17/12/15

Un viaggio di sette miliardi e mezzo di anni *

Questo lungo articolo è stato inserito nella pagina d'archivio dedicata alla velocità della luce e in Spaziotempo/Cosmologia

Approfitto di un’osservazione di una fascio di raggi gamma provenienti da un lontanissimo nucleo galattico attivo per descrivere, come una fiaba, un viaggio di sette miliardi e mezzo di anni (circa) e come si sia riusciti a ottenere informazioni fondamentali sulla storia dell’Universo e su ciò che lo permea. Ho cercato di inserire (molto alla buona) concetti relativi alla Meccanica Quantistica, che possono aiutarci a raccontare la fisica moderna anche ai più piccoli. Un progetto che continuo a cercare di mandare avanti, nei limiti delle mie possibilità, sperando sempre nell’aiuto degli insegnanti.

Sappiamo ormai molto bene cosa siano i getti di fotoni ultra energetici che si lanciano dai pressi dei buchi neri galattici verso lo Spazio. Il ruolo fondamentale della loro formazione sembra essere l’interazione tra disco di accrescimento e campo magnetico. Non è molto che abbiamo riportato uno studio in tal senso, dove si raffigurano le linee di campo magnetico come degli… spaghetti.

Estremamente importante è, quindi, studiare sempre con maggiore accuratezza ciò che capita vicino all’orizzonte degli eventi, luogo in gran parte ancora misterioso, come tutte le “porte” che fanno entrare in un mondo diverso, magico e sconosciuto. Le difficoltà maggiori stanno ancora nella risoluzione necessaria a “vedere” il piccolissimo bordo esterno di un buco nero, oltretutto spesso offuscato dalla polvere e dal gas che lo circonda. Tuttavia, altrettanta importanza ha il destino di quel getto che ha lasciato quella terra di confine tra fisiche –ancora- diverse.

Esso è normalmente molto intenso e i suoi fotoni sono talmente energetici che possono essere ricevuti nella lunghezza d’onda dei raggi gamma. Molte altre sorgenti, ben più vicine, possono originare lampi di questo tipo, ma quelli che provengono da galassie lontane portano con loro un’informazione sulla quale non si riflette mai abbastanza.

Non è facile riuscire a leggere questi messaggi inviati da oggetti risalenti all’infanzia dell’Universo e i motivi sono molti. Diventa, quindi, importantissima la recente osservazione eseguita sul Nucleo Galattico Attivo (AGN) denominato PKS 1441+25. Che fosse un luogo turbolento era noto già da tempo, ma l’osservazione di un fascio di raggi gamma è stata simile alla lettura di un diario di bordo entusiasmante. Mi spiego meglio.

In linea di massima gli AGN sono composti da un buco nero centrale, terribilmente affamato, che sta divorando materia e lancia i suoi getti energetici nello spazio. Se uno dei due getti è lanciato nella direzione esatta dell’osservatore siamo di fronte a un blazar. Se, invece esso forma un certo angolo con la linea di vista abbiamo un quasar. La loro differenza sta soprattutto nella possibilità di esserne completamente investiti o solo parzialmente (come abbiamo spiegato QUI).

Il caso in oggetto si riferisce a un quasi-blazar, non solo altamente energetico ma, quello che più conta, facilmente leggibile attraverso il Very Energetic Radiation Imaging Telescope Array System (VERITAS) situato in Arizona. E a questo punto la Scienza sconfina nella poesia e nella meraviglia più sublime… Iniziamo la nostra fiaba, all’interno della quale ho cercato di mantenere evidenti le reali ripercussioni astrofisiche.

Il momento della nascita del flusso di elettroni gamma dal lontanissimo AGN, narratori della loro magnifica avventura (l’immagine è solo una visione “artistica” eseguita dall’essere umano). Fonte:M. Weiss/CfA
Il momento della nascita del flusso di fotoni gamma dal lontanissimo AGN, narratori della loro magnifica avventura (l’immagine è solo una visione “artistica” eseguita dall’essere umano). Fonte:M. Weiss/CfA

Il nostro segnale è composto da cari amici fotoni, impavidi e robusti come pochi e anche un po’ … fortunati. Facciamo parlare uno di loro…

Sono partito circa sette miliardi e mezzo di anni fa e vi ho raggiunto solo oggi ancora pimpante e vitale. I miei compagni ed io abbiamo incrociato le dita (ma noi fotoni abbiamo le dita?!) quando abbiamo dovuto attraversare la materia più o meno rarefatta che circondava il buco nero (tra parentesi sembra che siamo partiti da una zona piuttosto distante dall’orizzonte degli eventi, forse ben cinque  anni luce) e ci siamo trovati davanti uno spazio “quasi” vuoto.

Sul significato di vuoto ritornerò tra poco. Per adesso, posso dirvi che quello spazio ci cresceva davanti… sembrava proprio che tra noi e gli oggetti lontani la distanza aumentasse sempre di più invece di diminuire.  Stavamo toccando con mano l’espansione dell’Universo e poco valeva il fatto che la nostra velocità rimanesse sempre la stessa. Niente da fare lo spazio aumentava sicuramente e costantemente…

Chissà cosa creava quello straordinario fenomeno, forse quelle particelle elusive che nascevano e morivano in un istante e che sembravano proprio inesistenti. Lampi di materia e antimateria, di energia apparsa dal nulla che poi subito spariva. Qualcuno tra di noi cercava anche di capire qualcosa, facendo calcoli (noi fotoni non siamo solo molto veloci, ma anche molto intelligenti!), ma era costretto ad ammettere che se determinava la posizione o il tempo in cui avveniva qualcuna di quelle strane apparizioni era costretto a rimanere praticamente all’oscuro della sua velocità  o dell’energia prodotta.

Sembrava che regnasse sovrano un principio fondamentale della Natura, un principio che rendeva indeterminato almeno sempre uno di una coppia di parametri che caratterizzavano la particella fantasma o chi per lei. Forse anche noi subiamo lo stesso effetto, dato che spesso vedevano molti nostri amici “virtuali” che servivano solo a mandare messaggi da un elettrone a un altro, obbligandoli a non avvicinarsi mai troppo. In fondo, non è una cosa nuova neanche per noi, particelle reali (o così crediamo, almeno). Siamo nati dagli elettroni e proprio con gli elettroni siamo abituati a convivere.

A parte quello strano vuoto, praticamente invisibile ma ricchissimo di particelle apparentemente inesistenti, era, però, molto più interessante e pericoloso l’incontro frequentissimo con elettroni e fotoni “concreti” di bassa energia che provenivano da stelle e galassie sparse un po’ dappertutto.

A volte, stanchi e un po’ frustrati com’eravamo (soprattutto a causa di quella distanza che sembrava prendersi gioco di noi), avremmo voluto fermarci a chiacchierare e a condividere le nostre informazioni. Ogni fotone aveva una sua vita da raccontare, una vita fatta di esplosioni o di nascite stellari o anche solo di lavoro costante e continuo all’interno di un astro. Spesso incontravamo anche fotoni nati come noi, magari meno energetici, ma pur sempre carichi di grande volontà di proseguire.

Non parliamo poi di quei simpatici e invadenti elettroni. Spuntavano da tutte le parti ed era un divertimento assoluto interagire con loro attraverso schemi geometrici che in un lontano futuro qualcuno di nome Richard sarebbe riuscito a disegnare con estrema facilità.

Insomma, un viaggio tutt’altro che monotono e tutt’altro che semplice e riposante. Ma la nostra meta era laggiù in fondo. All’inizio non era nemmeno nata, ma la posizione era ben impressa nella nostra “mente”. Stavano portandole un regalo fantastico, un regalo per entrambi. Nel momento in cui avessimo toccato quel “telescopio”, come in una gara di nuoto si tocca la piastra finale, noi saremmo diventati veramente reali (ce lo meritavano dopo tanto tempo) per l’osservatore che ci stava spettando e con noi anche la sorgente da cui eravamo partiti. Già, questa è un’informazione fantastica che solo noi sappiamo trasmettere.

Soffermiamoci un attimo sull’osservatore. Lui conosceva il luogo da cui eravamo partiti, ma non poteva prevedere il nostro arrivo: aspettava con speranza e passione. Poi ecco che i primi di noi giungono a lui e anch’egli si illumina di una luce del tutto speciale. Sì, ma cosa sta vedendo? Un punto luminoso schiacciato contro la tenda del cielo. Tutto il nostro lungo cammino era praticamente azzerato, benché fosse durato sette miliardi e mezzo di anni. Cosa poteva mai conoscere lui di tutte le avventure che avevamo vissuto? E, invece, eravamo proprio noi a raccontarglielo con il nostro diario di bordo.

Se non avessimo incontrato nessuno saremmo giunti alla meta senza poter raccontare niente di eccezionale, oltre che causare un fastidio luminoso agli occhi del telescopio (beh... a parte la conoscenza migliore della nostra sorgente). Tuttavia, l’incontro con altri fotoni, con elettroni e altri microscopici amici, avevano lasciato un segno su di noi. Alcuni si erano addirittura fermati per sempre nei pressi di quella tenue nube vicino a quella stella un po’ troppo presuntuosa; altri si erano distratti e avevano perso la vitalità primitiva; altri ancora avevano subito trasformazioni. Tutto ciò era scritto, sintetizzato nel messaggio che avevamo portato fino al telescopio.

Sì, eravamo stati fortunati e particolarmente forti e volenterosi. Eravamo riusciti a giungere fino alla meta in ottimo stato, ancora in grado di mostrare quanto poco fossimo stati “disturbati” dagli incontri con il vuoto che di certo vuoto non era.

Un’emissione di raggi gamma estremamente ben leggibile che poteva raccontare un viaggio altrimenti non solo impossibile da vedere, ma del tutto impensabile. Quanti altri fasci di fotoni avevamo incontrato che stavano puntando alla nostra stessa meta e quanti ne avevamo visti “sciogliersi” nell’attraversamento di qualche “grumo” di materia più denso. Solo verso la fine eravamo accompagnati da tanti altri colleghi che provenivano da tutte le parti, ma questi potevano raccontare solo “gite fuori porta”, della durata di poche migliaia di anni o poco di più. Noi, invece, venivamo da ben più lontano, da un viaggio durato ben sette miliardi e mezzo di anni.

Giunti alla nostra meta, analizzati, pesati, misurati, rigirati in tutti i modi, pensavamo ad amici ancora più eroici di noi, a quelli che erano partiti molto prima, quando ancora non esistevano buchi neri, stelle e galassie, ma solo materia che si stava organizzando, nata proprio attraverso quegli strani giochi che quelle particelle invisibili e praticamente inesistenti riuscivano a mettere in piedi, aiutati da quel principio che sembrava sempre più come la chiave di tutto il Cosmo.

In quel luogo dove eravamo giunti li chiamavano Radiazione Cosmica di Fondo (RCF). Erano fotoni già arrivati e che continuavano ad arrivare, stanchi e al limite della loro energia. Loro non avevano mai avuto la nostra, quella generata da PKS 1441+25, e si erano scontrati  e annullati durante il percorso in modo spesso molto severo. Quell’essere pensante che li stava osservando non era molto contento e diceva a gran voce: “Accidenti, non riusciamo a capire se certe caratteristiche che vediamo sono proprio loro o sono dovute agli ostacoli che hanno incontrato nel loro viaggio”. No, non deve accusarli di niente, anzi. Non è certo colpa loro se quell’osservatore non sa da dove e da cosa sono partiti, altrimenti sarebbe tutto più facile. Con noi di PKS 1441+25 è molto più semplice, dato che può confrontare ciò che doveva essere partito con ciò che è arrivato.

A tutti gli incontri, sia nostri che degli eroi del RCF, ha anche dato un nome molto affascinante: Extragalactic Background Light (EBL) o Luce Extragalattica di Fondo, una specie di nebbiolina invisibile che permea tutto lo spazio e che racconta ciò che hanno riversato tutt’attorno gli oggetti dell’Universo. Noi fotoni gamma abbiamo permesso di valutare quanto sia spessa, saltuaria e, alla fine, abbiamo raccontato la storia di più della meta dell’età dell’Universo.

La favola è finita. Ciò che vuol dire è spesso estremamente sintetizzato, ma dovrebbe servire solo a dare molti spunti di approfondimento, tutti alla portata di giovani cervelli desiderosi di imparare. Basta averne voglia e restare un po’ bambini nell’ammirare la meravigliosa realtà che ci circonda.

Articolo originale QUI

Per approfondire la conoscenza del fotone e di quante e quali preziose informazioni è portatore, oltre che dei suoi limiti, potete leggere

1 commento

  1. Gianni Bolzonella

    Leggendo qualcosa sul principio di indeterminazione di Heisemberg ,mi sono imbattuto sulle grandezze" coniugate",ma non ho capito se esse sono fisse,vedi velocità e posizione,o energia e quantità di moto ecc. oppure possono essere scambiate a seconda della misurazione che si deve fare.Forse siamo anche noi coniugati,anzi bigami oltre che con la moglie.Quanto più ci concentriamo su qualche cosa meno abbiamo coscienza di tutto il resto. Come vedi siamo anche noi quantizzati. :mrgreen:

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