Categorie: Matematica Storia della Scienza
Tags: Bramante Brunelleschi Donatello Giotto illusionismo prospettico Masaccio Piero della Francesca prospettiva Rinascimento
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Impariamo a disegnare in tre dimensioni. 4 (dalla teoria alla pratica) *
Questo articolo fa parte della serie "Disegnare in tre dimensioni: tra storia e pratica"
Abbiamo imparato in modo molto schematico, ma sufficiente allo scopo, a disegnare ciò che il nostro occhio vede. Esso vede tutto proiettato su un piano e in tale piano tutte le linee parallele devono convergere in un punto. In altre parole, abbiamo introdotto la prospettiva centrale, ossia quella forse più ovvia e comune. Attraverso di lei è possibile finalmente creato uno spazio reale in cui inserire, come volumi ben definiti, anche le figure siano esse oggetti, edifici o anche persone. Il Rinascimento insegna...
L'avvicinamento
Come abbiamo già accennato il bisogno di creare uno spazio in cui inserire le figure umane, siano esse normali o divine, nasce già con Cimabue (1240-1302). Non più manichini a due dimensioni, ma corpi reali dotati di volume e di massa, saldamente piazzati sul terreno. Dapprima il tentativo è molto timido e si usa soltanto il chiaroscuro sulla figura che tende a renderla "corposa" e più realistica. Poi Giotto (1267-1337), ma non solo lui dato che basta pensare ai Lorenzetti a Siena, cerca di inserire i personaggi dentro spazi chiusi, creando così un volume in cui inserire le figure. Nascono così gli "scorci" che, seppure ancora molto empirici e senza regole geometriche chiaramente delineate, riescono a dare una certa profondità alle scene rappresentate. La Cappella degli Scrovegni ne è un esempio altissimo. Gli spazi in cui finalmente può inserirsi una persona diventano parte integrante del dipinto. Ovviamente, un unico punto di fuga per le rette parallele è ancora lontano...
Non dimentichiamo, poi, il grande contributo di Giotto alla linea che delimita i personaggi: essa è variabile, si ispessisce e si assottiglia contribuendo a una visione tridimensionale. Il salto è enorme, superiore a quello che appare a prima vista. L'uomo sta prendendo coscienza della sua esistenza terrena e della sua posizione materiale nel paesaggio.
Come già abbiamo detto QUI, dopo Giotto sembrerebbe che il suo pennello si sia fermato, anche se molti altri maestri proseguirono in quella strada, ma senza riuscire a compiere il salto definitivo.
La nascita
Per ottenerlo bisogna aspettare l'inizio del quattrocento, quando compaiono due figure immense nella loro genialità: Brunelleschi (1377-1446) e Masaccio (1401-1428). Loro vogliono completare l'opera di Giotto, cercando le regole geometriche e pittoriche più adatte e, soprattutto, completamente oggettive e descrivibili. Brunelleschi è noto come architetto, mentre Masaccio come pittore. Ma ormai non esiste più limite tra queste rappresentazioni della realtà. Ed è proprio attraverso una tavoletta dipinta che Brunelleschi dimostra a tutti come riprodurre perfettamente su un piano la visione tridimensionale acquisita dall'occhio umano ed è proprio Masaccio che realizza una struttura architettonica perfetta in cui inserire figure umane e divine tali da prendere possesso di uno spazio reale e concreto. L'uomo diventa veramente creatura reale e i suoi piedi hanno lo spazio giusto per ergersi nella sua fierezza.
Facciamo una breve storia di queste due opere fondamentali che, a volte, sono dimenticate a causa di una conoscenza troppo frettolosa.
Brunelleschi capisce che le sue regole per rappresentare un qualsiasi edifico su un piano sono perfette e allora escogita un marchingegno che tutti possono usare e provare. Dipinge, nel 1413, per mezzo delle regole che abbiamo affrontato anche noi, una tavoletta con il Battistero di Firenze, come è visto dal portale della cattedrale di Santa Maria del Fiore. Una volta stabilita la forma geometrica essenziale, non ha problemi a completarla con tutti i motivi scultorei che la ornano. Una vera e propria copia dipinta su tavola che riproduce esattamente ciò che si vede e come si vede.
A quel punto fa un foro nella sua tavola (in corrispondenza del punto focale o punto di fuga) in modo da poter vedere il vero Battistero, pur mantenendo la tavola davanti agli occhi con la parte dipinta rivolta verso il Battistero. Poi prende uno specchio libero di potersi muovere. Questo specchio permette, quindi, all'occhio di Brunelleschi di vedere quasi simultaneamente sia l'immagine riflessa della sua tavola sia la reale immagine del battistero. Giocando con lo specchio, allontanandolo o avvicinandolo, riesce a far coincidere perfettamente le due immagini, quella reale e quella dipinta. Un macchinario semplicissimo che chiunque può provare e attraverso il quale restare allibito. Un momento epico nella storia dell'arte e nella stessa storia dell'uomo che prende coscienza di se stesso. Ora Brunelleschi può disegnare piante di edifici e conoscere in anticipo la loro apparenza reale una volta che saranno costruiti e che si vedranno da particolari punti di vista.
La tavoletta è scomparsa, ma ne parla diffusamente un coetaneo di Brunelleschi che diventa il suo biografo (Antonio Manetti). Egli dice: “…misse innanzi ed in atto quella che e’ dipintori oggi dicono prospettiva […] nei tempi della sua giovinezza”. Poi, racconta i due ingegnosi esperimenti creati da Brunelleschi per dimostrare i principi della prospettiva, basati sulle tavolette. La seconda tavoletta, raffigurante una veduta della Piazza della Signoria, era destinata alla dimostrazione della prospettiva accidentale (di cui parleremo in seguito). La figura che segue rappresenta la procedura ideata da Brunelleschi per il Battistero:
Masaccio fa praticamente il contrario, ossia fa l'architetto, costruendo una struttura a diversi piani, creando spazi e volumi perfetti per i personaggi umani e divini. Può anche scegliere il miglior punto di vista per creare il giusto "pathos" alla scena e per ottenere una meravigliosa armonia del tutto. A questo punto inizia a "bucare", dipingendo, il muro di Santa Maria Novella e riproduce l'immagine del suo monumento architettonico. Il punto di fuga, proprio in corrispondenza del piano di terra su cui si sistemano i personaggi umani, è una scelta ben precisa che fa assumere valore e importanza diversa ai personaggi più lontani (divini) rispetto a quelli umani (vicini). Ma più di tante parole vediamone la struttura geometrica "architettonica" e poi la realizzazione bidimensionale pittorica.
Da questo momento (1426-28) la pittura non potrà più essere la stessa...
N.B.: Da quanto descritto sembrerebbe che l'importanza del dipinto di Masaccio sia rappresentato solo dal perfetto e sapiente uso della prospettiva. No, questo è solo un mezzo per creare gli spazi realistici in cui inserire figure dotate di potenza e di plasticità fantastiche. L'uso delle ombre, la profondità degli sguardi, la pennellata sicura, l'armonia della composizione ne fanno uno dei massimi capolavori della pittura di tutti i tempi.
Tornando alla nostra prospettiva, ci accorgiamo che i grandi maestri del '400 usano sempre la prospettiva centrale, quella che permette di avere un quadro d'insieme più raccolto e in cui la scena rimane sotto il miglior controllo dell'occhio. Il punto di fuga, però, si sposta sia a sinistra che a destra. Forse un'incapacità di rappresentare le visioni "di spigolo"? Assolutamente no, dato che lo stesso Brunelleschi aveva dipinto nella tavoletta della Piazza della Signoria, il Palazzo Vecchio visto obliquamente, come se si provenisse dalla cattedrale. Ancora una volta la sua raffigurazione era perfetta!
Torniamo a Masaccio e analizziamo alcuni suoi sommi capolavori presenti nella Cappella Brancacci del Carmine di Firenze (1424-28). Possiamo notare che la prospettiva è onnipresente, anche se sembra assumere un ruolo di secondo piano di fronte alla ricerca della monumentalità dell'uomo. Per lui era veramente solo un mezzo (a volte discreto) per dare all'uomo la stessa imponenza delle divinità.
Vediamo il fantastico Pagamento del Tributo (1425). La parte essenziale dell'affresco è un vero e proprio "Colosseo" di figure umane, con Cristo al centro, come abbiamo cercato di evidenziare nell'immagine che segue:
La prospettiva generale è definita dal palazzo di destra (con il fuoco che cade esattamente nel volto di Cristo). San Pietro e il gabelliere (a destra) sono facilmente racchiusi in un parallelepipedo che dona all'insieme il necessario volume. Notate che lo sfondo montuoso assume già una sua propria prospettiva aerea (della quale, qualche decennio dopo, divenne maestro Leonardo da Vinci), data dalla forma del fiume, dalle ombre degli apostoli, da come la figura di San Pietro chinato rimpicciolisce e da una lieve, ma sensibile, differenza nella pennellata del grigio.
Sempre al Carmine, Masaccio raggiunge un altro capolavoro (ma quali delle sue opere non lo sono?) con San Pietro che guarisce con la sua ombra gli infermi. Questa volta il fuoco è esterno al dipinto e, in questo contesto, le figure dei due apostoli assumono una potenza particolare dovuta anche alla loro massa ben salda sui piedi e al lento movimento in avanti. Dinamicità accentuata dalla curva che unisce i volti degli infermi che si alzano a mano a mano che San Pietro prosegue nel suo incidere maestoso.
Come dicevamo, però, la prospettiva è una utile conquista, ma la grandezza del Masaccio va ben oltre. Guardiamo nella figura che segue, a sinistra, la pennellata rapida e incisiva del maestro nei suoi "terribili" Adamo ed Eva cacciati dal Paradiso Terrestre. Bisognerà aspettare secoli prima che qualcuno possa competere, come il Goya della Quinta del Sordo (a destra, 1819-23).
Inoltre, quando la potenza del nuovo uomo rinascimentale di Masaccio viene piegata da Dio ecco scaturire una disperazione senza limiti, avvicinata solo -forse- da Guernica di Picasso. Ricordiamo, se ce ne fosse bisogno, che Masaccio nacque nel 1401 e morì a soli 27 anni nel 1428. Risuonano ancora le parole che Vasari fece dire a Brunelleschi, nelle sue "vite": "Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita".
Le immagini di Adamo ed Eva dipinte da Masolino, ancora legato alla tradizione gotica, nella stessa Cappella Brancacci, fanno letteralmente sorridere...
Guardiamo anche un altro affresco di Masolino, sempre al Carmine, dove l'impianto prospettico mostra un tentativo ancora un po' impreciso di seguire i dettami della nuova rivoluzione, mentre l'esecuzione di molti personaggi ricordano, nella loro staticità e apatia, il gotico internazionale a cui Masolino era ancora profondamente legato.
Insomma, la grandezza immensa di Masaccio va ben oltre il suo ruolo fondamentale nell'introduzione della prospettiva e non conosciamo parole migliori di quelle del Vasari per testimoniarla:
“Le sue fatiche meritano infinitissime lodi; e massimamente per avere egli dato ordine nel suo magisterio alla bella maniera de’ tempi nostri. E che questo sia il vero, tutti i più celebrati scultori e pittori che sono stati da lui inqua esercitandosi e studiando in questa cappella, sono divenuti eccellenti e chiari, cioè fra’ Giovanni da Fiesole, fra’ Filippo, Filippino che la finì, Alessio Baldovinetti, Andrea dal Castagno, Andrea del Verrocchio, Domenico del Grillandaio, Sandro di Botticello, Lionardo da Vinci, Pietro Perugino, fra’ Bartolomeo di San Marco, Mariotto Albertinelli et il divinissimo Michelagnolo Buonarroti. Raffaello ancora da Urbino di quivi trasse il principio della bella maniera sua, il Granaccio, Lorenzo di Credi, Ridolfo del Grillandaio, Andrea del Sarto, il Rosso, il Francia Bigio, Baccio Bandinelli, Alonso Spagnuolo, Iacopo da Puntormo, Pierino del Vaga e Toto del Nunziata; et insomma tutti coloro che hanno cercato imparar quella arte, sono andati a imparar sempre a questa cappella, et apprendere i precetti e le regole del far bene da le figure di Masaccio”.
La rapida maturità
Non possiamo certo dimenticare il contributo della scultura di Donatello (1386 - 1466). Le sue figure a tutto tondo raggiungono dinamismo e armonia altissimi, paragonabili alle grandi opere greche, ma la prospettiva viene usata sapientemente quando riesce a "dipingere" con la scultura nei suoi celebri e insuperati bassorilievi. Quello che segue ha un valore particolare, dato che rappresenta la prima opera esistente in cui i dettami di Brunelleschi vengono chiaramente eseguiti. Parliamo del bassorilievo con San Giorgio che uccide il drago del 1416-17. La prima opera di prospettiva dipinta è, in realtà, una... scultura.
Seguono, poi, due opere raffiguranti entrambi il banchetto di Erode, di cui il primo è nel Battistero di Siena (1423-27)
e il secondo è conservato a Lilla (1435).
Nel primo la prospettiva centrale con il fuoco mediano crea lo spazio per la dinamicità dei vari gruppi di persone, mentre il secondo gioca maggiormente con spunti prospettici inediti come la fantastica scala posta sulla destra.
Non possiamo dimenticare i bassorilievi eseguiti per il Santo di Padova, tra cui spicca il Miracolo dell'asina (1446-53).
Ma negli stessi anni o poco dopo operano molti altri maestri immensi, quali Piero della Francesca (1416-92), Andrea del Castagno (1421-57), Paolo Uccello (1397-1475) in Toscana, senza dimenticare il Mantegna (1431-1506) nell'Italia del Nord. Essi manovrano la prospettiva portandole a vette estreme e risolvendo teoremi veri e propri, giudicati ancora oggi apparentemente irrisolvibili, come nella Flagellazione di Urbino di Piero della Francesca.
Di seguito l'Annunciazione, sempre di Piero della Francesca, anch'esso vero e proprio manifesto della tecnica prospettica, che diventa il "personaggio" principale.
Della Flagellazione di Urbino avevamo già parlato QUI, accostandolo all'effetto fotoelettrico di Einstein. Riportiamo le parole dette in quel caso: "Esso, prima che un dipinto, è la soluzione di un teorema matematico e geometrico apparentemente irrisolvibile. Metà del quadro è composto di “pieno”, tre figure che sembrano creare una struttura massiccia in rotazione. L’altra metà è di puro vuoto, uno spazio senza peso. Eppure le due parti sono perfettamente bilanciate tra di loro e danno un senso di perfetto equilibrio. La prospettiva, la sua applicazione, la scelta delle dimensioni e dei rapporti, hanno creato il miracolo. In parole povere, non vi è differenza tra la materia e l’apparente vuoto. Un concetto che tanto assomiglia ai nuovi principi della fisica che sta nascendo agli inizi del 1900…"
Purtroppo le bombe dell'ultima guerra hanno praticamente distrutto gli affreschi del Mantegna agli Eremitani di Padova. Ci basta, però, una vecchia foto per vedere come l'uso di una prospettiva con punto di fuga sotto il livello del suolo dia straordinaria imponenza ai due soldati in primo piano, vere e proprie possenti sculture.
E che dire della prospettiva che riesce a bucare il soffitto nella Camera degli Sposi del Castello di Mantova?
o del drammatico scorcio del Cristo Morto nella Pinacoteca di Brera?
Anche se non evidenziata da particolari edifici, ma solo dalla geometrica distesa del prato, regna sublime la prospettiva nel San Giorgio che uccide il drago di paolo Uccello, dove lo scorcio del cavallo, quasi bloccato nel suo salto risolutivo che porta all'uccisione del mostro, è di uno slancio dinamico quasi ineguagliato.
E come non finire questa brevissima carrellata con la inaspettata e fantastica Caccia del museo di Oxford dello stesso autore, in cui regna ormai incontrastata una prospettiva aerea giocata sui movimenti e sul rimpicciolimento delle varie figure e degli alberi, con il turbinio concitato dei cani che fanno pensare alla visione saltellante, da destra a sinistra e viceversa, di chi sta seguendo una partita di tennis.
Non solo pittura e scultura, però... Anche la stessa architettura approfitta dell'illusione realistica della prospettiva. Ricordiamo solo due esempi tra i più noti ed efficaci. Innanzitutto la Piazza di Pienza dove Bernardo Rossellino (1409-1464), allievo di Leon Battista Alberti (1404-1472), gioca con la psicologia del visitatore. Lui sa che, ponendosi di fronte alla Cattedrale l'osservatore pensa subito a una visione prospettica con tutte le linee dei palazzi che portano a un unico punto di fuga. Cosa decide di fare, allora? Di trasformare la piazza da "normale" rettangolo in trapezio isoscele con la base più lunga più lontana dall'osservatore. In questo modo, la parte psicologica prende il sopravvento.
L'idea profondamente radicata dall'esperienza comune che tutte le linee vadano allo stesso punto di fuga, crea l'illusione di un distanziamento maggiore tra i palazzi di destra e sinistra. La piazza, perciò, sembra più ampia e la Cattedrale, che risponde completamente alla reale visione prospettica, appare più grandiosa e imponente. Nessuno, infatti, pensa che il punto di fuga delle linee rosse sia diverso da quello delle linee verdi.
La figura che segue mostra una pianta della Piazza e uno schema in cui l'attesa prospettiva rossa (corrispondente al rettangolo) si trasforma in quella verde, collegata al trapezio. Ovviamente, all'uscita dalla chiesa, tutto si ribalta e la piazza sembra molto più lunga avendo accentuato l'inclinazione verso il punto di fuga. Un simile stratagemma è stato anche usato da Michelangelo per la sua Piazza del Campidoglio a Roma.
Uno dei massimi risultati dell'illusionismo prospettico si deve a un altro grande architetto, Bramante (1444-1514), che si vide costretto a fare apparire un coro dove non c'era posto per costruirlo... Il caso riguarda S. Maria presso S. Satiro a Milano. Nella figura che segue (a destra), vediamo la pianta della chiesa e in rosso il muro completamente piatto, dove si chiedeva a Bramante di far nascere una struttura apparentemente "profonda". Detto fatto, come si nota nella parte sinistra. L'inganno è perfetto! Notiamo che la fuga prospettica simula in poco meno di un metro di profondità, uno spazio pari a circa dieci metri. Qualcosa che è forse più vicina ai bassorilievi di Donatello che a una costruzione architettonica.
Ovviamente ciò è perfetto solo guardando il coro dall'entrata della chiesa. Se ci si sposta lateralmente il "trucco" si scopre...
Due grandi del tempo trascrivono su carta le regole prospettiche, dandone una visione omogenea ed oggettiva: Piero della Francesca con il suo De Prospectiva Pingendi e Leon Battista Alberti con la sua opera veramente fondamentale De Pictura.
Dopo questo rapidissimo viaggio nel breve periodo della nascita della prospettiva ad opera di molti geni, racchiusi in un periodo veramente limitato (di molti non abbiamo parlato, ma le figure di valore altissimo sarebbero ben di più...), torniamo alla nostra prospettiva "casalinga" e passiamo alla prospettiva accidentale o angolare. Come già detto, essa è stata ben poco usata nel primo Rinascimento, ma era ben conosciuta, come dimostra chiaramente anche lo stesso trattato di Leon Battista Alberti.
continua...