Altri tempi, altri libri *
Le osservazioni ed i calcoli degli astronomi
ci hanno insegnato molte cose meravigliose;
ma la lezione più importante che abbiamo da essi ricevuto
è l’abisso della nostra ignoranza rispetto all’universo.
Critica della ragion pura, Immanuel Kant
Un raffronto tra l’editoria italiana dedicata oggi alla divulgazione scientifica e l’analoga di quarant’anni fa è quasi impossibile, o, per meglio dire, priva di senso: quarant’anni fa, infatti, era pressochè inesistente.
Oggi l’offerta di titoli dedicati alla divulgazione scientifica è ampia e variegata, almeno per le discipline più in voga, tra queste vanno senz’altro contate la climatologia (con il florilegio sul GW), la fisica quantistica, le due relatività, l’evoluzione biologica e, ultimissimamente, l’epidemiologia e i virus. Numerose anche le biografie dedicate alle grandi menti della scienza, talune molto ben fatte, altre meno.
All’elenco di cui sopra bisogna aggiungere anche l’astronomia/astrofisica, con alcuni protagonisti particolari che vantano una preminenza numerica di titoli, tra questi i buchi neri, cosmologia e materia/energia oscura.
Premesso che il fenomeno non può che esser visto positivamente proprio alla luce di un passato ben poco generoso con il lettore desideroso di avvicinare le frontiere della scienza e sbirciare sulle teorie escluse dalle aule scolastiche, si può tranquillamente plaudire allo sforzo editoriale in tal direzione.
Tuttavia esiste un aspetto che dovrebbe indurre qualche riflessione in proposito e che andrebbe tenuto in debita considerazione proprio per non sviare chi affronti tali letture e spingerlo inconsapevolmente verso derive interpretative pericolose. Derive che potrebbero portare al risultato opposto a quello ricercato dalla divulgazione, che è, nel caso in esame, fornire un quadro dello “stato dell’arte” nell’ambito della conoscenza scientifica, evidenziando bene la differenza tra dati oggettivi, interpretazione degli stessi, ipotesi e teorie.
Questi quattro elementi, tutti concorrenti a formare il panorama della conoscenza, sono tra loro profondamente differenti, e non devono essere proposti in modo confuso né mescolato a chi legge, cioè il lettore (che nel caso in oggetto evidentemente NON è uno specialista della materia) dovrebbe voltare l’ultima pagina avendo ben chiari in testa i dati sperimentali acquisiti e la loro affidabilità, i modi come questi risultati oggettivi possono essere interpretati e perché, le ipotesi che si presentano come sensate a fronte dei dati presentati e, se è il caso, le teorie basate su tali dati.
Limitando il discorso al caso dell’astrofisica appare abbastanza scoraggiante imbattersi in testi, scritti da specialisti, che non sottolineano il fatto che Big Bang, materia oscura, energia oscura, etc., sono ipotesi basate sull’interpretazione di dati sperimentali e non “conoscenze” in senso stretto. Il Big Bang è un modello teorico (abbastanza vecchio nel suo concetto di base) e non un dato. Forse è il modello migliore disponibile attualmente, ma certo non è la realtà (che presumibilmente resterà nascosta ai nostri occhi). Al contrario di come sarebbe opportuno fare fin dalle prime pagine, il Big Bang viene proposto come un dato di fatto e non come un modello, ben sostenuto da dati di un certo tipo ma incompleto e non definitivo. Materia oscura ed energia oscura sono ancora più intriganti, dal momento che vi sono interi testi che ne parlano senza minimamente spiegare quali siano i dati a sostegno della loro esistenza (ma ci sono o semplicemente si vorrebbe che ci fossero?) e, cosa ancor più inquietante, spendono pagine e pagine descrivendo le caratteristiche di queste due entità senza accennare al fatto che esse sono del tutto ipotetiche e che esistono anche dati poco in accordo con la loro supposta esistenza, almeno così come oggi proposta.
E’ evidente che gli autori, quasi sempre esperti dediti alla ricerca, hanno ben chiara la differenza, per esempio, tra un dato sperimentale e un’ipotesi così come hanno ben chiari i limiti e le approssimazioni entro cui i modelli che propongono possono essere considerati validi. Il fatto che tale chiarezza non traspaia (per non dire che manchi del tutto) nel prodotto destinato alla divulgazione potrebbe trovare giustificazione in un atteggiamento presuntivo degli autori: chi scrive dà per scontato che il lettore già sia consapevole dei meccanismi che reggono l’indagine scientifica.
In generale, purtroppo, non è così. La motivazione risiede, almeno in parte, nell’educazione scolastica di base, quella che è chiamata a fornire a ciascuno di noi gli strumenti utili a capire la realtà ed a comunicare. In quel contesto dovrebbero essere gettate solide fondamenta su cui edificare non solo le architetture del linguaggio e del calcolo ma anche trasmessi il significato e le modalità di sviluppo dell’evoluzione cognitiva umana (oltre a stimolare un profondo senso critico).
Del resto non si può dimenticare che la produzione editoriale è un elemento del mercato e pertanto soggetto alle sue leggi, il che all’atto pratico induce a fornire all’utenza prodotti in qualche modo accattivanti ed è certo che, se l’editore decide di stampare qualche pagina a colori (assai costosa), molto più attraente è l’immagine di una simulazione numerica di un buco nero (magari cromaticamente abbellita) rispetto ad un asettico grafico con i valori misurati della velocità della materia del disco, che peraltro richiederebbe puntualizzazioni e spiegazioni di dettaglio, temute in quanto tediose. E’ comunque il fruitore ultimo colui che orienta il mercato e il mercato, naturalmente, si adegua. Ma nella testa del lettore cosa resterà registrato sotto la voce “buco nero”, sventuratamente già di per sé ingannevole? Non certo che il buco nero è un oggetto concettuale il cui stato fisico vero e proprio non è al momento descrivibile e la cui collocazione temporale rispetto all’osservatore non rispetta la contemporaneità.
E’ chiaro che gli argomenti che più solleticano l’interesse sono quelli più misteriosi (non esisterebbe altrimenti tutta una vasta produzione letteraria e cinematografica in proposito), come dimostra una rapida incursione in libreria circa i titoli dedicati appunto all’astrofisica. Paradossalmente gli argomenti più rappresentati sono proprio quelli di cui meno si sa, scientificamente parlando. Ed è in questi territori che troppo spesso gli autori difettano nell’esporre da una parte i dati (freddi sin che si vuole ma rappresentativi di misure oggettive) e dall’altra interpretazioni ed ipotesi. Proprio là dove sarebbe fondamentale tracciare un netto confine si sfumano i rispettivi domini l’uno nell’altro.
Il rischio, forse non valutato, è che dall’indubbia intenzione di ampliare l’offerta divulgativa sortisca una nefasta (e indesiderata, si presume) dicotomia: la conoscenza scientifica va da una parte, sempre più isolata, mentre il pensiero dell’uomo della strada si popola di false certezze, seppur con eleganza confezionate, che, a loro volta, producono ulteriori deleteri risultati nel propagarsi tramite mezzi di comunicazione più speditivi e di dirompente efficacia.
La nostalgia è talvolta velata di rimpianto e questo la rende un molle terreno in cui v’è il rischio di sprofondare, ma non posso a questo punto non riaprire idealmente un libro che mi fu regalato dai miei genitori alcuni decenni fa, quando, novello liceale, inseguivo i miei sogni “astronomici” e ben pochi testi divulgativi di argomento astronomico o astrofisico si riuscivano a trovare anche nelle più fornite librerie. Lo conservo quasi come una reliquia e, nonostante sia da considerare praticamente un fossile rispetto al tumultuoso dilatarsi odierno della conoscenza in materia, lo sfoglio apprezzandone ogni volta la sintetica chiarezza, la correttezza espositiva, la ricchezza di dati e l’ampiezza degli argomenti trattati.
Il volume fu concepito con il preciso scopo di illustrare in modo rigoroso ma accessibile le frontiere ed i risultati della ricerca astronomica dell’epoca. Come spesso accade in testi del genere il compito fu affidato a vari autori, ciascuno specialista del singolo settore trattato, tra essi ricordo Antony Hewish, Riccardo Giacconi, Remo Ruffini, Margherita Hack, Vittorio Castellani; curatore del volume era Livio Gratton, autore, oltre che dell’introduzione, del conclusivo capitolo, dedicato alla cosmologia. Ricordo che i contenuti mi obbligarono talvolta a ricorrere a qualche delucidazione a causa di fallanze nella mia preparazione; in generale il taglio dei singoli articoli era precisamente quello che definisco di “alta divulgazione”: una parte dedicata ai principali richiami teorici e una sostanziosa raccolta di dati, presentati sotto forma di diagrammi e grafici, puntualmente commentati, il tutto spiegato senza temere di scoraggiare il lettore con qualche richiamo matematico, peraltro di livello poco più che elementare.
Il libro, pubblicato da Mondadori nel 1976 e titolato “La riscoperta del cielo” circola ancora, sebbene non diffusamente, presso i librai che trattano l’usato ed è in genere proposto ad un prezzo ridicolmente basso in assoluto ma soprattutto se rapportato ai contenuti (buona parte ancora attuali) ed alla veste editoriale, elegante e incurante dei costi di stampa (volume di grande formato, tutte le 275 pagine, rilegate con cucitura e accompagnate da copertina rigida e relativa sovracopertina patinata, sono in quadricromia).
I singoli capitoli, ciascuno centrato su una specifica branca dell’astronomia (svariati sono dedicati alle nuove - per l’epoca - strumentazioni ed alle relative potenzialità), obbediscono alla medesima struttura espositiva, caratteristica indice di una sorvegliata curatela: inquadramento storico, strumenti di misura, dati sperimentali, interpretazioni e ipotesi.
La pubblicazione mette a disposizione del lettore uno strumento assai utile per comprendere i tratti generali della materia e per farsi un’idea notevolmente precisa e discretamente approfondita dello “stato dell’arte” delle conoscenze astronomiche.
Non è il solo libro di questo genere, negli anni 70-80 ne furono pubblicati alcuni altri, quasi tutti di rilevante caratura divulgativa, il loro numero tuttavia impallidisce di fronte alla pletora di volumi oggi in circolazione. Per i motivi citati spiace dover rilevare come ad un notevole incremento delle pagine stampate con intento di divulgazione non possa essere associata analoga efficacia.
Insomma, alla fine, trova amara conferma il vecchio adagio “meglio pochi ma buoni”.
2 commenti
Caro Guido oggi purtroppo si tende a fare immagine, audience, a non far capire ad alcuno qualcosa per far sembrare che le scoperte fatte siano tutte grandiose (ed in parte lo sono ), ma anche per non far capire che in realtà ancora c'è da scoprire e di molto. Energia e materia oscura, buchi neri, altri oggetti, e sicuramente Big Bang con eventuale fine dell'Universo, su questo cercano continuamente di costruire qualcosa di sicuro ma restano solo ipotesi , suffragate solo da ulteriori ipotesi . Scrivere si ma senza sensazionalismi e senza la ricerca del riconoscimento della grande (inesistente al momento) scoperta . Umiltà e metodo scientifico.
Mi chiedo: e se il raffronto venisse fatto tra l'editoria italiana e quella anglosassone dedicata già quarant'anni fa alla divulgazione scientifica, cosa ne verrebbe fuori? Vi troveremmo i motivi della nostra arretratezza culturale in questo ambito? Gli effetti del superbo dominio della cultura classica? Dell'arroganza autoassolutoria di quelli che io di matematica non ci ho mai capito niente?
Rivango il mio passato di studente anni 60-70 e mi ritrovo a capire chiaramente nei testi in inglese quello che nei nostri rari sacri testi italiani di fisica e chimica risultava spesso inutilmente difficile, ostico, incomprensibile e arzigogolato. Da cui l'appellativo che davamo a molti incensati baroni: MI SPEZZO, MA NON MI SPIEGO!
Poi ho conosciuto Vincenzo e questo circolo, ma purtroppo troppo troppo tardi.