Categorie: Sistema Solare Storia della Scienza
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Scritto da: Vincenzo e Daniela
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La storia dell'Unità Astronomica (4): Marte, aiutaci tu!
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Perché Marte e non, per esempio, Venere o Giove o il Sole stesso? Per rispondere dobbiamo fare un piccolo passo indietro nel tempo e parlare di quel meticoloso osservatore che è stato Tycho Brahe, per poi farne due in avanti che ci condurranno fino a Giovanni Domenico Cassini e John Flamsteed, passando per l'onnipresente Giovanni Keplero.
Iniziamo con Tycho Brahe che, a parte le sue idee a volte un po’ balzane ma spesso geniali, è stato sicuramente un osservatore eccezionale, tanto che Keplero deve moltissimo a lui e alle sue osservazioni effettuate grazie alla "sponsorizzazione" di Federico II, re di Danimarca e Norvegia, che aveva investito una fortuna per costruire l'osservatorio tecnologicamente più avanzato di allora in Europa: Uraniborg sull'isola di Hven, che per molti anni fu la sua casa, oltre che il suo luogo di lavoro.
Tycho Brahe ha il grande merito di avere infranto le aristoteliche sfere di cristallo (Terra al centro e Sole e pianeti in orbite sferiche, concentriche e cristalline): infatti, nel suo sistema (c.d. ticonico), che cerca di conciliare quello tolemaico con il neonato sistema copernicano (1543), le orbite di Mercurio, Venere e Marte intersecano quella del Sole (cosa impossibile se fossero esistite le sfere).
Forse è un caso, forse no, che proprio in quegli anni qualcun altro stesse prendendo a picconate quelle stesse sfere con la sola forza del pensiero: era un monaco originario di Nola che viaggiava per l'Europa in lungo e in largo, si chiamava Giordano Bruno e non temeva intoppo di cristallo o vetro mentre, porgendo all'aria le ali sicure, urlava al mondo "fendo i cieli e a l'infinito m'ergo"!
Ma torniamo a bomba sull'argomento principale... anche Tycho si era posto il problema della distanza dei pianeti e tentò più volte di misurare la distanza di Marte, ma il motivo non era quello di dare un ordine di grandezza a quello che oggi chiamiamo sistema solare: infatti, contrariamente agli altri pianeti, la distanza minima di Marte dalla Terra calcolata nel sistema copernicano risultava essere la metà rispetto a quella calcolata del sistema tolemaico. Individuare la vera distanza di Marte equivaleva a capire chi avesse ragione tra Copernico e Tolomeo. E dico poco!
Il metodo che Brahe scelse per tentare l'impresa fu decisamente geniale: si trattava di sfruttare la parallasse diurna, quando Marte si trovava all'opposizione rispetto al Sole e, quindi, ad una distanza decisamente piccola. Vediamo di cosa si tratta grazie facendoci aiutare dalla Fig. 9.
Siamo in opposizione e quindi Marte, la Terra e il Sole stanno lungo la stessa linea. L’osservatore osserva Marte in P, appena fa notte, e visualizza la sua posizione M1 rispetto alle stelle vicine (che si possono considerare fisse). Poi aspetta che trascorra la notte e poco prima dell’alba, quando è in P’, osserva di nuovo Marte che ora si trova in M2 rispetto alle stesse stelle di prima. La variazione angolare tra M1 e M2 è proprio l’angolo sotto cui Marte vede il diametro terrestre.
Geniale! Sì, ma solo teoricamente… Tycho non aveva telescopi a disposizione ed era impossibile per lui misurare un angolo che si aggira intorno ai 40”. Non solo, però… nel tempo che la Terra aveva compiuto mezza rotazione, si era anche spostata lungo la sua orbita, così come aveva fatto Marte. Spostamenti, questi, addirittura maggiori della parallasse di Marte. Per poterne tenere conto, avrebbe dovuto conoscere le orbite, ma questo ancora non era un dato acquisito! Per non parlare, poi, della rifrazione atmosferica che spostava la posizione apparente di Marte (basso sull'orizzonte) e non spostava quella delle stelle rispetto alle quali veniva calcolata la parallasse. Al problema delle rifrazione atmosferica Brahe cercò di porre rimedio calcolandola ed effettuando le dovute correzioni.
Dopo vari tentativi effettuati a partire dal 1582 (ogni due anni e sette settimane circa, ovvero il tempo che intercorre tra un'opposizione di Marte e l'altra), nel 1593 Tycho subì un vero e proprio shock dovendo prendere atto che la posizione reale di Marte era molto (ma molto!) distante da quelle calcolate con i sistemi tolemaico e copernicano. Che avessero torto entrambi?!?
Il mistero fu svelato anni dopo da colui che, da giovane assistente, collaborò con Brahe negli ultimi due anni di vita: non molti, ma sufficienti per venire a conoscenza di quella che Tycho considerava la "catastrofe di Marte" e di tutti i preziosi dati osservativi meticolosamente registrati. Il giovane assistente si chiamava Giovanni Keplero (anzi, per la precisione, il suo nome non italianizzato era Johannes Kepler) e fu anche grazie a quei dati che riuscì a capire il motivo della "catastrofe": l'orbita della Terra doveva essere ellittica e non circolare, solo così i conti tornavano. Una volta acquisita la certezza della forma ellittica delle orbite dei pianeti, il passo verso la scoperta delle sue tre celebri leggi empiriche fu relativamente breve.
Altro che catastrofe! Senza il lavoro di Tycho Brahe su Marte, chissà che ne sarebbe stato della carriera di Keplero e delle sue fondamentali leggi.
La cosiddetta "catastrofe di Marte" (che abbiamo raccontato con estrema sintesi e, se volete approfondirla, potete farlo QUI, grazie a Physics Today che, come facciamo anche noi, mette tutto a disposizione gratuitamente) costituisce una tappa fondamentale nella storia della Scienza e un mirabile esempio di applicazione di quel metodo scientifico basato sulla verifica sperimentale delle ipotesi, di cui Galileo è, a ragion veduta, considerato il padre ma che, a quanto pare, si stava già diffondendo tra suoi illustri colleghi contemporanei.
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Le cose diventarono molto diverse nel 1672, novant’anni dopo. Keplero aveva scritto le sue leggi e il telescopio era ormai uno strumento a portata di mano (anzi di occhio), con tanto di fili sottilissimi nell’oculare per effettuare misure molto precise. Inoltre Marte avrebbe avuto una grande opposizione, ossia sarebbe stata nel suo punto più vicino all’orbita terrestre. Si poteva provare finalmente a misurarne la distanza dalla Terra e così fecero Cassini in Francia e Flamsteed in Inghilterra.
Muoviamo gli osservatori
Cominciamo con Giovanni Domenico Cassini, italiano verace, ma come al solito obbligato a espatriare per vedere riconosciuti i suoi meriti; la sua idea era sempre quella di determinare la distanza di Marte per ricavare, dalle leggi di Keplero, quella del Sole.
Marte era all’opposizione a settembre, proprio vicinissima al perielio. Le condizioni erano ideali: distanza minima e, di conseguenza, angolo di parallasse massimo. Inoltre, Marte al perielio voleva dire notevoli semplificazioni nell’applicazione delle equazioni di Keplero (ricordiamo che Marte ha un’orbita eccentrica e questo era ben noto a Cassini). Per evitare il problema del movimento di Marte e della Terra, la cosa migliore era di creare un base per determinare la parallasse, in modo che le osservazioni ai due estremi venissero eseguite contemporaneamente. Potremmo chiamarla parallasse simultanea.
Il mondo era abbastanza ben conosciuto e la Francia aveva una colonia nell’America del Sud, in Guyana, dove era situata la città di La Caienna (La Cayenne, in francese) nei pressi dell’Isola del Diavolo, penitenziario tristemente famoso. La situazione politica, con gli inglesi soprattutto, non era del tutto tranquilla, ma Cassini decise di inviare in quel luogo molto distante dalla Francia un suo collaboratore, Richer.
Egli partì ben due anni prima, per calcolare perfettamente la posizione del luogo e per cercare di rendere il suo orologio (a pendolo) concorde con quello di Cassini. Un lavoro non da poco, che rese in qualche modo celebre Richer che, per primo, si accorse della differente gravità in due luoghi posti a differente latitudine. Ma torniamo alla nostra opposizione (Fig. 10) del 9 settembre 1672.
Tutto è pronto e la base D, ossia la distanza in linea retta tra Cassini e Richer, calcolata con la massima precisione possibile. All’ora stabilita entrambi eseguono la propria osservazione seguendo il procedimento visualizzato nella Fig. 11.
Ciò che i due osservatori, R e C, possono fare è misurare le diverse distanze angolari α e β tra Marte e una certa stella S di sfondo (in realtà, ne usano più di una). A quel punto, un minimo di calcoli sui triangoli coinvolti li porta alla determinazione della parallasse p, ossia dell’angolo sotto cui Marte vede la distanza D tra i due osservatori. L’angolo p risulta proprio uguale a β – α.
Non resta allora che passare al solito triangolo parallattico che ben conosciamo (Fig. 12 ).
Non spaventiamoci se consideriamo rettangoli certi triangoli. Potremmo anche fare calcoli più precisi, ma vista la grandezza dell’angolo in gioco, le approssimazioni sono più che lecite, come quella di considerare il seno di un angolo uguale all’angolo stesso espresso in radianti. Alla fine si ottiene la ben nota relazione (che trovate QUI):
d sen (p/2) = D/2
d p/2 = D/2
d = D/p
Che permette di ricavare la distanza d, tra Marte e la Terra, in km o quello che si usava a quei tempi.
Restano, ancora, da applicare le leggi di Keplero, per ricavare la distanza aT tra la Terra e il Sole, tenendo presente che Marte si trova al perielio della sua orbita (Fig. 13).
Cassini conosce i periodi dei due pianeti e può tranquillamente applicare la terza legge di Keplero (considerando l’orbita della Terra circolare, ossia aT = costante):
aM3/aT3= PM2/PT2
Sostituendo i valori noti dei periodi , ottiene il rapporto aM/aT
Cassini ha, però, calcolato la distanza d tra Marte e Terra al perielio di Marte e può scrivere (vedi Fig. 13):
d = rM - aT …. (2)
Sa, però, benissimo (dalla prima legge di Keplero) la relazione tra distanza perielica rM e il semiasse aM (vedi QUI):
rM = aM (1 – e)
da cui (dividendo la (2) per aT):
d/aT = aM (1 – e)/aT - 1 = h (noto)
il secondo membro è una quantità nota dato aM/aT e l'eccentricità sono noti. Lo possiamo considerare una certa costante h, da cui:
aT = d/h
Il che porta, inserendo i valori conosciuti a quei tempi, a una parallasse solare di 9”5 e a un valore dell’Unità Astronomica pari a 0.926 volte quella odierna (parallasse e distanza sono legati dal solito triangolo di Fig. 12). Un bel salto qualitativo…
Per i più volenterosi:
Lo stesso risultato si può ottenere con una soluzione matematica, sicuramente più elaborata e abbastanza inutile. La propongo perché potrebbe servire da esercizio per chi vuole ripassare lo studio di funzioni…
Per la Terra si ha:
aT3 = K PT 2 …. (3)
per Marte, invece, ricordando che la distanza perielica rM di Marte è uguale a
rM = aM (1 – e)
si ha:
aM3 = (rM/(1 – e))3 = K PM2 …. (4)
Dividendo la (4) per la (3) si ottiene:
(rM3/((1 – e)3aT3) = PM2/PT2
rM3/aT3 = (1 – e)3 PM2/PT2 …. (5)
Ma:
rM = aT + d
Il primo membro della (5) può scriversi:
((aT + d)/aT)3 = (1 + d/aT)3
Ponendo
d/aT = x
Si ha:
(1 + x)3 = 1 + x3 + 3x + 3x2
Da cui, la (5) diventa:
1 + x3 + 3x + 3x2 = (1 – e)3 PM2/PT2
A questo punto possiamo inserire i valori numerici conosciuti e si ottiene:
x3 + 3x2 + 3x = 1.6357
Una bella “cubica” completa che potrebbe risolversi per via numerica (con qualche difficoltà), ma che può anche risolversi per via grafica. Due soluzioni non sono reali e l’unica soluzione deve essere quella precedente… provate!
Lasciamo girare la Terra
In modo analogo a quanto tentato da Tycho Brahe, si muove, in Inghilterra, John Flamsteed. Egli preferisce far tutto da solo, utilizzando un solo strumento ed evitando viaggi dispendiosi e spesso pericolosi. Inoltre c’è il problema degli orologi da sincronizzare. Si affida, perciò, alle osservazioni serali e mattutine per costruirsi la base parallattica. Ricordiamo che questo metodo prende il nome di parallasse diurna, sfruttando una base dipendente dal tempo trascorso durante una rotazione della Terra attorno al suo asse, così come la parallasse annua sfrutta una base dipendente dal tempo trascorso durante una rivoluzione della Terra attorno al Sole.
Tuttavia, deve tenere in conto il moto apparente di Marte rispetto alla Terra durante l’intervallo tra la prima e l’ultima osservazione. Un moto questo che comporterebbe di per sé un angolo maggiore di quello parallattico.
Il suo tentativo avviene ad ottobre, quando Marte si trova quasi esattamente nel punto in cui il suo moto passa da retrogrado a diretto (vedi Fig. 14).
Non si sa se sia stata una scelta ponderata o un colpo di fortuna legato al fatto che in quella posizione vi erano molte stelle brillanti nei paraggi, ma sicuramente questo fatto lo ha aiutato non poco, riducendo praticamente a zero lo spostamento ϑ di Marte durante la notte.
La Fig. 15 riporta quanto eseguito da Flamsteed.
Alla fine ottiene, con poche e ovvie relazioni tra angoli di triangoli, l’angolo di parallasse p di Marte.
p = β - α - ϑ
Come già detto, la soluzione dipenderebbe dalla conoscenza dell’angolo ϑ, il cui calcolo non sarebbe un problema facile dato che supera il valore della stessa parallasse. La fortuna o la furbizia (io propendo per la seconda) fa sì, però, che questo angolo possa essere considerato uguale a zero, per cui Flamsteed ottiene facilmente p.
Il resto segue perfettamente quanto fatto da Cassini e il risultato finale non differisce di molto, trovando un valore della parallasse solare di 10” e un valore della Unità Astronomica pari a 0.879 volte quella odierna.
Due metodi e due risultati quasi uguali. Verrebbe da pensare che la comunità scientifica avrebbe dovuto essere convinta della validità del risultato. Invece, la situazione resta nel caos, dato che molti altri illustri studiosi e osservatori affrontano, in quegli anni, lo stesso problema ottenendo risultati completamente discordanti che portano a parallassi solari che variano da 29” a 6”. Lo stesso Newton si dimostra estremamente scettico verso i risultati di Cassini e Flamsteed e considera la grande somiglianza un caso del tutto fortuito. Lui stesso, però, è molto altalenante e usa valori che vanno da 20” a 9”.
Agli inizi del '700, nuove misure, effettuate su Marte da Giacomo Filippo Maraldi, confermano i risultati di Cassini e Flamsteed e fanno pensare che il valore della distanza della Terra dal Sole possa essere compresa tra i 16000 e i 24000 raggi terrestri, una “forchetta” non proprio incoraggiante. Il metodo legato a Marte, però, sembra non permettere miglioramenti significativi e si arriva alla seconda metà del ‘700 prima di riprendere la questione di petto, affidandosi ad altre tecniche osservative. E qui cominciano anche le grandi avventure…
Nel frattempo, nella Fig. 16 (che è un dettaglio di quella completa inserita nel primo articolo), potete vedere i risultati di questa “puntata” segnati con una freccetta rossa.
Gli articoli dedicati alla storia dell'Unità astronomica sono stati pubblicati nel 2017 (li trovate QUI), ma vi consigliamo di seguire la loro riedizione perché, oltre a riprodurre fedelmente quelli già usciti, contengono qualche informazione in più.