19/11/20

Un colpo di fortuna "stellare" **

Sappiamo bene che, normalmente, i tempi evolutivi delle stelle e delle loro interazioni sono  fuori dalla portata del tempo umano che scorre troppo velocemente. Riuscire a cogliere sul fatto un evento veramente rapido per tempi scala stellari rimane, tuttavia, un vero colpo di fortuna. Ogni tanto, però, capita...

La grande fortuna della ricerca astrofisica è legata soprattutto alla "lentezza" della luce. Solo essa, infatti, ci permette di descrivere la vita degli oggetti cosmici che hanno durata di milioni o miliardi di anni. Se la luce viaggiasse a velocità infinita, vedremmo tutto ciò che appare oggi, in questo momento, e sarebbe ben difficile capire come si siano evoluti gli oggetti cosmici: per noi ci sarebbero una infinità di oggetti dalle caratteristiche diverse, ma senza nessun legame tra loro.

La lentezza della luce fa sì , invece, che ciò che giunge oggi ai nostri occhi è avvenuto in tempi diversi dell'Universo (l'argomento lo abbiamo approfondito QUI) e l'evoluzione di un certo oggetto può essere seguito dalla sua nascita fino alla sua maturità. Non certo attraverso un unico oggetto, ma attraverso le varie fasi che i suoi fratelli ci mostrano oggi, relative a istanti diversi della loro vita. Una galassia impiega miliardi di anni per passare da una fase primitiva a una simile a quella della nostra Via Lattea? Nessun  problema... la distanza da noi e, quindi, il tempo che la luce ha impiegato per portarci l'informazione riesce a mostrarci una tipica galassia sia quando era ancora in fasce (la sua luce ha impiegato miliardi di anni per colpirci) sia quando è già anziana (la sua luce ha impiegato pochi milioni di anni per farsi notare). Ovviamente, è anche possibile vedere anche tutte le fasi intermedie.

Il vero problema nasce quando un certo fenomeno stellare avviene su tempi scala estremamente ridotti per loro, anche se per noi sono sempre dell'ordine delle migliaia di anni. Ci vuole una bella fortuna a cogliere l'attimo, a meno che non sia un fenomeno talmente frequente che capiti in modo quasi continuo. Ad esempio, ciò avviene per le esplosioni stellari o per la fine di stelle più piccole, come il Sole. Nel primo caso abbiamo le supernove, talmente "frequenti" che ad ogni istante se ne può vedere qualcuna in qualche galassia. Un fenomeno che dura poco, ma che capita un po' ovunque e lascia segni ben visibili. Analogamente si comportano le stelle di tipo solare: esse perdono materia e danno luogo alle splendide nebulose planetarie. La loro durata, come quelle delle supernove, non è lunghissima, ma la frequenza è tale che riusciamo a vederne un po' ovunque.

Se il fenomeno non è frequente e se il momento critico avviene  in tempi scala veramente irrisori per la stella, la faccenda si complica. E si complica ancora di più se le fasi successive all'istante "zero" assomigliano terribilmente ad altri fenomeni completamente diversi.

La fortuna, però, ci ha aiutato a risolvere un mistero che durava da sedici anni, quello relativo alla nebulosa dell'anello blu (Blue Ring Nebula), Una bellissima nebulosa molto simile, a prima vista, a una nebulosa planetaria o, anche, al resto di una supernova. Ma solo apparentemente ...

La Blue Ring Nebula. Fonte: Mark Seibert

Innanzitutto, per vederla ci sono voluti degli occhiali ultravioletti, il che era già qualcosa di strano. Soprattutto, però, al centro della nebulosa c'era una stella viva e vegeta e non una stella di neutroni (o addirittura un buco nero) e nemmeno una nana bianca. Insomma, non si trattava certo di una stella degenere, anche se la sua composizione dimostrava che pur sembrando giovane e attiva, nascondeva, invece, un personaggio molto in là con gli anni. Oltretutto, la velocità di espansione della nebulosa era troppo lenta per essere associata a una supernova e troppo veloce per riferirsi a una nebulosa planetaria. Insomma, c'era materia che veniva espulsa, ma non c'era nessuna ragione per cui ciò potesse avvenire.

Le ricerche sono continuate per sedici anni, con telescopi sempre più potenti e attenti. Ci si è accorti che attorno alla stella vi era un disco di materia e che l'aspetto da  "bolla di sapone" era dovuto alla direzione di vista. In realtà, si trattava di due coni di materia che scontrandosi con il mezzo interstellare, lo eccitavano e si rendevano visibili nell'ultravioletto più lontano. Una forma a doppio cono o -se volete- a farfalla, come ci hanno già mostrato più volte le nebulose planetarie, divertendosi con noi e mettendoci in difficoltà con le forme più strane come la celebre nebulosa "rettangolare" . Restava, comunque, il fatto che non poteva trattarsi della fine di una stella solare, sia per le caratteristiche della stella centrale sia per la composizione del disco e dei getti ortogonali al disco.

Ecco un bel video che descrive la nostra nebulosa (Fonte: Credit: NASA/JPL-Caltech/R. Hurt)

Uno dei coni è diretto verso la Terra. La parte blu rappresenta il materiale dietro l'onda di shock che diventa visibile solo dove i due coni si sovrappongono.

Recentemente, si era anche pensato a un super pianeta che perturbasse il disco e spandesse materia tutt'attorno, ma era un'ipotesi molto dura da dimostrare, dato che il pianeta doveva essere "troppo" grande.

Finalmente, il colpo di genio, confermato da molti altri segni, meno spettacolari, ma più che decisivi: si stava vedendo, per la prima volta, una fase di evoluzione stellare,  un momento estremamente breve e critico, ossia l'unione di due stelle proprio pochissimo tempo dopo la loro unione.

La figura che segue mostra le varie fasi dell'unione:

Due stelle (a) legate gravitazionalmente (una molto più piccola dell'altra) si uniscono. In questa prima fase, la secondaria si "sgretola" e viene ingoiata dalla primaria (b) e si forma un disco (b e c) composto dal materiale di entrambe le stelle. Il disco (visto di taglio)  costringe la materia a espandersi verso due coni opposti tra loro (d ). Mentre i coni si espandono, si scaldano per effetto dell'urto contro la polvere interstellare (e). La fase che è stata "scoperta" per un colpo di fortuna è proprio quella rappresentata da (d) e da (e). Prima di (b) abbiamo due stelle molto vicine tra loro che si uniscono, dopo (e) abbiamo solo una stella che non mostra segni di materiale espulso (Fonte: Keri Hoadley e Caltech).

L'unione di stelle non è, di per sé, un fenomeno raro. Tuttavia, è molto più facile vederla nelle fasi precedenti, ossia quando le stelle cominciano  ad avvicinarsi una all'altra e creano un disco di materia che ostacola la visione di un fenomeno così intimo, oppure quando ormai si è avuta l'unione e la nuova stella ringiovanita (un po' come le vagabonde blu) si è ormai liberata degli effetti collaterali e vive senza nebulosità che ricordi una fase così breve e "privata".

E', quindi, abbastanza facile pensare che se ne possano trovare altre, cercando però con più attenzione, senza confondere questo fenomeno con fenomeni più "comuni", ma completamente diversi.

Articolo originale QUI

Lasciatemi esprimere una delle mie solite considerazioni molto personali: la ricerca vera è riuscita a spiare e a fotografare un momento estremamente intimo di una coppia stellare, con buona pace della "privacy". Tuttavia, sappiamo bene che ciò che riusciamo a "vedere" è sempre un regalo del Cosmo. Noi miglioriamo le tecniche, ma sono le stelle a decidere. Possiamo dire, quindi, che esse ci mettono alla prova, svelando anche i segreti che durano un loro attimo (migliaia di anni). Loro si fidano (ancora) della nostra capacità di comprensione...

Tra migliaia di satelliti commerciali che rigano tutto il cielo, bagliori luminosi dovuti alla  spazzatura spaziale, noi stiamo facendo di tutto per dimostrare il crescente disinteresse verso i fenomeni celesti. Chissà se arriverà il momento in cui il Cosmo deciderà di non mandarci più informazioni e non ci riterrà più degni di regalarci la fase successiva? Per capire quest'ultima frase allego di seguito un vecchio racconto che potrebbe cadere proprio a fagiolo...

 

LIVELLO SUPERIORE

La Scienza aveva fatto passi da gigante, soprattutto in campo astronomico. L’Universo sembrava non avere più segreti. Si era finalmente capito perfettamente il meccanismo di nascita, evoluzione e morte delle stelle. Si erano intuite e descritte le caratteristiche peculiari che creavano la variabilità degli astri ed il tutto si inseriva in un contesto semplice e molto regolare. Come sempre, d’altra parte, le leggi della Natura non sono mai troppo complicate, quando alla fine si comprendono. La loro apparente astrusità è dovuta solo a tentativi non riusciti di descriverle coerentemente. Anche la nascita delle galassie e loro differenze erano in fondo banali conseguenze di poche e sintetiche equazioni.

Era oggi incomprensibile pensare che fior fiore di astrofisici avessero passato secoli nel cercare di decifrare fenomeni che apparivano adesso di una logica elementare. Poco alla volta si capì anche cosa realmente accadeva all’interno dei buchi neri e si descrissero tutte le possibilità di entrata e di uscita da quelli che una volta erano stati giudicati i “cannibali” dello spazio. Altro che cannibali. Si formulò con rigorosa precisione la possibilità di sfruttarli come macchine del tempo, per muoversi non solo nello spazio ma anche avanti e indietro nei secoli.

L’ultimo problema che si stava risolvendo era quello relativo al “Big Bang” ed alla trasformazione dell’energia pura in materia. Le teorie più recenti aiutarono molto nel risalire alle origini. Furono formulate rigorosamente le reazioni che avevano creato le quattro forze fondamentali della Natura e si compresero automaticamente anche la difficoltà che l’uomo aveva dovuto incontrare per riuscire ad osservare direttamente l’antimateria e le onde gravitazionali. Era ovvio, adesso, che si era compreso il meccanismo di base.

Si dimostrò che la descrizione accurata di tutto l’Universo presente, passato ed anche futuro rientrava perfettamente in un unico schema rappresentabile con poche equazioni. Si arrivò così al milionesimo di milionesimo di milionesimo di secondo dopo l’esplosione iniziale. Per fare l’ultimo passo, ossia arrivare al “tempo zero”, all’atto della creazione di tutto, era necessario però uno sforzo molto grande e solo il computer più evoluto del mondo avrebbe potuto mettere insieme tutti i dati in possesso e fornire il piccolo ma fondamentale passo conclusivo.

Tutta l’umanità aspettava con ansia quel decisivo tassello finale. Erano passati secoli di studio, di fatica e di insuccessi per arrivare a ciò, sacrificando per l’astrofisica teorica la maggior parte delle risorse mentali e materiali del pianeta Terra. Si erano costruiti immensi acceleratori di particelle, si erano simulate in laboratori costosissimi le condizioni degli interni stellari. Si erano addirittura approntate apparecchiature che mostravano in miniatura tutte le fasi evolutive di una galassia. Fu perfino creato un mini-buco nero, che aveva agevolato notevolmente la soluzione uno degli enigmi più ostici della storia della scienza.

Dopo secoli di guerre, distruzioni e sprechi, l’umanità aveva finalmente capito qual era il suo compito e si era dedicata, ognuno con le proprie capacità, a risolvere i misteri dell’Universo. Per ottenere questo risultato che ormai sembrava a tutti l’unico per cui valesse veramente la pena lavorare, faticare e soffrire, si era preclusa all’uomo la possibilità di vedere da vicino le meraviglie che pian piano venivano descritte dagli scienziati. Si erano dovuti abbandonare i viaggi spaziali e non si era mai usciti dal Sistema Solare. D’altra parte una drastica decisione doveva essere presa: non vi erano fondi sufficienti per perseguire entrambe le possibilità.

Si era scelta, all’unanimità, la soluzione della mente. Nessuno però ne ebbe mai rimpianto. Era bellissimo sapere che ogni individuo, dal più istruito al più umile, conosceva perfettamente l’interno del Sole, le sue reazioni nucleari più complesse e lo vedeva come un amico di famiglia e non come un astro da voler visitare da vicino. E lo stesso valeva per le stelle, le nebulose e le galassie.

Venne infine il giorno in cui il calcolatore elettronico preparato per descrivere la prima infinitesima frazione di secondo del nostro Universo fu pronto al calcolo finale. Si inserirono velocemente tutti i dati, le formule, le leggi fisiche conosciute e si attese l’ultima risposta per chiudere secoli e secoli di ricerca pura. Dopo poche ore, mentre la notte era già scesa al laboratorio che lo conteneva, la schermata del computer diede l’equazione finale. Ancora una volta era di una semplicità disarmante. L’uomo ce l’aveva fatta! Gli scienziati uscirono dalla stanza in preda ad una gioia incontenibile e si diressero verso l’uscita pregustando già l’indomani, quando la notizia sarebbe stata resa di dominio pubblico.

La notte era fredda e particolarmente luminosa. Tutti voltarono gli occhi all’insù e videro nel cielo stellato un’enorme scritta fosforescente...

 

 

1 commento

  1. Mario Fiori

    Carissimo Enzo che dire, la meraviglia delle scoperte che facciamo è affascinante, ma non sembriamo appunto troppo disposti a contiuare nelle scoperte, a noi piace coprire il cielo di satelliti per comunicare: il problema che comunichiamo cose insulse molto spesso e quindi doppio danno.

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