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Scritto da: Daniela
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La visione di Ezechiele: l’indeterminato e il DNA spazzatura (di Fiorentino Bevilacqua)
Torna a farci visita il caro amico Fiorentino con una riflessione molto personale e profonda, che costituisce il naturale compimento di quella iniziata col suo originale approccio al "Paradosso Fermi".
Non ho niente da aggiungere alle articolate e documentate argomentazioni, se non due frasi, attribuite a Michael Faraday, uno dei più grandi fisici sperimentali di tutti i tempi (i cui esperimenti su elettricità, magnetismo e luce aprirono la strada all'elettromagnetismo di Maxwell prima e, di conseguenza, alla Relatività di Einstein poi):
"Nulla è più difficile e richiede più cura della deduzione filosofica [leggi: scientifica], né c'è cosa più contraria alla sua accuratezza della fissità di opinioni. L'uomo che è certo di aver ragione è quasi sicuro di aver torto, e ha l'ulteriore sfortuna di rimanere inevitabilmente così".
"È straordinariamente grande la forza che ci spinge a cercare evidenze e apparenze tali da essere a favore dei nostri desideri, e a trascurare quelle che vanno loro contro. Da questo punto di vista siamo tutti, più o meno, attivi promotori dell'errore"
Questo il commento di Vincenzo Zappalà:
Non sono d'accordo su tutto ciò che scrive Fiore. Tuttavia, nella sua esposizione si legge una passione e una volontà enorme di indagare e di cercare di vedere la realtà sotto angolazioni diverse. I suoi bias esistono sicuramente, anche se secondo me non portano facilmente al negazionismo tanto pericoloso. In ogni modo, poco importa il mio pensiero a riguardo. La sua è opera degna e profonda e come tale deve essere letta e valutata con la propria mente. Io non voglio assolutamente pubblicare solo ciò che torna con il mio pensiero. Faccio un esempio: se qualcuno discutesse del GW con dati alla mano, senza bias preconcetti, potrebbe benissimo mettere in crisi le mie convinzioni. Mi arrabbierei? Assolutamente no, anzi lo ringrazierei per avermi aiutato ad aprire una nuova finestrella nel mio cervello ricco di muri ed ostacoli che sicuramente ho predisposto per semplificare la mia fatica mentale. Insomma, ben venga l'articolo di Fiore, estremamente utile a tutti coloro che hanno ancora voglia di pensare. Poco importa se si è favore o no... l'importante è che stimoli il pensiero e ci prospetti visioni alternative, logicamente costruite. Sono perciò onorato di pubblicare un tale sforzo riflessivo, capace sicuramente di lasciare un segno importante in ciascuno di noi e, magari, abbattere, anche se solo in parte, certi muri insormontabili. C'è riuscita la MQ con l'effetto tunnel e allora perché non continuare ad analizzare la realtà nostra, locale, piccola e forse realmente distorta? Grazie Fiore! Il blog è a tua disposizione!!!
BUONA LETTURA!
La visione di Ezechiele: l’indeterminato e il DNA spazzatura
(di Fiorentino Bevilacqua)
Nel precedente Taccuino di viaggio, quello dedicato al Paradosso di Fermi, ho accennato a “negazioni” di eventi. Pur non entrando, in questa sede, nel merito di quanto a me pare sia negato, mi viene naturale riprendere questo aspetto per guardare più da vicino le possibili cause dei comportamenti di rifiuto che, poi, generano le negazioni.
TACCUINO DI VIAGGIO (2)
"La teoria dell'elettrodinamica quantistica descrive la Natura come assurda, dal punto di vista del senso comune. E, ciononostante, concorda completamente con l'esperimento. Quindi spero di accettare il fatto che la Natura, così com'è, è assurda" (Richard P. Feynman)
Premessa
Nella questione relativa al Paradosso di Fermi, pare faccia capolino (anche se mi sembra sia altamente operante) qualcosa di molto più generale.
E’ una sorta di impostazione, una tendenza, un’inclinazione a pensarla in un certo modo (insomma, si direbbe oggi... un bias cognitivo1) : tutto ciò che esula, di fatto, dall’esperienza supportata e supportabile dall’evidenza scientifica, ma anche dalla più familiare e semplice quotidianità (questo è il presupposto, la caratteristica che deve avere quello che poi diventa l’oggetto del bias2, dell’inclinazione a...), diviene privo, nella nostra valutazione di esso, della credibilità minima necessaria per interessarcene, scientificamente o meno (e questo è il bias, l’inclinazione a non dare importanza a ciò che soddisfa quel requisito).
Questa inclinazione, questo bias (che potremmo definire del “mantenimento della sicurezza acquisita”), genera dei pre-giudizi, giudizi, cioè, valutazioni e “conclusioni”, quindi, che vengono prima dell’analisi, dell’esame di ciò su cui, poi e comunque, ci si esprime. Anzi, si fa a meno, grazie a quella tendenza, dell’esame oggettivo stesso, per quanto esso sia possibile.3,4
Se, così operando, se operando con questo modulo “conoscitivo”, di “indagine”, si giunge ad una determinata conclusione, questa, come le altre cose che abbiamo già appreso (anche senza l’intervento di tale modulo, o che già fanno parte di noi come a priori della specie), e che riteniamo importanti per il nostro esistere, entra a far parte di noi, del nostro essere ciò che siamo.
E’ utile (riteniamo) ed è noi; una parte, magari piccola, ma è noi.
Con essa, grazie anche ad essa, siamo operativi, efficaci, idonei a portare a termine i nostri “compiti biologici” nell’ambiente in cui viviamo.
Se, dunque, pur non essendo essa molto fondata e razionale, siamo, con essa, comunque operativi, vitali, funzionalmente efficaci ai fini della sopravvivenza (per dirla brevemente in termini biologici), essa è da difendere, al pari di tutto ciò che siamo noi, che è per noi importante.
Difenderla da ciò che può metterla in crisi (e che quindi può mettere in crisi, di fatto o nella nostra valutazione, la nostra operatività riducendo, così, la nostra idoneità all’ambiente in cui viviamo) diventa automaticamente importante, al pari della difesa da un virus, da un batterio o da un nemico che in qualche modo ci minaccia.
Ecco allora che, a sostegno della poco fondata (e quindi poco reale) conclusione raggiunta operando col primo bias, quello della sicurezza vera o presunta, entra in campo un altro modo di operare, un altro pattern, un altro bias.
E’ anch’esso poco obiettivo, poco razionale, poco funzionale alla scoperta della verità e della realtà, ma ha il grande pregio (si fa per dire) di rafforzare e difendere la conclusione raggiunta operando con il primo bias: il bias di conferma5.
Dunque: se prima si è giunti, senza analisi adeguata, ad una conclusione che perciò è poco fondata se non addirittura errata, poi, in seguito, per supportarla (visto che fa parte di noi e che tutto ciò che è nostro noi difendiamo), si sta bene attenti a scartare tutto ciò che la mette in dubbio, accettando, e salvando, solo ciò che la conferma.
Verrebbe da dire... dalla padella nella brace, perché questi due bias finiscono per privare ciò che ne è oggetto dello status di “esistente” o, se va bene, di “esistente come tale” e che, perciò, diviene qualcosa da ignorare, da negare o da ricondurre ad altre categorie già note, acclarate ed accettate; operazione quest’ultima che lo derubrica e lo trasforma da minaccia a cosa innocua6.
Sugli UFO...
Come entra questa lunga premessa nel tema del Paradosso di Fermi e, più in generale, in quello degli UFO?
E’ parte integrante dell’approccio all’argomento, visto che gli UFO, intesi come oggetti volanti con caratteristiche di gran lunga superiori a quelli prodotti dell’uomo, con ciò che conosciamo non si spiegano anzi, sono in conflitto con la descrizione che ora possiamo dare del “mondo” e delle leggi fisiche che noi, ora, sappiamo che lo governano 7.
Un esempio.
Negli anni ‘70/’80 del secolo scorso, su un settimanale (probabilmente Panorama o, forse, L’espresso), apparve un articolo che trattava dello studio di uno psichiatra sulla visione di Ezechiele8. In esso si sosteneva che il Profeta non avesse realmente visto ciò che descriveva, ma che la sua “visione” (interpretata da alcuni come descrizione di un ordigno volante e da altri, i teologi, come “visione della Gloria del Signore”) fosse frutto di dinamiche interiori alle quali veniva dato anche un nome ed una categoria di appartenenza: schizofrenia9.
La Scienza, così, metteva fuori gioco sia gli UFO che la religione.
In quella visione, infatti, lo psichiatra in sostanza diceva che non c’era nulla di oggettivo, nessun contenuto reale se non la patologia del soggetto: appunto la schizofrenia (il che, di quella visione, faceva una “visione”).
Con quella “spiegazione”, veniva operata una trasformazione da possibile visione oggettiva, ma inspiegabile e sconvolgente se vera (un ordigno volante complicatissimo, inconcepibile anche per noi oggi, nel VI secolo avanti Cristo!), a tranquillizzante visione fasulla, interiore, spiegabile con le categorie di uno spirito malato: quello di Ezechiele appunto.
Se pur trapassato ormai da secoli, poteva dispiacere per Ezechiele, ma la nostra costruzione del mondo, la nostra rappresentazione scientifica di esso, erano fatte salve.
Questo, forse, era l’involontario, latente “valore aggiunto” (in realtà la motivazione, la causa) di quella spiegazione che, oltretutto, non faceva ricorso ad inaccettabili, in ambito scientifico, categorie di tipo teologico.
Tutto tornava.10
Non poteva certo interagire con Ezechiele, quello psichiatra, ma il corpus delle conoscenze condivise (anche in pieno, tacito accordo col sapere spicciolo dei non scienziati), il comune sentire, quindi, produceva, si “arricchiva” e rafforzava col frutto dell’operato dello specialista che generava la spiegazione tranquillizzante più vicina (e perciò facilmente accettabile) a qualcosa di già noto, già presente nel corpus delle conoscenze acquisite: le dinamiche psichiche.
Un agronomo, un avvocato ed un chimico, in questo caso sarebbero stati poco efficaci.
Non venivano prese in considerazione, quindi, altre ipotesi, compresa quella più semplice ed economica di tutte: cioè che Ezechiele avesse realmente visto ciò che asseriva (e malamente descriveva con il vocabolario di cui disponeva) perché troppo inspiegabile e sconvolgente lo status quo se vera11.
Meglio, dunque, concludere (ipotizzare) che il Profeta fosse insano di mente.12
Successivamente, e fortunatamente però, altri psicologi ed altri psichiatri, di fronte allo stesso tipo di evento aneddotico, hanno agito in modo diverso.
Chiamati ad esprimersi, hanno voluto studiare da vicino gli involontari, moderni epigoni del Profeta, giungendo a conclusioni diametralmente opposte.
Uno di essi, in modo particolare, J. E. Mack, docente della Harvard Medical Shool, ha definito le esperienze narrategli dai testimoni, dagli involontari protagonisti di visioni, contatti e rapimenti (abduzioni), come... “totalmente autentiche”, aggiungendo anche che “non c’è alcuna ragione per credere, per concludere che sia accaduto qualcosa di diverso da ciò che mi è stato riferito”... e specificando, altresì, in piena antitesi con lo psichiatra che si esprimeva su Ezechiele, che i soggetti in questione non erano affetti da patologie che potessero spiegare quanto riportavano13.
Questi scienziati e medici della psiche, hanno operato (mettendo a rischio anche posizione e carriera) come sempre occorre fare nelle vere “indagini conoscitive” su ciò che ci circonda: studiare l’oggetto su cui ci si pronuncerà14,15 .
Bias... e oltre.
Per Leonardo, infatti, la conoscenza è frutto di dati sperimentali (la Sapienza è figliola della sperienza); ma questi dati, avrebbe aggiunto poi Bacone, vanno elaborati: non ci si può limitare a raccogliere informazioni che vengono poi ammassate senza analisi come le formiche fanno coi semi (le formiche il cui comportamento era noto allora...). Bisogna essere come le api che raccolgono ed elaborano16.
Ma se la raccolta e l’elaborazione sono afflitte da modelli comportamentali distorcenti (dei quali per giunta, e come aggravante, non siamo consapevoli) la costruzione che ne risulta non è adeguata, non è realmente rappresentativa di ciò che vuole descrivere.
Con il primo bias operante, infatti, quello della sicurezza, è come se ci si comportasse come i ragni descritti da Bacone giungendo a conclusioni non fondate o malamente supportate perché è come se la formica (indispensabile componente del ricercatore) non raccogliesse, o scartasse, ciò che il ragno (altra componente) teme 17 e, perciò, “disdegna”, derubrica, declassa: in una parola... annulla, azzera... nega l’esistenza18. In questo modo la capacità di sintesi, l’ “ape”, il ricercatore in toto, non ha “dati sufficienti per elaborare una risposta significativa”19 (che però crede di aver dato), per costruire una teoria che si avvicini il più possibile alla ricostruzione veritiera del fatto (diventato...”fatto”).
La non consapevolezza dei limiti imposti dai bias, porta poi alla conclusione (comunque rassicurante) che quella rappresentazione è valida.
L’ulteriore non consapevolezza di eventali limiti biologici, sia per quanto riguarda la percezione che l’elaborazione (significherà pure qualcosa avere un cervello, per esempio, di 5 kg di materia grigia, e magari con una migliore architettura, contro uno da 1 kg oltretutto peggio strutturato), porta poi ad assolutizzare tanto l’informazione percepibile attraverso i fantastici cinque (sensi), quanto le conclusioni in ogni caso raggiunte in base all’elaborazione che possiamo farne.
E’ vero, quindi, che occorre raccogliere dati e analizzarli, confrontarli, sottoporli a verifica e che se non si può fare questo, se non si può “provare e riprovare”, non si può fare Scienza (quella scienza che finora è servita e serve ancora egregiamente, almeno su un certo piano, in un certo intervallo).
Ma escludere dal novero di ciò che esiste un “fatto”, sia pure aneddotico, anche solo per questo, equivale ad assolutizzare quel metodo (e noi stessi come osservatori imparziali, adeguati ed ininfluenti) e, quindi, è quasi come escludere una “cosa” solo perché non è scritta in un qualche libro20: quello che non si può verificare, non si può dimostrare o in qualche modo affermare con i propri metodi e sistemi, siano essi un esperimento o una pagina contenenti verità in qualche modo “certe”, non esiste21..
Ma non è che non esiste per chi non può “trattarlo” con i suoi metodi: della sua non esistenza devono esserne convinti tutti (è il frutto del bias della sicurezza). Non esiste in assoluto; quindi non si studia; al massimo... lo si può ignorare.
Ignorare ciò che turba un qualcosa di stabile già costruito e funzionale (anche socialmente), diventa una sorta di ultimo usbergo di ciò che si è, di ciò che funziona e non si vuole, perciò, “rischiare” di mettere in discussione.
Quelli che, invece, scelgono di non ignorare, occupandosi di ciò che con i bias, invece, verrebbe escluso, finiscono per scontrarsi con la reazione di chi avverte il rischio, la minaccia di una indagine non guidata, non frenata dai bias. E finiscono così anch’essi vittima dei bias che loro, invece, avevano bypassato: vengono anch’essi ignorati e/o inseriti, al pari di ciò che volevano studiare, in categorie sminuenti, delegittimanti, la qual cosa finisce per delegittimare e riaffidare all’oblio, anche ciò che essi dall’oblio volevano riscattare, liberare, affrancare22, 23.
E tutto torna.
Sarà forse una sorta di compensazione, ma sta di fatto che, pur operando sotto l’ignorata influenza di bias distorcenti, ci si senta epigoni di Giordano Bruno24 e, dimentichi che il Nolano dovette leggere l’Elogio della follia di nascosto25,26 (ma gli capitò di peggio...), si costringono altri a “letture” da non dichiarare.
E’ questa una contraddizione logica destinata a rimanere fin quando si ignoreranno i principi biologico-adattativi (o quanto meno fin quanto non se ne ammetterà l’esistenza) alla base del nostro processo conoscitivo27.
Questi principi, noti a chi studia lo “strumento indagante”, forse non sono tenuti in debito conto da parte di chi, usandolo, fa ricerca su quello che c’è fuori di esso... preferendosi assumere che l’osservatore, in toto, non abbia influenza alcuna sul processo osservativo (meccanica quantistica a parte).
Va bene, dunque, come scrive qualcuno, che “il cammino del pensiero si nutre di esperienze e dimostrazioni” (impostazione che condivido) ma esse non devono diventare, come egli scrive, “le nostre uniche armi verso l’indeterminato” anzi, forse, sarebbe meglio se cessassero di esserlo.
Se così non fosse, infatti, si continuerebbero ad avere (nella descrizione dell’universo) due tipi di fenomeni (e le “guerre” ideologiche che ne conseguono): quelli la cui esistenza, comunque sia, è sostenuta dalla “contiguità” con la divinità e quelli che “possono esistere” perché validati e validabili con il metodo scientifico. Quello che esula dai campi di applicazione di questi due magisteri non sovrapponibili28, è da gettare via29: così infatti essi operano (fatte le debite eccezioni), sia sugli UFO che su altro30.
E tutto torna.
Questi due modi di approcciare l’universo, quindi, essendo affetti dagli stessi bias (appartengono ad Homo sapiens sia gli scienziati che i religiosi, tanto i mistici quanto i millantatori), sono due facce della stessa medaglia (...evolutiva)31.
Parafrasando, infatti, Max Born, entrambi gli approcci sono due modi per credere: Esistono due tipi di credenti: quelli che credono nell'incredibile e quelli che credono che la "credenza" debba essere scartata e sostituita dal "metodo scientifico".
Nell’ottica di questo ragionamento, quell’ "incredibile" ha una genesi chiara ma, in ogni caso, se così si continua ad operare (c’è ciò che è “credibile” e ciò che, non essendolo, non merita attenzione alcuna) perdiamo, forse, una parte, credo consistente, di possibile realtà privandoci dell’opportunità di “indagare”, in qualche modo, su di essa.
Cambiando modo di operare, invece, forse potremmo arrivare a scoprire che quell’indeterminato lì è, per la Scienza (e per tutto), quello che il “DNA spazzatura”32 è stato per genetisti e biologi: non più qualcosa da scartare e ignorare perché privo di valore e, dunque, importanza, ma una fonte di nuove scoperte, un arricchimento ed un ampliamento degli orizzonti.
Ma questa è un’altra storia per affrontare la quale servono maggiore realismo (sembra un paradosso) coraggiosa umiltà e, almeno per poter concettualmente cominciare, un approccio scientifico da più angolazioni partendo, dunque, proprio dalla biologia, dallo stesso Darwin e dalla sua discendenza con modificazioni.
Bisognerebbe indagare, infatti, per vedere se limiti biologici abbiamo o se, con noi, Homo sapiens, l’evoluzione non abbia raggiunto la vetta oltre la quale non c’è più nulla: perfetti, tanto da non essere perfettibili. E gli “altri”, gli omini verdi!? Al massimo raggiungeranno (o hanno già raggiunto) la vetta da noi raggiunta ora!
No, non siamo più “antropocentrici”!
Grazie a Copernico, Shapley, Hubble abbiamo abbandonato molte posizioni “centrali” di tipo fisico, astronomico.
Ma ne manca una, che non è di tipo fisico: quella gnoseologica. E’ qui che tornerebbero utili Darwin e la Biologia.
Se infatti scoprissimo, come tutto lascia presagire (e a lasciarlo presagire è proprio l’indeterminato che ogni tanto ci punzecchia), che altri limiti biologici abbiamo (al di là di quelli che producono i rassicuranti bias conoscitivi)33, dovremmo concludere che la nostra posizione non è “centrale” (altro che Principio antropico!) neanche dal punto di vista conoscitivo, delle possibilità di conoscere ed indagare 34.
Sarebbe un dramma, ma anche una straordinaria possibilità di conoscenza: la possibilità di un salto...di una “rivoluzione”.
Ci allineeremmo, così, finalmente ed in toto, a tanti illuminati pensatori del passato ai quali spesso e volentieri ci ispiriamo lodandone, giustamente, lo spirito e il sacrificio.
Ma soprattutto, se così opereremo, assisteremo al nascere di un brulicare di indagini e ricerche che finiranno per edificare un nuovo “edificio” e, chissà, una nuova “città” (un nuovo paradigma) che non disdegna o distrugge quella vecchia ma che, anzi, conservandola, inglobandola ed integrandone in sé delle parti, ci avrà fatto raggiungere nuovi spazi e risultati forse neanche immaginabili in precedenza.35
Probabilmente, però, a causa dei limiti biologici (la cui esistenza può essere facilmente ipotizzata partendo dal lavoro degli evoluzionisti), non sarà “il tutto”, ma sarà meglio di un presente che appare... più schizofrenico del supposto schizofrenico Ezechiele36.
Fiorentino Bevilacqua
02.01.2021
P.S. “Esenzialismo, pensiero teleologico e dualismo intuitivo [il corsivo è mio] rappresentano quindi fondamentali adattamenti cognitivi che hanno generato, come sottoprodotti, la nostra inclinazione a credere al soprannaturale e alle supertizioni in generale” (Giorgio Vallortigara, La mente che scodinzola. Storie di animali e di cervelli, Milano, Mondadori Università, 2011)... Vale sempre il metodo di Leonardo, di Bacone, Galileo... Mack etc, ma credo anche che se i fisici (s.l.) debbano confrontarsi con neurofisiologi e psicologi cognitivi, anche questi ultimi debbano confrontarsi con i fisici (s.s.). Mi sembra, infatti, che certe posizioni siano il frutto di un “sentire” come relativa, giustamente, la mente che percepisce, sente ed analizza ed oggettivo, invece, il mondo fisico analizzato, indagato... ma che in realtà è costruito proprio in base alle “concoscenze” acquisite tramite le indagini prodotte da questa mente-cervello limitata e con tanti bias...
Il cane si morde la coda e non lo sa.
In base alla piena consapevolezza di quanto detto più su, la vera domanda mi sembra essere... cosa c’è là fuori? Senza avverbi come... “veramente”, “realmente” (l’unica specificazione accettabile è... “in toto”). Essi, infatti, sarebbero un atto riduttivo, una contraddizione e, sostanzialmente, un altro morso sulla coda, se a stabilire il vero e il reale fosse chiamata la mente che scodinzola sì, ma che, appunto per questo, lo farebbe con tanti, troppi limiti.
- https://it.wikipedia.org/wiki/Bias_cognitivo Il bias cognitivo: pattern, modello sistematico di deviazione dalla razionalità nel giudizio. N.B. Pur ritenendomi normalmente razionale (e muovendomi preferibilmente e con grande soddisfazione emozionale in questo ambito) ho da sempre provato interesse per certi argomenti da molti ignorati, almeno a certi livelli di indagine. Questa mia inclinazione, anche se riconosciuta, e nonostante tutti gli sforzi per procedere obiettivamente, potrebbe essere fonte di valutazioni poco oggettive. Una parziale autolimitazione a questo, quindi una sorta di “garanzia” che ciò non avvenga oltre misura (!?), nasce, però, proprio dai miei “vincoli funzionali”, da ciò che producono i bias anche in me operanti, oltrepassati troppo i quali, si innescano, anche in me...processi e risposte a feedback negativo, che mi consigliano un ritorno nella iper-razionalità classica. Una sorta di omeostasi, in somma, intorno ad un mobile baricentro esistenziale: il mio (credo, però, che ognuno abbia il suo, più o meno variamente dislocato rispetto a quello altrui). Parafrasando Giordano Bruno, “...Nell'apprender dunque che fa la mente, non può desiderare se non quanto gli è vicino, prossimo, noto e familiare...” (Giordano Bruno, De gli eroici furori, Parte prima, Dialogo IV). Ma se si prova ad andare oltre, troppo oltre, “Poi che spiegat'ho l'ali al bel desio” (idem, Parte prima, Dialogo III) si rischia, un po’ come la farfalla ”sedotta dalla vaghezza del splendore”, di “incorrere nelle mortifere fiamme” (idem, Parte prima, Dialogo V).
- Bias: l’etimologia http://www.treccani.it/vocabolario/bias/
- Se, poi, certe esperienze non fossero sottoponibili al metodo scientifico, questo dovrebbe spingere ad ulteriori, più forti riflessioni, magari anche su base biologico-evolutiva.
- Un riferimento a questo bias comportamentale operante in campo scientifico, astronomico per la precisione, lo si può trovare in Maffei P, Al di là della Luna, Mondadori, 1973. Nel trattare l’inizialmente negletta scoperta dell’allora insolita, rapidissima variabilità di alcune “stelline” da parte dell’astronomo A. van Maanen, il compianto Maffei scrive (pag 153): “Generalmente, l’uomo dimentica volentieri tutto ciò che non riesce ad inquadrare nell’ordine delle cose da lui precedentemente costituito”. Fu la mia prima luce su tale bias, non avendo memoria di quanto forse avevo appreso, in merito, dallo studio scolastico di Bacone. Personalmente, e per chiarezza ulteriore, mi sento estremamente confortato e sicuro (a tutto tondo, anche nelle emozioni) da una visione e da un “sentire” decisamente meccanicistico-materialistici (pur lasciando spazi ad altro, di altro tipo), senza altre implicazioni rispetto a quanto può derivare da ciò che si può toccare o, in breve, percepire attraverso quelli che Mullis chiama, ironicamente, i “fantastici cinque” [sensi è sottinteso] (Mullis K, Ballando nudi nel campo della mente,Baldini e Castoldi, 2019) che danno origine a parte degli idòla tribus baconiani (https://it.wikipedia.org/wiki/Metodo_baconiano ). Credo, però, che il procedere logicamente e lo stesso uso del metodo aprano, inevitabilmente, ad aspetti che, forse, il metodo stesso non può indagare. Di qui, la “crisi” (generale) ma anche il possibile, potenziale arricchimento. E forse la sintesi.
- Il bias di conferma, quale tendenza a muoversi entro un ambito delimitato dalle proprie conoscenze già acquisite https://it.wikipedia.org/wiki/Bias_di_conferma
- Come non ci rendiamo conto di tante funzioni metaboliche, cellulari, elettriche etc indispensabili alla nostra vita, non ci rendiamo ben conto neanche dell’esistenza di questi moduli comportamentali in qualche modo utili alla sopravvivenza. Si può operare con essi attivi, in buona fede credendo di operare con obiettività. Appare ovvio che, una volta abituatisi, collettivamente, ad una nuova idea che in un primo momento appariva minacciosa, anche in modo latente, questa, ora accettata, vada a costituire una nuova categoria rassicurante come le altre.
- Ma questa parolina, “ora”, come la consapevolezza dei bias, è omessa, ignorata... negletta anch’essa. Da ciò nascono altri paradossi o, meglio, altri assunti, anch’essi non dichiarati ma ampiamente operanti. Forse, a questo punto, servirebbe un cambiamento di tipo rivoluzionario, uno di quelli che “implicano scoperte che non possono conciliarsi con i concetti tradizionali ad esse preesistenti” (Kuhn T. S., Le rivoluzioni scientifiche, il Mulino, 2008). Ma le cose, in questo campo, si complicano perché gli eventi in questione sono “del tipo che la scienza definisce aneddotico” perché si svolgono “con modalità che non possono essere riprodotte” (Mullis K, op.cit.). NB: mi rendo conto che già citare Mullis, premio Nobel sì, ma “dequalificato” per via di certe sue narrazioni personali, per altro talvolta mal riportate, proprio in campo ufologico, sia, non ai miei occhi, una sorta di zavorra. Ma si inquadra perfettamente in queste considerazioni; anzi, la sua vicenda, anche la sua vicenda, finisce per essere una testimonianza illuminante.
- http://www.laparola.net/testo.php?versioni%5B%5D=C.E.I.&riferimento=Ezechiele%2001 La visione di Ezechiele così come riportata in tutte le Bibbie circolanti nelle nostre case, problemi di vocalizzazione, traduzione e interpretazione a parte. La Bibbia, dice qualcuno , è un libro scritto da Ebrei per gli ebrei: non può essere tradotta letteralmente senza tener conto della mentalità di chi l’ha scritta e di coloro che ne erano i destinatari (https://www.facebook.com/maghen.davide/posts/358040942305513) . Per le finalità di questa riflessione, ciò è ininfluente.
- https://www.ipsico.it/sintomi-cura/schizofrenia/ Schizofrenia, grave disturbo psicotico
- Anche nell’olio su tavola di Raffaelo è operante il bias della sicurezza (probabilmente sia del pittore che del committente). Nella raffigurazione dell’evento bibblico fatta dall’Urbinate, infatti, sono scomparse “ruote, gambe diritte (forse rigide) e trono come di zafiro”, i “quattro esseri con sembianze umane” ma “ciascuno con quattro facce e quattro ali” ecc.(Ezechiele 1,4). Ciò che non si comprende, che non si inquadra nell’ordine delle cose già conosciuto e stabilito viene, dunque, ignorato, negato, eliminato anche dagli autori di quadri stupendi e affreschi meravigliosi https://it.wikipedia.org/wiki/Raffaello_Sanzio .
- Nell’ipotesi che si trattase veramente di un ordigno volante, quindi di provenienza aliena, si potrebbe vedere, nel fenomeno, una contraddizione con il principio del rispetto delle civiltà meno progredite da parte di quelle più progredite, e magari più evolute, che dovessero scoprirle (principio che sarebbe necessario applicare per evitare lo sconvolgimento delle prime a seguito dell’incontro con le seconde). Questo principio (che si attuerebbe con il non mostrarsi, in modo chiaro ed inequivocabile, delle prime alle seconde) mina il postulato (“Nell’universo, una civiltà che ne scopre un’altra, si manifesta ad essa) necessario alla sussistenza del Paradosso di Fermi. A ben vedere, però, così non è in quanto ci si mostra, sì, ad esseri “inferiori” (in questo caso esuli a Babilonia ed impegnati, nello specifico, in lavori presso il canale Chebar) ma in una forma che può inserirsi, viste le conoscenze dell’epoca, in una cornice “religiosa” che ben essi possono accettare senza traumi di sorta ma, anzi, traendone ammonimenti ed insegnamenti utili (ma questo apre ad altri scenari). La qual cosa, a ben vedere, rappresenta un chiaro esempio di evento che, se inquadrato in un contesto mistico religioso è accettato da una parte dell’umanità ma è rigettata dall’altra, quella che non fa ricorso a “categorie” di tipo religioso. Entrambe, però, lo rigetterebbero se dovessero prenderlo così com’è, come appare, nudo e crudo. Un caos! Un dualismo, quanto meno, inaccettabile ma largamente operante nella nostra società.
- La cosa, per la verità,non è e, in accordo con l’impostazione di questa nota di viaggio, non può essere nuova e meno che generale. Giordano Bruno, per esempio, in De gli eroici furori, fa dire a Minutolo, uno dei due protagonisti del quarto dialogo della seconda parte (pag 188 del PDF al link riportato): “Ho notato un luogo che dice esser stolti e pazzi tutti quelli che hanno senso fuor et estravagante dal senso universale de gli altri uomini. Ma cotal estravaganza è di due maniere...”. Quest’opera del Nolano è reperibile, fra i tanti link disponibili, qui... https://www.teresaconfalonieri.edu.it/attachments/article/1342/De%20gl_eroici%20furori.pdf
- https://it.wikipedia.org/wiki/John_Edward_Mack John Edward Mack, ordinario di Psichiatria alla Harvard Medical School, dopo uno ‘studio pluri-decennale su 200 donne e uomini che riferivano esperienze di abduction [rapimento] da parte di supposte creature aliene’ conclude che ‘nessuna patologia ovvia era presente nelle persone che intervistava’ e che, in conclusione, esse, in sostanza, non mentivano (qui, agli inizi del breve filmato... https://www.youtube.com/watch?v=7SxLmQ5rNOQ ). Una sostanziale patente di realtà.
- La visione di Ezechiele, al di fuori dell’esegesi teologica e di uno studio senza pregiudizi, privata quindi della consistenza di visione reale (ovviamente di qualcosa che, allora più di adesso, è inspiegabile e che, perciò, in quanto tale, “merita” la negazione), è più attinente alle categorie dello spirito di cui si occupa la Psicologia. Sarebbe interessante vedere la lettura che ne darebbero un sindacalista, un meteorologo e un uomo di spettacolo.
- In base alla chiave di lettura che sembra profilarsi, si può pensare che uno dei primi “addotti” di cui si abbia notizia, potrebbe essere stato proprio Enoch, papà di Matusalemme e trisavolo di Noè. Enoch, come si legge in Genesi 5, 22 e 5,24, “camminò con Dio”, “camminò con Dio e non ci fu più” (La bibbia, Milano, Edizioni San Paolo, 2014). Cosa “visse”, quando camminò con Dio (“Dio”) è narrato in due libri (non canonici per la Chiesa cattolica): quello dei Vigilanti e quello dei Segreti. Ma non so se su di lui siano state fatte indagini di tipo medico-psichiatrico. Altre narrazioni che possono far pensare ad eventi dello stesso tipo, sono riscontrabili in una lettera di San Paolo (Seconda lettera ai Corinzi, 12,1 , qui al link http://www.gliscritti.it/dchiesa/bibbia_cei08/nt54-seconda_lettera_ai_corinzi.htm ) e nel Vangelo apocrifo di Pietro, 34 (qui il solo testo https://mikeplato.myblog.it/2017/02/23/vangelo-di-pietro-testo-integrale/ e qui il testo con un utile commento critico https://digilander.libero.it/Hard_Rain/Commento_Vangelo_Pietro.pdf ). Questo, a testimonianza del fatto che “episodi” di un certo tipo, sono tutt’altro che rari e recenti ma anche che, se letti in chiave religiosa, sono “accettati” perché così cessano di appartenere alla categoria che suscita perplessità, sconvolgimento e, quindi, rigetto. Per gli altri, per quelli che non condividono questo tipo di lettura “religiosa”, restano comunque abominevoli e degni di essere rigettati. Tal quali sono, invece, anche dal primo magistero vengono rifiutati. Esistono esempi di altri “parallelismi” insospettati, “vite parallele” accettate dall’uno (previo inquadramento in un rassicurante contesto mistico-religioso) e rigettati dall’altro magistero.
- Bacone : “Coloro che trattarono le scienze furono o empirici o dogmatici. Gli empirici, come le formiche, accumulano e consumano. I razionalisti, come i ragni ricavano da se medesimi la loro tela. La via di mezzo è quella delle api, che ricavano la materia prima dai fiori dei giardini e dei campi, e la trasformano e la digeriscono in virtù di una loro propria capacità” https://www.homolaicus.com/teorici/bacone/bacone6.htm
- “Il giorno in cui si facesse muovere un fuscello di paglia unicamente sotto l’azione della mia volontà, ne rimarrei spaventato. Se l’influenza dello spirito sulla materia non si arresta alla superficie dell’epidermide, a questo mondo non c’è più sicurezza per nessuno”. (Léon Foucault, riportato in Dettore U, La parapsicologia, Milano, SIAD edizioni, 1980)
- Il cardinale Bellarmino (inquisitore di Giordano Bruno e di Galileo), qui sul copernicanesimo: «Perché il dire che, supposto che la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte l’apparenze meglio che con porre gli eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al matematico: ma volere affermare che realmente il sole stia nel centro del mondo, e solo si rivolti in se stesso senza correre dall’oriente all’occidente, e che la terra stia nel 3° cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto pericolosa non solo d’irritare tutti i filosofi e theologi scolastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con rendere false le Scritture Sante» http://disf.org/copernicanesimo-foscarini-bellarmino
- La razionalità dell’Intelligenza Artificiale, nel racconto di Isaac Asimov L’ultima domanda. http://zazzetti.altervista.org/downloads/asimov-ultima%20domanda.pdf
- Quel “quasi come”, me ne rendo conto, può essere letto come irriguardoso ed inaccettabile sia per il mondo della scienza, sia per quello religioso e mistico; ma la sostanza è quella e a questa conclusione induce. Forse, il problema è proprio questo: quello dell’esistenza di due mondi che, così come approcciano il problema dell’indagine conocitiva, partendo l’uno dalla considerazione dell’osservatore come assoluto, decisamente adeguato (attrezzato) ed ininfluente sul processo conoscitivo, l’altro dalla considerazione opposta tanto da rendere l’uomo necessitevole di verità rivelate, non possono che essere antitetici. Ma quest’ultima è solo una piccolissima, minuscola parte del problema.
- Sembra assurdo, ma agendo così è come se la pretesa di applicare il metodo scientifico a certi ambiti, diventasse uno strumento, ne facesse un mezzo per rendere operativi, attivi, i due bias di cui sopra. Il che è un torto grandissimo al metodo scientifico stesso.
- La malattia del Nobel https://scienze.fanpage.it/malattia-del-nobel-quando-anche-scienziati-premiati-come-einstein-alimentano-le-fake-news/ : un esempio tratto dal link ... “Kary Mullis Nobel per la chimica nel 1993, ha sostenuto le teorie più disparate; oltre ad essere anche lui un negazionista dell’Aids [il corsivo sottolineato è mio], crede nelle esperienze di abdution (i rapimenti alieni), ed è anche un negazionista del riscaldamento globale”. Bisognerebbe aver letto gli originali relativi per evitare di distorcere quanto affermato dal “reprobo”, evitando, al contempo, di adagiarsi in un facile solco già tracciato da altri. Mullis, per restare a lui, scriveva anche... “Grazie al Nobel, sono un uomo libero” (op. cit.). Ciò non vuol dire che i Nobel, al pari degli scienziati che non hanno ricevuto tale premio, non possano sbagliare o prendere cantonate (se ne guardano bene, stanno attenti, ma capita); ma il fatto è che, quando lo fanno, senza entrare nel merito di ciò che sostengono, non fanno altro che confermare la natura relativamente adeguata del loro essere “strumenti” di indagine. Se, poi, volessimo mandare al rogo dell’ignominia tutti quelli che hanno fatto, detto, concluso cose fuori dal... paradigma operante nel periodo cui appartiene chi “giudica”, valuta, sentenzia financo (è bene ricordarlo), allora su quelle cataste finirebbero anche Newton (https://www.eventiculturalimagazine.com/archivio-articoli/sir-isaac-newton-occultista-rivelato/ ) , Keplero (https://aispes.net/biblioteca/storia-delle-scienze/il-somnium-di-keplero-tra-fonti-neoplatoniche-e-misticismo-neo-pitagorico/ ), Wallace (https://docplayer.it/162543815-Il-dubbio-di-wallace.html ) e tanti altri e persino... Socrate (http://www.ousia.it/SitoOusia/SitoOusia/TestiDiFilosofia/TestiPDF/Platone/Simposio.pdf), se vogliamo, poco avvezzo, com’era, a bagni ed abluzioni varie (per tacere della sua grande capacità di tollerare le bevande alcoliche), necessari ed ineludili elementi del vivere civile. Se ciò non è avvenuto (e nessuno di loro... aveva vinto il Nobel), è perché i notevoli contributi di costoro alla conoscenza, sono stati “depurati” di ciò che, di volta in volta, era ritenuto, o era, inaccettabile, affidando quet’ultimo all’oblio. Tutto torna. Potremmo anche concludere, ed io lo faccio, che erano tutti molto più ricchi, variegati... umani, di quanto un certo metodo, la necessità di tagliare per produrre (il tao della fisica va anche bene, ma per mandare un razzo sulla Luna occorrono calcoli precisi, adeguatissimi materiali, componenti, principi ingegnieristici, propellenti etc etc), ce li abbia fatti apparire: sono stati ridotti a ciò che di essi “serviva”, era utile e non faceva e fa paura o crea disappunto... Ma è una considerazione mia personale.
- Non tutti, però, operano, se vogliamo, escludenti scelte prudenziali. Qualcuno, forse con la cautela consigliata anche dal timore di pagare un prezzo in termini di credibilità e carriera, si accosta a certi fenomeni. Al link che segue un esempio di ciò, anche se il tema non è quello degli UFO. La testimonianza (ho verificato, e di ciò ringrazio Franco Rol), esiste solo in formato di registrazione audio qui riportata... Essa riguarda il Professor Carlo Castagnoli, fisico, titolare della cattedra di Fisica generale all’Università di Torino all’epoca dell’intervista rilasciata a Remo Lugli, giornalista che si stava interessando dei fenomeni prodotti da Gustavo Adolfo Rol. “Penso – dice il Prof Castagnoli, che successivamente sarebbe passato alla cattedra di Astrofisica e ad altri prestigiosi incarichi – che l’atteggiamento scientifico sia l’apertura e mai la negazione a priori delle cose”(dal link https://www.facebook.com/Gustavo.A.Rol/videos/1480931901975368). Anche l’indagine che eventualmente seguisse, (ma questo certamente non è un appunto al prof. Castagnoli), dovrebbe essere aperta. Nell’intervista, tra l’altro, fanno capolino i bias di cui sopra: dice, infatti, il Professore...“...Io ero molto scettico... poi ho visto una cosa che mi ha fatto una notevole impressione... come ricercatore quasi non ne vorrei parlare.. mi sembra impossibile...”. E infatti, ad alcune cose, anche più “inusuali” di quella raccontata, fa un semplice accenno soltanto dopo lo stimolo dell’intervistatore.
- Giordano Bruno: http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2020/11/09/giordano-bruno-1-la-relativita-classica-e-linerzia/ ma anche... l’ultimo dialogo con il discepolo Sagredo (dal libro “La futura scienza di Giordano Bruno e la nascita dell’uomo nuovo” di Giuliana Conforto): https://quantisticamente.it/lultimo-memorabile-discorso-giordano-bruno-poco-bruciato-al-rogo-dallinquisizione/
- “Eppure, qualche copia dell’Enchiridion [altra opera di Erasmo che, come si legge al link riportato, una volta messa all’Indice fu perseguitata con tanto zelo che la maggior parte delle edizioni in lingua italiana furono, almeno in Italia,effettivamente annientate...] dovette sicuramente salvarsi in Italia se è vero che, forse proprio attraverso quest’opera, Bruno entrò in contatto con le posizioni erasmiane, durante gli anni trascorsi nel convento napoletano di San Domenico Maggiore” https://core.ac.uk/reader/79623170 pag 8
- “[...] fuggí di Roma, perché ebbi lettere da Napoli et fui avisato che, doppo la partita mia da Napoli, erano stati trovati certi libri delle opere di San Grisostomo et di san Hieronimo con li scholii di Erasmo scancellati, delli quali mi servivo occultamente” citato in https://core.ac.uk/reader/79623170 pag 21, nota 44. Cosa sono gli scholi? "...con "scolî" vengono designate brevi osservazioni o spiegazioni scritte da un lettore in margine al manoscritto [...] Il lettore di un manoscritto scrive, sia per uso personale sia per esigenze scolastiche, in margine a un dato brano osservazioni sue o tratte da commentarî [...] Spesso negli scolî vengono citati anche gli autori donde sono state tratte le singole osservazioni" dal link https://www.treccani.it/enciclopedia/scolio_%28Enciclopedia-Italiana%29/
- La fisica innata, le “conoscenze intuitive di base della fisica”, quelle la cui conoscenza “non richiede di essere andati a scuola [...] cioè quella fisica che noi abbiamo in testa e che ci consente di interagire con gli oggetti macroscopici” non sarebbe la stessa se fossimo frutto di una evoluzione svoltasi, tanto per dirne una, in condizioni di microgravità. In ogni caso, questo (per chi si è evoluto in un mondo con gravità rilevante) è solo una sorta di ulteriore bias costituito da un a posteriori fissatosi e diventato, così, un a priori. Qui alcuni accenni https://www.youtube.com/watch?v=GIsTi0R5fgU
- https://it.wikipedia.org/wiki/Magisteri_non_sovrapponibili
- Tutto il resto sarebbe spazzatura da gettare via tanto che non è nemmeno motivo di contesa, non entra neanche nelle battaglie che vedono impegnati i due magisteri, disdegnato o strasformato com’è da entrambre. Viene in mente Dante, Inferno, Canto III “...misericordia e giustizia li sdegna; non ragioniam di lor...” (https://divinacommedia.weebly.com/inferno-canto-iii.html ). Ma sulla “cieca vita”, almeno su quella, bisognerebbe cominciare a soffermarsi, individuandone la presenza, quanto meno, ovunque si manifestasse.
- Più che una battaglia, quindi, quella che li vedesse impegnati è un derby, una sorta di stracittadina. Ma una stracittadina inutile... che non ha ragione di esistere: meglio sarebbe una sorta di sinergia (!?), una volta “purificate le porte della percezione”(W. Blake) e dell’analisi dalle limitazioni imposteci dalla nostra biologia. Sembra, se corretto, inaccettabile: la scienza, che ha messo da parte la religione perché non idonea ad indagare, conoscere e descrivere il mondo, sente dirsi che pure essa è affetta (come la religione, per via dell’uomo-scienziato) da limitazioni di cui deve tener conto altrimenti anche la sua descrizione può essere molto più lontana dal vero, da tutto il vero (qualunque esso sia), di quanto essa stessa non pensi...
- Mi sembra, un nonsenso: noi indaghiamo l’universo, noi lo descriviamo e noi diciamo che quello è, che altro non c’è. Ma ci siamo dentro, e abbiamo dei limiti cognitivi! E’ rassicurante, ma non è corretto.
- Il DNA spazzatura in una prolusione di Telmo Pievani https://ilbolive.unipd.it/it/content/non-c%E2%80%99e-spazzatura-nel-dna
- Siamo convinti che tutto ciò che esiste nell’universo appartiene alle sole categorie nelle quali abbiamo scoperto segnali che potevamo percepire, direttamente con i nostri sensi o con estensioni di essi: segnali dello spettro elettromagnetico, vibrazioni di un mezzo elastico, etc. Ma è una situazione ben paradossale: noi percepiamo quei segnali e noi diciamo che quello e solo quello c’è. Per averne la certezza, invece, ci vorrebbe qualcuno che, “da fuori”, ci dicesse come stanno le cose. Oppure, cosa che realisticamente possiamo fare, occorrerebbe una disciplina (e tanta collaborazione interdisciplinare) che ci illuminasse sui nostri processi e limiti conoscitivi e che, perciò, fosse in grado di suggerirci l’esistenza di inevitabili tendenze e direzioni indagative preferenziali, dandoci, così, l’idea dell’esistenza (o dell’assenza) di “vuoti indagativi”, di “spazi” in cui, con le nostre indagini, non ci siamo mai spinti e la cui esistenza non avremmo mai nemmeno sospettato. A conferma o a smentita di ciò che questa “disciplina” ci suggerirebbe, potrebbe intervenire proprio quell’indeterminato che, invece, combattiamo a priori. Sarebbe un nuovo inizio. Oltre Atteone, alla ricerca di una “descrizione, di una conoscenza che non avvenga, richieda, comporti il conformarsi del percepito al percepiente (per rimanere nei confini, almeno espressivi, della Scolastica) e che induca poi quest’ultimo a ritenere che lui stesso è il percepito; che è, in tutto e per tutto, uguale al percepito e che tutto il percepito è il percepibile, appartiene a categorie da egli percepibili (e quindi lui ha tutto ciò che serve per percepire, e capire, tutto ciò che è). Questo, forse, è il bias di base, il capostipite di ogni altro bias: il bias maestro (per usare un’espressione mediata dalla Genetica). Ma, visto che l’evoluzione ci racconta come sia stato messo su – ... rabberciato!? – il percepiente, è lecito pensare che quest’ultimo potrebbe mancare di qualche... modulo, componente, struttura (senso e struttura cerebrale), necessaria per il “conformarsi” di una certa altra parte del Cosmo ad esso. Se così fosse, è altrettanto lecito dedurne che quest’altra parte non sarà mai da esso percepita. Viceversa, ciò che percepisce, e visto che altro non “vede”, gli dà l’illusoria certezza di essere lo specchio del tutto. Come il Tutto... che perciò gli è intellegibile. Ciò lo gratifica, ma è un ritorno dell’antropocentrismo. Da ciò discende che, quando qualcosa di diverso (cosa!?) da ciò che usualmente e facilmente si può percepire, fa capolino al di qua dei limiti, sorgano le reazioni tipiche di queste circostanze. Se le selve (il se è frutto soltanto della mia “poca conoscenza” della materia) in cui si addentra Atteone, sono gli angoli oscuri ed inesplorati del suo intelletto, dell’intelletto umano, dobbiamo riconoscere che questa esplorazione, oggi, la conducono neuroscienziati e psicologi cognitivi. Ma è comunque un ripiegarsi della mente su se stessa. Utile, indispensabile, ma non sufficiente: da sola non basta. E’ un primo passo, quello anche grazie al quale si può essere rinviati a possibili altre “selve”, questa volta, però, della realtà (che qualcuno stia lì a guardarla o meno), del “fuori”; oltre Atteone, quindi. Quali selve? Come arrivarci? L’unica linea di partenza, in questa nuova avventura, appare essere quella della conoscenza dei limiti impostici dal processo evolutivo che ci ha organizzati così come siamo. In questo modo, e forse solo in questo modo, anche l’indeterminato acquista (per noi!) una sua ... “dignità”. Un esempio basato su un “fatto concreto” che, qui, è una sorta di esperimento mentale; un esempio che molti, forse, definirebbero eufemisticamente... ardito. Testimoni (anche persone colte e note, al di sopra di ogni sospetto) raccontano di aver visto un certo signore (G.A. Rol, per l’esattezza) lanciare una pipa contro il muro, o una carta su un tavolo di legno. La pipa, giunta sulla superficie del muro, non si arrestava cadendo, integra o in frantumi, ai piedi di esso, ma sia la pipa che la carta attraversavano, rispettivamente, muro e tavolo. Se, in questo esperimento mentale, provassimo ad accettare come vera la testimonianza, rimarremmo quanto meno stupiti del fatto riportato; forse anche spaventati tanto che, credo, se i testimoni fossimo stati noi, avremmo potuto anche pensare che, comunque, un trucco, da qualche parte, doveva pur esserci. Ma perché l’incredulità, lo spavento, lo scetticismo ad oltranza? Se non ricorriamo alle conoscenze che i neuroscienziati hanno acquisito al nostro patrimonio culturale, non avremmo, né adesso né mai, una chiave per spiegarcelo. Essi, infatti, ci dicono che uno dei nostri a priori, una delle conoscenze di fisica elementare che abbiamo fin dalla nascita, è quella secondo la quale lo spazio occupato da un corpo solido... non può essere occupato che da esso. Per cui il fatto che la pipa attraversi il muro, implica qualcosa che è in contrasto con il nostro bias: per un tempo relativamente breve, se lo spessore del muro è superiore alla dimensione massima della pipa (e se questa si muove in posizione orizzontale col suo asse maggiore perpendicolare al muro), pipa (o parti diverse di essa in momenti diversi, negli altri casi) e quel tratto di muro che essa ha attraversato, si sono trovati a condividere lo stesso spazio. E nulla, giustamente, in base ai nostri bias, può farci cambiare idea o reazione (a parte una “accettazione”... tutta da definire anch’essa). Se, invece, siamo razionalmente consapevoli del bias che, in questo caso, ci ... “guida”, diventa non temerario pensare di andare da quel signore e, con animo neutro, sperimentare assieme a lui. Vuoi vedere che c’è qualcos’altro!? (Qualcuno direbbe che non ci guida solo il bias, ma questa accettabile precisazione rientra nelle selve precedentemente esplorate). Partendo, dunque, dalle selve di Atteone, e dagli spunti di indeterminato che si presentano a noi, si va oltre, si prova ad andare in altre “possibili” selve della realtà.
- La Natura, forse, è più “assurda” di quanto possano dimostrare teorie, esperimenti... e logica, ma solo perché siamo noi ad essere, in realtà, estremamente piccoli e limitati. “Vediamo il mondo da un pertugio tutto nostro, come del resto ogni animale lo vede a modo suo” (Pievani T., Imperfezione. Una storia naturale, Raffaello Cortina Editore, 2019). Perciò, non è la Natura ad essere assurda: siamo noi a “renderla tale”, nel senso che la vediamo come tale perché eleviamo noi ed i nostri metodi (pensati e costruiti senza tener conto dei nostri limiti intrinseci ancora da definire con compiutezza) a misura di tutte le cose, già, oltretutto, negandone alcune di quelle che si “affacciano al di quà dei limiti”, dandoci comunque, e grazie a ciò, la possibilità di intravederli, di intravedere gli “interminati spazi” oltre la “siepe” e il “colle” che essi rappresentano.
- “I mutamenti rivoluzionari [...] implicano scoperte che non possono conciliarsi con i concetti tradizionali ad esse preesistenti. Per poter fare scoperte del genere o per poterle assimilare, è necessario modificare il modo di pensare e di descrivere una certa gamma di fenomeni naturali” (Kuhn T.S., Le rivoluzioni scientifiche, Bologna, Il Mulino, 2008)
- Il discorso sugli UFO, e sull’indeterminato in generale, appare, dunque, tutt’altro che chiuso e “liquidabile” con strategie che sembrano essere più degli evitamenti che un impegno nel nome della scienza. L’impegno vero nel nome della Conoscenza, credo sia quello del confronto che, oltretutto, non essendo, in questo settore, in armonia con il paradigma corrente (con il corpus di conoscenze fin qui acquisite e con la visione che da esse è scaturita), comporta rischi reali di carriera, rischi professionali, rischi all’immagine sociale etc. Ma è questo l’impegno che, più dell’altro, richiede (ed ha sempre richiesto) umiltà, coraggio e dedizione; ma anche molta prudenza durante il cammino.