I Racconti di Mauritius: RITUALI, CHE PASSIONE !!
Che siano legati ad una visione religiosa o semplicemente superstiziosa, per il nostro cervello i rituali svolgono l'importante funzione di ridurre il livello di ansia associato al dover fronteggiare situazioni ignote e/o impegnative e/o stressanti. La sola riduzione dell'ansia, si sa, è sufficiente a farci ottenere migliori prestazioni nella prova che si sta per affrontare. Ben vengano, quindi, i rituali, purché fatti con la consapevolezza di ciò che sono in realtà! Guai, invece, a pensare che sia merito della maglietta blu o del cero acceso in chiesa se passerò l'esame: la probabilità di farlo sarà solo e soltanto direttamente proporzionale alla mia preparazione. E affrontarlo con minore ansia perché ho indossato quella maglietta o acceso quel cero, sarà un aiuto importante, ma solo se mi presenterò adeguatamente preparato!
Il nostro Mauritius ha voluto scherzare con alcuni dei rituali più famosi... non ce ne voglia chi ricorre ad essi abitualmente e continui pure a farlo senza sensi di colpa.
CON L'AIUTO DEL CERO
Prima di avventurarmi nei ragionamenti che esporrò, lasciatemi fare una piccola premessa. Non è mia intenzione essere irrispettoso verso il sentimento religioso di molti tra i lettori. Le mie riflessioni possono essere condivise o meno e non pretendono di convincere nessuno ma, se “lascerò stare i santi”, non rinucerò a “scherzare con i fanti”.
Non so come vadano oggi le cose, ma a metà degli anni '60, quando frequentavo il Politecnico, molti dei miei compagni, prima di un esame, entravano furtivamente nella piccola chiesa di San Pio X, che si affaccia su piazza Leonardo da Vinci, a fianco dell' università, per accendere una candela.
Ho sempre guardato a questa stranezza con un atteggiamento comprensivo, consapevole di come le cose terrene vengano a mescolarsi con quelle ultraterrene quando, nella visione di un credente, esiste una divinità personale pronta ad ascoltare, giudicare, intervenire nel determinare in ogni istante il destino di un individuo, pur rispettando il suo libero arbitrio.
Volendo essere indulgenti si potrebbe pensare che la candela accesa sia portatrice di un messaggio del tipo: “Signore, la mia speranza è che le cose vadano nella direzione più favorevole, ma sono pronto ad accettare serenamente il destino che hai scelto per me. Sia fatta la tua volontà”.
Ma più realisticamente sembra di intravvedere un arruffianamento del tipo: “Comincio ad accendere questo cero. Se fai in modo che mi chiedano un paio di quelle tre cose che ho capito, vedrai che farò il bravo”.
Mai ho visto questi studenti accendere una candela per chiedere la grazia di capire cosa diavolo fosse esattamente il tensore di Green o il principio di Hamilton. Eppure sarebbe stata una mossa intelligente e avrebbe prodotto un'influenza positiva sul bagaglio di competenze di un ingegnere.
No, più che la competenza interessava il voto o, almeno, il superamento dell'esame.
Forse che nelle altre facoltà le cose andavano diversamente? Non credo. Sono convinto che anche una buona percentuale di studenti di medicina praticasse la strategia del cero preventivo.
Naturalmente nessun ex-voto testimonia la grazia ricevuta. Se andate per chiese in Liguria troverete quadretti naif di vascelli nella tempesta a bizzeffe, ma nessuna immagine di lavagne zeppe di equazioni di Maxwell o cose simili.
Eppure l'esame lo avranno passato questi furbetti! Che poi sono gli stessi che accendono candele in vista di concorsi per l'assegnazione di incarichi pubblici o di concorsi vari. E qui direi che la cosa diventa poco accettabile. Perché, se in un corso di laurea ognuno corre da solo e il superamento di un esame non ha impatti su nessun altro, in un concorso, dove i posti da assegnare sono limitati o limitatissimi, sembrerebbe proprio sleale ricorrere a questi espedienti. Oltretutto si crea imbarazzo per l'entità soprannaturale che, una volta scartati tutti quelli che hanno omesso l'accensione di ceri, si trova comunque a dover gestire una platea di pretendenti cero-muniti ben più ampia della disponibilità di posti da assegnare.
Pare che, consapevoli della nutrita concorrenza, i più astuti accendano non uno, ma due, tre, o anche più ceri per distinguersi dalla folla di accenditori di un'unica fiaccola.
Ora, direte, che t'importa? Tu non accendere niente e lascia che chi vuole accenda quanti ceri gli pare. Tanto se non ci credi, non cambia nulla.
Già, ma se andate da un dentista che ha accesso qualche dozzina di candele per laurearsi, siete sicuri che la sua preparazione sia quella giusta? Che gli aiuti dal cielo ci siano stati o non ci siano stati, nella testa di quell'individuo sopravvive la convinzione di non essere proprio un genio, vista l'abitudine a contare su un supporto esterno.
Questa cosa riguarda tutti. Che farà il nostro odontoiatra prima di trapanarvi un molare? Accenderà un lumino propiziatorio? Oppure, di prima mattina, avvierà un grosso cero destinato a durare tutto il giorno, per mettersi al riparo da errori e situazioni difficili?
Bene, prima di sdraiarvi sulla poltrona e aprire la bocca, date un'occhiatina intorno. Se vedete qualche candela accesa meglio trovare una scusa e abbandonare velocemente lo studio. Se, invece, di candele non se ne vedono, cercate comunque di indagare con tatto e intelligenza per capire con chi avete a che fare. Basterà buttare là una frase del tipo “Se mi passa questo mal di denti vado in pellegrinaggio a Santiago di Compostela” e vedere come reagisce!
LA DANZA DELLA PIOGGIA
L’Arizona, con le sue ventitre riserve, è il vero simbolo del West Americano, non più selvaggio come un tempo ma, certamente, affascinante. Qui i turisti possono entrare in contatto con alcune delle più importanti tribù indiane, come quelle dei Navajo e degli Hopi, conoscere e apprezzare una cultura lontana anni luce dalla nostra e restarne, inevitabilmente, affascinati.
Il depliant proseguiva illustrando tutte le molteplici possibilità di tour organizzati, raccomandando ai più avventurosi che avessero preferito il tour fai-da-te, di rispettare scrupolosamente le regole , i divieti, le abitudini vigenti nelle riserve perché gli indiani, come tutti, non amano chi si comporta male in casa loro.
Ad esempio niente foto (a meno che non siano concesse a pagamento), rigoroso divieto di caccia e pesca, campeggio o lunghe soste sul ciglio della strada, e altre ovvietà come non imbrattare, lasciare in giro spazzatura, sputare per terra, etc.
E' anche possibile soggiornare all'interno delle grandi tende a piramide o cono, e gustare le specialità della gastronomia locale. La visita ai musei è raccomandata e, perché no, anche l'acquisto di souvenir dell'artigianato tradizionale: un tomahawk può sempre venire utile. Ma solo i più fortunati avranno la possibilità di partecipare a quell'evento così speciale che è il Pow Wow, il grande raduno degli indiani, in cui si può veramente entrare in contatto con la radice della cultura dei nativi americani. E solo i più fortunati tra i fortunati avranno modo di vivere una esperienza unica, assistendo a quel mix di natura, cultura, danze, passato e mistero che è la magica danza della pioggia.
Mike e Rose erano ormai giunti alla fine della loro vacanza negli USA, due settimane straodinarie. Ma prima di tornare alle nebbie di Liverpool avevano ancora da spendere una manciata di ore nei luoghi incantati della Monument Valley e nelle assolate riserve indiane della vicina Arizona.
Nel piccolo villaggio consigliato dalla guida, uno degli insediamenti della grande riserva Navajo, c'era un indescrivibile fermento. Nel pomeriggio lo “stregone” si sarebbe esibito nella tradizionale danza della pioggia, a beneficio dei molti turisti arrivati sul luogo, assieme a Mike e Rose, nei grandi pulmann della Greyhound, quelli con la mitica immagine del levriero, che appaiono in tutti i film americani, tranne “Via col vento”.
Lo sciamano era un piccoletto dal viso perennemente sorridente. Non corrispondeva per nulla allo stereotipo di asceta rugoso e serioso tramandato dall'iconografia tradizionale Sembrava piuttosto un ragioniere in vacanza, vestito con sgargianti camicie e un accenno abbastanza evidente di pancetta. Tuttavia era accreditato e certificato come operatore specializzato nella esecuzione del classico rituale, con tanto di attestato rilasciato dalla amministrazione della Riserva.
Quel pomeriggio il cielo era di una limpidezza cristallina. Una leggera brezza da Nord Ovest non riusciva a fare ondeggiare che per brevi istanti l'erba bassa della prateria attorno al villaggio. Le previsioni meteo davano per certa una estesa area di alta pressione destinata a perdurare diversi giorni in tutta la zona.
Mike e Rose, davanti ad un pollo fritto stile McDonald's, spacciato per emblema della tradizione culinaria Navajo, con accompagnamento di Coca Cola e life-everlasting, una specie di tè leggero amatissimo dagli indiani, stavano prefigurandosi lo spettacolo a cui avrebbero assistito nel pomeriggio.
“Sai, Rose, io non credo proprio che pioverà, hai sentito il meteo, no? “
“ Oh, Mike, se è per questo neppure io penso che vedremo una sola goccia, però lo spettacolo della danza è una esperienza da non perdere. Pensa quando lo racconteremo agli Holden... che invidia proveranno !”
“Già, in fondo sono 200 dollari spesi bene, solo per vedere la loro faccia mentre tentano di sorridere.”
“Adesso però è meglio che ci troviamo un posto in prima fila per vedere e, soprattutto per fotografare. Ma prima mi scappa... di farmi un selfie davanti al tepee.”
Rose estrasse il cellulare dal marsupio che le penzolava sul fianco con la stessa veemenza con cui Pecos Bill avrebbe impugnato il suo revolver durante un duello con un pistolero rivale.”
Click, click, click , click...
I selfie si sgranavano uno dopo l'altro in una sequenza interminabile.
“Ora basta, Rose, dobbiamo muoverci.”
Si spostarono verso il luogo preparato per lo spettacolo.
Lo sciamano-ragioniere era già sul posto, agghindato nel costume tradizionale, straripante di penne di tacchino, spacciate per piume di aquila americana. L'impatto visivo, dalla punta della corona piumata alla punta dei mocassini, era eccellente. I colori accesi degli abiti e dei variegati simboli dipinti sul viso contribuivano a creare un alone magico attorno alla figura dello “stregone”.
Gli altri turisti non tardarono ad avvicinarsi e presto si formò un ampio cerchio, rispettoso del perimetro segnalato dal nastro di plastica arancione che gli organizzatori avevano predisposto.
La danza ebbe inizio, dapprima lo sciamano iniziò con un lento moto circolare, alzando le braccia verso il cielo terso. Poi con movenze sinuose, sempre più concitate, prese ad ondeggiare allargando il raggio della sua traiettoria fino a sfiorare i turisti della prima fila, tra cui Rose e Mike.
Fu proprio quando venne a trovarsi davanti a Rose che lo stava fotografando con ben due cellulari contemporaneamente, che si udì un rombo di tuono mentre in cielo una gigantesca, nerissima nube appariva da dietro la collina dove era stata in agguato fino a quel momento, ed avanzava alla velocità della luce verso il punto in cui si stava svolgendo il rituale.
Pochi secondi dopo una pioggia scrosciante si riversò sul villaggio, con una sinfonia di tuoni che si sovrapponevano l'un l'altro, mentre bagliori accecanti di lampi ramificati illuminavano la scena.
La temperatura era scesa all'improvviso di almeno sei o sette gradi.
Rintanati nel saloon i turisti si guardavano sconcertati l'un l'altro: il benevolo scetticismo generale con cui si erano prestati a fare da spettatori, si era trasformato in un senso di sgomento per l'esito del tutto imprevisto della danza.
Fu con un vago sollievo che, terminato il furioso temporale, risalirono tutti sui loro autobus per tornare in città.
Sprofondati negli avvolgenti sedili che la Greyhound aveva progettato, senza economia, a beneficio di quel 40% di obesi che ormai costituisce la media della popolazione americana, Mike e Rose, nonostante il loro genetico autocontrollo tutto britannico, stavano ancora cercando di metabolizzare la curiosa esperienza da poco vissuta.
Anche gli altri passeggeri erano silenziosi e meditabondi, tranne l'autista e il suo collega.
“Questa volta gli è andata proprio bene allo stregone, che te ne pare Bob?”
“Ah, quello sa il fatto suo, non sbaglia un colpo...”
“ Pensare che oggi sembrava proprio un giorno impossibile per la pioggia, e poi il meteo...”
“Che significa... Sai bene come funziona no? Il vecchio, di mattina, manda il figlio maggiore da Diego Paredas e il gioco è fatto!”
“Scusate” interloquì Rose sforzandosi di sollevarsi dall'abbraccio soffocante del sedile per riuscire a parlare, “chi è mai questo Diego Paredas e cosa c'entra con la pioggia?”
“Guardi, signora, stiamo proprio passando davanti al posto in questo momento. E' qui che viene a portare la macchina il figlio dello stregone...”
Rose guardò fuori dall'ampio finestrino mentre l'insegna scorreva velocemente davanti ai suoi occhi:
Nell'ampio cortile, oltre l'insegna, un gruppo di clienti dirigeva i getti d'acqua insaponata sulle proprie auto da lavare, racchiudendole in un soffice, candido, bozzolo schiumoso.
LOST & FOUND
Il grande emiciclo si apriva a ventaglio coprendo un angolo di 270 gradi. I banchi concentrici ed i relativi sedili digradavano progressivamente verso il centro dove era posizionato il tavolo dei coordinatori.
L'aspetto era quello tipico di un'aula parlamentare o universitaria solo che, invece di chiassosi e indisciplinati studenti, o svogliati rappresentati dei partiti, ospitava una compagine di efficienti funzionari di intermediazione trascendentale, questa era almeno la loro qualifica ufficiale.
La Sezione era stata istituita parecchi secoli prima, attorno all'annno 1000, secolo più secolo meno, quando, invece delle crociere si facevano le crociate e i turisti venivano chiamati pellegrini. A quei tempi si trattava di stimolare le iniziative commerciali e lo scambio culturale tra paesi lontani, di promuovere azioni per far conoscere il marchio e aumentare la copertura del mercato.
Ma negli ultimi tempi il ruolo del Servizio si era andato circoscrivendo ad una sola specifica funzione, quella di assistenza al ritrovamento. Non tanto al ritrovamento astratto di una visione religiosa, di una fede perduta, bensì al ritrovamento di oggetti più o meno di valore, accidentalmente smarriti.
A capo della struttura era stato designato Antonio, Sant'Antonio, come preferiva farsi chiamare lui, con una certa punta di orgoglio. Antonio, che in realtà si chiamava Fernando Martins de Bulhoes, era nato a Lisbona nel '95 ( 1.195) ma aveva viaggiato parecchio in Francia e in Italia, dove aveva concluso la propria esistenza terrena nella città di Padova.
Dopo la morte, avendo più tempo disponibile, gli era stato affidato a tempo pieno il ruolo di dirigente del servizio “Lost & Found” di cui era in breve divenuto il simbolo.
Antonio aveva sùbito pensato di introdurre quel minimo di burocrazia indispensabile per garantire la qualità di un Servizio così fondamentale. Quindi aveva istituito un paio di jingle per la formalizzazione delle domande da parte degli utenti. Precisamente questi:
Sant' Antonio dalla barba bianca,
fammi ritrovare quello che mi manca. (Tre volte)
Sant’ Antonio di velluto,
fammi ritrovare quello che ho perduto. (Tre volte)
In molti avevano cercato di farsi dire da Antonio cosa significasse l'attributo “di velluto” contenuto nella seconda formula propiziatrice, senza ricevere altra risposta che un mite sorriso. In realtà la versione originale, in dialetto, recitava:
Sant’ Antoni patanù,
fame trouvé lon che l'ei perdù (Tre volte)
e quel “patanù” pare significasse “pieno di virtù”, ma per far rima con “perduto” occorreva un'altra parola e, perché no “velluto”? In fondo ispirava una rassicurante sensazione di morbidezza e comfort.
Per secoli le cose erano filate lisce sui binari ben oliati della tradizione. La gente perdeva gli oggetti, il Santo, con l'aiuto della sua equipe li ritrovava. A volte bastava apparire in sogno qualche secondo, fornire le necessarie indicazioni e il gioco era fatto. Certamente erano tempi in cui la gente possedeva pochi beni e stava molto attenta a non perderli. Quindi gli interventi erano pochi e occasionali e, negli angusti spazi delle povere case dei fedeli, non era difficile con un po' d'occhio e di esperienza riuscire a fornire quelle due dritte sufficienti per il ritrovamento.
Ma negli ultimi decenni la situazione era precipitata.
La popolazione mondiale si era quadruplicata arrivando a sfiorare gli otto miliardi di individui, i beni di consumo erano esplosi per varietà, tipologie, molteplicita.
Le famiglie avevano quasi tutte un paio di automobili, molti avevano due o tre smartphone, gli occhiali non erano più un oggetto venerato e custodito, specie gli occhiali da sole. Il numero di chiavi procapite era passato da uno a dieci: chiavi di casa, di cassaforti, di scrivanie dell'ufficio, dell'automobile, delle moto, della cassetta della posta, dell'home banking e così via. E poi c'erano innumerevoli accessori: dei computer, delle macchine fotografiche, dei cellulari (specie gli auricolari), i caricabatteria, i navigatori, insomma migliaia di oggetti di facile smarrimento e disseminazione nei più reconditi anfratti dell'ufficio, della casa di città, della casa al mare. Per non parlare della pletora di bancomat, carte di credito, tessere ferroviarie, carte di fedeltà di negozi, empori, distributori di benzina, biblioteche, tutta roba facile da perdere o da dimenticare da qualche parte. E poi c'erano le password! Le password che si dimenticano e che non si dovrebbero scrivere da nessuna parte. E poi, anche se uno le scrive dimentica dove le ha scritte o dimentica a cosa faccia da password quella misteriosa sequenza di lettere minuscole, maiuscole, numeri e caratteri speciali.
Le richieste di assistenza erano lievitate a dismisura. A fronte di una platea sconfinata di supplicanti il numero degli addetti al servizio era rimasto quello dei tempi di Goffredo di Buglione.
E pur vero che l'amministrazione aveva fornito dei computer per velocizzare le ricerche, ma come ritrovare gli oggetti fisici e quelli immateriali, come le password, in tempi ragionevoli?
E anche la semplice comunicazione non costituiva di per sé, data la mole delle transazioni, un gigantesco problema?
Attorno al 2010 si pensò di intervenire con una strategia diversiva. Sotto il nome di Daniel Goleman (il nome Goleman derivava dalla fusione di Golem + Man) venne pubblicato un libro che intendeva dissuadere coloro che invocavano l'intervento delle entità ultraterrene per ritrovare gli oggetti smarriti. Sostanzialmente si diceva che tali pratiche altro non erano che un autoinganno, una illusione; che il loro unico effetto era quello di distrarre la mente razionale, convincendoci che qualcuno avrebbe ritrovato per noi l'oggetto e così, rilassati, la mente emotiva (l'inconscio) avrebbe fatto riemergere il ricordo del luogo dello smarrimento. Qualcuno ci credette, ma la maggioranza non lesse neppure il libro, anche per la scarsa abitudine a leggere, in generale.
Così sfumò la speranza di ridurre il numero di richieste.
Ma un altro aspetto, non meno preoccupante, venne a complicare ulteriormente il quadro generale.
Le associazioni di categoria dei produttori di occhiali, chiavi, cellulari e di tutte le altre cose materiali oggetto delle ricerche, elevarono vibranti proteste, quando non arrivarono a minacciare azioni legali, sostenendo che questi “ritrovamenti” costituivano una turbativa sleale delle dinamiche di mercato. In sostanza, se un bene smarrito non viene ritrovato, il proprietario lo sostituirà acquistando un oggetto analogo, magari a prezzo invariato e con più funzioni di quello perduto, con vantaggio sia per il produttore sia per il consumatore. Ma se interviene una entità “ritrovatrice” il mercato subirà un rallentamento, con evidenti danni per i distributori oltre che per il processo di sviluppo in generale, insomma una riduzione del Prodotto Interno Lordo, un freno al progresso dell'umanità e una perdita certa di posti di lavoro.
Era inevitabilmente arrivato il momento di ripensare alla missione del Servizio.
Antonio, avuto pieno mandato dai vertici della organizzazione, iniziò la ristrutturazione dei processi. Prima di tutto una nuova denominazione: Lost & Replaced, invece di Lost & Found.
Non si trattava più di far “ritrovare” ma di “rimpiazzare” gli oggetti.
Le invocazioni sarebbero state gestite istantaneamente come ordini da diramare via internet ai produttori, ben felici di fornire, a prezzi convenzionati, tutto ciò che veniva richiesto.
Attraverso le grandi catene di trasporto e consegna a domicilio, nel giro di poche ore, gli articoli sarebbero stati recapitati ai destinatari, chetando una volta per tutte le loro pressanti richieste.
La vita nel Call Center sarebbe tornata a conoscere ritmi più sostenibili, cullata dalla cantilena dei jingle, unica tradizione meritevole di sopravvivere alla modernizzazione.
Se miracoli tu brami,
fugge error, calamità,
lebbra, morte, spiriti infami
e qualunque infermità.
Cede il mare e le catene
trova ognun ciò che smarrì
E chi non trova
avrà conforto nelle pene
se il rimpiazzo comprerà qui
I perigli avrai lontani,
la miseria sparirà;
ben lo sanno i Padovani,
chieda ognun e proverà!
Tutti i racconti di Mauritius sono disponibili, insieme a quelli di Vin-Census, nella rubrica ad essi dedicata