03/09/16

Phobos richiama a sé i figlioli fuggitivi **

Giochi di prestigio dei detriti scagliati nello spazio dagli impatti su Phobos, immessi in orbita marziana e rispediti al mittente producendo linee regolari e ben evidenti. L’Universo si diverte… (del resto lo fa spesso, ne abbiamo parlato anche QUI)

Lo ammetto. Questa news sarebbe forse stata trascurata se uno dei due autori non fosse un “ragazzo” simpaticissimo, conosciuto durante il congresso di Belgirate del 1993, quando era ancora un allegro e sveglio “vagabondo” norvegese in cerca di sistemazione. Oggi è professore emerito all’Università di Santa Cruz. Il suo nome è Erik Asphaug, ma noi, al Congresso, lo chiamavamo “Asparago” e lui si divertiva come un matto. Il nome gli è rimasto anche molti anni dopo, quando ormai era stato catturato nell’orbita della NASA, aveva messo su famiglia ed era diventato ricercatore di primo piano.

Ogni volta che leggo il suo nome tra gli autori di lavori, molto spesso importanti e innovativi, mi commuovo un po’ e penso al caro, spiritoso “Asparago” di Belgirate…

Bando alle melanconie e ai ricordi di gioventù e passiamo alla Scienza.

Phobos è un satellite molto piccolo e anche molto strano. E’ quello più vicino al proprio pianeta e sappiamo anche che prima o poi finirà la sua esistenza contro il pianeta rosso (QUI). I crateri da impatto lo segnano duramente, ma lui sembra aver resistito molto bene, forse aiutato da una strato superficiale piuttosto elastico. Oltre a questi “buchi” di tutte le dimensioni si notano bene delle scanalature che lo incidono per tratti anche notevoli. La causa di queste quasi-fratture sono state a lungo pensate come effetto delle forze mareali di Marte, estremamente vicino. Teoricamente avrebbero potuto portare alla frammentazione del piccolo satellite, ma proprio la sua consistenza “elastica” ha permesso la sopravvivenza.

Tutto risolto? Il nostro  “Asparago” non era d’accordo. Alcune di queste linee non concordavano affatto con le direzioni corrispondenti a quelle legate alle forze di marea. Per alcune doveva esserci un’altra ragione…

In realtà, guardando bene certe linee anomale si notava che esse erano formate da una vera e propria catena di piccoli crateri tutti allineati. Beh… la prima spiegazione poteva essere che da un cratere piuttosto grande venissero espulsi detriti che, ricadendo al suolo, potessero formare una serie abbastanza regolare di piccoli crateri. L’impatto secondario dei frammenti derivanti dall’impatto principale.

Processo abbastanza semplice e comune. Tuttavia, bisogna tener conto che Phobos è molto piccolo e che l’impatto necessario a creare frammenti in grado di causare i crateri secondari doveva essere piuttosto violento. Talmente violento che i detriti avrebbero raggiunto una velocità di espulsione maggiore di quella di fuga dal satellite. In poche parole, i frammenti espulsi avrebbero lasciato per sempre la piccola luna.

Non dimentichiamoci, però, che siamo in prossimità di Marte, piccolo pianeta, ma pur sempre… pianeta, con una massa non trascurabile e un conseguente campo gravitazionale di tutto rispetto. La nostra famosa ragnatela (QUI) avrebbe catturato questi “mosconi” espulsi da Phobos e li avrebbe inseriti in orbita attorno a Marte. Una specie di piccolo corteo, fisicamente unito, anche se per poco… Dopo non moltissime orbite ogni frammento si sarebbe allontanato dai fratelli scegliendo il proprio destino.

Phobos doveva agire in fretta se voleva recuperare la massa persa! Bastava che attraversasse le orbite dei suoi “figlioli” scappati a causa dell’impatto e li accogliesse nuovamente su di lui.  Ricordiamo che l’orbita dei frammenti sarebbe stata molto simile a quella di Phobos, ma con gli abitanti che andavano o leggermente più veloci o più lenti del “papà”. Una situazione ideale per essere colpito da quelli più veloci e per colpire quelli più lenti.

Se eseguito velocemente il gioco di prestigio avrebbe formato proprio una serie di piccoli crateri ben allineati lungo la superficie del satellite. Per capire la situazione che sembra al limite della fantascienza, basta pensare a ciò che capiterebbe se un asteroide a rischio d’impatto venisse deviato lentamente e costantemente dalla sua orbita primordiale. Ciò che si otterrebbe è che il punto d’impatto si sposterebbe lungo la superficie terrestre secondo una linea molto stretta e regolare. In altre parole, per ogni correzione avremmo un ipotetico nuovo asteroide che colpirebbe la Terra leggermente più a destra o a sinistra rispetto a quello precedente.

Se al posto degli asteroidi “virtuali”, dovuti alla piccola, ma decisiva, variazione orbitale, inserissimo dei veri frammenti allineati e vicini, a causa della loro comune origine (un po’ come la famiglie asteroidi - di cui tanto mi sono occupato durante il mio percorso professionale, del quale ho in parte parlato QUI - subito dopo l’evento che le ha formate), otterremmo proprio le lunghe catene di crateri che tanto assomigliano a delle linee continue, come mostra benissimo l’immagine che segue.

Nell’immagine di Phobos, le piccole frecce rosse indicano una catena di piccoli crateri la cui origine sarebbe legata ai frammenti espulsi dal cratere denominato Grilding. Essi avrebbero percorso un po’ di giri attorno a Marte, prima di ricadere sul satellite in cui erano nati. Fonte: ESA/DLR/FU Berlin-Neukum, modificata da Nayak e Asphaug.
Nell’immagine di Phobos, le piccole frecce rosse indicano una catena di piccoli crateri, la cui origine sarebbe legata ai frammenti espulsi dal cratere denominato Grildrig. Essi avrebbero percorso un po’ di giri attorno a Marte, prima di ricadere sul satellite in cui erano nati. Fonte: ESA/DLR/FU Berlin-Neukum, modificata da Nayak e Asphaug.

“Asparago”, ha sicuramente creduto a questa ipotesi (ha descritto proposte simili sulle frammentazioni cometarie che passano vicine ai pianeti ed eseguito molte altre ricerche veramente innovative) e ha messo “sotto” un collega-studente per preparare il programma che simulasse l’intera faccenda. E’ inutile dire che, con i dati osservativi di partenza e con i parametri ben conosciuti di Phobos, la simulazione ha dato ragione all’idea. I figlioli prodighi erano veramente tornati a casa (più o meno come la nube di Smith che rientrerà nella Via Lattea dopo un “giretto” della durata di circa 100 milioni di anni), dopo aver ammirato Marte come rocce indipendenti per qualche giro

Bravo caro e vecchio amico Asparago e bravo anche lo studente Michael Nayak (anche lui di origine norvegese?). Che bei ricordi e che bella ipotesi, che solo un satellite anomalo come Phobos poteva rendere reale.

Articolo originale QUI

P.S.: notate come nella bibliografia dell’articolo i “nostri” autori non si dimenticano di lavori anche molto vecchi su Phobos (tra gli altri di un maestro come Burns). Cosa ormai quasi ripudiata dai giovani rampanti, ma non da veri scienziati e veri signori come, per esempio, Whipple e Oort

 

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