07/04/22

Prosa e poesia per me pari sono

Questo articolo è stato inserito nelle sezioni d'archivio "Arte e letteratura" e "I Tesori di Guido"

In attesa che il nostro Enzone, tra una visita medica e l’altra, trovi tempo, voglia e giusta concentrazione per tornare a deliziarci con le ultime dal Cosmo (a proposito, pare che Webb stia cominciando a dare spettacolo…), inganniamo il tempo con un "pippone" a sfondo letterario.

 

Mezzodì del 9 luglio 1987, un caldo boia (cit: Margherita Hack quando polemizzava con i nomi di persona dati a cicloni e anticicloni e non si stupiva che a luglio facesse “un caldo boia” perché l'aveva sempre fatto), mi siedo davanti alla commissione esaminatrice per la prova orale dell’esame di Stato. La prima materia alla quale sto per essere interrogata è la mia preferita (lingua e letteratura italiana) e sto sperando ardentemente di poter rompere il ghiaccio col mio autore preferito (Giacomo Leopardi).

Quando sento la prima domanda non so se mettermi a ridere o piangere… “Parliamo della differenza tra prosa e poesia”. Beh, starete pensando, che problema c’è? Si vede, no?? E’ banale, è lampante. Apri un libro in una pagina a caso e ti accorgi subito se hai davanti un pezzo di prosa o una poesia. Vero. Ma proviamo a spiegarlo a parole, e non a quattro amici al bar, bensì alla commissione che ti sta esaminando nella prima importante prova della tua vita e, mannaggia, l’argomento non è mai stato affrontato né in classe né sul libro di testo! Pur consapevole che non avrei rischiato la bocciatura se anche avessi fatto scena muta a quella domanda, non era quello che volevo, ci tenevo a fare bella figura, se non altro per soddisfazione personale.

Erano più o meno questi i pensieri che, sotto forma di impulsi elettrici e alla velocità della luce, attraversarono i miei neuroni per qualche frazione di secondo, prima che mi decidessi ad aprire bocca e a dare una risposta che accontentò l’esaminatore. In tutta onestà, non mi ricordo cosa dissi (non a caso il ricordo, come ci narra Guido nel testo che fra poco leggerete, ci appare “distorto, evoluto e deflesso”), ma ricordo che centrai il discorso sulle differenze formali. E tanto bastò a non rompere il ghiaccio con una scena muta.

Peccato che solo molti anni dopo, leggendo una riflessione di Oriana Fallaci su questo argomento, mi sono resa conto che quella risposta era profondamente sbagliata.

Perché?

Perché “è possibile scrivere prosa musicale come la poesia […] non esiste un confine netto fra prosa e poesia e non c’è perché il verso libero si confonde del tutto naturalmente con la prosa”, perché “ora che la rima è fuori moda e non più necessaria, è davvero difficile distinguere una buona pagina di prosa da una poesia”, perché “quando la prosa è arte, cioè bellezza, verità, la differenza tra prosa e poesia non è poi molta. E talvolta non ve n’è affatto”, e ciò accade perché “la poesia è assai più primitiva della prosa. Le sue leggi sono più semplici, più accessibili”.

Per dimostrarlo, l’Oriana trascrisse testi scritti da carcerati sui muri delle loro celle e lo fece sotto forma di poesia “Sapete come? Semplicemente interrompendo la frase dove il ritmo lo richiedeva e ricavando un verso da quella frase interrotta. E l’ho fatto rimanendo fedele al testo” (cit. tratte dal libro “Il mio cuore è più stanco della mia voce” capitolo “Poesie della Resistenza”).

La mia prova orale andò bene, ma mi resta un pizzico di rimpianto per non avere acquisito in cinque anni di liceo la percezione di tutto questo, e di non essere stata sufficientemente matura, in quel 9 luglio del 1987, per stupire la commissione con una risposta del genere. Oltre al rimpianto, però, mi è rimasta la curiosità di provare a ricavare poesie da prosa, ed è stupefacente quanto sia facile con testi scritti in un italiano bello e corretto ma, soprattutto, scritti con il cuore. L’ho già fatto in passato con i racconti di Vin-Census (La voce del mare, ovvero io e le balene e L'emozione non ha voce), ci ho voluto riprovare oggi “rubando” (nel senso che non gli ho chiesto il consenso prima di farlo, spero mi perdoni) al nostro Guido uno dei suoi tesori, ancora inedito.

Ecco a voi, dunque, prima il testo in prosa, a seguire la poesia ricavata da un copia-e-incolla-e-taglia da quel testo.

A voi giudicare quanta differenza c’è!

 

Se gradite un sottofondo musicale durante la lettura, su segnalazione dell'amico Maurizio, vi consiglio QUESTO

 

ULISSE (IL RICORDO)

Di Guido Ghezzi

Il ricordo non ha alcun carattere statico, anzi è la quintessenza stessa della mutevolezza.

Si origina da un nucleo sensoriale e permane come un’anisotropia dei registri più lontani e profondi della mente. Ma non si tratta solo dell’annotazione di un coscienzioso scrivano, è piuttosto un corpo mutevole, talvolta in crescita, talvolta è uno sbiadire; una massa nuvolosa perennemente turbata dai venti e di forma in continua metamorfosi. Nell’ipotesi, per nulla scontata, di un lungo conservarsi nel tempo, esso assume l’aspetto di un Ulisse partito per terre sconosciute, tolto alla vista dalla curvatura terrestre e riapparso un giorno dall’infinita distanza dell’orizzonte. Ma il suo volto è diventato altro. Il tempo, gli accadimenti, le molte vicende lo hanno cambiato.

Di fatto il ricordo ci inganna con un sembiante che si spaccia ai nostri occhi sbigottiti per un volto ben conosciuto, ma esso è ormai sviluppato e distorto, evoluto e deflesso, variato e modificato secondo dettami, regole e percorsi cui non sapremmo attribuire distinte motivazioni, oggettive o soggettive.

Ma come ci è del tutto ignoto questo percorso di mutazione al pari ci è estranea anche l’originaria forma, il nucleo che si impresse nella nostra mente in quell’istante ormai appartenente ad un calendario remoto. Solo il risultato finale ci appare e ci fissa con gli occhi di un’antica amicizia, con la geometria di una strada percorsa mille volte, con il suono di una voce riudita. A noi quello è ciò che fu un tempo, ma in realtà è solo l’impronta lasciata sulla battigia da qualcuno che è già molto lontano e non possiamo più discernere.

Accade così che il ricordo conduca per vie ignote in luoghi di assoluta novità che tuttavia conservano un sentore casalingo, un vibrare di situazioni consolidate.

Accade così che ci si senta a casa là dove in realtà mai si è stati, mai si è neppure transitati.

 

Il ricordo non ha alcun carattere statico

è un corpo mutevole, talvolta in crescita, talvolta è uno sbiadire

una massa nuvolosa perennemente turbata dai venti

e di forma in continua metamorfosi.

 

Esso assume l’aspetto di un Ulisse partito per terre sconosciute

tolto alla vista dalla curvatura terrestre

riapparso un giorno dall’infinita distanza dell’orizzonte.

Ma il suo volto è diventato altro.

 

Ci inganna con un sembiante che si spaccia per un volto ben conosciuto

ma esso è ormai sviluppato e distorto, evoluto e deflesso

variato e modificato secondo dettami, regole e percorsi

cui non sapremmo attribuire distinte motivazioni.

 

Ma come ci è del tutto ignoto questo percorso di mutazione

al pari ci è estranea anche l’originaria forma,

il nucleo che si impresse nella nostra mente

in quell’istante ormai appartenente ad un calendario remoto.

 

Solo il risultato finale ci appare e ci fissa

con gli occhi di un’antica amicizia

con la geometria di una strada percorsa mille volte

con il suono di una voce riudita.

 

A noi quello è ciò che fu un tempo

Ma è solo l’impronta lasciata sulla battigia

da qualcuno che è già molto lontano

e non possiamo più discernere.

 

Accade così che il ricordo conduca per vie ignote

in luoghi che conservano un sentore casalingo,

un vibrare di situazioni consolidate.

Accade così che ci si senta a casa là dove in realtà mai si è stati.

6 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Non so come se la sarebbe cavata l'Oriana (o tu Daniela) con questo graffito che da molti anni continua ad ispirarmi nel gabinetto del distributore Est della rotonda di Villabona, a Mestre.

    SCHIAVO LECCA E
    MASSAGGIA PIEDI
    A CAMIONISTA
    GRASSO E MATURO
    MEGLIO MERIDIONALE

    Detto ciò, se vuoi, cancella pure questo mio "studio" di triste perversione (o di vispa ironia?)

  2. Guido

    Grazie Daniela per aver nobilitato il mio scritto con la tua riflessione ed il ritmo dei versi.

    Il ritmo, che i greci sapevano porre a guida dei loro versi, il ritmo che vive nel cuore e di cui viviamo, senza troppo curarcene. Presi dall'affanno del viver di sfuggita.

  3. Daniela

    Grazie a te, Guido, per i tuoi tesori nascosti e per avermi fatto riaffiorare quel ricordo!

  4. Daniela

    Dubito che l'Oriana, Albertone, avrebbe cambiato niente in quella "poesia": tecnicamente appare perfetta, poi può piacere o non piacere, ma questo vale per tutte le poesie, non solo per quelle scritte nei gabinetti pubblici :lol:

    P.S. La consulente privacy che è in me mi ha imposto di cancellare i dati personali (numeri telefonici) presenti nella foto, visto che non abbiamo la certezza che i soggetti interessati siano stati adeguatamente informati e abbiano rilasciato il necessario consenso alla diffusione! :-P

  5. Giorgio

    Grazie Daniela per la riflessione che ci hai regalato e per il simpatico ricordo di un esame di maturità che sarebbe così bello poter ripetere ....(come cambiano i punti di vista col tempo!).

  6. FRANCO TRAVAGLINO

    Grazie ad entrambi, autore e versificatrice.

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