Categorie: AGN Relatività Stelle di neutroni
Tags: aberrazione della luce accelerazione campo magnetico elettroni fotoni getti relativistici plasma
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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ABERRAZIONE DELLA LUCE. 12: la radiazione di sincrotrone **
Per una trattazione completa di questo argomento si consiglia di leggere il relativo approfondimento, nel quale è stato inserito anche il presente articolo.
Concludiamo l'aberrazione della luce con un effetto molto particolare, di elevatissima energia, che contraddistingue i getti relativistici degli attori più potenti del Cosmo: la radiazione di sincrotrone, un altro bellissimo gioco messo in piedi da elettroni e fotoni, in grandissima forma, aiutati da un campo magnetico.
Per la nostra chiacchierata non occorre molto. Un bel campo magnetico e un elettrone (meglio se tanti) che sia libero di muoversi al di fuori della sua abitazione “normale” (l’atomo). Non ci vuole altro. Beh… le stelle, in particolari momenti della loro vita, hanno tutto l’occorrente per eseguire l’esperimento. Potremmo già iniziare. Tuttavia, è meglio conoscere un po’ meglio le caratteristiche dell’elettrone quando si trova da “solo” e quando può muoversi a piacimento e -soprattutto- accelerare. Accelerare, questa è proprio la parola chiave.
Facciamo un piccolo passo indietro. Ciò che riusciamo a vedere nell’Universo dipende da ciò che chiamiamo “luce”. Essa è l’informazione più importante che gli astri ci inviano, anzi praticamente la sola. Esisterebbe anche la gravità ma non è la stessa cosa. Immaginate di ricostruire la struttura dell’Universo basandoci solo sulla gravità che agisce su di noi da parte di tutti gli oggetti del Cosmo. Non capiremmo niente e -oltretutto- potremmo leggere solo gli effetti relativi a uno spazio molto vicino. Per il momento è così, in attesa -magari- che le orecchie enormi e sensibilissime per le onde gravitazionali comincino a lavorare a pieno ritmo.
Tuttavia, parlare di luce è inesatto. Più giustamente dobbiamo parlare di radiazione elettromagnetica. Essa si muove come le onde su un mare. L’acqua sale e scende soltanto (oscillazione), mentre l’onda (che fa oscillare l’acqua) si muove in direzione perpendicolare all’oscillazione. Non è certo un discorso nuovo, dato che ormai abbiamo imparato molto sulla natura ondulatoria dei fotoni e di come siano capaci di trasformarsi in particelle. Ma lasciamoli stare, in questo contesto. La radiazione elettromagnetica è un’oscillazione regolata da un campo magnetico e da uno elettrico.
Quando si origina un’onda elettromagnetica? Qui sta il succo dell’intera faccenda. E’ necessario che una particella carica (protone o elettrone) subisca un’accelerazione, a seguito di una qualche forza che la obblighi a cambiare la sua traiettoria. Sappiamo bene che i protoni sono molto più pesanti degli elettroni e quindi decisamente più “pigri” o -meglio- più difficili a spostarsi. Ben più “reattivi” sono gli elettroni, sempre in perfetta forma, agili e leggeri. Addirittura mille volte più leggeri dei fratelli protoni. Ne segue che sono proprio loro le particelle più disponibili a muoversi, ad accelerare e a produrre onde elettromagnetiche.
Se l’elettrone (che ha una carica negativa) si muovesse a velocità costante, si porterebbe dietro il proprio campo elettrico come noi facciamo con un secchio pieno d’acqua. Camminando in modo regolare e facendo molta attenzione l’acqua rimarrebbe immobile. Tuttavia, se qualcuno ci desse uno scossone o una spinta, noi ci fermeremmo improvvisamente o saremmo lanciati in avanti. Cosa capiterebbe all’acqua del secchiello? Si agiterebbe e creerebbe un’onda. Proprio quello che capita al campo di un elettrone se esso subisce una variazione di velocità, ossia un’accelerazione o una decelerazione.
Questo concetto è molto importante: per potere “vedere” qualcosa è necessario che una particella (soprattutto un elettrone) sia libera di muoversi e subisca uno “scossone”. Ricordate l’epoca buia dell’Universo, quando vi erano solo atomi neutri? Nebbia, solo nebbia e nessuna informazione luminosa.
Vediamo, allora, quali sono alcuni tra gli scossoni più importanti che un elettrone può subire. Torniamo all’epoca buia. Quando è cominciata a crearsi la luce? Quando la temperatura all’interno di quegli enormi ammassi di idrogeno, che sarebbero diventate le stelle, ha iniziato a “rompere” gli atomi. Questo è il primo punto necessario: liberare l’elettrone dal legame con il nucleo atomico, dominato da protoni e neutroni.
Il gas si è trasformato in plasma, ossia in un miscuglio di nuclei atomici e di elettroni, liberi di muoversi a piacere. Come si muovono gli elettroni finalmente liberi? Non certo in modo regolare e costante. Essi eseguono una complicata gincana che riesce a mantenerli liberi grazie alla temperatura che li agita violentemente. In questo continuo cambiamento di direzione è ovvio che essi subiscono violente accelerazioni o decelerazioni. Ecco che il secchiello pieno d’acqua subisce uno scossone e sull’acqua si formano delle onde. Analogamente i campi degli elettroni producono le loro onde, ossia le radiazioni elettromagnetiche.
Notate che ho parlato spesso di “campo”. Niente di speciale: è solo una specie di carta geografica che contraddistingue una forza e come essa agisce all’intorno della sorgente che la causa. La forza di gravità crea un campo gravitazionale, definito da certi parametri. La forza elettromagnetica definisce un campo elettromagnetico.
La radiazione che si genera da questo andamento a dir poco caotico degli elettroni, viene chiamata “termica” e non ci vuole molto a capire perché. Essa è causata solo e soltanto dal movimento che gli elettroni subiscono a causa dell’agitazione che è legata direttamente alla temperatura. Un caso classico di questo tipo di radiazione è quella che si vede nelle nebulose che circondano le stelle. Il gas della nube è riscaldato dalla luce stellare, gli elettroni si staccano dal nucleo e vagano con movimento caotico emettendo onde elettromagnetiche.
Guardiamo ciò che capita in prossimità di una stella, dove essa è circondata da un campo magnetico molto intenso. Immaginiamolo proprio come una rete di linee che escono da un polo ed entrano nell’altro. Una calamita, insomma. Cosa fa un elettrone che si trova invischiato in questa ragnatela? Si inserisce in orbita attorno a una linea magnetica. La sua velocità è costante e quindi non dovrebbe emettere radiazione. E qui casca l’asino!
Apro una piccola parentesi. A volte la fisica classica, anche la più elementare, sembra ormai “fuori moda” di fronte alle meraviglie che ci mostrano le strumentazioni più moderne che cercano di studiare le interazioni tra le particelle elementari. Eppure, senza le basi fondamentali, diventa difficile capire la fisica più avanzata. Un moto circolare a velocità costante non vuol dire un moto non accelerato. L’accelerazione esiste e come! Anzi, la particella è costantemente accelerata. Questa accelerazione non è altro che quella causata dalla forza centripeta. Più intuitivamente, essa è quella che permette alla particella di cambiare direzione ad ogni istante e descrivere l’orbita circolare. La corda che tiene unita una sfera di ferro alla mano di un lanciatore di martello. In parole più tecniche, la velocità è costante come intensità, ma varia continuamente in direzione, dato che deve mantenere il moto circolare.
Torniamo al nostro elettrone che durante la rotazione accelera e invia radiazione. Se la velocità è relativamente bassa la luce si diffonde tutt’attorno e si ha una specie di ciambella attorno all’elettrone, come mostrato schematicamente in Fig.1.
Tuttavia, se la velocità aumenta in modo sensibile, l’emissione non avviene più in tutte le direzioni, ma secondo un cono che punta verso la direzione del moto (Fig. 2). Qualcosa che conosciamo molto bene essendo del tutto simile all’aberrazione della luce. Una sorgente in movimento rapidissimo non può che restringere il fascio emesso.
L’asse del cono coincide con la tangente all’orbita, istante per istante. L’elettrone diventa una specie di “faro”, che emette luce solo davanti a sé e che ruota insieme a lui.
Più la velocità orbitale aumenta e più il cono si stringe. Se ci si avvicina alla velocità della luce il cono diventa strettissimo e sembra proprio un “getto” di luce. Ovviamente, tutto ciò capita quando l’energia del campo magnetico è superiore all’energia termica che farebbe muovere gli elettroni in modo del tutto incontrollato. Questo tipo di radiazione, estremamente collimata (ossia circoscritta entro un cono molto stretto) è proprio la radiazione di sincrotrone (Fig. 3).
Essa si nota benissimo negli acceleratori di particelle che seguono le loro traiettorie proprio per effetto di campi magnetici. Tuttavia, molto più interessanti sono gli strumenti “naturali”. Campi magnetici capaci di dar luogo a radiazioni di sincrotrone si originano nei resti di supernove, nelle pulsar, nei buchi neri galattici, ecc.
Tuttavia, parlando di fenomeni celesti, dobbiamo tener conto che gli elettroni non sono vincolati a seguire un’orbita fissa nello spazio. Sappiamo bene che le linee di forza del campo magnetico escono da un polo e finiscono nell’altro. L’elettrone, perciò, esegue una danza più complicata, muovendosi a elica attorno alla linea di campo. E mentre si “avvita” aumenta anche la velocità, raggiungendo i valori necessari a creare un getto di radiazione di sincrotrone.
Capita ciò che è illustrato nella Fig. 4.
Come si vede chiaramente il getto di radiazione tende a lanciarsi verso le zone polari… Oltretutto, nella zona equatoriale, la trasmissione della luce è anche bloccata dalla materia che si sistema secondo un disco di accrescimento anche piuttosto spesso. Non è difficile, quindi, immaginare questi getti relativistici (radiazioni molto collimate causate da elettroni che girano a velocità prossime a quelle della luce). Accomunare questi fari luminosi con i getti dei buchi neri o delle stelle di neutroni che ingoiano materia dalle compagne non è certo sbagliato! Le radiazioni trascinano con loro anche particelle ed ecco quelle fantastiche fontane che sembrano uscire dai poli magnetici.
Vi è, però, uno scopo particolare che mi ha stimolato a parlare così diffusamente della radiazione di sincrotrone. Anche il nostro Sole, un giorno, potrebbe essere capace di produrla. In un momento molto particolare, di brevissima durata (e quindi difficilmente osservabile), molte sue sorelle devono avere vissuto quella fase così critica, ma mai siamo riusciti a vederla. Sto parlando dell’inizio dell’espulsione della nebulosa planetaria. Un momento mai osservato direttamente. Di solito si vede la supergigante che sta perdendo i primi pezzi oppure la nana bianca con la sua corona bellissima di gas che la circonda. Vi deve essere però un momento critico, il vero e proprio inizio del getto che si trasformerà velocemente in nebulosa planetaria. Un getto paragonabile a quello della radiazione di sincrotrone? Sembra proprio di sì. E avrebbero una spiegazione meno difficile le nebulose a “farfalla” che si scoprono sempre più spesso, come descritto QUI.
Voglio fare presente che la trattazione di questo fenomeno, così importante sia per lo studio degli astri sia per ciò che capita negli acceleratori di particelle, è stata estremamente semplificata. Tuttavia, viene proprio a fagiolo parlando del fenomeno dell’aberrazione relativistica.