Categorie: Fisica classica Matematica
Tags: accelerazione derivate dinamica equazioni differenziali forza integrali legge del moto leggi della fisica massa moto orario
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Cosa sono le equazioni differenziali. 2 */**
Come detto, questa serie di articoli vuole essere veramente divulgativa e adatta a qualsiasi livello, sempre che si abbia già un'infarinatura dei concetti di limite, derivata e integrale (se non ce l'avete, potete rimediare grazie al corso di matematica disponibile QUI). Per ottenere ciò, penso che non mi picchierete se a volte sarò ripetitivo e quasi banale. Nella versione definitiva, si potrà sempre cercare di compattare meglio la materia e renderla più uniforme. Per adesso pensiamo ad affrontare nel modo più chiaro possibile i concetti fondamentali.
Non ho voluto nemmeno rileggere la prima parte e ho preferito andare avanti cercando di esprimere sempre con maggiore chiarezza e semplicità i concetti fondamentali. Troverete sicuramente delle ripetizioni. Nessun problema: serviranno come ripasso o come ulteriore chiave di lettura.
Siamo partiti con le leggi della dinamica. Esse sono leggi fisiche che permettono di descrivere il moto dei corpi sia soggetti a forze sia liberi di muoversi in balia della propria pigrizia (inerzia). Dove vogliono arrivare queste leggi che sono state ricavate da grandi menti osservando i fenomeni della Natura e sintetizzate in un linguaggio matematico stringato e generale? Beh... l'abbiamo appena detto: a essere capaci di descrivere il movimento finale di un corpo sulla base delle condizioni in cui si svolge. Ovviamente, la relatività di Einstein ha stravolto molte leggi di questo tipo, arrivando fino a situazioni ben al di là di ciò che corrisponde al nostro mondo di tutti i giorni. Un mondo di tutti i giorni che però non si limita solo al movimento delle persone, dei veicoli, dei velivoli e di qualsiasi mezzo di trasporto terrestre, ma comprende addirittura le missioni spaziali, svolte con una perfezione quasi assoluta.
Proprio l'applicazione delle leggi di Newton e delle loro conseguenze e generalizzazioni permette di raggiungere in modo quasi incredibile corpi celesti situati a miliardi di chilometri da noi nel momento e nel posto stabilito a priori. Non basta certo la legge di gravitazione universale, ci vogliono altre strategie come l'inserimento della gravità di ben più di tre corpi e lo sfruttamento della fionda gravitazionale (proprio come sta facendo la sonda Bepi Colombo in questi giorni con la Terra) per risparmiare carburante e accelerare i tempi, tanto per fare un esempio. Ne segue che limitandosi alla dinamica newtoniana non commettiamo certo un errore macroscopico, dato che è più che sufficiente per risolvere i nostri problemi. E la dinamica newtoniana comporta leggi decisamente più semplici di quelle della relatività.
Mandare una sonda su un altro pianeta o anche solo immetterla in orbita o inserirla in qualche punto dinamicamente stabile ha bisogno però di una trasformazione estremamente importante. La Natura non ci regala la traiettoria di un corpo nella forma che vorremmo noi, ossia sotto forma di "spazio percorso in funzione del tempo", per complicata e articolata che sia. No, la Natura ci ha permesso di capire come agisce, utilizzando grandezze che sono sicuramente legate allo spazio percorso, ma non in modo diretto.
Conosciamo già quanti tipi di funzione possono esistere che legano lo spazio con il tempo. Ricordiamoci, ad esempio, il moto del pendolo, dove è facile vedere comparire le funzioni trigonometriche, ma, restando a Newton, troviamo le coniche come l'ellisse, la parabole e l'iperbole nella trattazione del moto dei pianeti. In ogni modo, ottenuta la funzione finale dello spazio in funzione del tempo, per complicata che sia, siamo quasi sempre in grado di studiare perfettamente le sue caratteristiche e trarne le conseguenze. Non per niente abbiamo studiato le funzioni, le derivate, gli asintoti, i massimi e minimi e cose del genere...
Il problema che stiamo affrontando adesso è la parte iniziale, quella fondamentale, ossia il passaggio da una legge della Natura, che non si cura certo delle nostre limitazioni espressive, alla funzione del moto espressa nell'equazione per noi facilmente trattabile che lega lo spazio con il tempo. Ovviamente, stiamo parlando di dinamica, ma problemi simili sono presenti in tutti i campi della fisica.
La volta scorsa abbiamo considerato la prima legge della dinamica. Essa ci prospetta già un doppio livello. La persistenza nello stato di quiete ci regala già la funzione che volevamo: lo spazio è costante e non varia con il tempo. In parole più matematiche, la legge del moto (una funzione dello spazio rispetto al tempo) è una retta parallela all'asse del tempo, dove in ascissa vi è la posizione del nostro corpo che ha un valore costante rispetto al tempo, x = costante.
La seconda parte ci complica già un po' la vita, dato che parla di velocità e non di spazio percorso. Essa dice, infatti, che la velocità è uniforme. Beh... questo piccolo intoppo è facile da risolvere, dato che possiamo collegare lo spazio e il tempo attraverso una costante, ossia scrivere x = v0 t. Anche questa è una funzione ben conosciuta: non è altro che una retta inclinata di quel tanto che ci dice la velocità costante. La velocità, trattata adeguatamente, indica proprio l'angolo che la retta del moto fa con l'asse del tempo.
Abbiamo già visto che la legge equivale alla scrittura:
dx/dt = cost = vo .... (2)
Come vediamo non compare assolutamente lo spazio, ma la sua variazione. Se volessimo essere precisi dovremmo risolvere questa equazione differenziale (tale è perché compare una derivata della variabile da legare al tempo) nel modo più conveniente.
Ad esempio integrare i due termini rispetto al tempo. Come visto la volta scorsa ciò comporta la x al primo membro (proprio la grandezza che vogliamo) e il tempo moltiplicato per la costante v0 al secondo membro. La legge che volevamo è bella che trovata:
x = v0 t + c
Proprio la retta di cui parlavamo prima, dove per condizioni particolari di partenza la c diventa facilmente uguale a 0 (in poche parole al tempo zero lo spazio è anche zero). Ricordiamoci che svolgendo integrali indefiniti siamo obbligati a portarci dietro una costante, dato che l'operazione di integrale ci fornisce un'intera famiglia di funzioni del tipo f(t) + c. Come mai? Presto detto, la derivata di tutte queste funzioni è sempre la stessa e quindi l'operazione inversa non può che lasciare aperta la scelta tra tutti i membri della famiglia. Sta solo a noi scegliere, attraverso le condizioni iniziali, quale funzione preferire.
La stessa legge del moto (2), può però anche risolversi "separando le variabili", in questo caso la t e la x. E' vero che la funzione finale è una x legata alla variazione di t, ma, in realtà, le variabili, anche se legate tra loro proprio dalla funzione che cerchiamo, sono due: se varia una varia anche l'altra.
Possiamo perciò scrivere la (3) come:
dx = v0 dt
Dopo di che integrare entrambi i membri, stando però attendi che i due integrali sono fatti rispetto a variabili diverse, il primo rispetto a x , il secondo rispetto a t.
∫dx = vo ∫dt
∫1 · dx = vo ∫1 · dt
Qual è la funzione la cui derivata rispetto a x è uguale a 1? Beh... proprio la x. Idem per la derivata uguale a 1 che è funzione di t. Perciò:
x = v0 t + c
N.B.: A costo di essere pedanti: la scrittura ∫(dx/dt) dt significa integrare la funzione dx/dt rispetto a t e quindi il risultato è proprio l'inverso della derivata, ossia x. La scrittura ∫dx vuole, in pratica, significare ∫(dx/dx) dx dove compare la derivata di x rispetto a x, ossia 1. L'inverso di questa derivata è sempre x. D'altra parte, la scrittura ∫dt equivale a ∫(dt/dt) dt dove compare la derivata di t rispetto a t, e il suo inverso è quindi t.
Abbiamo, ovviamente, ottenuto lo stesso risultato di prima. Vedremo, però, che, a volte, una o l'altra scelta diventano indispensabili per riuscire ad arrivare allo scopo finale. Ricordiamoci che se può essere difficile calcolare una derivata, lo è molto di più calcolare un integrale. Nel primo caso basta seguire certe regole ben precise. nel secondo caso bisogna spesso usare la fantasia e trucchi quasi diabolici!
Ringrazio Marco per la sua domanda che mi ha fatto capire di dovere essere ancora più preciso e generale nelle mie spiegazioni. Questo Circolo deve essere continua condivisione di pensieri e di dubbi. Solo così si può cercare di dare il meglio. Nessun problema, quindi, a fare domande apparentemente "sciocche". Non esistono domande sciocche... al limite lo sono le risposte!
Tanto per finire -e scusate le ripetizioni- il tutto poteva anche essere risolto senza alcuna equazione differenziale, dato che dire velocità costante vuole anche dire che il rapporto tra spazio e tempo è costante e quindi la soluzione è immediata. Detto in altre parole, non vi era nemmeno bisogno di passare agli infinitesimi dx e dt, in quanto lo stesso risultato si aveva anche con intervalli di tempo (e di spazio) grandi a piacere. Contando tempi e spazi dall'istante zero e chiamando zero lo spazio corrispondente al tempo zero non compariva nemmeno la costante c e si poteva scrivere immediatamente
x/t = v0
x = vo t
Bene, dopo questa ulteriore discussione sul caso più semplice (ma a volte il caso più semplice è quello che pone i maggiori interrogativi e dubbi), possiamo passare alla seconda legge della dinamica.
Cosa dice esattamente?
Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice risultante applicata, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza stessa è stata esercitata.
Questa è la versione originale newtoniana, che può anche essere trasformata un pochino per renderla ancora più comprensibile. Lo fa lo stesso Newton:
Posto che una qualche forza generi un movimento qualsiasi, una forza doppia ne produrrà uno doppio, e una tripla uno triplo, sia che sia impressa istantaneamente, sia gradatamente ed in tempi successivi.
Beh... cerchiamo di esprimerla con parole nostre (ma ci sono tanti modi per enunciarla, a seconda di cosa si vuole mettere in luce), pensando proprio al moto di un corpo. Esiste, in Natura, una grandezza tipica per qualsiasi corpo che rimane costante sempre e comunque e che lo caratterizza perfettamente: la massa (non pensiamo alla relatività... mi raccomando). Questa grandezza è data dal rapporto tra due altre grandezze che sono, però variabili: una è la forza che agisce sul corpo e l'altra è legata essenzialmente alla variazione del moto del corpo e la chiamiamo accelerazione. Ciò che è fondamentale è che il loro rapporto, cioè la massa m, rimanga costante:
m = F/a
Se F cambia deve cambiare anche a, in modo che m non subisca alcuna variazione. Ciò vuol dire che se aumento la forza deve aumentare la "capacità" del corpo di muoversi e viceversa. Se si annulla la forza, il corpo passa nell'ambito della prima legge e si muove di moto uniforme. Non può certamente fermarsi dato che ormai è stato messo in moto e la sua pigrizia lo vieterebbe. Per fermarsi avrebbe bisogno di una forza uguale e contraria. ma non scendiamo in particolari che dovrebbero essere dominio di tutti e poco importano per le nostre equazioni differenziali.
Immaginiamo, allora, che la forza F sia costante. Di conseguenza deriva subito che la'accelerazione è anch'essa una costante e possiamo scrivere:
a = F/m = cost.
Ma cos'è l'accelerazione? Beh... è una variazione del moto uniforme. Infatti, se la forza si annulla, si torna a velocità costante. Possiamo perciò dire che l'accelerazione è la derivata della velocità, in quanto ci dice come varia quest'ultima in funzione del tempo. Se la forza è costante, lo è anch'essa e ci dice che la variazione della velocità è costante. In altre parole, il corpo si deve muovere in modo sempre più rapido dato che la velocità cresce col tempo (o, se la forza è negativa, rallenta).
Possiamo perciò scrivere la nostra equazione differenziale:
d2x/dt2 = F/m = cost.
E iniziare a integrare rispetto a t (è del tutto inutile separare le variabili...)
∫(d2x/dt2)dt = ∫(F/m) dt = (F/m)∫dt
Ma l'integrale della derivata seconda non è altro che la derivata prima! Si ha quindi:
dx/dt = (F/m) t + c1
Il primo membro è però la velocità del corpo che, in questo caso non è assolutamente una costante, ma varia linearmente col tempo, secondo una funzione che è proprio una retta.
v(t) = (F/m) t + c1 .... (3)
Il nostro scopo è però quello di arrivare al moto del corpo e siamo ancora in alto mare avendo tra i piedi una derivata. Niente da fare, dobbiamo integrare un'altra volta...
∫dx/dt = ∫((F/m) t + c1) dt = ∫(F/m) t dt + ∫c1 dt (ricordando che l'integrale di una somma è uguale alla somma degli integrali)
Al primo membro otteniamo proprio x (finalmente). Al secondo abbiamo l'integrale di t. In pratica vuol dire quale funzione ha come derivata t (a meno di una costante)? beh... (1/2)t2, dato che la sua derivata è proprio 2(1/2)t = t.
Possiamo allora scrivere
x(t) = 1/2 (F/m) t2 + c1 t + c2 .... (4)
Questa è la soluzione generale del nostro problema. Le costanti c1 e c2 dipendono ovviamente dal caso particolare che vogliamo trattare, ossia dalle condizioni iniziali. Poniamoci ad esempio nel caso in cui lo spazio x venga misurato al tempo zero nella posizione zero.
Questo fatto comporta che la (4) diventi:
x(0) = 1/2 (F/m) t(o)2 + c1 o + c2 = 0
ossia
c2 = 0
La nostra equazione del moto diventa, perciò:
x = 1/2 (F/m) t2 + c1 t
Per trovare la c1, in base alle condizioni iniziali dobbiamo utilizzare la (3)
v(t) = F/m t + c1,
Poniamo, allora, ad esempio, che all'istante t = o il corpo passi dalla posizione zero quando ha già una certa velocità v0 (attenzione non è una costante, ma è la velocità all'istante zero)
v(0) = F/m (o) + c1 = v0
ossia c1 = v0
La nostra soluzione "particolare", ossia dipendente dalle condizioni iniziali, diventerebbe:
x = 1/2(F/m)t2 + vo t
Se, volessimo, addirittura, fare partire da fermo il nostro corpo, avremmo che anche la velocità iniziale dovrebbe essere zero e quindi l'equazione si ridurrebbe a
x = 1/2 (F/m) t2
Ovviamente, ci siamo portati dietro F/m per correttezza, ma dobbiamo capire bene che F/m è una costante, ossia un numero che dipende dal problema generale che ci siamo posti. In altre parole ci dice che l'accelerazione è una costante, come, ad esempio, nel caso della caduta dei gravi per effetto della gravità terrestre. In quel caso F/m = accelerazione = 9.8 m/s2, come sappiamo tutti molto bene. Anzi, m non ha alcuna importanza dato che la forza che entra in gioco è la forza di gravità che è data da
F = GmM/r2 e, quindi, m sparisce dal calcolo:
F/m = (GmM/r2)(1/m) = GM/r2 indipendente dalla massa del corpo!
Ma non lasciamoci trasportare da leggi "particolari", l'importante è che abbiamo risolto un'equazione differenziale ordinaria del secondo ordine (compare la derivata seconda).
La legge del moto (la legge oraria) trovata è una funzione ben conosciuta: la parabola che passa per l'origine oppure no a seconda delle condizioni iniziali.
Nota Bene: Abbiamo trovato una parabola, ma questa esprime la legge del moto lungo un solo asse, ossia lo spazio è a una sola coordinata. Non confondiamola con la traiettoria del moto parabolico di un proiettile. Anche quella è una parabola, ma è una parabola nello spazio a due dimensioni. In altra parole nel caso del proiettile è la forma della traiettoria che diventa una parabola nel piano (x,y). Ciò che abbiamo fatto in questo articolo è invece scoprire che la variazione di una sola coordinata rispetto al tempo ha un andamento di tipo parabolico: la parabola si evidenzia nel piano (x,t).
QUI il capitolo precedente
QUI il capitolo successivo
QUI l'intero corso di matematica
6 commenti
Volevo fare un'altra domanda sempre sulla legittimità di separare la notazione dx/dt ma stavolta nel caso della derivata seconda.
Partendo da
d2x/dt2 = F/m = cost = k
se volessi risolvere con la separazione delle variabili, avrei che
d2x = k*dt*dt
integro due volte primo e secondo membro
∫∫d2x = ∫∫k*dt*dt
Arrivati a questo punto:
a secondo membro ho l'integrale di una forma differenziale
invece l'integrale del primo membro cosa significa? (o per meglio dire) è un integrale ben posto? quale forma differenziale sto integrando? Penso non ci siano dubbi che a primo membro otterremo x e non 1/2*x^2. Quindi l'integrazione fatta a primo membro va interpretata diversamente rispetto all'integrazione fatta a secondo membro? Mi sembra che si tratti un po' di una forzatura nata dal fatto di avere separato un oggetto d2x/dt2 che (forse) non può essere trattato come un semplice rapporto tra quantità finite.
Rileggendo ciò che ho scritto mi rendo conto che tutto questo è forse una discussione sul sesso degli angeli......
Grazie per la pazienza.
p.s. spero che apici e pedici siano visualizzati correttamente
perchè quando il commento viene pubblicato apici e pedici si perdono ????
Purtroppo, MarcoC, quei pulsanti non hanno mai fatto il loro dovere. Forse sarebbe meglio toglierli...
L’unico modo per pubblicare una formula scritta in modo corretto è usare Latex: devi cliccare sul simbolo fx nella barra degli strumenti per accedere all’editor online e compilare la formula che poi verrà copiata nel commento.
In alternativa, puoi scrivere il tutto con carta e penna, scannerizzare e inserire nel commento l’immagine.
Se non sono stata esauriente e hai bisogno di ulteriori spiegazioni, chiedi pure...
Caro MarcoC,
il primo integrale doppio non è altro che l'integrale dell'integrale di d(dx). L'integrale di d(dx) non è altro che dx e quindi abbiamo l'integrale di dx che vale, ovviamente, x. E' solo questione di scrittura...
Ringrazio Daniela per il suggerimento.
Adesso provo:
scritto così mi sembra tutto più chiaro.
Un saluto.
senz'altro !