Categorie: Satelliti e anelli
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Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Gli anelli del Sistema Solare **
Questo articolo è stato inserito nella sezione d'archivio dedicata al Sistema Solare
In questo articolo abbiamo assemblato quelli relativi agli anelli del Sistema Solare, cominciando da quelli del re dei pianeti (Giove). Non sono certo i più affascinanti, ma diamo a Giove quel che è di Giove. Ci spingeremo fino agli anelli futuribili, come quelli di Marte che sono ormai in via di... costruzione. In modo forse inatteso, abbiamo escluso quelli di Saturno, ma gli articoli ad essi dedicati sono numerosi (per esempio QUESTO).
1. Gli anelli di Giove
Gli anelli di Saturno la fanno sempre da padroni e Giove ne è un po’ invidioso. In qualche modo, è riuscito a crearsi anche lui degli anelli, ma (non diciamoglielo…) non possono certo competere con quelli del fratello più piccolo e lontano.
Gli anelli di Giove sono decisamente molto più elusivi di quelli di Saturno e infatti furono scoperti solo nel 1979 dalla sonda Voyager 1. Il sistema gioviano è composta da tre strutture: l’anello aureola (Halo), l’anello principale (Main) e l’anello Gossamer, che si divide ulteriormente in due parti: quello di Amalthea (più interno) e quello di Thebe (più esterno). La Fig. 1 mostra il sistema nel suo complesso:
Si notano subito alcune caratteristiche che possono far capire la composizione peculiare degli anelli. Innanzitutto quello più interno è stato scoperto soltanto dalla sonda Galileo e crea una specie di nuvola attorno al pianeta. Le particelle che lo compongono sono piccolissime (meno di un centesimo dello spessore di un capello umano!) e non possono durare più a lungo di pochi anni. Devono perciò essere continuamente rimpiazzate da altre che prendono il loro posto.
L’idea più probabile è che esse nascano proprio dall’atmosfera del pianeta gigante e che siano trascinate verso l’esterno dal suo campo magnetico o, alternativamente, che siano particelle del successivo anello intrappolate dalle linee del campo. O magari entrambe le cose. Questa specie di nuvola si estende da circa 90000 a 120000 km dal centro di Giove.
Più chiara è l’origine dell’anello principale. Come si vede bene esso è limitato esternamente dalle orbite quasi identiche dei due piccoli satelliti Metis e Adrastea. Il primo orbita a 127850 km dal centro del pianeta, il secondo a 128980. Molto vicini, ma non così tanto da dar luogo a effetti come quelli di Giano ed Epimeteo nel sistema di Saturno, i due piccoli oggetti (40 e 20 km di dimensioni, rispettivamente) servono sia da “pastori” (nella Fig. 2 si vede bene la parte vuota corrispondente all’orbita di Metis) che da “fornitori” di materia agli anelli. Infatti la polvere minuta che li compone deriva dal continuo bombardamento delle meteoriti a cui sono soggetti. A ogni urto viene sollevata polvere che si estende e decade lentamente verso il pianeta, “confinata” esternamente dai due satelliti. Polvere quindi e non grossi blocchi di ghiaccio come su Saturno.
Ed è anche polvere continuamente rinnovata dagli urti subiti dai due piccoli corpi celesti. L’albedo media di questi granelli minutissimi di roccia è di circa 0.05, quindi molto bassa, da cui la scarsa visibilità della struttura.
Segue poi l’anello Gossamer confinato esternamente dal satellite Thebe che orbita ad una distanza di 222000 km dal centro del pianeta. Il satellite ha dimensioni relativamente più grandi (circa 100 km) e crea la povere che si propaga verso l’interno. A 181300 km da Giove si inserisce Amalthea (190 km in diametro) che aggiunge un nuovo anello. Ma è interessante vedere come questi anelli differiscano nel loro spessore (Fig. 3).
Perché vi è questa differenza? Per capirlo basta pensare che le orbite di Amalthea e di Thebe subiscono una continua oscillazione attorno al piano equatoriale di Giove dovuta a piccole perturbazioni dinamiche.
La Fig. 4 mostra questa situazione.
In parole povere, la danza sopra e sotto al piano equatoriale produce e confina le particelle non su un disco piatto, ma su una specie di ciambella di spessore non trascurabile. Anche per le strutture dovute alle micro meteoriti, le particelle che le compongono sono estremamente piccole: non più di un micron (un millesimo di un millimetro) e vivono non più di un essere umano. Nella immagine che segue (Fig. 5) sono riportate le immagine dei quattro satelliti che contribuiscono “pesantemente” a creare ed a mantenere gli anelli di Giove.
Qualcuno potrebbe giustamente chiedere: “Ma se questi satelliti sono così vicini a Giove perché non vengono completamente distrutti dalle forze mareali , come probabilmente capitò al satellite di Saturno che diede origine agli anelli più importanti?”. In realtà ameno due di loro (i più vicini) sono all’interno del famoso Limite di Roche , dove tali forze superano quelle di stato solido, ossia quelle che tengono unita la materia. La risposta è semplice: sono troppo piccoli per la massa di Giove. Così piccoli che la differenza tra la forza di gravità nella parte più vicina a Giove e quella più lontana è trascurabile. Essere piccoli a volte conviene … D’altra parte lo stesso capita anche per i vari “pastori” del sistema di Saturno.
Vale la pena ricordare che Adrastea e Metis sono così vicini che il loro periodo di rivoluzione attorno a Giove è più corto del periodo di rotazione del pianeta. Metis riesce a fare il giro di Giove in solo 7 ore!! Che spettacolo sarebbe andarci per un weekend…
Il filmato che segue ci mostra spettacolari immagini di Metis e Adastrea, riprese da New Horizons nel 2007 durante il suo viaggio verso Plutone e la Kuiper Belt.
In conclusione: un sistema di anelli fatto di polvere finissima, che decade velocemente e che deve essere continuamente rimpiazzata da altra. Una specie di continua spazzatura che Giove deve “mangiarsi” senza sosta. Una situazione non proprio consona al re dei pianeti!!
NEWS del 23/3/2023 - Gli anelli di Giove osservati attraverso gli occhi infrarossi del James Webb Space Telescope
2. Gli anelli di Urano
Continuiamo la nostra carrellata sugli anelli nel sistema solare ed occupiamoci di quelli di Urano, i primi ad essere stati scoperti dopo quelli di Saturno.
Era il 10 marzo 1977 quando Elliot e colleghi utilizzarono il Kuiper Airborn Observatory (un osservatorio posto su un jet) per seguire l’occultazione della stella SAO 158687 da parte di Urano. Questo tipo di osservazione permetteva di studiare da lontano l’atmosfera del pianeta, analizzando in dettaglio la non istantanea caduta e risalita della luminosità dell’astro per effetto della coltre gassosa. Con grande stupore videro però che la stella spariva ben 5 volte sia prima che dopo l’occultazione vera e propria. Chiaro segno che esisteva “qualcosa” attorno a Urano in grado di spegnere la luce della SAO 158697. Ovviamente dovevano essere degli anelli e vennero identificati con le semplici lettere greche α, β, γ, δ e ε. Un’accurata lettura dei risultati dell’evento individuò però altri 4 anelli, uno tra β e γ (chiamato η) e tre all’interno di α, identificati con i numeri arabi 4, 5 e 6. E’ interessante vedere il diagramma dell’occultazione che venne seguita anche da osservatori terrestri (figura 1)
Il Voyager 2 nel 1986 confermò il sistema degli anelli inviando immagini meravigliose e scovandone due nuovi, 1986U2R e λ.
Nella figura 2 possiamo ammirare due bellissime immagini prese dal Voyager 2. A sinistra si vede molto bene anche la “polvere” che si sparge un po’ dappertutto nel sistema. A destra si identificano perfettamente i primi nove anelli. Il primo situato molto vicino a Urano ed il secondo subito all’interno dell’anello ε.
In realtà ci si accorse poi che 1986U2R era molto più complesso e probabilmente formato da due o tre anelli più o meno sovrapposti. Infine, nel 2003 lo Space Telescope localizzò due ulteriori anelli decisamente più lontani dal pianeta, uno, il più esterno (prima 2003U1 e poi μ) quasi esattamente lungo l’orbita del piccolo satellite Mab, l’altro (prima 2003U2 e poi ν) confinato tra i satelliti Portia e Rosalind.
Gli anelli di Urano sono un “mix” tra quelli di Saturno e quelli di Giove.
I primi ad essere scoperti ed anche i più evidenti, sono composti da blocchi di ghiaccio, sporcati forse dall’azione del campo magnetico del pianeta che scarica su di essi particelle cariche (una specie di space weathering come quello causato dal Sole). Sono tutti molto stretti e formati da macigni dell’ordine dei metri e delle decine di metri al massimo. L’unico a mostrare chiaramente i suoi due pastori è l’anello ε, confinato da Cordelia e Ophelia (fig. 4). Non si sono ancora individuati quelli degli anelli più interni, sempre che esistano... speriamo di si, se no bisognerebbe studiare un nuovo sistema di confinamento (QUI i pastori dell'anello F di Saturno)
Poi vi sono gli ultimi quattro, scoperti in un secondo tempo, che invece sono composti essenzialmente da polvere e potrebbero essere simili a quelli di Giove. In realtà infatti Rosalind non confina soltanto l’anello ν ma soprattutto lo crea con le sue micro meteoriti. Analogamente per Mab. Molto complesso è l’anello più interno, ma sicuramente composto da polvere che spiraleggia verso il grande pianeta azzurro. In mezzo agli anelli sottili più visibili si trovano comunque innumerevoli tenui dischi di polvere.
La scoperta fatta dallo Space Telescope dei due anelli più esterni. La parte centrale con Urano è una immagine inserita per maggiore chiarezza, mentre quella originale oscurava il pianeta per eliminare il suo alone luminoso.
L’origine degli anelli formati da blocchi di ghiaccio è invece da collegare alla distruzione collisionale di antichi satelliti. E’ anche interessante vedere come è variata l’inclinazione apparente degli anelli visti dalla Terra (fig. 6).
Ed ecco infine una tabella riassuntiva
AGGIORNAMENTO DEL 22/12/2023
Dopo Giove e Nettuno il telescopio James Webb non poteva certo ignorare Urano. Ancora una volta il pianeta, ripreso nel vicino infrarosso e tradotto in falsi colori offre una differente visione rispetto alle tradizionali immagini riprese nello spettro del visibile, rivelando una inedita ricchezza di dettagli, tra cui il sistema di anelli e la calotta polare nord.
Di particolare fascino è lo sfuggente anello Z, il più debole e vicino alla superficie di Urano, diffuso e difficile da osservare con la strumentazione basata a terra e ben evidenziato da Webb come un tenue velo sfumato verso il pianeta (fig. 2).
La particolare inclinazione dell’asse di rotazione di Urano rispetto al piano dell’eclittica (Urano percorre la sua orbita praticamente “coricato”, quasi come se rotolasse lungo di essa) ha reso possibile la vista polare del pianeta e degli anelli.
3. Gli anelli di Nettuno
Dopo la scoperta degli anelli di Urano attraverso un’occultazione stellare, negli anni '80 si cercò di ottenere lo stesso risultato anche per Nettuno, ma senza risultati altrettanto decisivi. Una delle più significative evidenze di “qualcosa” attorno a Nettuno si ebbe nel 1983, ma strutture parziali vennero identificate anche negli anni successivi. L’idea generale fu che esistessero soltanto degli archi di polvere e non veri e propri anelli. Ancora una volta fu il Voyager 2 nel 1989 a risolvere la questione in modo molto democratico: esisteva un sistema di sottili anelli, ma anche gli archi ipotizzati da Terra. A tutt’oggi se ne conoscono cinque e il più esterno tra questi, chiamato Adams, è caratterizzato da zone più dense e stabili. Questi archi hanno preso il nome di Fraternité, Liberté ed Egalité, per volontà degli scopritori francesi durante le occultazioni del 1984 e 1985. In seguito furono aggiunti Egalité 2 e Courage. La sopravvivenza di queste strane strutture rimane ancora un mistero, anche se si pensa che siano mantenute da una strana e complicata risonanza rotazionale con il satellite Galatea.
Gli anelli di Nettuno assomigliano a quelli i Giove per composizione, in quanto formati essenzialmente dalla polvere creata dagli urti delle meteoriti che cadono sui satelliti, ma almeno tre di loro sono piuttosto sottili. Dall’interno all’esterno i loro nomi sono: Galle, Le Verrier, Lassell, Arago e il già menzionato Adams.
Gli anelli sono formati e confinati in modo più o meno complicato da quattro satelliti che si trovano vicini tra di loro (Naiad, Thalassa, Despina e Galatea) e da uno esterno (Larissa). Vedi Fig. 3.
NEWS del 27/9/2022: Ecco come appaiono gli evanescenti anelli di Nettuno agli occhi infrarossi del James Webb Space Telescope
4. Gli anelli di Rhea
A questo punto potremmo avere finito, avendo escluso volontariamente Saturno. Ed invece dobbiamo tornare proprio nelle vicinanze di quest’ultimo per trovare un altro sistema di anelli. Più esattamente ci accosteremo al satellite Rhea, il più grande dopo Titano con i suoi 1500 km di diametro. La sonda Cassini (sempre lei) stava effettuando un esperimento con lo strumento MIMI (Magnetosphere Imaging Instrument) il 26 dicembre 2006 per misurare l’interazione di una possibile tenue atmosfera del satellite con la magnetosfera di Saturno. Ed invece di gas ha rivelato un disco di pezzi di roccia e ghiaccio (grandi fino a parecchi centimetri) giacente sul piano equatoriale del satellite. Non solo, ma all’interno di questo disco si sono notate tre chiare strutture ad anello.
La loro origine potrebbe essere collegata ad un impatto su Rhea che avrebbe espulso frammenti o alla distruzione di piccolo oggetto già in orbita attorno al satellite. Non tutti sono ancora pienamente convinti di questa scoperta, ma le osservazioni sembrano non lasciare dubbi. Lo stesso non potrebbe capitare a Dione e Tethys, troppo vicini a Saturno, e nemmeno a Titano per colpa dell’attrito causato dalla sua atmosfera.
Un piccolo ripasso
Facciamo adesso un po’ di ripasso generale, attraverso uno schema dei quattro sistemi di anelli visti dall’alto (o dal basso…) e lateralmente
Come si vede molto bene in fig. 5, quasi tutti gli anelli sono compresi entro il limite di Roche del pianeta, ossia quella distanza dove la forza mareale supera la forza di coesione della materia, fermo restando che si sgretola solo tutto ciò che non sia “troppo” piccolo.
Per finire con i pianeti maggiori, un accenno all’ultimo sistema di anelli, gli unici (per il momento) non naturali
Direi che non c’è bisogno di alcun commento! Prima o poi non ci sarà più un posto tranquillo e allora addio telefonini, televisione, GPS, ecc... Ma sarà poi un gran male?
Non era ancor di là Nesso arrivato
Un richiamo a Dante non fa mai male. Siamo all’inizio del Canto XIII della Divina Commedia e i due poeti vedono allontanarsi il centauro Nesso che li ha accompagnati. Nel canto precedente hanno discusso a lungo con Chirone il più saggio delle creature metà uomo e metà cavallo. Proprio di Chirone e dei centauri voglio parlarvi e di una recentissima scoperta sul loro "capo". Centauri astronomici, però…
Il primo centauro, Chirone appunto, è stato scoperto nel 1977 dal bravo e simpatico Kowal e per un breve periodo è stato perfino indicato come un nuovo mini-pianeta. La sua posizione era del tutto anomala, orbitando tra Saturno e Urano, dove non ci si aspettava di trovare niente. Un oggetto di tipo asteroidale, a prima vista, con un diametro che è infine stato stabilito intorno ai 230 km.
Come successo per gli asteroidi di fascia principale, ben presto si sono aggiunti molti altri centauri (oggi se ne stimano circa 45 000) e la loro “duplice” natura è stata sempre meglio definita. Proprio come le creature della mitologia greca, anch’essi sembrano essere metà asteroidi e metà comete, mostrando segni di attività durante il loro avvicinamento al Sole. Chirone, in particolare, ha mostrato lo sviluppo di una possibile vera e propria chioma: un "cometone" decisamente grande!
L’evoluzione dinamica dei centauri è oggi compresa abbastanza bene. Essi provengono dalla fascia di Kuiper e sono trasportati verso zone più interne dalle varie perturbazioni planetarie. Non hanno, quindi, orbite molto stabili e formano un gruppo temporaneo, un momento di passaggio verso Giove per finire come comete a corto periodo o essere magari scacciati dal Sistema Solare. Una fase del lungo viaggio dalla regione trans nettuniana alle zone più interne del Sistema Solare.
Nessuna sonda li ha mai avvicinati, ma si pensa che ne esista uno ben visibile (circa 200 km di diametro) parcheggiato attorno a Saturno: il satellite Phoebe, catturato in tempi più o meno remoti.
A parte questa loro duplice e movimentata natura, i centauri detengono un primato: dopo i quattro pianeti gassosi solo due di loro presentano probabilmente un sistema di anelli.
Il primo a essere scoperto è stato quello di Chariklo nel 2013. La scoperta è avvenuta attraverso l’occultazione di una stella, notando una brevissima sparizione dell’astro prima e dopo l’occultazione vera e propria del corpo principale. Anelli sottilissimi (due almeno) che dovrebbero comportare la presenza di una o due lune capaci di confinarli. Le dimensioni di Chariklo sono stimate in circa 250 km (sarebbe il più grande tra i centauri) e gli anelli distano circa 400 km dal piccolo pianeta (le loro dimensioni sono di pochi chilometri).
Merita di descrivere con maggiore attenzione la loro scoperta.
Ricercatori sudamericani, in collaborazione con colleghi francesi tra cui l’amico e collega Bruno Sicardy, un maestro in questo campo, non potevano farsi scappare un evento veramente appetitoso: Chariklo avrebbe occultato una stella di magnitudine 12 circa, alla portata di qualsiasi telescopio. Un’occasione troppo ghiotta per farsela scappare.
La Fig. 1 mostra la traccia di visibilità dell’occultazione. Sette telescopi in Argentina, Brasile, Cile e Uruguay sono stati allertati e hanno aperto i loro occhi al momento giusto. Il risultato è stato più che sorprendente: prima e dopo il transito vero e proprio del corpo principale sono state rivelati abbassamenti della luce della stella, facilmente riconducibili alla presenza di due anelli molto stretti (7 e 3 km) attorno al corpo centrale. Qualcosa di molto simile a quanto accaduto ad Urano nel 1977, quando proprio un’occultazione stellare avevo permesso di scoprire il suo sistema di anelli.
Si poteva pensare a un qualche getto cometario (così lontano dal Sole, però…), ma osservazioni spettroscopiche eseguite dal 1997 al 2008 hanno dato ulteriore vigore alla tesi del doppio anello, mostrando una variazione nel contenuto di acqua che è in ottimo accordo con una vista di “taglio” del sistema intorno al 2008. La variazione delle caratteristiche spettrali legate al ghiaccio non solo aiutano a definire la geometria del sistema, ma implicano la composizione dei due anelli: piccoli blocchi di ghiaccio in orbita. La massa degli anelli dovrebbe equivalere a quella di un oggetto dell’ordine del chilometro.
Gli anelli, probabilmente, sono nati prima dell’inizio del viaggio dalla Kuiper Belt e si sono conservati nel tragitto non avendo subito passaggi ravvicinati con Urano in grado di dissolvere il sistema. Ciò vorrebbe dire un’età superiore ai 10 milioni di anni, un periodo troppo lungo per pensare che gli anelli si siano potuti mantenere così stretti (nel giro di poche migliaia di anni le collisioni mutue tra i blocchi di ghiaccio avrebbero dovuto sparpagliare notevolmente gli anelli). Qualcosa di molto simile all’anello f di Saturno e agli anelli di Urano. Qualcosa che dovrebbe implicare la presenza di satelliti “pastore” in grado di confinare dinamicamente gli anelli. Guardiani di questo tipo dovrebbero avere dimensioni del chilometro e non c’è da stupirsi troppo se non sono stati ancora trovati. Bisognerà guardare con più attenzione e con strumentazione più potente: un asteroide-cometa con gli anelli se lo merita sicuramente!
Quale potrebbe essere stata l’origine di un sistema come questo? Direi che si può escludere quella del getto cometario fatto proprio ad anello o giù di lì. Vale invece l’ipotesi di un impatto che abbia craterizzato il corpo principale espellendo materiale inserito poi in due dischi di detriti. Oppure la distruzione di un vecchio satellite (sempre per impatto); o, ancora, la distruzione completa del corpo primigenio seguito da una riaccumulazione quasi completa per auto gravitazione: una piccola parte del materiale si sarebbe inserito in orbita attorno al corpo “ricostruito”. O, infine, un satellite distrutto per forze mareali (un Saturno in miniatura!), e cose del genere.
Come già accennato, se non si fosse osservata direttamente la geometria ad anello, si sarebbe potuto pensare, attraverso le sole osservazioni spettroscopiche, all’esistenza di una nube dovuta ad attività cometaria. Il risultato di Chariklo fa rimettere in discussione quanto ormai sembrava assodato per Chirone, che sembrava mostrare un getto cometario. E se quel getto non fosse altro che un anello? Forse siamo solo all’inizio di una nuova era per gli asteroidi e comete, quella dei piccoli signori degli anelli!
Viva i corpi minori e un bravo di cuore a Bruno Sicardy (se lo merita proprio!). Inserisco uno schema del sistema di anelli, ma le singole osservazioni e molte altre informazioni si possono trovare QUI. Lo consiglio a tutti, soprattutto ai "veri" astronomi non professionisti!
Penso che ne parleremo ancora…
Poteva Chirone stare a guardare? Ed ecco che anche lui ha mostrato -forse- un sistema di anelli. La loro storia è, però, molto travagliata. Occultazioni stellari del 1993 e 1994 avevano mostrato caratteristiche strane, dovute probabilmente a getti di materia gassosa. Chirone meritava studi più dettagliati e si è selezionata un’occultazione nel 2011, osservata da due grandi telescopi alle Hawaii.
Prima e dopo l’occultazione vera e propria, una breve e debole perdita di luce aveva creato i presupposti per pensare a un anello. Esso doveva distare 300 km dal corpo principale. Forse non erano getti di materia quelli osservati negli anni ’90, ma proprio gli anelli. O magari entrambe le cose. Insomma, solo oggi i dati sono stati elaborati e studiati veramente a fondo portando alla nuova ipotesi anelliforme.
La loro origine è probabilmente dovuta a una collisione che ha sollevato polvere inseritasi in orbita, in modo non molto diverso da quanto può essere successo alla Terra e alla Luna. Ma potrebbe anche legarsi a un'attività cometaria sporadica che abbia inviato grani polverosi a una certa distanza da Chirone e creato una struttura ad anello.
Per avere una risposta decisiva sulla reale esistenza del sistema di anelli è necessario estendere la zona di osservazione di una futura occultazione, in modo da avere la prova di una struttura continua attorno al piccolo pianeta.
Quanto prima i “veri” astrofili potrebbero giocare un ruolo importante…
… Non era ancor di là Nesso arrivato, quando noi ci mettemmo per un anello che da neun sentiero era segnato… (scusate la piccola “variazione” poetica).
Gli anelli dei KBO
Sono molto lieto di presentare questo articolo, che altro non è che la traduzione pari pari dell’abstract apparso su Nature (più qualche mio commento personale). Ciò deriva non solo dall’interesse della scoperta in sé, ma soprattutto dalla conferma (in tempi di telescopi mostruosi) che piccoli strumenti, bene organizzati, possano ancora fare lavori di prim’ordine, con la partecipazione anche gli astrofili "veri", quelli che desiderano aiutare la Scienza e non divertirsi a guardare galassie virtuali per fare innervosire i colleghi.
Haumea, uno dei quattro pianeti nani transnettuniani, ha una forma molto allungata e ruota molto velocemente. Contrariamente ai suoi colleghi nani la sua forma, il suo diametro, l’albedo e la densità sono conosciuti con molta incertezza. Il centauro Chariklo è stato il primo corpo planetario (ad esclusione dei pianeti giganti) a mostrare un sistema di anelli, mentre suo fratello Chirone ha, in seguito, fatto pensare a qualcosa di molto simile (ne abbiamo parlato QUI).
In questo lavoro riportiamo osservazioni, eseguite in diversi luoghi, dell’occultazione di una stella lontana da parte di Haumea. Eventi secondari, evidenziati durante l’occultazione e attorno al corpo principale, sono consistenti con la presenza di un anello con un’opacità di circa 0.5, una larghezza di 70 km e un raggio di 2287 km. L’anello giace sul piano equatoriale di Haumea e coincide con il piano orbitale del suo satellite Hi’jaka. L’anello si sistema nella risonanza 3/1 con la rotazione del pianeta, nel senso che Haumea completa tre volte la sua rotazione attorno all'asse nel tempo necessario ad ogni particella dell’anello a completarne una.
L’occultazione del corpo principale mostra una forma istantanea ad ellisse, di assi pari a 1704 e 1138 km. Combinando questo risultato con le curve di luce a disposizione, ne risulta una forma globale a tre assi, inconsistente con quella di un corpo omogeneo in equilibrio idrostatico. L’asse maggiore di Haumea è di almeno 2322 km (maggiore di quanto previsto), che implica un valore massimo per la densità di 1885 kg/m3 un albedo geometrica di 0.51, entrambi minori di quanto previsto. Inoltre, la densità di Haumea risulta molto più vicina a quella di Plutone rispetto alle stime precedenti. Non si è riscontrata nessuna atmosfera dominata da azoto e metano.
Cominciamo con i commenti “positivi”. Il metodo delle occultazioni stellari, da parte di oggetti planetari, come gli stessi pianeti e/o gli asteroidi rimane estremamente utile, anche se può essere eseguito con telescopi molto modesti. Ci vuole solo organizzazione e volontà di svolgere osservazioni , apparentemente di routine ma di sicuro interesse professionale. Chissà quando il nostro astrofilo medio lo capirà? Ricordiamo che proprio le occultazioni stellari hanno evidenziato per prime gli anelli di Urano e Nettuno.
Una nota “apparentemente” negativa che spero non passi in cavalleria, proprio per poter sollevare nuovamente una questione che con la Scienza ha poco a che fare. Haumea è l’unico pianeta nano dalla forma allungata. Ciò non toglierebbe nulla alla sua possibilità di rappresentare una forma di equilibrio idrostatico anche a tre assi. Come tale è stato sicuramente classificato finora, altrimenti, per la nuova definizione di pianeta nano, non avrebbe potuto farne parte. Tuttavia, l’abstract che abbiamo appena letto dice chiaramente che la forma ottenuta è incompatibile con una forma di equilibrio. Ne deve seguire che Haumea non può più essere considerato pianeta nano, ma solo corpo minore.
Il fatto che abbia un asse maggiore di ben 2000 km la fa apparire una soluzione buffa. Una volta ancora, si dimostra che le classificazioni sono un’inutile operazione umana che niente ha a che fare con le armoniose regole dell’Universo (come abbiamo spiegato QUI). Inoltre (pensiero del tutto personale) un oggetto che ruota velocemente, che ha un’autogravitazione sufficiente a riaccumulare la gran parte dei frammenti di un’ipotetica grande collisione, che ha una forma triassiale, fa proprio pensare a un corpo in equilibrio come descritto QUI , QUI e QUI. Vedremo cosa diranno le prossime osservazioni. Al momento, comunque, se si è onesti, Haumea dovrebbe essere declassato, anche se ha mostrato un anello completo.
L'anello di ... Marte
Tra tante cose che si dicono di Marte ci si dimentica spesso di parlare del suo prossimo anello. Non è proprio un processo fisico di… domani, ma sembra che i primi segni siano già visibili. Come lo chiameranno? Forse, anello P, come Phobos, dato che sarà proprio il piccolo satellite a formarlo tra qualche decina di milioni di anni o anche meno.
Tutti sanno che la Luna si allontana dalla Terra per effetto del gioco mutuo delle maree dei due corpi celesti e quindi sarebbe ovvio dedurre che anche il piccolo Phobos dovrebbe fare lo stesso. E, invece, la situazione è ben diversa.
Esso è talmente vicino a Marte che sta più in basso dell’orbita geostazionaria (dovremmo chiamarla marstazionaria?), ossia quella che lo farebbe girare attorno al pianeta con lo stesso periodo in cui Marte ruota attorno al suo asse. In queste condizioni, anche senza un atmosfera in grado di frenarlo, la marea del pianeta rosso gioca al contrario e lo fa decadere. Tutto succede sia perché il satellite ha una forma non proprio sferica, sia perché Marte ha un campo gravitazionale non del tutto costante. Insomma, c’è poco da fare: Phobos sta cadendo verso il pianeta, che l’uomo non vede l’ora di “conquistare”, e lo fa al ritmo di quasi due centimetri all’anno.
Prima di raggiungere il suolo, però, dovrà vedersela con il limite di Roche che giocherà duramente contro le forze di coesione che tengono unito il piccolo satellite. Purtroppo, osservazioni abbastanza recenti hanno mostrato che la sua densità molto bassa può essere spiegata solo attraverso la ormai famosa (per noi, almeno) “pile of rubbles”, ossia “mucchio di sassi” tenuto insieme dall’autogravitazione e ricoperto da uno spesso strato di polvere (la megaregolite). Ne segue che la sua resistenza allo stiramento causato dalla marea marziana non sarà molto efficiente.
Un modello creato da poco presenta risultati piuttosto interessanti sulle strisce che caratterizzano la superficie di Phobos e che sembravano essere dovute all’enorme cratere da impatto Stickney, la cui formazione ha portato Phobos vicino alla completa frammentazione.
Frammentazione che è, però, solo ritardata… Sembra, infatti, che le righe non partano proprio dal cratere, ma siano indipendenti e rappresentino i primi segni di frattura del satellite. In poche parole, esso si starebbe per aprire come quando un pulcino esce dall’uovo … Quando il limite di Roche sarà raggiunto, il nostro piccolo oggetto (ma non abbastanza piccolo per non risentire delle forze mareali) si disintegrerà completamente, dando, molto probabilmente, luogo a un anello di detriti attorno a Marte.
Accidenti, anche Marte avrà un anello e noi niente: dobbiamo accontentarci di quelli artificiali composti dalla spazzatura spaziale. Gli uomini sono riusciti a fare quello che la Natura non ha fatto e poco importa che siano pezzi di metallo, di plastica e di chissà che altro.
Io, personalmente, non credo tanto a quest’ultimo modello, dato che mi sembra di vedere lungo le strisce di Phobos un’abbondanza di piccoli crateri allineati. Continuo a preferire le ipotesi legate all’impatto e alla successiva espulsione di micro frammenti. Comunque sia, poco importa: Phobos ha la sorte segnata e i cinquanta milioni di vita che gli erano stati assegnati, quando veniva considerato un solido pezzo di roccia, si ridurranno probabilmente solo a dieci, dato che il suo interno è solo un ammasso di detriti.
Ricordiamo che vi è un altro satellite, di stazza ben maggiore, che sta cadendo verso il suo pianeta. Si tratta di Tritone. La causa di ciò è sempre la marea di Nettuno, ma, nel suo caso, l’avvicinamento è dovuto all' orbita retrograda. Beh… quello sarà uno spettacolo fantasmagorico.
NEWS del 13/2/2023 - Osservato un sistema di anelli intorno a Quaoar, un piccolo corpo transnettuniano. Il "problema" è che non dovrebbero stare lì...
3 commenti
Interessantissimo caro Enzo questo escuesu sugli anelli nel Sistema Solare. Ti dico che non avevo mai sentito parlare del futuro anello(i?) di Marte, è affascinante.
Poi personalmente sono comunque affascinato dai satelliti dei pianeti nani e non e quindi mi vado sempre a rivedere il loro numero e le notizie aggiornate su di loro quando ne sento parlare, ma questo è un altro discorso.
Allora, Mario, chissà come ti affascina questo... te lo ricordi?
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2017/05/20/senza-nome-un-satellite/
Grazie Schrzy, ho riletto molto volentieri Enzo e il piccolo dibattito che abbiamo fatto.
Sono sempre convinto che sarebbe molto bello, affascinante ed interessante esplòorare meglio questi Pianeti nani ed i loro piccoli sistemi, le Fasce oltre Nettuno e fare sicuramente ulteriori fantastiche scoperte; poi restano comunque le logiche conclusioni di Enzo quando mi rispose.
Grazieee.