Categorie: Storia della Scienza
Tags: ciclo biogeochimico Fiorentino Bevilacqua Giordano Bruno
Scritto da: Vincenzo e Daniela
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GIORDANO BRUNO (5): Domande su Giordano Bruno (di Fiorentino Bevilacqua)
Riproponiamo, suddividendola in alcune puntate, la nostra analisi del pensiero e delle opere di Giordano Bruno, ovvero colui che possiamo considerare il vero iniziatore dell'astrofisica e della cosmologia moderna.
Fu, infatti, questo piccolo monaco (ma solo di statura), quando Galileo ancora era poco più che un bambino, a frantumare le "granitiche" sfere di cristallo aristoteliche con la sola forza del pensiero, riuscendo a volare là dove nessun altro arriverà per oltre tre secoli dopo di lui.
(QUI l'articolo completo, pubblicato il 23/1/2018)
Un grazie a Fiorentino per aver accolto l'invito a condividere questa sua riflessione su Bruno con tutti noi. E' riuscito a rendere bene l'idea, tramite un esempio concreto, di come Bruno potrebbe essere arrivato a certe deduzioni, ai tempi considerate visionarie, ma successivamente confermate dalla ricerca scientifica. Non fortuna, quindi, né "magia", ma logica, intuito, capacità di guardare oltre la limitatezza dei propri sensi e, perché no, forse anche un pizzico di fantasia che alle menti geniali non manca mai.
Questo spunto potrebbe intitolarsi… vertigini o approccio.
Vertigini… perché sono quelle che mi vengono alla sola idea che io (avendo ricevuto un invito a leggere alcuni scritti del Nolano e a dire cosa trovo in essi), io che non ho avuto mai grossa familiarità e frequentazioni con la Filosofia, debba dire qualcosa su aspetti forse inesplorati di Giordano Bruno.
Siccome, però, la cosa si basa soprattutto su considerazioni di tipo “naturalistico”, non filosofiche, allora provo a fare, quanto meno, una premessa e, quindi, ecco il motivo di quello che potrebbe essere il secondo “titolo”: approccio.
Come leggere Giordano Bruno? Cosa cercare?
Se il Nostro, quattrocento anni fa, avesse scritto che è possibile ricavare grandi quantità di energia dividendo o unendo l’indivisibile, e io fossi un uomo del primo ottocento… non avrei scampo: quella affermazione, per me, non avrebbe alcun senso.
Essendo però io figlio di un mondo che ha usato l’energia atomica (anche a sproposito), so a cosa potrebbe essersi riferito con quella frase; quelle parole, per me, non avrebbero alcuna difficoltà ad essere comprese: si riferirebbero ai processi di fissione e fusione nucleari.
Questo che cosa vuol dire? Che, dal punto di vista delle conoscenze acquisite dalle Scienze della Natura, ed eventualmente presenti nelle opere di Giordano Bruno perché da egli intuite o ricavate in base ad osservazioni e deduzioni logiche, si può avere un duplice tipo di approccio, là dove egli non fosse stato chiaro nel descrivere i fenomeni (e qui sorge un’altra domanda: perché non lo sarebbe stato?).
- Si può cercare di riconoscere, in espressioni apparentemente “oscure”, apparentemente “ermetiche” (ritorna la domanda: perché tali?) la descrizione di fenomeni a noi oggi chiari, noti e conosciuti.
- L’altro approccio potrebbe essere quello di analizzare, ancora più approfonditamente, espressioni, frasi parimenti incomprensibili che rimanessero tali anche alla luce di tutte le conoscenze fin qui acquisite e darne (rischiando) delle interpretazioni che finirebbero per essere delle previsioni su sviluppi futuri della scienza.
Perché le espressioni di Bruno anche là dove esse si riferiscono, sembrerebbe, a fenomeni a noi oggi noti, sarebbero, in alcuni casi, oscure?
Mi rifaccio alla questione dei cicli biogeochimici cui si è già accennato in precedenza (QUI)
Qui un esempio di ciclo https://it.wikipedia.org/wiki/File:Ciclo_dellAzoto.jpg
Come poteva conoscere egli il fenomeno?
Secondo me doveva essere un grandissimo osservatore dotato di una mente predisposta a fare, con facilità e coraggio, grandi sintesi.
Provenendo da una zona rurale, alla periferia di una grande città, Napoli, che viveva dei prodotti della terra coltivati anche nelle proprie zone di origine, probabilmente aveva notato le produzioni orticole in cui, da una piccola piantina messa a dimora nel terreno, veniva fuori una pianta sempre più grande, sicuramente a spese o grazie a “qualcosa” prelevato dal terreno. Scavando nel terreno e indagando un po’, avrebbe potuto notare che, in esso, non c’erano piccoli pezzettini preformati di insalata, o di altre essenze vendute poi ai consumatori. Avrebbe anche potuto notare come, al terreno, “qualcosa” doveva essere “restituito” nel momento in cui, su di esso, veniva posto lo stallatico (concime organico che viene ricavato da deiezioni di animali da stalla) che, poi, in esso veniva interrato. Se avesse esaminato il suolo qualche tempo dopo l’aratura, non avrebbe più trovato le pagliuzze, per esempio, presenti nello stallatico ed in esso interrate qualche tempo prima.
Inoltre nel suolo venivano interrati, magari, anche resti animali (che poi “scomparivano” come tali) e, quindi, gli ortaggi che poi vi nascevano e diventavano parte di chi li avrebbe mangiati, uomo o bestia, potevano contenere anche i… “resti” di quell’animale; gli scarti della verdura, poi, venivano mangiati anche da animali da cortile, a loro volta mangiati dall’uomo o da altri animali; e le produzioni orticole, potevano essere mangiate, con danno per il contadino, anche da chiocciole e limacce (a loro volta mangiate da ricci e coleotteri), da insetti ( a loro volta mangiati da uccelli o altri insetti), da roditori (a loro volta mangiati da rettili e uccelli) e così via. Tutti avrebbero “inglobato” in se’ l’insalata e la pagliuzza di stallatico diventata insalata; tutti, una volta morti e… ridiventati “cenere” (il concetto, c’era), terreno, suolo, sarebbero diventati di nuovo insalata che, mangiata dall’uomo, avrebbe visto trasferirsi in questo la limaccia, lo stallatico, l’uccello, il riccio… e persino il topo.
Dovunque avesse fatto queste osservazioni, comunque le avesse fatte, queste conducevano ad una sola conclusione: <<…molti ed innumerevoli individui vivono non solamente in noi, ma in tutte le cose composte; e quando veggiamo alcuna cosa che se dice morire, non doviamo tanto credere quella morire, quanto che la si muta>> e <<non è cosa nostra che non si faccia aliena e non è cosa aliena che non si faccia nostra>>.
Sembra chiarissimo: “molti ed innumerevoli individui, mutati, vivono in noi”.
Non poteva esprimersi meglio di come ha fatto: lui stesso, oltre che la sua epoca, non aveva i mezzi, gli strumenti per farlo.
Quelle espressioni, lette dai suoi contemporanei, erano, probabilmente, incomprensibili, senza senso (forse anche blasfeme per chi aveva una certa concezione dell’uomo); lette da noi, a quasi duecento anni dai primi studi in chiave dichiaratamente “ecologica”, rappresentano qualcosa di possibile interpretazione in chiave ecologica e, se così è, una testimonianza del suo gande genio.
Una ulteriore domanda: quella descritta, ricostruita, è veramente la genesi del suo pensiero in questo campo o, questo pensiero, è frutto degli insegnamenti da lui ricevuti?
Sicuramente prende le mosse da quanto appreso durante la sua formazione (ermetismo, “naturalismo”, neoplatonismo, atomismo etc), ma per stabilire qual è il suo contributo originale è necessaria una analisi approfondita di tutto il suo pensiero in riferimento alle “filosofie” di cui sopra e ai loro contenuti che devono, perciò, essere conosciuti da chi operasse questo raffronto.
Fiorentino Bevilacqua
(20.02.2018)