08/07/21

Il tesoro della Val Gargassa: dalla bisciabova alla barbarinite.

Questo fondamentale articolo vuole raccontarvi l'epico primo incontro tra Guido e il sottoscritto (ma non sarà certo l'ultimo). Ah... beati Barbara, Grazia, Zoe e gli altri componenti della storica spedizione... perché potranno dire: "C'ero anch'io!" Ovviamente, per cercare di scrivere una relazione abbastanza fredda e precisa, ho dovuto farmi aiutare dalla calma e lucidità di Guido.

Potevamo deliziarvi con una descrizione impreziosita da termini tecnici; potevamo esaltarvi con ricostruzioni geologiche e paleontologiche spinte a sfiorare l'impossibile; potevamo impressionarvi con una leggenda arcaica e terrificante trasformatasi quasi in realtà; potevamo entusiasmarvi con una scoperta che rivoluzionaria è dir poco; potevamo... potevamo... E, invece, per il giusto riconoscimento dovuto ai dotti lettori di questo Circolo, abbiamo preferito mostrarvi la realtà nuda e cruda. Una narrazione semplice, per quanto possibile, onesta e sincera. Anche in questa ora di giubilo umiltà e discrezione resteranno i nostri fari, in attesa dei più che giusti riconoscimenti della Scienza mondiale, che resterà sicuramente allibita di fronte alle prove acquisite sul campo e ora conservate come reliquie nell'ambiente più idoneo.

Al di là della ragione "ufficiale" dell'escursione (spiegazione e ammirazione della fantastica geologia  della Val Gargassa) nei pressi dello straordinario villaggio (anche qualcosa di più) di Rossiglione, al confine, da sempre incerto, tra Liguria e Piemonte, il vero scopo dell'esplorazione si riallacciava strettamente all'infruttuosa spedizione in Lessinia di Barbara e del sottoscritto, alla ricerca di esemplari ancora viventi di quell'incubo primordiale rappresentato dalla ormai celebre bisciabova.

Un'immagine dello straordinario canyon della Val Gargassa. Si notano gli effetti di continuo strofinamento di un "qualcosa" contro le rocce che non può essere assolutamente imputato solo all'azione dell'acqua e del vento.

Forse il Buso del Valon è proprio la tana di una di queste creature, ma essa può essere solo un ben misero esemplare degli odierni pronipoti di cotanto mostro.  Tuttavia, proprio al culmine della disperazione, ecco che un normale contatto con un paio di amici di Rossiglione, ha improvvisamente riacceso le speranze. Il nome di Bisciabua è presente (e come!) nelle leggende della Val Gargassa. Si parla infatti di immensi serpenti che non solo hanno popolato  la valle, ma anche dato un notevole contributo all'intera sua evoluzione geologica. Come? Quando? Perché? Tutti interrogativi ancora da risolvere. Non è certo un caso che le rocce più antiche della valle siano le serpentiniti, che, forse (ma nessuno vuole ammetterlo), devono il loro nome proprio al connubio tra i lemmi: bisciabova (bisciabua in ligure) – serpente - serpentinite.

Ciò che resta dell'antico villaggio di Vereira, abbandonato perché si diceva fosse infestato da mostruosi "draghi" striscianti. Il riferimento alla bisciabova risulta immediato. Nei pressi si sono anche rinvenuti fossili di animali oggi scomparsi.

Dopo gli abbracci scaturiti dall'animo, la razionalità  ha ripreso il controllo e abbiamo lestamente iniziato la nostra avventura, sul principio circondati  solo e soltanto da diffusi affioramenti serpentinitici, più o meno massicci e fratturati.

Un classico esempio di serpentinite. Fino a poco tempo fa si pensava che il nome derivasse dal colore... oggi le idee sono molto cambiate.

Mentre si discuteva dottamente su questa litologia, sulla sua genesi e giacitura, ecco, nel suo verde splendore, un buco enorme occhieggiare dal letto del torrente. A prima vista e per i frettolosi esponenti di certa attuale modalità di ricerca scientifica dimentichi dei buoni dettami della ricerca più accurata, nulla più che una normale marmitta dei giganti.

Una "banale" marmitta ha dato il via a una rivoluzione geologica senza precedenti.

E invece no! Il suo diametro, incompatibile con tutti i modelli proposti in letteratura (Paskal e Papel, 2019)1, il tipo di roccia,  le evidenti striature elicocentriche, ma, soprattutto, gli scheletri di pesci, cinghiali e -ahinoi!- di qualche capriolo, letteralmente sparati contro la roccia nera sovrastante (all'apparenza un semplice conglomerato) e la loro "freschezza", testimoniata dalla datazione eseguita da Guido con la nuova apparecchiatura per l’esame al Carbonio 14 in situ, nell’occasione sperimentata per la prima volta (Mobili e Nobili, 2020)2 non lasciavano dubbi: non solo vi erano le prove della presenza di una nutrita popolazione  di bisciabove fin dai periodi più antichi (abbiamo anche localizzato un intero scheletro di Tirannosaurus Rex, notevolmente frammentato ma sorprendentemente completo incluso  nel conglomerato) ma anche e soprattutto di uno o più esemplari ancora viventi!

Lo scheletro di Tirannosauro Rex scoperto (ma subito nascosto nuovamente per evitare azioni perturbatrici di gente inesperta). Si notano chiaramente i segni inequivocabili di una masticazione profonda avvenuta prima del "lancio".

Proprio il conglomerato poligenico, però, ha fornito  la prova decisiva . Esso non si era formato attraverso i ben noti meccanismi sedimentari, ossia non era soltanto una roccia sedimentaria clastica, costituita da ciottoli di varia tipologia litologica più o meno arrotondati, cementati  da una matrice sabbiosa o anche più fine . Ah... errore imperdonabile di molti studiosi troppo impulsivi e faciloni! Il conglomerato della val Gargassa  era chiaramente formato da volumi sabbiosi in cui  erano state incastrate con enorme violenza e quindi con sviluppo di calore sufficiente per essere cementificate rapidamente, pietre grandi e piccole "sputate" con veemenza dai terribili predatori anfibi. Veri e propri "sassolini" finiti nei denti delle spaventose bisciabue della Val Gargassa e da queste espulsi, quasi con infastidita ferocia.

Il "Barcun da Scignua", un foro nella roccia, sicuramente dovuto a un frammento di materia ossea sputato con esagerata violenza da un esemplare gigantesco di bisciabova.

Rocce, quindi, che avevano subito una metamorfosi attraverso un inedito meccanismo, a cui si aggiungeva la possibile azione catalitica della saliva dell'enorme serpente, capace di mobilizzare e vicariare a livello del reticolo cristallino, ipotesi già ventilata nel recente passato (Venustiano Imanio Corbeza da Valon y Canton, Accademia Argentino-Asturiana, comunicazione personale). Mai erano state studiate a fondo... ma, ora, era venuto, finalmente, il momento! Guido raccolse, sezionò, analizzò con il suo spettrometro di massa portatile. Niente... con grande delusione non poté fare altro che ammettere la perfetta normalità di tali rocce: ferro, magnetite, tracce di pirite, un pizzico di amianto, silice quanto basta, e via dicendo. Analogo risultato per la sabbia che faceva da "collante".

Passammo a un metodo più empirico, ma altrettanto valido: assaggiare le rocce (non ditelo ai vegani che potrebbero diventare pietrani) e distinguerne la qualità organolettica. Il grande Guido aveva da poco spiegato tutte le sfumature gustative che portavano con sé i minerali più disparati (pensate solo allo zolfo...). E così continuammo con frenesia, ma senza soprese fino a che Barbara non notò una strana pietra dalla forma quasi sferica, ricchissima di colori. Era al bordo del sentiero e nel nostro raccogliere, assaggiare e rifiutare, sempre più scoraggiati, non ci accorgemmo del sasso che, urtato casualmente, era in procinto di cadere dal ripido dirupo che piombava quasi verticale verso il sottostante torrente.

Barbara fu rapida: in spregio all’evidente pericolo  fece un balzo, inciampò, ma non lasciò la sua preda. Pur cadendo rovinosamente, assorbendo colpi ben assestati dalle rocce taglienti, riuscì a bloccare la pietra. Ancora sospesa nel precipizio, col volto tumefatto ma con invitta audacia, continuò senza tema nel suo scopo e assaggiò la strana pietra!

" Uovo marcio, idrocarburi" esclamò con chiaro disappunto; poi, però, continuò: "Limone, ananas, fragola, pistacchio, noce moscata, arancio, papaia, mangoooo!". Guido impallidì... no, non era possibile! Una cosa è avere un sapore minerale e una cosa è spaziare in tutto il regno della frutta e non solo. "Banana, lampone, vaniglia...". Con impeto gliela strappai di mano: "Rabarbaro, chinotto, nespola, kiwi...". Ricordandoci finalmente di aiutare Barbara, ancora pencolante sul bordo del dirupo, la aiutammo a raggiungere  una posizione meno pericolosa e, infine esausti, sedemmo. Continuammo a leccare con gioia sempre crescente e invitammo gli altri esploratori a condividere le sensazioni, trasmesse dal quel sasso miracoloso.

Guido raccolse le idee, fece qualche rapido calcolo, una sintetica analisi molecolare e poi spiegò come meglio poteva: "Ogni atomo di questa pietra riesce a combinarsi con tutto ciò che la Natura trasporta nel vento... particelle, odori, fragranze. Ne escono composti di ogni genere che riproducono tutto ciò che la vegetazione, anche lontanissima, spande nell'atmosfera. Aggiungendo a ciò l'effetto della saliva del degustatore e l'azione svolta da quella catalizzatrice della bisciabova ne fuoriesce l'essenza stessa del mondo vegetale (ma chissà che non si arrivi anche a quello animale...)." Parlava con convinzione anche se i suoi occhi erano quasi persi nel vuoto. Si diede un paio di schiaffi... No, no, era proprio sveglio e riprese a fare calcoli. Il “magico” campione litoide  pesava 2370 grammi e non fu difficile per lui stimare la quantità di atomi o al più molecole che potevano assumere sapori sempre diversi. Meglio smettere di leccare e non consumare il tesoro che avevamo tra le mani.

Solo quell'esemplare avrebbe cambiato drasticamente il futuro dell'uomo, le sue possibilità gustative, la preparazione del cibo. Un solo grammo sarebbe stato pagato con tonnellate e tonnellate di oro dai massimi chef mondiali, così come dai più raffinati degustatori di vini. Ma a Guido, ovviamente, poco importava del denaro: lui pensava all'utilizzo sapiente e corretto delle immense potenzialità del nuovo minerale.

Decidemmo in fretta di dargli il nome della valorosa e intrepida scopritrice... e fu Barbarinite. Ci guardammo intorno, vedemmo migliaia di pietre lanciate contro la sabbia dei monti circostanti ... qualcuna aveva, in realtà, la stessa apparenza della "nostra" piccola gemma preziosa. S’era forse in presenza di  un immenso giacimento di barbarinite, scoperta dalle ricadute socio-economiche che potevano prevedersi di portata notevolissima.

Il primo esempio di barbarinite, una "pietra" che passerà alla storia... (Riproduzione vietatissima!)

Calma, ci voleva molta calma e riflessione. La scoperta non poteva essere data in pasto ai media e nemmeno a tutti gli Scienziati e sedicenti tali. Si doveva procedere con attenzione e cautela. Ogni cosa a suo tempo. Guido, con grande umiltà e saggezza, disse: "Prima la Penrose Medal... poi si vedrà!"

Nella memoria fanciullesca del sottoscritto  tornò a farsi viva una vecchia storia di Zio Paperone & co. Ma sì, ancora lui, il grande Carl Barks, sicuramente il più grande e geniale ideatore e disegnatore delle storie di Paperino & soci aveva colpito nel segno. Abbiamo spesso parlato della sua previsione, completamente avveratasi molti anni dopo, della formazione degli asteroidi come "ammasso di sassi tenuti assieme dalla mutua gravità (piles of rubble)" (QUI ), ma niente faceva presagire che proprio durante una gita, all'apparenza innocua, Guido, insieme ai suoi compagni di escursione (tra cui io...), si imbattesse proprio in qualcosa del tutto simile al "bombastium". Leggetevi la storia, ne vale la pena... senza tralasciare la personale visione del ghiaccio di Encelado.

Una tavola della magnifica storia di Zio Paperone e il "bombastium". In particolare è quella relativa alla scoperta delle eccezionali proprietà della "palla ghiacciata".

Siamo costretti a interrompere qui l'avventura che meriterà ben altri approfondimenti scientifici di valore assoluto. Nel frattempo Guido ha preparato un piccolo regalo per tutti coloro che amano le "fakenews", così di moda ai nostri giorni. Per loro ha scritto una descrizione accurata e affascinante della storia geologica della Val Gargassa, come era accettata prima della inaspettata e rivoluzionaria scoperta. Ora sappiamo che essa dovrà essere trasportata nel regno delle menzogne mediatiche, ma, in qualche modo, rimane sempre un saggio da "assaggiare" (tanto per rimanere in tema) con molta attenzione.

Mi raccomando, che l'intera faccenda rimanga tra noi!

Bibliografia

1 – Paskal B., Papel R. 2019 “Statistical coherence of river erosive forms”. Acta Fluidica. Vol. 222, 1001-1201.

2 – Mobili E., Nobili, A. B. 2020 “A new method for C14 detection: technical and operative outlines”. Proceedings in Geochronology. Vol. 666, 1-37.

 

P.S.1: Dopo che saranno compiuti tutti gli studi necessari, si auspica che sia l'esemplare di barbarinite, sia lo scheletro "mangiucchiato" del Tirannosauro, verranno esposti nella magnifica sede del meraviglioso museo "Passa Tempo", uno dei principali vanti  della cittadina di Rossiglione.

La sede dello straordinario Museo Passa Tempo: una visita è obbligatoria!

P.S.2: Si legge in giro che la barbarinite possa essere di origine "aliena", forse un frammento dell'asteroide 9101 Rossiglione. Non credeteci! E' solo e soltanto una "fakenew", inventata da qualche buontempone. L'origine della barbarinite è decisamente più realistica e confermata da prove inoppugnabili!

14 commenti

  1. Massimo

    Molto interressante.

    Cercando su google maps dove si trova Rossiglione ho visto che poco a sud si trova la "Cascata Serpente".....

  2. caro Massimo... non possiamo scoprire tutte le carte in una volta sola :mrgreen:

  3. Alberto Salvagno

    Ho rilevato spaventose tracce di mostruosi serpenti Mangiasassi qui a Ikaria (Grecia) in località Trapalu'. Peccato non avere gli strumenti di Guido per approfondire l'indagine in loco. Ma spero lui conosca già il fenomeno e me lo sappia spiegare. Mando le foto a Daniela non appena sarò sufficientemente connesso :-)

  4. parliamo sottovoce... ma il mondo sarà dominato dalle "bisciabova" ! Un vantaggio, comunque ci sarà: oggi siamo dominati da serpenti velenosi, domani da serpenti non velenosi.

  5. Alberto Salvagno

    Aiutandomi con il greco che ho appreso al sientifico, sono riuscito a intervistare alcuni studiosi locali. Mi pare d'aver capito che loro questo serpente lo chiamano non bisciabova, ma "katabatikos". Dicono che venga giù a precipizio dalle montagne quando un pericoloso drago (?) - che loro chiamano "meltemi" - soffia e ruggisce. Mah, vatti a fidare degli studiosi!

  6. interessante... molto interessante...

  7. Daniela

    Ecco le immagini inedite delle tracce dei terribili serpenti mangiasassi rinvenute da Albertone in Grecia.

    Ora non resta che trovare tracce di Dna dei serpenti nella loro saliva rimasta attaccata ai sassi, sequenziarne il genoma, e confrontarlo con quello della bisciabova le cui tracce saranno certamente rilevabili nello scheletro di tirannosauro sputato dal mostruoso essere, per comprendere se tra le due specie possa esserci una parentela. Forza... diamoci da fare! :-P

     

  8. Direi che la cosa migliore sarebbe che Albertone pagasse a Guido e a me il viaggio sull'isola per poter fare le analisi di persona...

  9. Alberto Salvagno

    :-)

  10. Guido

    Buongiorno, le foto mi suggeriscono un'idea sulla genesi di quanto raffigurato. Naturalmente è necessario recarsi sul posto per approfondire e, come ormai sappiamo, "degustare" i massi. A prima vista ravviso un legame con talune forme rinvenibili su alcuni tratti di costa in Sardegna.

    Che la bisciabova (o suoi parenti) sia più diffusa di quanto finora ipotizzato?

  11. concordo, caro collega! Le capacità elusive dei tale mostro sono veramente eccezionali. Come spesso capitasi guarda il piccolo e si viene ingannati dal grande. Riguardo alla Sardegna, ti riferisci mica alle rocce di Capo Testa? In tal caso il nome stesso la potrebbe dire lunga...

  12. Guido

    Certo! Capo Testa e dintorni di Arzachena....

  13. Guido

    Per completezza riporto anche la genesi "classica" delle intriganti forme fotografate, chiamate "tafoni" o "rocce tafonate", forme prodotte dall'erosione dovuta al vento o all'aggressione del sale marino (nei siti costieri).

    Ma le spiegazioni classiche sono fatte per essere riviste.... :wink:

     

  14. Alberto Salvagno

    Eh sì, caro Guido, sapessi quante volte ho fotografato per lavoro le rocce scavate di Arzachena e il famoso Capo d'Orso. Spesso accostando le loro curve a quelle di leggiadre pulzelle

Lascia un commento

*

:wink: :twisted: :roll: :oops: :mrgreen: :lol: :idea: :evil: :cry: :arrow: :?: :-| :-x :-o :-P :-D :-? :) :( :!: 8-O 8)

 

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.