24/11/22

IPAZIA: TESTIMONE DEL PROFONDO**

Chi fu Ipazia?

Ogni astronomo le ha dedicato almeno un pensiero e ciò vale anche per chi segue la scienza del cosmo pur senza esserne cultore ufficialmente riconosciuto.

Questo nome accomuna una pietra alla sfortunata, ma caparbia, matematica ed astronoma dell’antica Grecia. Ma se Ipazia d’Alessandria non fu una donna qualsiasi, poteva tal pietra a lei dedicata essere un banale sasso, perso tra miliardi di altri minuzzoli sparsi per la superficie terrestre? Naturalmente no.

Il frammento roccioso denominato “Ipazia” fu rinvenuto nel 1996 in un settore occidentale del Deserto Libico: un’area formalmente appartenente all’Egitto di sud-ovest, estesa per circa 2500 km2 ove le dune sabbiose sono punteggiate da numerosi frammenti di vetro naturale di origine controversa (fig. 1).

Fig. 1. In a): veduta di un tratto del Deserto Libico in cui sono presenti frammenti di vetro naturale, evidenziati dalle frecce in nero. In b): alcuni frammenti di vetro naturale di differente colore raccolti nel 2003. I frammenti vetrosi finora qui ritrovati hanno dimensioni comprese tra qualche centimetro e qualche decimetro, forma irregolare e presentano superfici fortemente erose dall’effetto eolico, in aree sabbiose di norma particolarmente pronunciato. Fonte: W. U. Reimold e C. Koeberl1

Si stima che tra le sabbie siano dispersi frammenti per una massa cumulata di almeno 1400 tonnellate, probabile residuo di una massa notevolmente maggiore; i vetri, datati tra 28 e 29 milioni di anni, sono molto ricchi in silicati, presentano una scarsa variabilità degli elementi chimici in essi presenti (sia in tracce che principali) e nelle rispettive abbondanze. L’origine extraterrestre dei frammenti appare plausibile sotto molti punti di vista, seppure non del tutto convincente.

UNA SOLA IPAZIA

Il frammento “Ipazia”, costituito da una famigliola di 5 sassolini con una massa cumulata di una trentina di grammi circa (fig. 2), presenta però caratteristiche peculiari, che lo differenziano in modo molto netto dai vetri tra cui è stato raccolto.

Fig. 2. Uno dei 5 frammenti costituenti “Ipazia”. Sono evidenti le differenze di morfologia e composizione con i tipici vetri naturali del Deserto Libico tra cui il campione venne trovato. Fonte G. Avice, M. Meir et al.2

In particolare Ipazia presenta un contenuto in carbonio molto elevato (circa il 70% della massa totale), buona parte del quale sotto forma di microdiamanti (dimensioni inferiori al micron), ed è estremamente povera di silicati. Analisi più raffinate hanno evidenziato inoltre un valore del rapporto tra gli isotopi 40 e 36 dell’argo molto più basso di quello tipico dell’atmosfera terrestre e un notevole picco nel contenuto dell’isotopo 129 dello xeno.

La presenza di microdiamanti e le peculiarità isotopiche dei gas nobili sono caratteristiche indicatrici di un’origine extraterrestre del frammento, che tuttavia rappresenta un caso anomalo tra le meteoriti del gruppo CI, le condriti carbonacee primitive, ritenute essere testimoni dei materiali iniziali da cui si sono formati i pianeti di tipo terrestre, in cui predomina la composizione silicatica.

La composizione peculiare di Ipazia non è tutta qui. Analisi spettroscopiche delle inclusioni granulari dei frammenti hanno prodotto risultati compatibili con la presenza di idrocarburi aromatici policiclici (PAH), composti tipicamente presenti nelle polveri del mezzo interstellare e compatibili con una minima esposizione al riscaldamento, rendendo perciò improbabile la provenienza di Ipazia da corpi celesti formatisi nelle regioni interne della nebulosa solare.

Le misurazioni dei contenuti di altri elementi (Fe, Al, Mn, Cr, P, S, K, Ca, Ti e V), l’analisi delle correlazioni tra le rispettive quantità, la specificità di alcune microstrutture e il chimismo hanno definito un quadro generale enigmatico in riferimento alla possibile provenienza di Ipazia.

In particolare l’elevato contenuto di carbonio nel meteorite non sembra possa essere compatibile con gli attuali modelli dei dischi protoplanetari, suggerendo perciò un’origine non direttamente legata alla nebulosa da cui si formò il sistema solare.

L’IPOTESI

Partendo dalla possibilità di un’origine non contestuale al sistema solare, J. D. Kramers, G. A. Belyanin e altri 3 hanno delineato un articolato e suggestivo scenario ipotetico per la formazione del corpo celeste genitore di Ipazia, una genesi composta da 2 differenti fenomeni evolutivi che potessero spiegare l'inedito chimismo, in estrema sintesi riassumibile in:

  1. notevole arricchimento in carbonio (e suoi composti) associato ad un contenuto in silicati molto ridotto;
  2. tenore estremamente basso di alcuni elementi, tra cui Mn e Cr, rispetto al contenuto in Fe;
  3. elevato contenuto in V, Ni, S.

Il primo fenomeno ipotizzato chiama in causa le stelle AGB, astri appartenenti al Ramo Asintotico delle Giganti Rosse (Asymptotic Giant Branch), giganti rosse che, una volta esaurito l’elio nucleare, abbandonano il ramo orizzontale del diagramma H-R e, espandendosi, risalgono verso l’angolo in alto a destra lungo un percorso quasi sovrapposto a quello seguito prima di entrare nello stadio di gigante rossa (fig. 3).

Fig. 3. A sinistra schema teorico semplificato del diagramma H-R, in rosso il ramo asintotico delle giganti rosse (AGB). A destra diagramma H-R sperimentale dell’ammasso globulare M55 (NGC 6809) in cui si riconosce il ramo asintotico delle giganti rosse (indicato con AGBs, in alto verso destra).

Lo stadio evolutivo avanzato di una stella AGB è un nucleo di C e O circondato da un’atmosfera stellare a temperatura così bassa da permettere la formazione di C e O molecolari e di polveri ricche di carbonio sotto forma di C2, CN e grafite.

In generale le stelle AGB terminano la loro esistenza sotto forma di nane bianche e il vento stellare da queste prodotto diffonde nello spazio circostante le polveri ricche in carbonio, comprensive di molti elementi pesanti.

Se Ipazia deriva da un genitore condensatosi a partire da tali polveri occorre tuttavia spiegare i particolari tenori in Fe, Al, P, S, K, Ca, Ti e V rilevati nei frammenti, e a tal fine il modello introduce il contributo derivante dal secondo fenomeno.

Il basso contenuto in Mn e Cr rispetto al Fe indirizza verso un particolare evento stellare, ritenuto l’unico compatibile con una simile nucleosintesi: le supernove di tipo Ia, le rare “candele standard” utilizzate nel tentativo di quantificare il tasso di espansione dell’universo.

Il modello proposto da Kramers, Belyanin e colleghi prevede l’esistenza di una nube di polveri ricche in C, derivata da una stella AGB e investita dall’esplosione (sotto forma di supernova Ia) della nana bianca residuato della medesima gigante rossa. La nana bianca, inizialmente di massa simile a quella solare e perciò stabile, potrebbe aver risucchiato materia sotto forma di He da una vicina compagna, divenendo instabile per poi collassare e dar luogo alla supernova di tipo Ia.

Ma il minuscolo litoide aggregatosi dalle travagliate polveri stellari come sarebbe arrivato ad impattare sulla superficie terrestre?

Le possibilità sono diverse e con differenti gradi di plausibilità, in ogni caso tutte soggette alla necessità di importanti future verifiche.

Quel che sembra certo è che la pietruzza “Ipazia” sia unica, come del resto unica fu colei da cui ha preso il nome.

1 – https://www.researchgate.net/publication/260112404_Impact_structures_in_Africa_A_Review

2 – https://www.hou.usra.edu/meetings/lpsc2015/eposter/1312.pd

3 - https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0019103522001555#bbb0330

3 commenti

  1. Alberto Salvagno

    Che bella passione ti sei scelta Guido. Mi viene voglia di aprire un nuovo filone dei miei studi. Una curiosità tra le mille che mi hai ispirato. Nell'articolo del terzo link (il secondo non funziona) leggo:
    Its extraterrestrial origin was demonstrated via its 40Ar/36Ar ratio, which is much lower than that of Earth's atmosphere (Kramers et al., 2013). This was confirmed by Avice et al. (2015), who also showed from Ne isotope data that the stone must have formed part of a bolide at least several meters in diameter.

    Come si fa a dedurre la dimensione di un bolide dagli isotopi del neon? Per me è un mistero!

  2. Guido

    Non è propriamente il mio campo, per cui mi limito ad un accenno relativamente all'uso del neon. In particolare dovrebbe essere l'uso dell'isotopo 21 che è stato utilizzato nel caso specifico. Questo isotopo fa parte degli isotopi "cosmogenici", cioè isotopi molto rari e derivanti dall'interazione di alcuni elementi con i raggi cosmici di alta energia e perciò indicativi, una volta che se ne misura la quantità in un campione, del tempo di esposizione del campione stesso all'ambiente cosmico. Ma la penetratività dei raggi cosmici nella materia solida decresce con lo spessore attraversato, e quindi si riduce anche la quantità di isotopi cosmogenici prodotti. L'insieme di questo dato con altre valutazioni può permettere di ricostruire la "storia" del campione.

     

  3. Guido

    Il secondo link non funziona perchè, vedo ora, manca la "f" nell'estensione. Ecco il link nella sua forma completa:

    https://www.hou.usra.edu/meetings/lpsc2015/eposter/1312.pdf

     

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