RELATIVISTI 7: MINKOWSKY
Questo articolo fa parte della serie Relativisti
RELATIVISTI 7: MINKOWSKI 8 marzo 2021
La visione di Minkowski
il 23 dicembre 1908, a tre anni e mezzo di distanza dall'articolo di Einstein sulla elettrodinamica dei corpi in movimento, Hermann Minkowski pubblica “spazio e tempo” un lavoro annunciato nel mese di settembre, nella sua conferenza a Colonia, alla 80a assemblea dei Naturalisti tedeschi, che inizia con queste parole..
“ Le visioni di spazio e tempo che desidero presentarvi sono scaturite dal terreno della fisica sperimentale, e in ciò sta la loro forza. Sono radicali. Per cui lo spazio, preso isolatamente e il tempo preso isolatamente, sono destinati a dissolversi in semplici ombre, e solo una specie di unione dei due conserverà una realtà indipendente .“
Poco meno di un mese dopo la pubblicazione, Minkowski muore all'improvviso, a soli 45 anni, a causa di una peritonite.
Lascia una teoria che verrà pienamente apprezzata da Einstein solo negli anni seguenti. Sarà proprio nella premessa del 1916 ai fondamenti della relatività generale, che Einstein scrive:
“... La generalizzazione della teoria della relatività è stata molto facilitata nella forma data alla teoria della relatività ristretta da Minkowski, il matematico che per primo ha compreso chiaramente l'equivalenza formale tra le coordinate spaziali e la coordinata temporale, rendendola applicabile alla teoria...”
La rappresentazione di una quarta dimensione è graficamente una impresa ardua, ma riducendo le variabili spaziali a due, o addirittura ad una, si riesce a “vedere” la inestricabile relazione tra spazio e tempo.
Le coordinate delle variabili non sono più ortogonali tra loro, come nel familiare piano cartesiano, ora esse formano un angolo che è tanto più acuto quanto più il moto del sistema inerziale ha velocità prossima a quella della luce.
Nella visione di Minkowski, al di là della rappresentazione geometrica, emerge soprattutto una nuova concezione filosofica, secondo la quale lo spaziotempo deriva dal mondo dei fenomeni, è reale ed è indipendente dall’osservatore.
Minkowski vede la geometria quadridimensionale come l’ente primario - il ‘mondo’ - al quale ricondurre la fisica e, con essa, l’insieme dei fenomeni naturali. A svelare il vero ‘mondo’ sono le stesse relazioni fisiche della natura, “relazioni che solo in quattro dimensioni rivelano la loro vera essenza in tutta semplicità”. In quest’ottica si deve leggere il rifiuto di Minkowski di pensare al ‘mondo’ come ad un “vuoto primordiale”.
Il suo ‘mondo’ rappresenta la vera essenza della realtà e nella sua veste quadridimensionale si libera dal relativismo dello spazio oltre che del tempo e confina lo spazio tridimensionale al ruolo che hanno le “ombre” nel mito platonico della caverna.
Minkowski stabilisce una identificazione letterale tra la struttura spaziotemporale matematica e la struttura del mondo naturale. In altre parole, la sua posizione basa sull’assunto che il mondo è una varietà quadridimensionale, la quale esiste come oggetto dotato di realtà. Grazie alla sua peculiarità di essere geometrica , la struttura intrinseca del mondo assume forme riconoscibili e comprensibili dall’uomo.
Quindi, criteri estetici quali simmetria, invarianza, generalità diventano criteri a disposizione dello scienziato per valutare il grado di fedeltà della teoria al mondo dei fenomeni, perché queste sono le proprietà delle forme attraverso le quali si manifesta, “nel terreno della fisica sperimentale”, quell’armonia tra matematica pura e natura che, essendo prestabilita, trascende la conoscenza.
Le riserve di Einstein
Inizialmente Einstein vide nella interpretazione di Minkowski il riemergere in fisica di uno spazio tanto assoluto quanto lo era quello di Newton, contro il quale il fisico tedesco si era scagliato e che pensava di avere una volta per tutte espunto dalla fisica attraverso l’idea di ricondurre il significato dei concetti alle loro definizioni operative.
Soltanto contestualmente alla scrittura della relatività generale, Einstein cominciò a rendersi conto dell’importanza di una visione quadridimensionale e di quanto l’approccio geometrico fosse di gran lunga preferibile all’originaria scrittura algebrica della relatività ristretta.
E dopo mesi di “duro lavoro” sul formalismo tensoriale arrivò ad affermare: “l’animo mi si è riempito di un grande rispetto per la matematica, la parte più sottile della quale avevo finora considerato, nella mia dabbenaggine, un puro lusso”.
L’influenza su Einstein dell’idea di Minkowski - il mondo che percepiamo è soltanto un’ombra del mondo reale a quattro dimensioni - è evidente in una lettera inviata da Einstein a Michele Besso nel luglio 1952.
In essa Einstein rimproverava l’amico dicendo: “tu non prendi sul serio le quattro dimensioni della relatività, ma consideri invece il presente come fosse la sola realtà. Ciò che tu chiami ‘mondo’ corrisponde, nella terminologia fisica, a ‘sezioni spaziali’, alle quali la teoria della relatività - già quella speciale - nega realtà oggettiva”.
Quelle “sezioni spaziali” sono proprio le proiezioni di cui parla Minkowski nel corso della sua conferenza del 1908, sono cioè le ombre che il pensiero matematico ha rivelato come percezioni parziali della realtà.
Negli anni che seguirono alla pubblicazione della relatività generale Einstein non perse occasione per riconoscere in modo esplicito il proprio debito nei confronti di Minkowski, tuttavia non si può dire che le due posizioni circa l’ontologia della relatività ristretta arrivarono a sovrapporsi in modo stabile e deciso. Nonostante siano documentate oscillazioni nel pensiero di Einstein sulla natura dello spazio, Einstein non perse mai una certa diffidenza verso una visione dello spaziotempo riconoscibile come decisamente sostanzialista.
E le riserve di Poincarè
Anche Poncaré esprime il suo dissenso verso il concetto di uno spazio sostanziale, in questi termini:
“È impossibile rappresentarsi lo spazio vuoto. Tutti i nostri sforzi per immaginare uno spazio puro, da cui siano esclusi degli oggetti materiali, non possono avere altro risultato che una rappresentazione nella quale le superfici intensamente colorate, ad esempio, sono sostituite da linee di colori tenui, e non potremmo percorrere fino in fondo questa strada perché tutto svanirebbe e finirebbe nel nulla. Da ciò deriva l’irriducibile relatività dello spazio.
Chiunque parli dello spazio assoluto fa uso di una parola priva di senso.
E ancora:
“Scarterò in primo luogo l’idea di un preteso senso dello spazio che ci farebbe localizzare le nostre sensazioni in uno spazio bell’e fatto, la cui nozione sarebbe preesistente a qualsiasi esperienza, e che prima di qualsiasi esperienza avrebbe tutte le proprietà dello spazio della geometria”.
La concezione di spazio di Poincaré nasce dall’esperienza sensibile ed è il risultato di una razionalizzazione operata con atti intellettuali e immaginativi:
“il senso dello spazio si riduce quindi a una associazione costante tra certe sensazioni e certi movimenti, o la rappresentazione di questi movimenti. (Vi è ancora bisogno di ripetere, per evitare un equivoco ricorrente nonostante le mie reiterate spiegazioni, che non intendo con ciò la rappresentazione di questi movimenti nello spazio, ma la rappresentazione delle sensazioni che li accompagnano?)
La geometria è detta da Poincaré convenzionale in quanto è il prodotto di una operazione formale di idealizzazione che l’intelletto umano fa agendo razionalmente sulle esperienze sensibili. La costruzione della geometria avviene sulla base dell’esperienza e passa attraverso un processo di generalizzazione che porta dallo spazio di relazioni del nostro corpo (spazio non omogeneo) ad uno spazio esteso omogeneo e infine, attraverso un processo di immaginazione, al “grande spazio in cui collocare l’universo”.
Sul concetto di relatività dello spazio espresso da Poincarè e sulla impossibilità di stabilire un riferimento assoluto, si trovano ulteriori riflessioni in questo articolo:
http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2019/05/06/relativita-pesante-fardello-della-tradizione
2 commenti
Il senso dello spazio si riduce quindi a una associazione costante tra certe sensazioni e certi movimenti, o la rappresentazione di questi movimenti.
Non so se sono completamente fuori strada, ma questa affermazione mi porta a pensare ai "movimenti di macchina" nella lavorazione dei film. Spesso sono quasi impercettibili e sfuggono agli osservatori non attenti, si tratta di piccoli e lenti spostamenti della cinepresa a destra o a sinistra, in alto o in basso, tenendo sempre il soggetto al centro, che servono a dare il senso della profondità.
Per esempio, se inquadro due che si parlano, uno visto di fronte e l'altro di spalle, con la cinepresa ferma sul treppiede, gli spettatori non percepiscono bene la loro distanza. Ma se mentre continuano a parlare sposto lentissimamente la cinepresa anche di pochi centimetri, ecco che trasmetto il senso dello spazio tra loro e anche rispetto allo sfondo (che potrebbe essere un mobile in un interno o una casa in un esterno).
Interessante riflessione. Penso che questo tuo commento sarebbe piaciuto anche a Poincaré