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Tags: accelerazione espansione Universo Supernove I a
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Approfondimento sul problema delle supernove di tipo Ia (di Alvermag)
Questo articolo è stato inserito nella RACCOLTA dedicata agli studi più recenti sulle supernove Ia, che stanno facendo vacillare la certezza sulla loro luminosità standard, sulla quale poggiano le misurazioni circa l'espansione dell'Universo.
Cari amici, non sappiamo ancora che tipo di conseguenze si potranno avere a seguito del famoso articolo che sembrerebbe dimostrare la presenza di due tipi di Supernove di tipo Ia, comportanti revisioni severe alle ipotesi sull'accelerazione dell'universo. Il nostro caro "alieno" Alvy si è dedicato con grande attenzione alla traduzione dell'articolo integrale e ne ha fatto un "sunto" che ritengo ben eseguito, con le giuste caratteristiche di chiarezza e semplicità. Ho deciso di proporvelo come scritto da lui, senza alcun intervento. Un'occasione ulteriore per rendere questo "circolo" un vero gruppo attivo e non solo passivo. Lo ritengo un caso "eccezionale", come l'articolo originale, e non una strategia normale (si rischierebbe di fare confusione). Ben diversa è la situazione relativa alle magie di Giorgia e alla biologia di Peppe che allargano il campo di interessedel "circolo". Tuttavia, grazie ad Alvy e complimenti sinceri.
Sottoclassi di supernovae dipendenti dal redshift
di Peter A. Milne1, Ryan J. Foley, Peter J. Brown, Gautham Narayan
Le SNIa (un particolare tipo di supernovae) sono molto luminose con una ben compresa dipendenza della luminosità intrinseca al picco ottico (massimo di luce) dalla forma della curva di luce, sulla base di una relazione empirica che correla la larghezza del picco alla luminosità. In questo modo si è ritenuto di poter determinare la magnitudine assoluta (misura della luminosità intrinseca) di queste stelle.
L’utilizzo sistematico della relazione empirica e la conseguente determinazione della magnitudine assoluta ha permesso di utilizzare le SNIa per studiare l’espansione dell’Universo, rivelando che l’Universo sta(rebbe) sperimentando attualmente un periodo di accelerazione dell’espansione stessa; come sappiamo questo fatto ha aperto la strada all’idea dell’energia oscura. A causa di indagini condotte analizzando SNIa poste a distanze non molto diverse da noi, il cospicuo campione di SNIa osservate ha condotto a considerarle tutte appartenenti ad uno stesso gruppo, denominato “normale”; gruppo le cui componenti seguono una normale variazione delle loro proprietà con la larghezza del picco delle curve ottiche; si tratta delle stelle che seguono la relazione empirica sopra richiamata. Il campione in questione esclude però le SNIa con picchi di luce stretti. Queste ultime, comprendenti la metà delle SNIa scoperte, rappresenta il focus di questo articolo.
Elemento chiave dell’utilizzo a fini cosmologici delle SNIa è l’assunzione che i fenomeni associati agli eventi di supernova non varino con l’età dell’Universo o che i cambiamenti seguano la legge empirica larghezza-luminosotà delle SNIa “normali”.
Il metodo può funzionare se, ai più alti valori del redshift, le SNIa tendono ad avere ampiezza della curva ottica ancora correlata, per il tramite della legge empirica di cui sopra, alla luminosità.
Si avrebbe invece un problema se, ai più alti valori del redshift, le SNIa avessero maggiore o minore luminosità per quella data curva di luce. L’esempio di un tale problema fu riportato da Sullivan nel 2010, in cui la luminosità delle SNIa appariva dipendere dalla massa della galassia ospite e dal suo tasso di nascite stellari. Siccome queste caratteristiche variano con il redshift, una tale dipendenza introdurrebbe un errore sistematico nelle analisi cosmologiche dell’ordine di 0,08 magnitudini.
Il modello spettrale rende chiaro che il picco degli elementi ferrosi (elementi chimici pesanti) influisce sulla distribuzione spettrale dell’energia nel campo UV. Modelli teorici delle esplosioni termonucleari nelle SNIa hanno permesso di studiare la produzione e la distribuzione del 56Ni (Nichel 56) nonché la velocità d’espansione delle stelle. Tutte le simulazioni suggeriscono che l’emissione UV dipende fortemente dalle variazioni di metallicità più di quanto lo sia l’emissione ottica e questo dovrebbe condurre a variazioni del colore UV-ottico delle SNIa con differenti contenuti di metalli. Dovendosi attendere che l’esplosione di un SNIa cambi con la metallicità del progenitore (cioè della nube progenitrice NdL), ovvero con il redshift, è vitale stabilire la correlazione tra la metallicità del progenitore e l’emissione UV. Non c’è comunque accordo sulla grandezza di tale correlazione anche considerando la difficoltà di creare modelli che rendano l’intera evoluzione temporale dello spettro della SNIa. Ancora, essendoci molte classi di progenitori, così come molti scenari di possibili esplosioni (esplosioni ritardate, deflagrazioni, esplosioni doppie ecc.) non è chiaro se la metallicità del progenitore sia la causa determinante delle variazioni UV-ottiche. Sarebbe bene corroborare le investigazioni teoriche, mirate a caratterizzare le evoluzioni delle emissioni nel campo UV-ottico, con pratiche osservative.
L’importanza dell’emissione UV è una prova del fatto che pur avendo osservato per decenni gli eventi SNIa, è stato difficile eseguire osservazioni in UV anche instrutture a riposo (cioè non esplosive NdL). Gli sforzi per osservare le SNIa ai più alti redshiftsono recentemente cresciuti grazie all’impiego di molti telescopi molto potenti.
Ellis ed altri sono inoltre riusciti, nel 2008, ad eliminare la luce delle galassie ospiti dallo spettro delle SNIa osservate. E’ stato trovato che la dispersione spettrale in UV, che dà origine ai due gruppi di SNIa di cui si parla nel seguito, è già presente ai valori medi di redshift. L’evoluzione spettrale ai medi valori del redshift è apparsa diversa da quella ai bassi valori. In generale detta dispersione aumenta all’aumentare del redshift. C’è da dire che le contaminazioni galattiche impediscono un efficace confronto degli spettri continui delle SNIa.
Verifiche condotte attraverso vari confronti hanno portato a concludere che la componente UV di spettri SNIa a medio redshift presenta un eccesso di flusso rispetto a quella di spettri a basso redshift, mentre la parte ottica rimane pressoché immutata.
Nel complesso è stata confermata la piccola evoluzione dell’emissione ottica con il redshift, a differenza della maggiore evoluzione in UV: le SNIa appaiono più brillanti in UV all’aumentare del redshift. Ad un dato valore del redshift l’emissione UV presenta inoltre una maggiore dispersione (di frequenza della radiazione emessa) di quella ottica.
Proprio a causa di ciò è sempre stata accordata maggiore fiducia all’emissione ottica delle SNIa, più stabile di quella UV, e quindi considerata più affidabile nelle considerazioni cosmologiche; insieme al generale scetticismo di derivare da emissioni UV informazioni di natura cosmologica.
I due gruppi di SNIa
Le analisi fotometriche degli spettri delle SNIa con bassi valori del redshift, nel campo ultravioletto ed ottico, hanno rivelato l’esistenza di due distinti gruppi di colore, battezzati, rispettivamente, eventi NUV-blue ed eventi NUV-red.
Le SNIa dei due gruppi differiscono principalmente a causa di una “devianza” riscontrata nelle emissioni nell’ultravioletto vicino (NUV). Le NUV-blue appaiono più blu delle NUV-red, da cui il nome.
Attenzione, perché la differenza di “colore” ricade nella parte UV dello spettro: sarebbe più corretto parlare di NUV-blue con emissioni più energetiche delle NUV-red, sempre restando all’interno della parte UV dello spettro.
Tale differenza, se valutata considerando l’indice di colore (u-v), è nell’ordine di 0,4 magnitudini.
La figura 1 mostra l’andamento dell’indice di colore (u-v) rispetto al tempo misurato dal picco di emissione. L’indice di colore (u-v) è la differenza tra le magnitudini apparenti di una stella in due bande di riferimento: nel caso specifico la banda u è centrata sulla radiazione UV a bassa energia (UV vicino), mentre la banda v è centrata sulla radiazione verde dello spettro ottico.
Come si vede dalla figura, che riporta campioni a basso e medio redshift, la differenza di (u-v) per un tempo dato a partire dal picco (ascisse positive), è pressoché costante e dell’ordine di 0,4 magnitudini:
(u-v)NUV-red ≈ (u-v)NUV-blue + 0,4
Analogamente avviene nel riscontro dell’indice di colore (b-v) non riportato in figura: la banda b è centrata sulla radiazione blue dello spettro ottico. In questo caso però la separazione tra i due gruppi è decisamente minore che nel caso (u-v) riportato in figura.
Maggiore è la differenza (b-v) e maggiore è la magnitudine nel blu rispetto a quella nel verde: maggiore sarà quindi la luminosità del campione nella banda v dello spettro rispetto alla banda b; è ciò che accade alle NUV-red rispetto alle NUV-blue.
A causa delle differenze b-v di colore esistenti in questi due gruppi, gli eventi NUV-red presentano una sottostima dell'estinzione se si utilizzano le comuni tecniche d’indagine. L’estinzione è riferita alla materia che compone e circonda la SN, producendo arrossamento ed assorbimento della radiazione emessa.
In un campione di 23 SNIa a basso redshiftosservate tramite il satellite Swift, Le NUV-red paiono predominare numericamente sulle NUV-blue, nel rapporto di 2 a 1.
Mediante analisi spettrali e confronti di vario genere, si è trovato che gli stessi due gruppi esistono anche ai valori di redshift più alti, ma con i NUV-blue come gruppo numericamente predominante.
All’interno di ciascun gruppo non si rileva alcuna devianza di colore al variare del redshift.
Attraverso l’analisi spettrale di SN con analoga larghezza del picco di emissione e della fase (tempo trascorso dal momento in cui si è verificato il picco di emissione), si può esplorare il range di lunghezza d’onda che produce la differenza di colore UV/OT.
Si è notato che la velocità di espulsione di gas da parte di NUV-red eventsè superiore mediamente del 12% rispetto alla velocità di espulsione di NUV-blue events.
Queste differenze di velocità possono spiegare una parte delle differenze di colore UV/OT, ma le differenze di energia osservate mediamente negli spettri richiedono altre spiegazioni.
Di converso alla sottostima dell’estinzione per le NUV-red, si rischia, per analoghi motivi, di sottostimare la luminosità ottica degli eventi NUV-blue delle SNIa, in particolare nei casi di campioni ad alto redshiftcosmologico.Non considerare questi effetti conduce ad un pregiudizio sulla distanza che peggiora con l’aumentare del redshift e può compromettere seriamente la stima dei parametri cosmologici.
Implicazioni cosmologiche delle differenze di colore di NUV-red e NUV-blue nella banda b-v.
Le differenze di colore tra i colori b-v dei gruppi NUV-red e NUV-blue ad entrambi i redshift sono potenzialmente problematiche per un utilizzo cosmologico delle SNeIa come indicatori di distanza.
Gli attuali metodi d’indagine (le valutazioni degli indici b-v), non separano i NUV-red events dai NUV-blue events. Siccome questi metodi sono utilizzati interamente o primariamente sulle vicine SNe a basso redshift, sono probabilmente suscettibili di essere dominati dalle SNeIa NUV-red, decisamente più numerose ai bassi redshift.
In conclusione, un cambiamento del rapporto NUV-red/blue in favore degli eventi NUV-blue, porterebbe a considerare le SNIa ad alto redshift più luminose di quanto oggi si ritenga.
Se le SNIa lontane, cioè ad alto redshift, risultassero davvero intrinsecamente più luminose di quanto oggi ritenuto, se ne dovrebbe concludere che sono più distanti di quanto supposto. Ne deriverebbe che le dimensioni del cosmo nelle fasi iniziali della sua storia sarebbero più grandi e questo renderebbe l’espansione più lenta: in pratica aumenterebbe il rapporto tra le dimensioni del cosmo in giovane età e quella attuale.
Con il riconoscimento dell’esistenza dei due gruppi, diviene cruciale fissare un campione di SNeIa NUV-blue e NUV-red vicine per le quali possa essere determinata la magnitudine assoluta.
Traduzione e sintesi di Alvermag
16 commenti
A volte ho la strana sensazione che tu faccia di proposito il contrario di quanto ti chiedo!
Comunque grazie.
Una considerazione.
E' chiaro che questi studi sono nella fase iniziale e andranno approfonditi in lungo ed in largo.
Mi sembra però che le future conclusioni potrebbero avere una ricaduta anche sull'altra nostra amica, la materia oscura.
Volendo fare un giochino matematico possiamo dire quanto segue.
Il bilancio cosmico energia-materia attualmente preso a riferimento è:
ΩB+ΩDM+Ωλ=1
dove:
ΩB è la densità di materia barionica posta pari a 0,05
ΩDM è la densità di materia oscura posta pari a 0,25
Ωλ è la densità di energia oscura posta pari a 0,70
Le densità sono riferite al valore critico che rende l'Universo piatto.
Ora, se teniamo buona l'idea che l'Universo sia sostanzialmente piatto e quindi conserviamo l'unità al secondo membro, va da sè che la diminuzione del termine Ωλ produrrebbe l'automatico aumento di uno degli altri due o di entrambi.
Allora la domanda che pongo ad Enzo è la seguente:
Non è che si debba rivedere pesantemente tutta la questione se l'obiettivo è liberarsi di tutto ciò che è oscuro (materia ed energia)?
Forse quell'uno al secondo membro è azzardato? Perchè così, a meno di pensare che la materia ordinaria sia sottostimata in modo abnorme, se diminuisco l'energia oscura mi aumenta la DM!
Bravo, Alvy! Ottimo lavoro!
grande alvy...
Eeeeeeehhh ragazzi, non esageriamo!
Guardate che non le ho scoperte io le NUV-red e le NUV-blue!
A parte gli scherzi, ho solo voluto misurarmi con un articolo scientifico prodotto da ricercatori per vedere cosa e quanto lo avrei compreso, dato anche l'indubbio interesse dell'argomento.
Se a qualcuno potrà dare maggiori informazioni vorrà dire che avrò raggiunto lo scopo.
Grazie per l'apprezzamento.
Pregevole lavoro Alvy !!! Leggendo i vari passaggi mi domandavo se nel lavoro fosse stata presa in considerazione l'effetto della gravità sulle rilevazioni effettuate.
calma Alvy... non esageriamo e non semplifichiamo troppo
Ciao Foscoul.
No, direi che nell'articolo originale si affronta la questione del "colore" intrinseco delle SN (veramente) lontane rispetto a quelle (relativamente o decisamente) vicine.
La variazione INTRINSECA di "colore" (ricordiamo che siamo nel campo UV) comporta una maggiore emissione e quindi una maggiore luminosità INTRINSECA in certe bande dello spettro piuttosto che in altre.
Ora, se la stella appare più luminosa in certe bande finora trascurate (è quanto accade alle SN lontane), può venire il sospetto che possano essere proprio quelle bande a fornire le informazioni corrette per le SN lontane.
Maggiore luminosità intrinseca vuol dire, a parità di luminosità apparente, maggiore distanza rispetto a quella finora stimata.
Le conseguenze cosmologiche le ho succintamente riportate nelle ultime righe dell'"articolo".
Resta da vedere quanto l'espansione dell'Universo ne risenta, di quanto cioè si può ridurre l'influsso dell'enigmatica energia oscura. Si riuscirà ad eliminarla del tutto? Mah, sono piuttosto dubbioso .... Staremo a vedere.
E' comunque un primo interessantissimo passo.
Si grazie Alvy per il sunto il mio era solo un dubbio su come un'ipotetica una massa potrebbe falsare i risultati degli studi cioè interferire in qualche modo sulle radiazioni osservate (come per esempio una massa agisce creando l'effetto lente gravitazionale sulla luce) così potrebbe interferire sulle osservazioni almeno questo è il dubbio che leggendo mi è venuto ma forse anche se non specificato spero sia stato preso in considerazione nello studio.
Ad ogni modo ho capito l'argomento e la tua ottima traduzione è ti ringrazio per l'impegno e continua così.
Ecco questo ha fatto sorgere in me dei dubbi cioè nello studio è stato tenuto conto del Redshift gravitazionale?
Il fenomeno del redshift gravitazionale fu inizialmente proposto come verifica della teoria della gravitazione, ma oggi è considerato, piuttosto, una prova del principio di equivalenza.
Consideriamo una lampada posta sulla punta di un razzo in accelerazione, che irradia (in direzione opposta al moto), ad esempio, un fascio di luce verde, che è osservato da un astronauta seduto sul pavimento del razzo. A causa dell’accelerazione del razzo, la velocità dell’astronauta aumenterà nell’intervallo di tempo che intercorre tra l’emissione della luce e la sua osservazione.
L’esistenza di un moto relativo tra ricevitore (l’astronauta) e sorgente (la lampada) al momento dell’emissione comporta uno spostamento verso il blu (blueshift) della luce, ovvero diminuisce la sua lunghezza d’onda e, quindi, aumenta la sua frequenza. L’astronauta vedrà dunque il fascio di luce di un verde un po’ più tendente verso l’azzurro! Secondo il principio d’equivalenza, l’accelerazione dell’astronave è indistinguibile da un campo gravitazionale diretto verso il pavimento. Quindi, se scegliamo per l’astronave un’accelerazione di 9,8 m/s2 la situazione che si presenta agli occhi dell’astronauta coincide con ciò che vedeun osservatore sulla superficie della Terra che riceve la luce emessa da una lampada posta sul soffitto del laboratorio in cui si trova: la luce che “cade” in un campo gravitazionale, cioè si propaga verso la sorgente del campo, diminuisce la sua lunghezza d’onda. Viceversa, la luce che si “arrampica” in un campo gravitazionale, cioè si allontana dalla sorgente del campo, è spostata verso il rosso (redshift), ovvero aumenta la sua lunghezza d’onda e si parla di redshift gravitazionale della luce (la luce si “arrossa”). La verifica sperimentale dell’esistenza di tale redshift è stata eseguita per la prima volta dai fisici americani Pound e Rebka nel 1959.
Nell’esperimento vennero usate due sorgenti radioattive (57Fe), che emettono fotoni di una energia fissata. Queste due sorgenti erano poste una in cima e l’altra alla base di una torre alta 22,5 m situata all’interno del campus dell’università di Harvard. Se non esistesse il blueshift gravitazionale, i fotoni che emette la sorgente in cima alla torre dovrebbero cadere nel campo gravitazionale terrestre ed essere completamente assorbiti dalla sorgente posta alla base (tramite il processo inverso del decadimento).
Ma questo non accadde. Si osservò, invece, che questo processo di assorbimento si verificava soltanto imprimendo alla sorgente in cima alla torre una certa velocità. Veniva così prodotto uno spostamento Doppler che compensava quello gravitazionale. Dalla velocità che occorreva impartire alla sorgente affinché si verificasse l’assorbimento fu poi possibile risalire al valore dello shift (spostamento) gravitazionale. Questo risultò in perfetto accordo con la previsione fornita dalla relatività generale, fornendo una sua ulteriore verifica sperimentale.
E se la famosa materia oscura mancante non fosse proprio quella dei buchi neri cioè se nel cosmo come esistono galassie che ospitano questi mostri non potrebbero esserci presenti parenti di questi in forma errante nello spazio in numero molto maggiore a tutte le previsioni fatte fin ora ciò comporterebbe la possibilità che i buchi eri possano mantenersi a lungo senza dissolversi.
Poi per quanto riguarda la distribuzione ed i parametri cosmologici nello spazio e nel tempo si aprono varie possibilità anche attraverso lo studio dello spettro delle SNIa.
Gran bel lavoro Alvy, scusa ma ho un dubbio. Ma se le dimensioni del cosmo nelle fasi iniziali della sua storia fossero più grandi e l’espansione più lenta, le sue dimensioni finali sarebbero quelle definite attualmente?
Non confondiamo le cose.
Qui si parla di SN ad alto redshift e questo vale sia per le NUV-red che per le NUV-blue. Quello che si osserva è una dispersione della radiazione UV (o meglio della radiazione UV più vicina allo spettro visibile, quindi limitatamente ad un ristretto range di frequenze) rispetto al valore “canonico”. In questo senso alcune SN appaiono “blu” ed altre “rosse” (le virgolette sono d’obbligo).
Nel visibile ad esempio non si osserva nulla del genere o quasi.
Un eventuale effetto di redshift gravitazionale sposterebbe tutte le frequenze (vattelappesca superiore-UV-visibile-infrarosso-vattelappesca inferiore) di uno stesso Δʋ.
In definitiva sembra ragionevole attribuire le differenze a questioni intrinseche alle stelle (contenuto di metalli; velocità di eiezione della materia all’atto dell’esplosione, stadio evolutivo della galassia ospite e quindi età dell’Universo ecc.).
Cara Gioy non vorrei che mi aveste scambiato per la controfigura di Enzo!
Le dimensioni dell'Universo (visibile) dipendono dal modello scelto e da una serie di considerazioni teoriche oltrechè di misurazioni più o meno attendibili.
Detto questo, credo che con l'Universo non abbia molto senso parlare di oggi o di ieri. Se osservo il Sole mi volgo all'oggi (o quasi), se osservo la galassia di Andromeda mi volgo a ieri, se osservo un quasar all'altro ieri e così via.
Ad occhio e croce direi che una conferma delle osservazioni condurrebbe ad una revisione di qualche parametro: magari la "INCOSTANTE" di Hubble potrebbe essere variata un pochino e allora avremmo un Universo distribuito diversamente nel tempo .... chissà.
cara Gio,
vedo che Alvy se la cava molto bene...
più che parlare di dimensioni assolute, che non possiamo conoscere, si intende una dimensione relativa che può essere diversa. Il succo di tutto è che se uso un certo metro e calcolo che la lunghezza è di 5 m e poi mi accorgo che il metro è più piccolo o più grande segue che la distanza è più grande o più piccola di quanto ho misurato... Il problema è proprio quello: i metri usati potrebbero essere di due tipi, uno un po' più lungo dell'altro...
La contrazione delle lunghezze relativistica????
Alvy guarda Enzo come se la gode adesso che gli fai da controfigura
E poi questa sera mi sento ragionevole pure io....