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Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Anche su Plutone “il cielo è sempre più blu”! **
Continuiamo con lo descrivere le novità che arrivano dalle sonde inviate in giro per il Sistema Solare. Tralasciamo Marte, dove ormai sembra che l’acqua stia per sommergere tutti i robottini, e puntiamo su Plutone. In realtà New Horizons sembra l’unica che assomigli, come metodo di divulgazione scientifica, a quelle dei bei tempi d’oro, quando si cercava di capire e di far capire la nostra meravigliosa casa cosmica. Ricordando il grande Rino Gaetano (quante cose aveva capito…) permettetemi di dire che, comunque, anche lassù, su Plutone, il cielo è sempre più blu!
Blocchiamo subito coloro che vorrebbero esasperare la somiglianza tra il colore del cielo terrestre e di quello di Plutone. Non vorrei che qualche media arrivasse a dire che se il colore è lo stesso lo sono anche gli … abitanti! Non si sa mai… dato che da un momento all’altro (pur di mandarci qualcuno) si riuscirà a scoprire qualche insetto marziano (munito ovviamente di scafandro).
Il fatto che la tenue atmosfera di Plutone diffonda la luce come quella terrestre non è dovuto a una composizione simile, ma allo scontro tra luce e particelle sospese nell’aria. Soprattutto alle dimensioni di queste ultime e alla lunghezza d’onda dei “colori” che tentano di attraversarla.
Per fare un discorso rigorosamente corretto, dovremmo rifarci allo scattering della luce e alla Meccanica Quantistica. Ne abbiamo parlato spesso per vari effetti e, in generale, nella QED.
Tuttavia, per dare una vaga idea del perché il cielo appare azzurro si può fare a meno della MQ e fare un discorso molto semplificato e intuitivo, più che sufficiente per capire ciò che ci mostra Plutone. Questi articoli devono essere estremamente divulgativi e comprensibili da tutti e quindi ne approfittiamo per richiamare lo scattering di Rayleigh, ossia l’effetto fisico che causa la luce blu del cielo. Lo facciamo utilizzando un vecchio articolo che avevo scritto molto tempo fa e che cade a fagiolo, soprattutto per la sua visione semplificata.
La luce che ci invia il Sole copre la maggior parte delle lunghezze d’onda. Il nostro occhio, purtroppo, è capace di vederne solo una piccola parte, quella con lunghezze d’onda che vanno dal rosso al violetto. L’insieme dei colori recepibili dal nostro cervello attraverso il nervo ottico si presenta come un mix di tutti loro, mischiati completamente. Questo mix è la luce bianca, quella associata alla nostra stella.
In realtà, se riuscissimo (ma non facciamolo!) a guardare il Sole direttamente, al di fuori dell’atmosfera terrestre, lo vedremmo bianco. Da terra invece (continuiamo, però, a non guardarlo) apparirebbe giallastro, proprio perché gli è stata sottratta parzialmente la luce blu (come vedremo tra poco).
Se non ci fosse atmosfera (come capita sulla Luna, ad esempio) questo disco biancastro si staglierebbe contro uno sfondo nero, illuminato solo dalle altre stelle o pianeti. Il cielo, invece, ci appare colorato e, in particolare, blu, quando non ci sono nuvole e si è in pieno giorno. Come mai? Presto detto. Quel magnifico colore è la luce solare, “elaborata” dalle particelle sospese nell’atmosfera terrestre.
In che modo lavorano questi granelli di polvere (e non solo)? E perché sono innamorati del blu? Le loro dimensioni sono molto piccole, più o meno comparabili alle lunghezza d’onda della luce visibile solare. In particolare, sono più piccole, in media, della lunghezza d’onda della luce rossa, arancione, gialla e verde, ma più grandi di quella blu.
Per semplificare di molto la spiegazione, immaginiamo che i fotoni della luce dei vari colori si propaghino lungo un’onda che abbia una lunghezza variabile: più lunga quella del rosso, più corta quella del blu. Immaginiamoli proprio come barchette in balia di un mare più o meno tempestoso: su e giù, su e giù, sperando di evitare gli ostacoli. Le “barchette” rosse si muovono su onde più lunghe e quindi riescono quasi sempre a superare le particelle, più piccole delle onde. Quelle blu invece sono costrette a scontrarsi continuamente contro di loro. Succede quello che è mostrato nella Fig. 1.
Il color rosso passa indenne tra gli scogli, mentre il blu si infrange continuamente. Ogni volta che la barchetta (fotone) urta l’ostacolo si diffonde tutt’attorno e si propaga in direzione diversa da quella originale. Ne consegue che ovunque si guardi si vedono onde luminose blu che sono state deviate. Quelle rosse passano invece tranquillamente e arrivano fino a terra. Esse restano, però, concentrate nella direzione del Sole, insieme agli altri colori arrivati senza intoppi e fanno apparire la stella di colore giallastro.
Dovrebbe succedere lo stesso per il violetto… (e, in realtà, capita), ma la quantità di luce violetta che arriva alla Terra è nettamente inferiore di quella blu.
Il giorno passa e viene la sera. Il Sole si abbassa sull’orizzonte ed ecco che il cielo nei suoi pressi si illumina anche dei colori prima invisibili come il rosso e l’arancio. In questo caso lo strato atmosferico che la luce deve attraversare è molto più grande, per cui anche le lunghezze d’onda più lunghe si scontrano facilmente contro alcuni scogli e vengono diffuse. Inoltre, dobbiamo pensare che la luce riesce ad attraversare le goccioline d’acqua sospese nella bassa atmosfera.
Analogamente a ciò che succede in un prisma di vetro, lunghezze d’onda diverse si inclinano in modo diverso (pensate all’arcobaleno…). Se il Sole è ormai basso o sotto l’orizzonte, i raggi meno inclinati non riescono più a raggiungerci, mentre riescono ancora a farlo quelli arancioni e rossi (Fig. 2).
Questi ultimi trovano molte particelle e si diffondono nello spazio intorno illuminando il tramonto di magnifiche sfumature. Ovviamente a questo stesso fenomeno si deve l’arrossamento del disco solare: a mano a mano che la stella scende verso l’orizzonte i raggi di lunghezze d’onda più corte (blu, verde) non riescono ad arrivare più all’osservatore.
A questo punto non è difficile capire perché il cielo al di fuori dell’atmosfera sia nero. Non vi sono particelle sospese e la luce si vede solo in corrispondenza del disco, dato che non può essere diffusa.
Cosa succede quando ci sono le nuvole? Beh… aumentano le particelle e praticamente tutte le lunghezze d’onda ne scontrano qualcuna e permettono a tutti i colori di diffondersi, mentre prima lo faceva solo il blu. Ne consegue che il cielo si trova a diventare un mix di tutte le lunghezze d’onda e quindi assume il colore bianco. Non confondiamo questo colore effettivo con la parte nera delle nubi più spesse e minacciose. Quello è dovuto solo a un effetto di ombra.
La trattazione è stata giocoforza molto elementare e grossolana. Bisogna, infatti, tener presente la composizione chimica delle particelle, l’assorbimento e molti altri effetti secondari. Comunque, in un modo o nell’altro… il cielo è sempre più blu!
Dirigiamoci allora su Plutone e guardiamo le immagini colorate che la sonda ci ha mandato: fantastiche, soprattutto quella che segue, una delle prime dell’atmosfera plutoniana a colori.
Chi si sarebbe immaginato un cielo così blu? Parliamoci chiaro, probabilmente nessuno. Una cosa è sapere che Plutone ha una tenue atmosfera e un’altra è sapere esattamente di che dimensioni sono le particelle che la compongono. Da cui la meraviglia dello stesso Alan Stern, responsabile della missione e di cui abbiamo spesso parlato.
Le particelle, in realtà, sono soprattutto rosse e grigie, ma il colore finale, come già detto, non dipende dal loro colore, ma dalla interazione tra loro e la luce del Sole. Il fatto che diffondano il blu dice chiaramente qualcosa di molto preciso sulle loro dimensioni. Le molecole che partecipano a questo scontro, da noi, sono soprattutto quelle di azoto; su Plutone invece assomigliano a quelle della fuliggine e sono chiamate toline. Esse si formano per colpa dell’urto dei raggi ultravioletti con idrocarburi semplici come l’etano e il metano, con l’aggiunta di azoto.
Ricordiamo che il loro nome è stato coniato dal grande Carl Sagan dopo che si erano evidenziate su Titano. Anche se più grandi delle molecule terrestri, le toline sono ancora sufficientemente piccole da comportarsi in modo estremamente simile.
La vita delle toline è abbastanza avventurosa. Esse si formano nell’alta atmosfera dove il metano e l’azoto subiscono l’effetto dei raggi ultravioletti e si trasformano, reagendo tra loro, in molecole ionizzate. Una volta che si ricombinano vanno a formare macromolecole molto complesse (come capita anche su Titano) che crescono di dimensioni. I gas volatili che contengono condensano e coprono la superficie di ghiaccio prima che le grosse molecole (vere e proprie particelle) cadano al suolo di Plutone contribuendo al color rosso che lo caratterizza. Insomma, metano, etano ed azoto colorano di blu il cielo e poi di rosso il corpo celeste: magnifico… un mondo in technicolor.
Tanto per rimanere in tema di acqua (ormai se non si ha un po’ d’acqua non si è nessuno!), l’analisi spettroscopica di certe regioni di Plutone ha evidenziato la presenza di ghiaccio d’acqua. Non si vede dappertutto, dato che sul pianeta nano esso è “mascherato” dalla presenza di molti altri tipi di ghiaccio (fa veramente freddo!). Va quindi capito perché in certe zone compare soltanto il ghiaccio a noi ben noto. No, non ci sono fiumi marziani, ma sicuramente (a mio modesto avviso) queste zone peculiari devono aver subito fenomeni geologici abbastanza recenti.
Ciò che è ancora più strano è che dove l’acqua sembra più abbondante il terreno è di un rosso brillante. Vi deve essere una sicura interazione tra acqua e toline, che rimane, ancora, del tutto incompresa.
C’è ancora molto da sapere su Plutone e Caronte, ma vi sono ancora moltissime immagini e dati da analizzare. Inoltre, scusate la ripetizione, ma sembra che ci sia la volontà di fare conoscere a tutti le meraviglie dell’ex pianeta e il loro significato scientifico. Bravo Alan!
NEWS del 26/11/2020 - Spiegato il meccanismo attraverso il quale la tolina conferisce colori diversi alla superficie di Plutone
2 commenti
E bravo Enzo, veramente interessante e ben spiegato!
dovere...