Categorie: Fisica classica Pianeti
Tags: accrescimento planetario calore decadimento radioattivo elementi radiottivi planetesimi secondo principio della termodinamica
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Il cacciatore di pelli e il raffreddamento dei pianeti *
Possibile che dopo anni di meticoloso lavoro nei polverosi meandri dell'archivio più infinito del Cosmo, ci si accorga che uno tra gli articoli più interessanti giaccia dimenticato? Evidentemente è possibile... fortuna che ogni tanto il prof., causa impegni personali, rallenta la sua super-produzione editoriale e la ricerca di qualcosa da riproporre per colmare il vuoto mi dà l'occasione per spolverare e far risplendere gemme di divulgazione come questa!
Questo articolo è inserito nella sezione d'archivio "Dall'atomo alle galassie"
Un cacciatore ubriaco e disordinato
Siamo nell’epoca degli esploratori e dei pionieri che vanno dall’est verso l’ovest dei futuri Stati Uniti d’America in cerca di fortuna e di terra. Chiudendo gli occhi sui mezzi che sono stati utilizzati a scapito dei nativi, tra le tante figure a dir poco leggendarie del mitico Far West, vi erano sicuramente i cacciatori di pellicce. Spesso restavano soli per mesi e mesi e non è difficile immaginare perché molti di loro fossero scorbutici, iracondi e trasandati. Loro conoscevano solo il fucile, le trappole e le prede. Non avevano amici, dato che chi faceva lo stesso lavoro era solitamente un rivale e un avversario.
In realtà non è del tutto vero. Un amico fidato esisteva ed era il whiskey che veniva scolato a “damigiane”. Il nostro eroe era chiamato Joe “Sponge” Trapper ed era capace di far fuori una quantità industriale di whiskey in un solo giorno. Ovviamente non faceva la raccolta differenziata dei rifiuti e buttava dove capitava i recipienti di vetro. Ve ne era ormai una piccola montagna, proprio a lato della sua “casa”.
Chiamarla casa è sicuramente un complimento che non meritava. Poco più che una baracca di legno, con i travi sconnessi: un misero riparo per la notte e per il freddo e poco più. Ma a Joe serviva ben poco durante il giorno, preso com’era a mettere trappole e a recuperare i poveri animali catturati. Creature viventi in cambio di soldi e soldi in cambio di whiskey. La vita di Joe girava attorno a questa semplice equazione.
Il Sole, però, si sentiva parte in causa ed anche molto offeso. Miliardi di anni spesi a creare le condizioni migliori alla vita e poi un solo uomo riusciva a distruggere decine e decine di animali innocenti, capolavori di una meravigliosa evoluzione biologica. Il Sole era ormai una stella molto esperta e sapeva come giocare le sue armi attraverso una guerra davvero “intelligente”: colpire solo e soltanto chi lo meritava. Niente di veramente tragico, ma una punizione severa e -forse - anche capace di far riflettere sui propri errori.
L’idea gli era venuta vedendo tutte quelle bottiglie ammassate a pochi passi dalla baracca di legno. Fu questione di un attimo e inviò un raggio di luce particolarmente violento contro il vetro che aveva contenuto litri e litri di quella bevanda tanto cara a Trapper. La forma e lo spessore del vetro capirono immediatamente le intenzioni della stella e, per mezzo di una semplice legge di ottica, concentrarono la luce verso il bordo della casa. Erano mesi che non pioveva e il calore della luce concentrata ebbe gioco facile a bruciare quel legno secco e poroso. Una piccola fiammata e poi, velocemente, tutta la baracca prese fuoco.
Il fumo si sollevò in cielo e attirò l’attenzione di Joe che tornò di corsa a casa (anzi, alla ex casa). Il solito ghigno altezzoso, che caratterizzava il suo volto sempre arcigno, si trasformò in un’espressione di meraviglia, di delusione e di profonda tristezza. La baracca era ridotta a un cumulo di cenere, una monotona e anonima distesa di particelle microscopiche che il vento trascinava via con sé.
A questo punto la storia di Joe si perde nella leggenda. Si dice che il cacciatore di pellicce passò mesi e mesi ad aspettare che il cumulo di cenere si trasformasse di nuovo nella sua vecchia e comoda baracca di legno. Qualcuno lo sentì urlare e imprecare. Altri lo sentirono piangere e pregare il Sole. La sua mente non riusciva a comprendere perché un’azione così improvvisa e violenta (la distruzione della sua casa) non potesse anche avvenire al contrario. In altre parole: perché la cenere non si trasformava di nuovo in legno sagomato e riprendeva la forma del suo vecchio rifugio? Eppure se lui apriva le trappole, gli animali tornavano a correre per il bosco. Doveva fare ben poca fatica per invertire un’azione e tornare alle condizioni precedenti.
In questo caso, invece, si rendeva conto che avrebbe dovuto tagliare nuovi alberi, ottenere delle travi, usare dei chiodi, la pialla e tante altre cose. Doveva, in qualche modo, ricominciare tutto da capo. No, non ne aveva più voglia e poi il tempo passato a guardare la cenere, il vetro e il Sole gli aveva fatto perdere l’amore per il whiskey e per quel modo cruento di guadagnare soldi.
La tribù indiana, che stava lì vicino, giurò che Joe fu illuminato da un raggio speciale del Sole. Cambiò nome, si trasferì in una città e divenne uno dei più grandi fisici della storia. Si dice anche che fu proprio lui a enunciare il secondo principio della termodinamica. I pellerossa lo sintetizzarono in poche parole: “Solo Manitù ha la capacità di ribaltare le leggi del mondo!” Noi, invece, possiamo enunciarlo un po’ meglio: “Vi sono fenomeni irreversibili in Natura o -se preferite- la freccia del tempo non può essere invertita. A meno di non compiere un lavoro enorme.”
Raffreddare il vino o scaldare il ghiaccio?
In realtà, vi sono molti modi per definire il secondo principio, lo stesso che stabilisce la legge dell’entropia, ossia la legge che dice che tutto ciò che esiste tende al massimo disordine, ossia a un miscuglio di particelle elementari. La freccia del tempo conduce solo e soltanto verso questa soluzione. La ricerca di ordine (come può essere la formazione di una stella, di un pianeta, di una creatura vivente) è solo un fenomeno momentaneo, ottenibile con l’utilizzo di energia, ma destinato a durare un tempo limitato. In parole ben più povere: una casa può bruciare a causa di fenomeni naturali, liberando energia. Non è invece possibile assistere, senza fornire energia, alla ricostruzione di una casa.
Vi sarebbero migliaia di esempi simili. Ad esempio una palla fatta rimbalzare per terra è destinata prima o poi a fermarsi al suolo. Nessuna palla ferma al suolo sarà, invece, capace, da sola, a iniziare a rimbalzare sempre più forte!
Cambiamo completamente soggetto e torniamo alla nostra astronomia “spiccia”. Per rispondere alla domanda insita nel titolo “Come raffreddare i pianeti?” il secondo principio della termodinamica deve essere formulato in un modo un po’ diverso (ma che vuol dire la stessa identica cosa).
Fatemi fare un esempio che mi è particolarmente caro (sapete quanto ami la degustazione dei grandi vini…). Quante volte avete sentito dire (o avete detto): “Mettiamo quella bottiglia in un recipiente pieno di ghiaccio per farlo raffreddare”. Beh… è una frase completamente sbagliata. Il secondo principio della termodinamica ci dice che è impossibile raffreddare qualcosa: la si può solo scaldare.
Mi spiego meglio: non è il ghiaccio che raffredda il vino ma è il vino che riscalda il ghiaccio. Il risultato è lo stesso, praticamente, ma la direzione della freccia del tempo accetta solo una soluzione. Il passaggio del calore può avvenire solo da un corpo caldo verso uno freddo e mai il viceversa. Il raffreddamento deriva solo dalla perdita di calore di una sorgente a favore di un corpo che lo acquista. Può sembrarvi una conclusione banale o una frase ambigua e poco “scientifica”, ma se ci pensate bene è una legge fondamentale della Natura. Non tutte le trasformazioni di energia sono possibili!
Facciamo ancora un esempio per i più piccoli o i meno preparati. Immaginiamo di avere due recipienti pieni di gas (è molto più veloce e comodo). Il primo ha una temperatura di 1000 gradi Kelvin il secondo di soli 10 gradi Kelvin (lo zero Kelvin, come dovreste sapere tutti, è a -273 °C e rappresenta lo zero assoluto, la temperatura più bassa che può esistere in Natura). Ammettiamo che il “calore” del gas più freddo vada verso quello più caldo (contro il nostro principio) e che possa sottrarsi alla sua temperatura. Cosa può ottenere al massimo? Ben poco: può solo fare scendere la temperatura a 990 K. Poi si deve fermare, avendo raggiunto lo zero assoluto. No, non funziona, e ce lo dicono le osservazioni. Vediamo come funziona il caso opposto. Il gas caldo cede il suo calore al vicino. Può farlo tranquillamente, dato che ne ha in abbondanza. Gli regala, ad esempio, 100 gradi. A lui ne restano 900 e l’altro gas arriva a 110. Si può fare meglio e di più, basta che il processo continui. Alla fine, si arriva a una situazione ideale di grande equilibrio: entrambi i gas hanno raggiunto la temperatura di 505 K. Questo è ciò che avviene in Natura e che dimostra che il calore può viaggiare solo in un certo verso. Non pretendo che d’ora in poi diciate sempre: “Dammi quella bottiglia perché vorrei riscaldare un po’ il ghiaccio del secchiello!”. Mi basta che si comprenda il vero concetto di “raffreddare”.
Va bene, abbiamo divagato in lungo e in largo e, infine, siamo arrivati alla costruzione dei pianeti rocciosi.
I pianeti nascono freddi
Il processo non è così semplice come sto per descriverlo, ma è più che sufficiente per il nostro scopo. Nel disco che circonda la stella nascente vi è tanto gas e un po’ di polvere, residuo di altre stelle esplose precedentemente. I granelli di polvere girano attorno all’astro, ma s’incontrano sovente. Gli urti sono a bassa velocità e si ottiene un granello un po’ più grande che sarà capace di attirare altre particelle in un reazione a catena che farà velocemente crescere un nucleo di materia fino a raggiungere dimensioni dei millimetri, dei metri, dei chilometri e delle centinaia o migliaia di chilometri. Bastano pochi milioni di anni, anche meno. Un attimo del Cosmo.
Tutto ciò avviene in un ambiente relativamente “freddo”. Gli urti, infatti, devono essere molto “delicati” altrimenti distruggeremmo e non costruiremmo. Urti a bassa velocità vogliono, però, anche dire bassa energia (cinetica) e quindi minima produzione di calore (una trasformazione di energia ammessa dalla Natura!). Oltretutto, urti violenti produrrebbero calore sufficiente a trasformare i solidi in gas e… addio pianeti.
Cosa possiamo concludere? Qualcosa che è spesso poco noto ai divulgatori mediatici e a chi prepara documentari animati: i pianeti si formano “freddi” e non assomigliano per niente a palle infuocate!
Siamo, infatti, nella fase di accrescimento dei planetesimi e gli urti (lo ripeto ancora) avvengono a bassa velocità relativa. Tuttavia, mentre termina questa fase formativa a bassa temperatura, ne inizia quasi contemporaneamente un’altra ben più energetica. I planetesimi iniziano a scontrasi tra loro. In particolare, i pianeti già “abbozzati” (proto pianeti), subiscono urti da corpi più piccoli e numerosi. Essi, però, provengono un po’ da tutte le direzioni e, quindi, possono avere una velocità di impatto anche molto elevata. Normalmente i proto pianeti sono abbastanza grandi da sopportare gli urti (non sempre e, allora, formano la… Luna, o si distruggono a vicenda com’è successo tra gli asteroidi, o inclinano l’asse di rotazione di Urano…) e “incamerare” l’energia che gli viene regalata dai proiettili vaganti. Questa energia si trasforma in calore e inizia a fondere la superficie. Un po’ alla volta la crosta planetaria diventa fluida, quasi liquida. Adesso sì che possiamo parlare di pianeti come sfere infuocate.
Quest’azione, però, è solo superficiale. L’interno del pianeta non ne risente di certo e continua a essere freddo come prima. O, almeno, dovrebbe rimanere freddo. Esso, però, contiene elementi radioattivi che hanno il vizio di “decadere” in tempi più o meno lunghi. Decadere vuol dire perdere protoni e/o neutroni e trasformarsi in elementi più leggeri. Come sempre avviene nel Cosmo, quando si spostano particelle si produce spesso energia (meno male!). Questa energia riscalda la materia circostante.
Immaginiamo una serie numerosissima di focolai dove si innesca la fusione della materia vicina agli elementi radioattivi. Un po’ alla volta, come in un incendio in un bosco, da pochi focolai si origina una catastrofe termica. Tutto prende fuoco e si riscalda. Stiamo andando contro il secondo principio della termodinamica? Nemmeno per sogno! Stiamo trasformando energia in calore e questo viene trasportato dalle zone calde a quelle fredde. Tutto perfetto.
In tempi piuttosto rapidi l’interno planetario si fonde completamente e si unisce alla parte superficiale già fusa per gli impatti. Abbiamo finalmente una palla di fuoco come vogliono i “documentari” sulla nascita dei pianeti. Bene. Gli elementi radioattivi, essendo molto pesanti, si sistemano al centro della palla incandescente. La fonte di calore è quindi proprio il nucleo centrale ed è da lì che il calore si propaga verso l’esterno.
Le “cipolle” riscaldano lo spazio
Attenzione, quindi: non è il freddo dello spazio interplanetario che raffredda la crosta planetaria e successivamente gli strati più interni. E’ vero esattamente il contrario! E’ la crosta che trasmette il suo calore verso l’esterno, cercando di riscaldarlo, ed esso si disperde facilmente nei grandi spazi a disposizione. Ovviamente, dato che cede calore la sua temperatura scende e la crosta comincia a solidificarsi (ricordate l’esempio dei due recipienti a 1000 e 10 K?).
Sotto la crosta, però, continua a esserci materia ancora calda, che cerca di disperdere il suo calore spingendolo verso l’esterno. Nel frattempo, però, il nucleo centrale continua a produrre calore che si trasferisce verso l’alto. Sembrerebbe un gioco senza fine. Chi vincerà la lotta?
Fatemi riassumere la situazione che sembra un po’ ingarbugliata.
Immaginiamo che il pianeta sia fatto come una cipolla, formata da tanti strati sottili uno dopo l’altro che circondano il nucleo dove si origina il calore. Consideriamo un qualsiasi piccolo strato di materia della cipolla, ad una certa distanza dal centro (Fig. 1). Esso tende a trasferire il suo calore allo strato successivo e questo a quello dopo e via dicendo fino ad arrivare in superficie e disperdersi nello spazio interplanetario. In tal modo, il nostro strato (e quelli successivi) si raffreddano un po’ alla volta. Basta aspettare e prima o poi la temperatura scenderà dappertutto. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la fonte di calore interna. Essa continua a scaldare il nucleo e ormai il gioco lo sapete. Gli strati esterni al nucleo trasferiscono il calore verso la superficie fino a incontrare il nostro povero strato e lo riscaldano nuovamente. Accidenti,tanto lavoro per niente. Ovviamente, il processo che ho illustrato in modo così elementare non ha momenti di pausa e il calore continua a trasferirsi dal centro verso l’esterno. Niente da fare il pianeta continua a rimanere caldo. Il calore che si perde nello spazio viene rimpiazzato da quello che proviene, strato dopo strato, dal nucleo interno. Possiamo, comunque, fare una constatazione che ci verrà molto utile tra poco: il calore si disperde verso l’esterno attraverso le “bucce” della cipolla planetaria.
Tuttavia, prima o poi la fonte di calore diminuisce, dato che il materiale radioattivo è quello che è e se decade non può essere rimpiazzato. I tempi scala sono a volte lunghissimi, ma lentamente la quantità “attiva” a disposizione si riduce. Il che vuol dire, in poche parole, che il “fuoco” centrale tende a spegnersi nel tempo. E se lui si spegne non produce più calore e questo non viene più trasferito verso la superficie. Un po’ alla volta i vari strati scendono di temperatura. In un futuro ipotetico i pianeti si raffredderanno completamente sia dentro che fuori. In realtà, non è proprio vero, dato che la pressione dovuta alla gravità manterrà sempre caldo in centro del pianeta, ma non scendiamo troppo nei particolari, complicandoci inutilmente la vita. L’importante è che vi sia una fonte di calore. Sicuramente la Terra non ha ancora di questi problemi: la sua stufa funziona benissimo. Possiamo comunque fare un’altra constatazione: la fonte di calore dipende dalla quantità di materiale radioattivo presente nel nucleo e dalla pressione che viene esercitata su di lui dal resto del pianeta. Più brevemente, ancora: la fonte di calore dipende dalla massa del pianeta o, quantomeno, dalla massa del nucleo caldo.
Tenete ben presente queste due constatazioni scritte in grassetto, mi raccomando.
A questo punto ci scontriamo con la vita geologica di un pianeta. Essa si mantiene solo se la crosta non diventa troppo spessa e se vi è uno strato liquido sotto di lei che le permette di scorrere come una zattera su un mare. Per avere continenti come quelli terrestri ci vuole una crosta sottile, che riesca a spaccarsi a causa delle onde di calore che continuano a provenire dall’interno e che possa muoversi sopra il mare liquido del mantello sottostante. In ogni modo, finalmente, possiamo rispondere alla domanda fondamentale di questo articolo… (l’ho fatta lunga, eh?). Mi spiace, potevamo arrivare subito al sodo, ma in questo modo siamo riusciti a fare un ripasso più generale, compresa la leggenda di Joe “Sponge” Trapper.
Riproponiamola chiaramente, dato che proprio dalla sua risposta dipendono le condizioni “fortunate” della Terra:
“Come si raffreddano i pianeti rocciosi?”
Bene, direi che potremmo dire di avere risposto esaurientemente attraverso il secondo principio, il vino e il ghiaccio, la storia della cipolla e cose del genere.
Questa domanda, però, ne comporta una molto meno intuitiva:
“Perché i pianeti più piccoli si raffreddano più velocemente?”
La risposta non è così ovvia e, anzi, potrebbe sembrare contro intuitiva. In fondo la zona calda è lontana dalla superficie e se è ancora attiva dovrebbe facilitare i pianeti più piccoli. Le osservazioni, invece, ci dicono chiaramente che più un pianeta è piccolo e più fa in fredda a raffreddarsi. La crosta è ormai troppo spessa per permettere una vita geologica superficiale. Basta guardare Mercurio, la Luna, Marte stessa e molti satelliti esterni di dimensioni planetarie. Tutti questi oggetti hanno una superficie antichissima. Il loro “vestito” è sempre lo stesso da miliardi di anni e l’unico cambiamento deriva dagli impatti con asteroidi e comete (Marte un po’ meno, dato che è leggermente più grande di Mercurio). Niente si genera più dall’interno: i vulcani si sono spenti da molto tempo e i continenti non sono mai esistiti.
Lasciamo, ovviamente, da parte esempi particolari come Io, Europa, Encelado e Titano (e qualche altro). Per loro i meccanismi di riscaldamento sono ben diversi e ne abbiamo già parlato a lungo.
Torniamo alla domanda che non è così “stupida” come sembrava, soprattutto se ragioniamo in termini del secondo principio (ecco perché ho perso tanto tempo a parlarne…).
Fatemi, però, fare ancora un piccolo inciso, per non creare inutili confusioni. Se l’oggetto è troppo piccolo (un asteroide ad esempio), la massa di elementi radioattivi, pur sempre proporzionale alla massa totale, potrebbe non essere in grado di portare l’oggetto alla temperatura di fusione della materia. L’asteroide rimarrebbe tiepido, ma solido e non si formerebbe il nucleo centrale e tutto il discorso della cipolla globale non esisterebbe se non localmente, attorno ai focolai radioattivi. In poco tempo la fonte di calore si estinguerebbe e il calore se ne andrebbe nello spazio. Forse solo due o tre asteroidi (i più grandi) hanno subito una fusione totale (Vesta sicuramente).
Per i pianeti e i grandi satelliti, ciò non è avvenuto e possiamo accettare che tutti si siano fusi completamente all’inizio della loro vita. In tale modo gli elementi pesanti (e quelli radioattivi) si sono potuti rintanare al centro, continuando a produrre calore come descritto precedentemente. Insomma, sono partiti tutti nelle stesse condizioni. In parole più tecniche, che però già conoscete, essi hanno tutti subito il processo di differenziazione.
Le cipolle piccole si raffreddano prima
Ricordiamoci, allora, delle due constatazioni che abbiamo fatto precedentemente. La fonte di calore F di un pianeta dipende solamente dalla massa. Possiamo quindi dire, senza paura di sbagliare, che un pianeta si riscalda in base alla massa degli elementi radioattivi e questa massa è, ovviamente, proporzionale alla massa del corpo celeste. Un oggetto più piccolo avrà meno massa, ma la parte capace di riscaldare è proporzionale a quella totale. Insomma, le cose sembrerebbero del tutto simili e indipendenti dalla grandezza dei corpi celesti: chi è più piccolo ha meno fonte di calore ma ha anche meno materia da riscaldare.
Cerchiamo di scrivere in modo geometrico e “matematico” quanto abbiamo appena detto. Basta ricordare la definizione di densità. Essa altri non è che la massa divisa per il volume. Non per niente si chiama anche massa volumica. Questa definizione ci permette di scrivere la massa in questo modo:
M/V = ρ , dove ρ è la densità della materia che compone il corpo celeste. Segue anche che:
M = V ρ.
Immaginiamo, adesso, che il pianeta roccioso abbia densità costante (non è vero, ma per il nostro discorso è un’approssimazione che si può fare tranquillamente) e che abbia forma sferica. Si ha, immediatamente:
M = ρ 4/3 π R3 dove ρ è una costante. (Ricordatevi la cantilena che ci regala il volume di una sfera: il volume della sfera qual è? Quattro terzi pi greco erre tre! ).
Trascurando le costanti, la formula di prima ci dice che la massa totale dipende soltanto dal raggio al cubo del pianeta. In altre parole, la fonte di calore F dipende solo e soltanto dal raggio al cubo.
Perfetto. Adesso sappiamo a cosa riferirci quando parliamo di fonte di calore F. Potremmo anche dire che F è la capacità di riscaldare un pianeta.
Tuttavia, il nostro problema è quello di raffreddare i pianeti, tenendo presente che ciò si ottiene, sempre e comunque, trasportando il calore dal centro (caldo) verso l’esterno (freddo). Chiamiamo Rf questa capacità di raffreddare. Come agisce il trasporto del calore? Lo abbiamo già detto e ridetto e possiamo considerarlo come un’onda che si muove dalla zona calda verso quella più fredda. In altre parole, tante bucce sottili di una cipolla, una più grande dell’altra a partire dal centro, che si trasmettono il calore. Il famoso strato della Fig. 1, lo riceve dallo strato più interno e lo “passa” a quello più esterno. Fatemelo ripetere ancora una volta: il calore passa da una buccia all’altra fino ad arrivare all’esterno e a disperdersi. Sono le bucce che trasportano il calore passandoselo tra di loro. Una perfetta catena di montaggio.
Il trasporto di calore, ossia la capacità di raffreddare, dipende, allora, solo e soltanto dalle bucce. Ma le bucce non sono altro che superfici sferiche. Una superficie sferica può essere facilmente esprimibile con una formula matematica veramente semplice:
S = 4 π R2
Ossia, la superficie va con il raggio al quadrato. E, quindi, anche la capacità di raffreddare dipende solo dal raggio al quadrato.
Cosa succede nei dintorni del nucleo caldo che produce calore? La capacità di produrre calore è proporzionale al volume, ossia al raggio al cubo. La capacità di raffreddare (che poi vuol dire di trasportare il calore verso l’esterno) è proporzionale al raggio al quadrato. Basterebbe questo risultato per rispondere alla domanda. Il raffreddamento agisce più lentamente rispetto alla fonte di calore e quindi il raffreddamento è più lento per gli oggetti più grandi.
Vogliamo esprimere questa conclusione con una formula facile facile? Basta fare il rapporto tra la capacità di raffreddare (ossia trasportare il calore) e quella di riscaldare (ossia di produrre il calore). Ossia basta dividere Rf per F. A parte le varie costanti che restano quelle che sono e possiamo inglobare tutte in k, il rapporto dipende solo e soltanto dall’inverso del raggio. Infatti:
Rf/F = k (R2/R3) = k (1/R)
Ossia la capacità di raffreddare rispetto alla capacità di riscaldare è proporzionale a 1/R, ossia decresce al crescere del raggio, o -se preferite- il calore si disperde più lentamente se il raggio è più grande. In altre parole, ancora: se il raggio cresce, diminuisce il valore di Rf/F, ossia diminuisce la capacità di raffreddare. Ne consegue:
I pianeti più piccoli si raffreddano più in fretta
Oppure (ma è la stessa identica cosa):
I pianeti più grandi si raffreddano più lentamente
Ed ecco perché la Terra (gigante dei pianeti rocciosi) è ancora vivo geologicamente, con una crosta continentale sottilissima, mentre Mercurio mostra un vestito vecchissimo che non è mai cambiato da miliardi di anni.
Spero di non avere complicato un concetto semplice, ma vorrei piano piano cercare di trascrivere processi o dimostrazioni descritti a parole nel linguaggio sintetico della matematica. Nel Teatro avevo usato un modo più empirico e ve lo riporto tanto per confrontarlo…
Consideriamo due pianeti, A e B. A è il doppio di B, ossia il suo raggio è 2 volte quello di B. La quantità di elementi radioattivi va con il cubo dei loro raggi. Ne deriva che A si riscalda 8 volte (2 al cubo) più di B. Ma la capacità di disperdere il calore va con il quadrato del raggio. Per cui, A disperde il suo calore interno solo 4 volte più rapidamente di B. Conclusione? Ovvia: la fonte di calore di A si esaurisce più lentamente di quella di B.
Gira e rigira, senza il secondo principio della termodinamica le cose sarebbero state ben più vaghe. E non solo per il "povero" Joe Spugna!
Per chi desidera approfondire l'evoluzione termica dei pianeti: PY4A03_lecture10n11_ineriors.ppt (Fonte)
8 commenti
"Alla fine, si arriva a una situazione ideale di grande equilibrio: entrambi i gas hanno raggiunto la temperatura di 505 K"
A parità di massa, giusto?
se le masse sono diverse cambia la temperatura d'equilibrio (Nota che se le sostanze sono identiche lo è anche il loro calore specifico).
caro Mauro,
come sempre ho sintetizzato e semplificato l'evoluzione termica dei pianeti, dato che la fonte radioattiva è solo uno dei vari fattori che giocano nell'equilibrio termico. Se vuoi andare nei dettagli più fini ti consiglio questo bell'articolo-presentazione...
https://www.tcd.ie/Physics/people/Peter.Gallagher/lectures/PY4A03/pdfs/PY4A03_lecture10n11_ineriors.ppt.pdf
Un analogo calcolo l'avevo visto tempo fa essere applicato a noi bestie. In pratica, se fa freddo, a parità di metabolismo, conviene essere grandi o piccoli? Il calore si disperde più lentamente se il raggio è più grande, dici tu, e mi viene in mente la balena. Ma probabilmente ci sono altri infiniti fattori da tener presente, quali la superficie di evaporazione del sudore, le cipolle con strati esterni di grasso, ecc. Mi pare però sia un dato di fatto che i vestiti della mia taglia XXXL li trovo molto più facilmente nei paesi nordici che qui in Italia.
Quanto ai cacciatori di pelli, proprio ieri sera ho rivisto (attraverso l'ottima piattaforma Mubi) il film The Revenant di Alejandro González Iñárritu. Pieno di capanne indiane che vanno a fuoco, ma non per volontà di Manitù...
eh sì caro Albertone... questo è solo un meccanismo semplificato. Per noi le cose sono sicuramente più complicate, ma il concetto di fondo resta.
I pianeti più piccoli si raffreddano più in fretta
Oppure (ma è la stessa identica cosa):
I pianeti più grandi si raffreddano più lentamente
Ecco perchè i magnum restano freschi più a lungo delle normali bottiglie da 75cc (per non parlare di quelle da 37,5 !!)
Funziona così anche per noi e per gli altri animali a temperatura "controllata": le parti del corpo più piccole, che hanno, a confronto con quelle più grandi, una superficie proporzionalmente più grande rispetto alla massa, hanno temperatura più bassa: dita, zampe etc e questo specialmente se sono poco o punto protette da strati di piume, peli, grasso...
Ahhhh... ora capisco perché voi terricoli avete spesso mani e piedi freddi! Fortuna che, per noi sferici papalli, questo fastidioso problema non sussiste