Categorie: Cosmologia
Tags: Big Bang cielo stellato Evoluzione universo paradosso Olbers velocità della luce
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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L’Universo in espansione di Olbers **
Questo articolo è inserito nella pagina d'archivio "Velocità della luce"
Chi ci ha dato le prove del Big Bang e dell’espansione dell’Universo? Forse, lo stesso Keplero, ma sicuramente Olbers nel 1826. Purtroppo, il suo paradosso non fu analizzato attentamente…
Immaginiamo di entrare in un bosco. Dapprima gli alberi sono piuttosto radi, ma poi la foresta si fa sempre più fitta. A un certo punto, in qualsiasi direzione noi guardassimo, vedremmo qualche albero, vicino o lontano che sia (Fig. 1).
Se non vi è un sentiero segnalato o se non abbiamo una bussola, sarà ben difficile uscire fuori da quel groviglio verde. Tutto appare uguale e ci consideriamo persi. Nelle favole quello è il momento in cui facilmente arriva l’orco o il lupo.
Una cosa simile dovrebbe succedere anche nel cielo. Dovunque guardassimo dovremmo vedere qualche stella. Dato che le stelle sono simili al Sole, il cielo dovrebbe avere una luminosità costante pari a quella del Sole. E invece non è assolutamente vero (vedi Fig.2).
In altre parole, sorgerebbe ovvia una domanda: “Com’è possibile che il cielo notturno sia buio nonostante ci sia un numero infinito di stelle?”. Già nel 1610 Keplero si era posto questa domanda, ma fu nel 1826 che l’astronomo tedesco Olbers l’enunciò in modo chiaro e preciso, come un vero e proprio paradosso.
Forse i meno esperti potrebbero dire: “Ma dove sta il paradosso? In una foresta, gli alberi che spuntano in qualsiasi direzione sono abbastanza vicini e quindi riesco a vederli tutti. Nel cielo, invece, le distanze sono enormi e le stelle diventano sempre meno luminose al crescere della distanza. Vedo ovviamente solo le più vicine e, conseguentemente, il cielo mi appare nero con un numero maggiore o minore di stelle a seconda delle condizioni di trasparenza dell’atmosfera. Certamente, però, non può mai essere luminoso come la superficie del Sole.”
In realtà, anche il telescopio più potente del mondo, lo Space Telescope, pur riuscendo a guardare lo spazio più profondo, vede un cielo nero, come quello della Fig. 3.
Qualcuno insisterebbe ancora: “Sì, è vero, anche l’occhio più acuto costruito dall’uomo non vede il cielo completamente luminoso… ma il problema è più o meno lo stesso…”. Qualche dubbio, però, comincerebbe a nascere. E’ inutile sforzarsi di più sulla verità della domanda di Olbers. Il paradosso da lui sollevato esiste veramente e lui lo dimostrò in modo molto semplice.
Prima di cominciare, però, bisogna enunciare, per onestà, quali erano le convinzioni del mondo scientifico ai tempi dell’astronomo tedesco:
L’universo è infinito
L’universo esiste da tempo infinito
L’universo è omogeneo e isotropo, ovvero le stelle sono distribuite in modo uniforme nello spazio
Sotto queste condizioni il paradosso esiste e come! Infatti, è pur vero che la luminosità diminuisce con l’aumento della distanza, ma è altrettanto vero che più guardiamo lontani più aumenta il numero di stelle visibili. I due effetti si bilanciano perfettamente. Infatti, la luminosità decresce con il quadrato della distanza, mentre il numero di stelle aumenta con il quadrato della distanza.
Non ci credete? Usiamo qualche banale formuletta. L’Universo che vediamo viene diviso in gusci o strati sferici di distanza crescente.
Il flusso f luminoso di una singola stella (quello che si misura) è dato dall’energia luminosa che arriva a terra nell’unità di tempo e nell’unità di superficie. La luminosità L è invece la quantità di energia emessa dalla stella nell’unità di tempo. Per avere il flusso basta dividere la luminosità per la superficie alla distanza R della stella, ossia 4πR2 . Abbiamo:
f = L/4πR2
Sia il flusso che la luminosità si riferiscono all’unità di tempo, mentre il flusso si riferisce all’unità di superficie, per cui è necessario dividere la luminosità L per la superficie totale in modo da avere la quantità per unità di superficie.
Si nota bene che il flusso ricevuto dipende essenzialmente dal quadrato della distanza.
Chiamiamo n il numero di stelle per Unita di volume dello strato sferico. Il volume V del guscio sferico di larghezza s è dato da:
V = 4πR2s
Il numero N di stelle presenti nel volume V è:
N = n V = n s (4πR2)
Il flusso luminoso totale F proveniente dal guscio sferico è dato da:
F = N f = n s L (4πR2)/4πR2 = n s L = costante
Il flusso totale proveniente da qualsiasi guscio è indipendente dalla distanza e rimane sempre lo stesso.
La Fig. 4 riassume i semplici calcoli eseguiti per il singolo guscio.
In parole povere essa ci conferma che la luminosità diminuisce con il quadrato della distanza, mentre il numero di stelle aumenta con il quadrato della distanza. Le due relazioni permettono di eliminare la distanza e quindi se ne deduce che la quantità di luce che riceviamo è INDIPENDENTE da lei.
Da ogni strato di stelle poste a distanze diverse ci giunge sempre la stessa luce. Dato che gli strati sono INFINITI, vuol dire che la luce che giunge è anch’essa INFINITA. Il ragionamento non fa una grinza ed ecco come dovrebbe apparire il cielo notturno secondo una perfetta dimostrazione matematica, geometrica e fisica (Fig. 5).
Insomma, Olbers aveva proprio ragione e il suo paradosso sembrava a prima vista inspiegabile. Qual è allora la ragione di tutto ciò? Facile. Le ipotesi di partenza dovevano essere sbagliate, almeno qualcuna di esse, se non tutte. Anche se sembra un assurdo, la soluzione del paradosso di Olbers ha dato il via alla cosmologia moderna e al modello cosmologico basato sul Big Bang. Infatti, oggi sappiamo rispondere, considerando valide le ipotesi che derivano dall’evoluzione e dalla struttura dell’Universo.
In realtà, ancora oggi si discute sulle varie ragioni del perché il paradosso non esista. Ogni tanto qualcuno inserisce una nuova spiegazione. Tuttavia, bastano a renderlo privo di senso, due tra le più importanti considerazioni della conoscenza attuale dello Spaziotempo:
(1) la velocità della luce è finita,
(2) l’Universo è in espansione.
Esse sono più che sufficienti e non vi è reale bisogno di inserire altri ragionamenti (a volte se ne leggono di strani e di controversi), anche se a volte sono logici e accettabili.
Ad esempio, si legge che potrebbe dipendere dal fatto che le stelle non sono distribuite in modo omogeneo. Questo potrebbe essere anche vero, ma le galassie sono presenti un po’ ovunque. Oppure che le nubi scure assorbono la luce. Questo non è vero perché i principi della termodinamica ci dicono che se un gas assorbe energia deve prima o poi riemetterla. Si sente anche dire che l’Universo è finito e allora il discorso degli strati o gusci infiniti non è valido. Questo è sicuramente vero, ma non ve ne è bisogno. O, ancora, che le stelle hanno una vita limitata e quindi molte si possono estinguere prima che la loro luce arrivi fino a noi. Giustissimo, ma ricade in una delle due considerazioni fondamentali, fatte precedentemente.
Vediamo, allora, perché esse distruggono da sole il paradosso. La velocità della luce per quanto enorme è finita e quindi noi possiamo vedere solo le stelle la cui luce è giunta fino a noi dalla nascita dell’Universo, ossia 13,7 miliardi di anni. Molte altre stelle esistono nell’Universo, ma la loro luce non è ancora arrivata fino a noi e probabilmente mai ci riuscirà.
L’Universo si espande e quindi lo spettro della luce degli oggetti che vediamo subisce uno spostamento verso il rosso (redshift). Oggetti troppo distanti hanno un tale spostamento che diventano invisibili alle lunghezze d’onda che percepiscono i nostri occhi.
Insomma, il paradosso non esiste e le motivazioni rispondono perfettamente al modello cosmologico attuale. In altre parole, le ipotesi accettate ai tempi di Olbers non erano vere. La faccenda è però un po’ più complicata e ancora si discute.
Tuttavia, cerchiamo di essere comunque contenti: grazie ad alcune ricadute del modello del Big Bang riusciamo a dormire in una notte buia. Vi immaginate se fossimo circondati da un cielo notturno ovunque luminoso almeno quanto il Sole?
Mamma mia… spegnete la luce, per favore!!
E se la velocità della luce fosse diversa da quella che è? Cosa potremmo vedere?
1 commento
e già caro enzo che tragedia,