Categorie: Corpi minori Terra
Tags: cambiamenti climatici cratere di Yarrabubba glaciazioni impatto asteroidale Terra palla di neve
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Impatti asteroidali e clima terrestre ** di Guido Ghezzi
Il presente articolo è stato inserito nella sezione d'archivio Pianeta Terra
Un articolo veramente interessante, proprio mentre si sta vivendo (?) una "tragedia" climatica, di stampo soprattutto mediatico ed economico. La nostra Terra ne ha viste di cotte e di crude e gli asteroidi l'hanno sicuramente aiutata.
Chi è Guido?
Ha studiato geologia con specializzazione in geofisica e ha svolto ricerche sul geomagnetismo. Il lavoro lo ha portato lontano dalla ricerca applicata, ma ha mantenuto inalterato l'interesse sia verso la sua materia sia verso l'astrofisica in generale, "scienza" -come dice lui - "che mi appassiona da quando ho imparato a leggere". Tiene, a titolo di volontariato, lezioni presso scuole e istituti vari. Un grande benvenuto, un sentito GRAZIE, e che la collaborazione e la condivisione sia con NOI!
Oltre al ben noto impatto all’origine del cratere di Chicxulub (penisola dello Yucatan) che ha presumibilmente messo in crisi la larga predominanza dei rettili tra le forme di vita superiori e, di conseguenza, ha consentito ai mammiferi di diffondersi, un altro e ben più antico impatto potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione del clima terrestre e nella conseguente modificazione delle condizioni ambientali globali.
Nel 1979 in Western Australia furono raccolti campioni di roccia che denotavano particolari microstrutture, interpretate come “strutture da forte shock meccanico”; nella stessa area successivi rilievi aeromagnetici (2001) mostrarono una anomalia negativa nella magnetizzazione di superficie (cioè un minimo nella distribuzione dei valori del campo magnetico) con la forma di un semicerchio avente raggio di circa 15-25 km situata al centro di una distribuzione ad anello di anomalie magnetiche positive. Nel 2002 ulteriori analisi sui campioni confermarono la presenza di microstrutture attribuibili alla conseguenza dell’impatto di un corpo con alta velocità. Gli indizi geologici, petrografici e le ricostruzioni portarono ad individuare il sito quale area di un impatto con un corpo celeste, avvenuto in epoche molto antiche, sebbene di allocazione temporale incerta ed ipotizzata nell’ambito del Proterozoico (tra 2.5 e 0,54 miliardi di anni fa, tanto per intenderci) (Macdonald, Bunting, Cina, 2003. Earth and Planetary Sciences)1.
La struttura fu riconosciuta pertanto come la porzione centrale rimanente di un cratere da impatto di circa 70 km di diametro ormai notevolmente eroso dagli egenti esogeni, denominato Yarrabubba Crater.
In una pubblicazione recentissima (Erickson, Kirkland ed al., 2020. Nature Communications)2 vengono forniti ulteriori importanti dettagli sul cratere Yarrabubba, che andrebbero a rispondere all’interrogativo circa la sua datazione, fornendo lo spunto per alcune ipotesi connesse all’andamento climatico terrestre antico, e quindi alle condizioni ambientali del Proterozoico.
Secondo gli autori le ultime analisi condotte tramite la datazione anche con il metodo U-Pb sui minerali accessori derivanti dalla ricristallizzazione dovuta allo shock meccanico dell’impatto, portano a definire in modo decisamente migliore la finestra temporale dell’impatto, individuata ora a circa 2.23 miliardi di anni fa (con un’incertezza di 5 milioni di anni in più o in meno), il che assegnerebbe a Yarrabubba il primato di cratere accertato più antico, finora appannaggio del gigantesco cratere Vredefort (300 km circa), situato in Sudafrica e datato circa 2.05 miliardi di anni.
Al di là del rilievo che può avere il nuovo dato ai fini statistici e di catalogazione, è interessante rilevare che nello studio si mette in relazione temporale l’impatto con i più recenti depositi paleoglaciali del Proterozoico. Per quanto ne sappiamo, la Terra ha attraversato almeno 4 estese glaciazioni tra 2.5 e 2.22 miliardi di anni fa, che evidentemente hanno condizionato in modo importante i fattori ambientali (la cosiddetta “snowball Earth”). La precisa datazione dell’impatto di Yarrabubba coincide in modo confortante con la datazione attribuita alla più recente delle 4 glaciazioni citate (denominata “di Rietfontein”), dopo la quale non abbiamo evidenza geologica di alcuna successiva altra glaciazione per almeno 400 milioni di anni. Quindi, in sintesi, l’evento catastrofico che ha generato il cratere di Yarrabubba (paragonabile per dimensioni all’evento che ha messo in crisi i dinosauri) potrebbe aver contribuito in modo determinante a porre fine per un periodo molto lungo agli episodi di glaciazione globale.
Gli autori propongono, a ulteriore sostegno del rilievo che eventi come quello di Yarrabubba potrebbero avere nella modificazione delle condizioni climatiche terrestri, anche una simulazione numerica degli effetti climatici dell’impatto. In particolare, poste le condizioni iniziali ipotetiche di uno stato di glaciazione, se non globale almeno regionale come poteva essere quello di Rietfontein (una coltre spessa da 2 a 5 km di ghiaccio), l’impatto di un corpo celeste (circa 7 km di diametro), in grado di dar luogo ad un cratere come Yarrabubba su un substrato granitico, potrebbe vaporizzare all’istante fino a 240 km3 di ghiaccio e a 5400 km3 di materiale solido totale (ghiaccio, sedimenti e crosta).
Nella simulazione la massa di ghiaccio trasformata in vapor d’acqua (potente gas-serra) [altro che la CO2, aggiunge Enzo] viene stimata in un ammontare dell’ordine di 1011 tonnellate, quantitativo che, immesso nell’alta atmosfera primordiale (dei cui livelli di ossigeno ben poco sappiamo, e ciò va considerato quale elemento di incertezza insieme ad altri più specifici), potrebbe aver dato effetti globali di lunga durata che, dopo un iniziale e breve (geologicamente parlando) periodo di raffreddamento avrebbero influito in senso opposto sul clima, preservando a lungo la Terra da periodi glaciali di portata planetaria o quasi.
Pur con tutte le riserve del caso lo studio contribuisce a mettere un altro tassello al dibattuto problema del ruolo che gli impatti dei corpi celesti possono avere sui fattori climatici, un motivo in più per considerarli quantomeno attori di un certo rilievo nel gran spettacolo della vita.
13 commenti
Interessante articolo Guido, non che cambi molto con il senso dell'articolo ma il più antico cratere non è quello di Suavjarvi in Russia? Per dimensioni non c'è confronto e anche, a quanto pare, per visibilità attuale ma in questo senso anche in quello in SudAfrica sul posto non si nota nulla. A dirla tutta Yarrabubba crater non riesco manco ad individuarlo su google maps.
Articolo ed ipotesi interessanti. Sembra ribaltare l'effetto di questi eventi sul clima. Finora avevo letto di cose simili all'inverno nucleare. Qui mi sembra si ipotizzi che quantità notevoli di H2O possano avere superato "di slancio" le parti fredde dell'alta troposfera senza condensare. In questo modo avrebbero raggiunto la stratosfera e stazionato li in forma gassosa, forse grazie alla più alta temperatura di questo strato, producendo da li il loro effetto di gas serra.
Vincenzo mi potresti spiegare gli effetti serra del vapore acqueo e della CO2
sappiamo che H2O (vapore) ha un effetto serra molto maggiore ma quale è il rapporto tra i due
nel senso una stessa quantità di vapore acqueo e di CO2 in che rapporto contribuiscono all'effetto serra?
caro Michele,
la spiegazione è molto semplice e la figura che segue la spiega bene in termini molto approssimativi (la faccenda è ben più complessa e anche poco conosciuta nei suoi dettagli)
Per quanto riguarda il confronto tra il vapor d'acqua e la CO2 i valori sono anch'essi molto incerti. Si stima che il vapor d'acqua rappresenti tra il 70 e il 90% dell'effetto serra. Il rimanente viene diviso tra CO2, metano, vari solfuri, ecc. Va anche tenuto conto che il valore della CO2 emesso dipende soprattutto da cause naturali e dal ciclo del carbonio tra terra e oceani. Picchi di CO2 si riscontrano durante l'emissione di gas vulcanico. Quello dovuto all'uomo è una piccola parte del totale. Le stime sono comunque molto incerte e variano da luogo a luogo.
Buongiorno e grazie per i commenti. Sull'età dei crateri da impatto sussiste sempre un non trascurabile grado di incertezza, che si amplia quanto più la struttura è antica. I database disponibili effettivamente indicano per il cratere che cita Frank (il Suavjarvi) un'età di circa 2.4 miliardi di anni, che tuttavia, essendo il cratere ancora non studiato a fondo, è affetta da una notevole incertezza. Tanto per dare un confronto la miglior stima dell'età di Yarrabubba prima delle ultime accurate datazioni cui si riferisce il lavoro di Erickson et al. era di "circa 2.0" miliardi di anni.
Aggiungo che l'individuazione di queste strutture così antiche è davvero ostica, seppure enormi in partenza il lavorio lento ma implacabile degli agenti geologici e geomorfologici le ha obliterate in modo pressochè totale. Oggi si cerca di individuare i candidati tramite analisi di misure gravimetriche e geomagnetiche per poi passare ad indagini più mirate al suolo e anche al sottosuolo, ma già avere la conferma che si tratta davvero di una struttura da impatto è un passo arduo.
Grazie Vincenzo.
Da quanto tu scritto:
"Va anche tenuto conto che il valore della CO2 emesso dipende soprattutto da cause naturali e dal ciclo del carbonio tra terra e oceani. Picchi di CO2 si riscontrano durante l'emissione di gas vulcanico. Quello dovuto all'uomo è una piccola parte del totale. Le stime sono comunque molto incerte e variano da luogo a luogo"
rimane assurdo che i media e molti scienziati prezzolati riferiscano che la causa del riscaldamento globale è dovuta principalmente alla emissioni di CO2 industriale.
Anche un giovincello studente volenteroso di capire si convincerebbe dell'assurdità
Michele,
un aiuto per farsi una idea dell'effetto dei vari gas serra si trova nel modello a questo link
Il modello fa vedere come la curva di emissione della Terra (idealmente un corpo nero) vista da 70Km di altezza viene modificata dalla presenza dei gas serra. I valori in alto a sinistra sono quelli delle densità dei vari gas in atmosfera. Questi valori possono essere modificati. L'effetto della modifica si vede nella variazione della curva di emissione e nel valore totale di Watt al metro quadro emessi indicato in basso a sinistra. Se tutti i valori della densità dei gas è messa a 0, si ottiene circa l'emissione di corpo nero corrispondente alla temperatura superficiale per la zona indicata nel parametro locality. Se si sceglie US standard la temperature è 288K che è spesso considerata la temperatura media della Terra. Una volta scelta la temperatura rimane fissa. Il modello non calcola l'effetto della modifica delle quantità di gas serra sulla temperatura.
Grazie fabpan
Grazie a Te Guido, sospettavo che l'incertezza fosse la causa della "classifica", altrimenti non si spiegava l'accento posto sulla precisione di +o- 5 milioni di anni per la datazione di Yarrabubba. Solo che avendo a disposizione un esperto ne ho approfittato per la conferma. Guardando il cratere sudafricano di Vredefort su google maps mi sono pure ricordato che tempo fa avevo giocato a golf in Parys e non è da tutti giocare a golf in un cratere da impatto o meglio giocarci e saperlo. Giusto un'ultima domanda per Enzo: dunque a questo servono gli impatti asteroidali, per spianare il terreno e farci un golf club???
L'origine antropica dell'attuale incremento di CO2 nell'atmosfera non mi sembra sia messo in discussione. Anche i "non prezzolati" dell'NIPCC, non lo citano nell' Executive Summary del loro report che segnala le criticità del report IPCC . Nella sezione 1.1.4 lo citano come un dato di fatto. Nella sezione 2.1 lo associano alla rivoluzione industriale e ne prevedono un incremento. Casomai criticano gli effetti che l'IPCC attribuisce a questo incremento.
A proposito di "prezzolati" e "non prezzolati", chissà come campano i "non prezzolati"?
esattamente Frank... ma anche per farci campi da calcione a 373...
Comunque, è bello avere tra noi un geologo!
caro Fabry,
l'aumento della CO2 è indubbia, ma non è verificata assolutamente la sua correlazione con la temperatura che, infatti, ha avuto una netta stasi negli ultimi 20 anni. L'oceano lavora molto bene e le piante sono ultra floride.