Rampa di lancio
Proprio ieri è stato pubblicato l'annuncio di "un nuovo utilissimo servizio per i nostri lettori" un canale di comunicazione aperto per orientarsi tra i molti argomenti trattati nel blog, a beneficio soprattutto dei nuovi visitatori.
Commentando questa lodevole iniziativa ho fatto riferimento alla grande massa di articoli, quasi 1.800 che rappresenta il patrimonio culturale del nostro circolo. Al che Vincenzo ha risposto: "Eh sì, Maurizio, in questi pochi anni mi sono fatto prendere un po' la mano... Ma l'importante è lasciare qualcosa per il futuro degli altri... e spero di esserci riuscito nel mio piccolo..."
Nelle sue parole ho sentito l'eco di una riflessione che avevo scritto un paio di anni fa, sotto il titolo "rampa di lancio" che desidero condividere con tutti voi.
Eccola...
Dalla mia finestra si vede il mare. A rompere la linea dell'orizzonte, un fiore di agave, imponente e solenne. Il nome agave, scelto da Linneo per questa pianta, in greco significa “nobile”, ma anche “illustre”, nel senso di conosciuto, notevole, che non può passare inosservato.
Per un quarto di secolo, anno dopo anno dal centro della pianta nascono foglie, solo foglie, in girotondi che si avvicendano allargandosi e ingrandendosi, sempre uguali e sempre più maestosi.
Poi, all'improvviso nasce un fiore, uno stelo enorme che si erge nel cuore della pianta e si dirama in palchi sempre più alti, fino all'apice, come nidi di uccelli sospesi nell'aria.
Non è la prima volta che vedo questo dramma: la pianta morirà esplodendo migliaia di semi in una cascata, come di fuoco di artificio, da quella meravigliosa rampa di lancio: un supremo inno alla vita che nel raggio di molti metri rigermoglierà in nuovi individui.
Ma è proprio così che dobbiamo interpretare le cose?
Mi piace pensare che l'identità dell'agave non sia nella sua spoglia morente, ma nella rampa di lancio, su, su, espandendosi nei raggi della sua inflorescenza, annidandosi in ciascun baccello e in ciascun seme, migrando, per così dire, in una nuova forma. No, l'agave non rinasce, ma si trasfigura semplicemente, tornando bambina, per ricominciare da capo. E' forse questa l'immortalità? Esiste una coscienza di questo progetto? E' solo una transizione di ciò che chiamiamo “anima”?
Non omnis moriar, diceva Orazio, e continuava... multaque pars mei vitabit Libitinam; ossia “non morirò del tutto, anzi una gran parte di me eviterà la morte”.
Diceva così perché anche lui, come l'agave, aveva costruito una gloriosa rampa di lancio, la sua opera poetica. Queste le sue parole...”Ho innalzato un monumento più duraturo del bronzo\ e più alto della regale maestà delle piramidi\, che né la pioggia che corrode, né il vento impetuoso\ potrà abbattere né l’interminabile corso degli anni e la fuga delle stagioni..”
In fondo è lo stesso progetto dell'agave e può essere anche il nostro: costruirci, giorno per giorno, una salvifica rampa di lancio per le nostre idee, il nostro esempio, per tracciare il segno che vorremmo lasciare in modo indelebile sull'orizzonte, per non morire del tutto.
9 commenti
grande Maurizio
Sei riuscito a esprimere in modo fantastico la nostra visione gioiosa e umile dell'Universo. Hai proprio ragione: Siamo tutti Universo e per lui tutto è importante, dal buco nero al seme dell'agave, fino al nostro piccolo protone che tornerà a far vivere una stella, un pianeta, una vita...
Nel film "Dr. Creator specialista in miracoli" lo scienziato interpretato da Peter O'Toole afferma "quando la scienza varcherà il crinale della montagna, troverà la religione seduta là da sempre"... personalmente sono convinta del contrario
Bravissimo come sempre.
Non so perchè , forse sbagliando, ma da letterata, mi è venuta in mente anche l'immagine della ginestra del Leopardi che malgrado le avversità riesce a sopravvivere e a lasciare un segno indelebile.
Daniela ha ragione.Bisogna cercare di evitare i pregiudizi che ci accompagnano anche da tempi immemorabili,cercare umilmente ciò che non cambia in un posto dove tutto è intrinsecamente in movimento,cogliere con sguardo agile quello che altre realtà portano con sè,lavorare come fanno i pixel,ognuno ha un posto e una funzione da svolgere dentro la sua piattaforma,ed esiste una sola realtà,quella che si costruisce dentro il proprio cervello,altre ne costruiscono altre,diverse e interconnesse per costruirne altre più grandi e più piccole,di cui non abbiamo manco coscienza.Probabilmente è questa la ragione per cui si vive,siamo parte infinitesimale attiva di ...
"Qual è il senso della vita, o della vita organica in generale? Rispondere a questa domanda implica comunque una religione. Mi chiederete, allora, ha un senso porla? Io rispondo che l'uomo che considera la propria vita e quella delle creature consimili priva di senso non è semplicemente sventurato, ma quasi inidoneo alla vita"
(Tratto da "Il mondo come io lo vedo" di Albert Einstein)
Anche Einstein è figlio dei suoi spaziotempo,ed è stato influenzato anche Lui da quelli,come noi lo siamo dai nostri.Ma se rovesciamo l'affermazione,la domanda dovrebbe essere :c'è qualcuno che è capace di dimostrare che la vita ha senso,a parte la retorica? Se si,mi si dimostri il senso che ha questo universo...e via con le domande fondamentali che l'uomo si pone da sempre.
caro Gianni,
rispondo in ritardo (ma mi era scappata...).
Il senso dell'Universo? Beh... vivendoci dentro è impossibile saperlo, per definizione. Come per la geometria, bisognerebbe poter vedere le cose con una dimensione in più. Ma se ci riuscissimo non saremmo figli dell'Universo. Insomma, non c'è alcuna possibilità di sapere. L'unica cosa fattibile è gioire di quello che abbiamo attorno e cercare di comprenderlo, ma non di saperne la motivazione... Non per niente la Religione si è creata una figura che ha una dimensione in più. Ma crearsela dal di dentro non serve a niente...
La risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l'universo e tutto quanto è un concetto espresso nella serie di romanzi di fantascienza umoristica di Douglas Adams, Guida galattica per gli autostoppisti. In queste storie, per cercare la risposta, viene costruito un supercomputer chiamato Pensiero Profondo che, dopo un'elaborazione durata sette milioni e mezzo di anni, fornisce come risultato il numero "42".
« "Quarantadue!" urlò Loonquawl. "Questo è tutto ciò che sai dire dopo un lavoro di sette milioni e mezzo di anni?"
"Ho controllato molto approfonditamente," disse il computer, "e questa è sicuramente la risposta. Ad essere sinceri, penso che il problema sia che voi non abbiate mai saputo veramente qual è la domanda." »
C'è anche una versione diversa e più famosa...
Dopo milioni di anni si costruisce il supercomputer e gli si chiede: "Esiste Dio?". Risposta: "ADESSO SI'"