotazione di 90° (2 scattering), compensano già tale scarto temporale, poiché questo dipende solo dallo scattering (che “rallenta”)?
La seconda domanda invece riguarda il segmento che rappresenta l'ampiezza di probabilità, che in caso di scattering, si accorcia di una certa quantità.
Per esempio, l'ampiezza di probabilità del percorso P (S1-Xn-R2) è data da:
P(S1-Xn) x J x J x P (Xn -R2)
considerando trascurabile la perdita di ampiezza dovuta alla distanza S1-R2, e sostituendo a J il valore di 0,1, diventa:
1 x 0,1 x0,1 x 1 = 0,001
Per rappresentare correttamente il segmento dopo uno scattering, non dovrei forse disegnarlo cento volte più corto di quello che rappresenta il percorso diretto?
Certo poi sommandone molti si possono ottenere anche segmenti molto lunghi come quelli del grafico, basta considerare il vetro composto da molti, molti più straterelli.
In caso di riflessione invece, le frecce ruotano fino a raggiungere un'ampiezza massima ( fig.64 e 65), dopodichè l'ampiezza si riduce.
Mi fermo qui, prima di porre altre domande, ho la necessità di chiarire i dubbi citati.
Paolo
caro Paolo,
direi che ci siamo...
1) ogni scattering comporta una rotazione di 90° della freccia e una leggera deviazione inizilale dovuta al tempo di partenza.
2) esattamente... nelle figure, però, è stato ingrandito per rendere visibile la faccenda. Tieni conto che le frecce del doppio scattering si riducono di j4!!! E quindi il loro contributo è veramente piccolissimo. Poi vi sono vari modi... o scattering e prosecuzione diretta un paio di volte o scattering con doppia riflessione. insomma è difficile da disegnare e tener conto di tutte le possibilità. Direi che hai capito abbastanza senza cercare di tener conto di tutti i possibili tragitti...
Caro Enzo, innanzitutto vorrei ringraziarti per avermi fatto conoscere la QED ed il mondo di Alice.
Altre volte avevo provato, spinto dalla curiosità, ad avvicinarmi alla MQ (spesso si trovano descrizioni banali o fuorvianti), ma erroneamente la confondevo con una fredda applicazione della statistica. Non ne coglievo l'illogica logicità.
Grazie a te invece ora la mia idea è cambiata completamente. La QED la trovo calda colorata e divertente, una specie di chiave che apre la porta ad una visione del mondo e delle cose in cui logica e fantasia (con i piedi per terra) si stringono la mano, per descrivere ciò che apparentemente sembra assurdo, ma in realtà risponde ad una logica tutta sua.
Una logica, per esempio, che permette di calcolare con precisione il momento magnetico di un elettrone, considerando per affinare i calcoli nuove configurazioni che realizzano l'evento.
Non è certo una passeggiata tradurre quei diagrammi in funzioni matematiche, basta pensare solo alla difficoltà enunciata prima di rappresentare certe ampiezze... il vettore con doppio scattering (ben 4 J) dovrebbe essere 10.000 volte più piccolo di quello del percorso diretto e se gli scattering sono tre o più si arriva a numeri davvero molto piccoli... eppure anche quei possibili percorsi contribuiscono a determinare l'ampiezza di probabilità finale dell'evento (migliorando la precisione di calcolo).
Paolo
grazie Paolo!
le tue parole valgono tutti gli sforzi che ho fatto, te lo assicuro! Con il "manuale" che sto per fare uscire, penso che troverai molto interessante confrontare la QED con la visione più classica della MQ che ho cercato di riassumere nelle considerazioni finali...
A prestissimo