Categorie: Curiosità Racconti di Vin-Census
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Scritto da: PapalScherzone
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LA VERA STORIA DI VIN-CENSUS (6): IL VERMENTINO DEI COLLI DI LUNI: POLVERE, MARE E GENIO
Quando genio, ironia intelligente e fantasia vanno a braccetto, cari amici lettori, il risultato non può che essere sorprendente... più o meno quanto può esserlo la citazione di una storia completamente inventata su una rubrica on-line di uno dei maggiori gruppi editoriali del nostro Paese. Vi sembra impossibile? Leggete e vi ricrederete!
Un legame indissolubile tra genio artistico e natura prodigiosa ha creato la straordinaria peculiarità del suolo in cui crescono i vigneti che danno origine al meraviglioso Vermentino, prodotto all’estremità orientale della Liguria, quando essa si abbraccia ormai alla Toscana.
L’area di diffusione italiana del vermentino è piuttosto ampia, coprendo tutta la Liguria, la Sardegna e parte della Toscana nord-occidentale. Tuttavia è indubbio che la denominazione Colli di Luni riesca ad esprimere caratteristiche del tutto peculiari, in cui sensazioni saline ed aromatiche, oltremodo complesse, si intrecciano a grande sapidità e mineralità. Frequentemente si archiviano queste prerogative con le solite frasi fatte: vicinanza del mare, alte montagne a pochi chilometri in linea d’aria, suolo estroverso, sbalzi termici, ecc. Le stesse condizioni si ritrovano però facilmente in altre zone produttive senza che il risultato sia altrettanto affascinante ed intrigante. Il motivo infatti si deve a ben altro…
Nella mia continua ricerca delle profonde e variegate ragioni che stanno alle spalle e che formano la colonna portante dell’eccezionalità di un vino, mi sono perciò buttato anima e corpo in questa difficoltosa impresa. Dopo mesi e mesi di duro lavoro, sono oggi oltremodo lieto di avere individuato finalmente la vera motivazione di tale peculiarità, estremamente articolata e del tutto inaspettata. Essa coinvolge la storia dell’arte, la geologia, la pedologia (disciplina relativa allo studio dei terreni dal punto di vista geologico e agrario), in un mix straordinario. Lo studio, che ha visto frequenti viaggi in svariate biblioteche di Roma, Firenze e Carrara, nonché accurate analisi di documenti ancora presenti nel comune di Caprese, città natale del sommo artista rinascimentale Michelangelo Buonarroti, è stato portato avanti con l’insostituibile aiuto di tre prestigiose aziende del territorio: Ottaviano Lambruschi, Giacomelli e La Pietra del Focolare, che dallo straordinario vitigno hanno saputo estrarre vini magistrali ed entusiasmanti. A loro vanno i miei più sinceri ringraziamenti sia per lo squisito nettare che creano sia per il continuo sostegno. A questo punto non mi resta che riassumere il complesso lavoro nell’articolo che segue.
Un vitigno veramente “geniale”
Un ruolo determinante, nell’esplosione della singolarità organolettica del vermentino dei Colli di Luni, lo ha giocato senza alcun dubbio il genio ribelle di Michelangelo Buonarroti. E’ ben noto che il grande architetto, pittore e scultore toscano, vera luce trainante del genio italico rinascimentale, alternasse momenti di estasi creativa, ancora ineguagliata, a periodi di furore e rabbia che sconfinavano quasi nella follia. Per spiegare queste fasi così turbolente, gli storici del tempo, come il Vasari, accennavano addirittura al fatto che Michelangelo avesse qualche rotella fuori posto. La mia ricerca va perfino oltre e fa pensare che più che rotelle si trattasse di vere e proprie “ruote”, tale era l’assurdità di certe sue fissazioni e convinzioni. Scappando da Giulio II, il grande Papa che gli aveva commissionato opere di architettura, scultura e pittura talmente elevate da assurgere in breve a fama immortale, il burbero e scontroso genio si recava spesso tra i blocchi di marmo delle Alpi Apuane. Ufficialmente le sue fughe avevano come scopo la ricerca dei massi più adatti alle sue creazioni. Ma questa facciata nascondeva una specie di incubo e di ossessione che Buonarroti riusciva a placare solo con la solitudine, immerso nel candore della lucida pietra. E’ risaputo, infatti, che Michelangelo avesse la convinzione che l’anima della scultura fosse già racchiusa all’interno del blocco di marmo e che poche martellate l’avrebbero fatta uscire dalla sua prigione di pietra. Da qui la frenesia nel cercare di liberarla. Non si curava certo delle dimensioni del masso che l’attirava e lo stimolava. A volte si metteva a scalpellare furiosamente immani sassi di decine di metri di grandezza, convinto di aver sentito lo spirito dell’opera sussurrare parole comprensibili solo a lui.
Si dice che questa ossessione fosse esplosa letteralmente quando, ancora giovinetto, si era recato per viaggio di piacere in Austria. Nelle foreste di abeti del villaggio di Unterleibnig viveva tale mastro Johannes Holz, artigiano celebre nella produzione di stuzzicadenti per la corte asburgica. Egli partiva sempre da un enorme albero per giungere alla realizzazione di un solo stecchino, in quanto asseriva che la perfezione del risultato finale si percepiva e si comprendeva solo partendo dalla conifera iniziale. Un grande spreco certamente, ma una perfezione assoluta nel prodotto conclusivo. Il giovane Michelangelo ne fu colpito profondamente e si convinse che, così come nel legno fosse già impresso lo spirito finale dello stuzzicadenti, parimenti in un blocco di pietra, seppur gigantesco, dovesse già essere impressa l’anima della figura imprigionata. Al taglialegna, ed a maggior ragione allo scultore, non restava che liberare lo spirito scalpitante.
Il genio toscano passava mesi e mesi nell’estremità orientale delle alpi Apuane, tra vette sconosciute ai più, ma ricche comunque di pregevoli filoni di marmo. Particolarmente amato dal grande personaggio era il monte alle spalle di Ortonovo, chiamato “Burla” (oggi Borla), proprio per gli sberleffi che i nobili della Lunigiana indirizzavano al Buonarroti. Incurante della derisione, solo, in preda alla furia creativa, Michelangelo passava giorni e notti a scalpellare violentemente decine e decine di immensi blocchi di pietra cercando tra essi quello che avrebbe finalmente parlato al suo intimo più profondo ed avrebbe placato la sua bramosia.
In questi periodi era ricercato molto più di un ignobile brigante da strada! Lo cercava il Papa per ricondurlo ai suoi impegni in Vaticano; lo cercavano i ricchi proprietari delle cave perché il grande genio stava riducendo in polvere immani giacimenti del prezioso minerale; lo cercavano i contadini dei colli che scendevano verso il mare perché il pietrisco della gigantesca opera di sgretolamento di Michelangelo invadeva le loro povere coltivazioni di ortaggi e le eroiche vigne sospese tra i monti ed il mare. Lo cercavano, infine, anche i battellieri che risalivano dalla foce del Magra verso l’interno, in quanto i detriti che piombavano a valle ostruivano il corso d’acqua e causavo problemi gravissimi alla navigazione.
Buonarroti viveva quindi nascosto, sporco e malaticcio, come un vero eremita, in preda alla sua smania ossessiva. Poi, dopo mesi di questa folle ricerca, trovava finalmente il blocco di marmo giusto, rinsaviva improvvisamente e tornava lucido e geniale alle sue irraggiungibili opere artistiche. Tutto ciò sembrerebbe non avere niente a che fare col nostro vermentino. Ed invece …
La continua caduta di detriti sminuzzati ricoprì poco alla volta il suolo delle colline tra Ortonovo e Castelnuovo Magra, giungendo fino a lambire il mare. Parte di essi, come già detto, terminava la sua corsa sprofondando nelle acque limpide del Magra, creando a volte dighe che bloccavano completamente il decorso delle acque. In uno dei periodi più turbolenti della vita del sommo Buonarroti si ricorda che per mesi e mesi fu impossibile navigare il fiume e che l’acqua marina risucchiata verso l’interno non riuscisse più a tornare verso Bocca di Magra, insinuandosi profondamente nel terreno circostante fino ad impregnare non solo la pianura, ma anche le prime alture. Il suolo dei colli che oggi giocano a nascondino tra Liguria e Toscana subì, quindi, una lenta trasformazione geologica, che lentamente produsse forme del tutto peculiari di vegetazione locale. Esse infiltravano le proprie radici in una mistura di terra, polvere di marmo ed acqua salmastra. Un mix eccezionale, impensabile altrove. Proprio i vitigni di vermentino furono tra i primi a subire questa inaspettata modificazione, donando ai vini fantastici sentori salmastri, intrisi di mineralità marmorea. Un capolavoro vegetale nato dai resti di capolavori della mente umana. Ben pochi vini hanno una storia così illustre e così strettamente legata ad una perfetta sintesi tra territorio e creatività artistica. Un vino dalla forza veramente “michelangiolesca” !
Per concludere questo breve riassunto dell’impegnativo lavoro di ricerca, voglio stimolare voi lettori ad andare a vedere di persona questi luoghi unici, frutto del genio umano e dell’armonia della natura. Nel frattempo concedetevi un bicchiere di questo grande vermentino, chiudete gli occhi e vi sembrerà di udire ancora i colpi furiosi dello scalpello di Michelangelo. Personalmente vi posso consigliare, senza paura di commettere errori, quelli eccezionali di Fabio (Lambruschi), Roberto (Giacomelli) e Laura (La Pietra del Focolare). Ricordo solo alcuni dei loro capolavori: Sarticola e Costa Marina di Lambruschi, Boboli e Pianacce di Giacomelli, Vigna Linda e Solarancio de La Pietra del Focolare. Degustateli e vi sentirete un po’ Michelangelo …
(3 Agosto 2009)
Qui termina la storia inventata da Vin-Census e pubblicata QUI. Quella che segue, invece, è la citazione apparsa su "L'Espresso Food & Wine" circa tre mesi dopo... e il bello è che Vin-Census non ne sapeva niente e lo ha scoperto solo ora grazie alle indagini del sottoscritto! Come potete vedere, le parole evidenziate in grassetto sono state copiate e incollate dal testo originale. Complimenti al giornalista, comunque, che non l'ha presentata come verità accertata, ma come pensiero di un "poeta"... evidentemente quel pensiero gli era piaciuto molto!
http://espresso.repubblica.it/food/dettaglio/un-principe-chiamato-vermentino/2113210
Sarà perché il Vermentino si adatta bene ai terreni calcarei e relativamente poveri che ha trovato il suo habitat in quest'area stretta tra il mare e le cave di marmo: c'è chi pensa (molto poeticamente e poco geologicamente) che tutto il marmo sceso a valle, la continua caduta di detriti sminuzzati che ricoprì poco per volta il terreno delle colline tra Ortonovo e Castelnuovo Magra, anche dopo le martellate di Michelangelo Buonarrotti, abbia contribuito a creare questo unico mix di sentori salmastri, intrisi di mineralità marmorea. (27/10/2009)
QUI trovate i libri scritti da Vincenzo, compreso "Vini dell'altro mondo" che descrive l'eNoica avventura di Vin-Census nella galassia di Andromeda. QUI la telenovela a puntate della sua vera storia, QUI i suoi racconti di fantascienza e QUI un'intervista al Prof. Zappalà
4 commenti
Che Michelangelo fosse consapevole delle conseguenze della sua opera sull'ambiente è cosa ormai accertata. La sua passione per il vino si rivela già nelle sue opere giovanili. Poco più che ventenne, realizza una bellissima statua di Bacco, raffigurato come un giovane in stato di evidente ebbrezza che, con incedere barcollante avanza tenendo, nella destra, una coppa colma di nettare e nella sinistra, un grappolo d'uva, dalle inconfondibili caratteristiche della cultivar del "vermentino michelangiolescamente modificato" (VMM), cui l'opera del maestro ha conferito quelle peculiarità descritte, invero con grande accuratezza, in questo straordinario articolo del Professor Zappalà.
E se lo conferma anche l'esimio prof. Mauritius, noto esperto dell'arte michelangiolesca, possiamo stare tranquilli... la citazione sulla Treccani è solo questione di tempo!!
Trovandomi tra esperti, come non posso ricordare che il celebre giallo-verde della volta della Cappella Sistina è stato proprio ottenuto dal Vermentino dei Colli di Luni essiccato e stabilizzato con pietra di marmo sminuzzata?
Voci di corridoio papale dicono che il nostro Michelangelo e Giulio II fossero stati visti, di notte, "leccare" canticchiando gli affreschi della volta....
Oddio, ragazzi... chi lo ferma più?!!!