13/08/24

HENRY CAVENDISH

Il presente articolo è inserito nella sezione d'archivio  "Quattro passi nella storia della Scienza"

 

Molto più strano (ma per fortuna sua e della Scienza anche molto più ricco) di Oliver Heaviside, ancor più timido di James Clerk Maxwell, perfino più schivo di Isaac Newton, con una voce sgradevolmente stridula almeno quanto quella di Alan Turing (a Turing non possiamo per ora associare alcun link, ma speriamo di rimediare prima o poi), HENRY CAVENDISH nacque nel 1731 e, nell’arco della sua lunga vita (morì nel 1810) pesò, numerò e misurò tutto ciò che fu per lui possibile pesare, numerare e misurare!

 

Viveva in una villa da favola che ben si sarebbe prestata a diventare un importante centro di incontri conviviali e mondani, e invece la trasformò in un grande laboratorio.

A parte la piccola porzione che riservò al suo riposo notturno, il resto della sua residenza era occupato da apparecchiature scientifiche (principalmente strumenti di misura e utensili necessari per costruirne altri) e al piano superiore aveva allestito un osservatorio astronomico. Si racconta anche che salisse sul più grande albero che aveva in giardino per effettuare osservazioni meteorologiche, ma questo lo riportiamo col beneficio dell'inventario non avendo riscontri diretti (persino il suo illustre biografo George Wilson riporta storie tramandate da altri, essendo nato otto anni dopo la morte del Nostro) come, del resto, molti altri aneddoti che si raccontano su di lui, facilmente alimentati dalla sua personalità nevrotica e ossessiva, che non è difficile reperire in rete spulciando sui motori di ricerca.

Non inventò niente di nuovo, del resto pare che la fantasia e la creatività non fossero nelle sue corde, ma aveva un senso istintivo per le giuste misurazioni da compiere e, non accontentandosi mai del livello di accuratezza via via raggiunto, lavorava instancabilmente per portare al limite la precisione delle sue apparecchiature. E quando si dice "al limite", nel caso di Cavendish, si fa riferimento ad un limite che altri comuni mortali, per quanto dotati, non si sarebbero neanche sognati di provare a raggiungere.

Basti pensare che il cammino percorso per realizzare quello che è diventato il suo più celebre esperimento iniziò nel 1763 e si concluse nel 1798: ripercorrerne le principali vicende può risultare molto utile per farci un’idea della sua personalità.

Nel 1763 l'astronomo Charles Mason e il topografo Jeremiah Dixon furono incaricati di risolvere una disputa tra le colonie inglesi nordamericane di Pennsylvania, Delaware e Maryland sull’esatta posizione dei rispettivi confini. Il risultato fu quella che successivamente venne chiamata “linea Mason-Dixon”, assurta agli onori della cronaca nel XIX secolo per essere la linea di demarcazione tra il Sud schiavista e il Nord non schiavista.(1)

Il lavoro di Mason e Dixon terminò nel 1767, non senza qualche “imprecisione” dal momento che effettuando le stesse misurazioni nei due sensi (da est a ovest e poi da ovest a est o viceversa), il punto di arrivo non coincideva con quello di partenza e non riuscendo a capirne il motivo, sottoposero la questione alla Royal Society, che tra i suoi membri annoverava anche Henry Cavendish. E fu sua la congettura che gli errori di misurazione potessero essere imputabili all’attrazione gravitazionale esercitata dai vicini monti Allegani sul filo a piombo e sui liquidi delle livelle, non controbilanciata da un’equivalente attrazione in direzione opposta, dove c’era l’oceano. Quindi la terra “doveva” avere una densità molto superiore a quella dell’acqua. Ma come misurare la densità terrestre?

Data l’importanza che la questione rivestiva per fisici, astronomi, topografi e geologi, nel 1772 la Royal Society costituì un gruppo di studio il cui lavoro portò due anni dopo all’esecuzione di un esperimento, ideato da Cavendish ed eseguito da Neville Maskelyne (2), consistente nel misurare la deviazione di un pendolo a causa dell’attrazione gravitazionale di una montagna. Dalle osservazioni raccolte fu calcolato che la terra fosse 4,5 volte più densa dell’acqua.

Il risultato fu accolto con grandi festeggiamenti ai quali, però, Cavendish rifiutò di partecipare non tanto (o non solo) per la sua nota misantropia, ma soprattutto perché nutriva forti dubbi sull’esattezza di un risultato che si basava su assunti palesemente arbitrari, ovvero che la densità della montagna fosse 2,5 volte quella dell’acqua e che il rapporto tra la densità della Terra e quella della montagna fosse di 9/5.

Fu allora che comprese che una misurazione precisa della densità terrestre avrebbe potuto essere eseguita solo in laboratorio utilizzando corpi geometricamente regolari e di composizione e densità note. Peccato che le ridotte dimensioni delle masse utilizzabili in laboratorio avrebbero dato luogo a forze di attrazione gravitazionale troppo piccole per essere misurate con la tecnologia dell’epoca… più o meno lo stesso problema col quale si era scontrato Galileo nel tentativo di misurare la velocità della luce. O, almeno, così sembrava.

Cavendish, infatti, mentre portava avanti la sua prolifica produzione scientifica(3), non smise mai negli anni seguenti di pensare a come poter misurare quelle piccolissime forze. E, pensa che ti ripensa, finì per coinvolgere in questi pensieri il reverendo (nonché scienziato) John Michell, il quale nel 1783 iniziò a costruire degli strumenti che avrebbero potuto servire allo scopo. Dopo dieci anni, durante i quali si era dedicato anche ad altro, Michell morì prima di poter sperimentare l’efficacia di ciò che aveva costruito e fu Cavendish a portarne avanti l’opera. E non si limitò a piccoli ritocchi alle apparecchiature, apportando ad esse migliorie fondamentali senza le quali l’esperimento non avrebbe mai potuto dare risultati affidabili. Se, quindi, il contributo di Michell fu determinante per impostare l’esperimento, quello di Cavendish lo fu altrettanto per la sua concreta realizzazione, che ebbe inizio nell’autunno del 1797, dopo anni di instancabile e ossessivo lavoro volto ad eliminare ogni possibile fonte di disturbo.

[Prima di proseguire, non è “obbligatoria” ma fortemente consigliata la lettura di questo articolo nel quale è descritto l’esperimento]

Se si pensa che l’esperimento consisteva nel misurare una forza di attrazione gravitazionale pari a circa 1/50.000.000 del peso delle masse utilizzate in laboratorio, ci si può fare un’idea di quanto anche la più piccola delle perturbazioni avrebbe potuto alterare il risultato in modo significativo. Ma quali avrebbero potuto essere queste famigerate fonti di disturbo?

Forse la più insidiosa e difficile da eliminare era una eventuale differenza di temperatura tra un lato e l’altro dell’apparecchiatura, che avrebbe determinato la presenza di correnti di aria tali da poter modificare la posizione delle masse. Posizione che si sarebbe dovuta modificare esclusivamente per effetto dell’attrazione gravitazionale, ovvero ciò che Cavendish voleva misurare. Visto che anche il solo calore corporeo dovuto alla presenza di una persona nella stanza sarebbe stato sufficiente a creare tali correnti, era necessario riuscire a gestire gli strumenti dall’esterno, cosa tutt’altro che banale da realizzare con la tecnologia disponibile oltre due secoli fa.

Per non parlare del problema del contributo all’attrazione gravitazionale delle sbarre di ferro alle quali erano attaccate le masse più grandi (che risolse effettuando misurazioni con le sole sbarre private delle masse), della possibile presenza di perturbazioni magnetiche (che gestì utilizzando delle sferette magnetiche per quantificare quale sarebbe stata l’attrazione se fosse stato davvero in gioco il magnetismo) o dell’attrazione esercitata dalla cassa di mogano contenente le masse (alla quale, per quanto trascurabile, fu dedicata un’intera appendice).

La conseguenza è che le 60 pagine di cui si compone la relazione sull’esperimento sono in gran parte dedicate alla dissertazione sui possibili errori e dimostrano, oltre ad una grande competenza in tutti i campi del sapere scientifico del suo tempo, la capacità di Cavendish di trovare il giusto punto di equilibrio tra effetto e precisione (“compromesso dello sperimentatore”) e di ingrandire ogni effetto disturbante fino al punto di poterlo misurare per riuscire a compensarlo (“vigilanza dello sperimentatore”).

Il risultato fu che la Terra dovesse essere 5,45 volte più densa dell’acqua (sembra che il 5,48 scritto nella relazione sia frutto di un errore di stampa), ben più vicino all’attuale 5,51 del 4,5 trovato da Maskelyne con l’esperimento della montagna basato su alcuni valori assunti arbitrariamente. Non lo sapremo mai, ma chissà di quanto avrebbe potuto avvicinarsi al valore che oggi riteniamo corretto se fosse riuscito a realizzare i miglioramenti che sosteneva di avere in mente e a ripetere l'esperimento... cosa che invece, forse a causa dell'età avanzata oppure di altri progetti che catturarono la sua ossessiva attenzione, non fece mai più.

Ma l'importanza di quell'esperimento non si esaurì nell'avere lasciato in eredità alle future generazioni di persone di Scienza un valore molto ben approssimato della densità terrestre. Infatti alcuni decenni dopo la sua morte, esso venne ripetuto con l'obiettivo - raggiunto! - di misurare un altro valore ancor più importante, ovvero quello della costante di gravitazione universale (G) che compare nella versione più nota della newtoniana legge di gravitazione universale

F = G m1 m2 / r2

Che dire, infine, di un personaggio così? Lasciamo la parola al suo biografo...

Fu uno dei benefattori non ringraziati che hanno pazientemente istruito e servito l'umanità, mentre le persone ignare si ritraevano dinanzi alla sua freddezza o si facevano beffe delle sue stranezze. Egli non sapeva cantare per loro una dolce canzone, o creare una «cosa bella» che dovesse essere «una gioia per sempre», o toccare il loro cuore, o dar loro morale, o rendere più profondi la loro reverenza o il loro fervore. Non era un Poeta, un Prete o un Profeta, ma solo un'intelligenza fredda e chiara che irraggiava luce bianca, che faceva risplendere ogni cosa che toccava, ma che non riscaldava nulla: una stella almeno di seconda se non di prima grandezza nel firmamento intellettuale.

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(1) La vicenda di Mason e Dixon è oggetto di un romanzo di Thomas Pynchon ("Mason & Dixon"), scrittore statunitense contemporaneo tra i più interessanti e utilizzatore di un linguaggio e di strutture molto particolari (adatto a lettori "solidi")

(2) L'astronomo reale Nevil Maskelyne fu l'ostinato avversatore di John Harrison nella annosa vicenda che vide contrapposte le idee dei due in occasione della soluzione del problema della misurazione della longitudine di un punto in mare, all'epoca di fondamentale importanza per la navigazione. La disputa ebbe momenti di grande amarezza per Harrison (un semplice artigiano orologiaio, convinto che era la misurazione del tempo il nocciolo del problema, mentre Maskelyne, sostenendo l'impossibilità di ottenere un misuratore del tempo sufficientemente preciso, si affidava a soluzioni astronomiche). Harrison si vide inizialmente messo da parte in favore dell'astronomo reale ma si concluse, dopo anni, con la consacrazione dell'orologiaio. Per lungo tempo le navi hanno avuto a bordo un orologio (chiamato appunto "l'Harrison") in grado di mantenere grande precisione in qualunque condizione di mare e pertanto affidabilissimo misuratore dei tempi di navigazione e padre dei moderni orologi meccanici che portiamo al polso che ne hanno ridotto le dimensioni ma mantenuto le straordinarie idee realizzative.

(3) Forse perché li considerava lavori sperimentali in corso, molti risultati scientifici non vennero pubblicati da Cavendish (si pensi che in oltre 50 anni dei fervida attività pubblicò solo una ventina di articoli e nessun libro). Se lo avesse fatto, la legge di Ohm (che descrive la relazione fra la tensione elettrica, la resistenza e la quantità di elettricità) e la legge di Coulomb (che descrive la forza che si esercita fra due corpi elettricamente carichi) probabilmente porterebbero il suo nome.

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Fonti:

https://www.britannica.com/biography/Henry-Cavendish

https://digilander.libero.it/roberto20129/esperimenti/pesoterra.html

https://en.wikipedia.org/wiki/Mason%E2%80%93Dixon_line

 

 

4 commenti

  1. Guido

    Grazie Daniela. Bello, davvero bello quest'articolo in onore di un grandissimo del passato, spesso trattato con sufficienza. Prendo lo spunto per un paio di segnalazioni:

    la vicenda di Mason e Dixon è oggetto di un romanzo di Thomas Pynchon ("Mason & Dixon"), scrittore statunitense contemporaneo tra i più interessanti e utilizzatore di un linguaggio e di strutture molto particolari (adatto a lettori "solidi");

    l'astronomo reale Nevil Maskelyne fu l'ostinato avversatore di John Harrison nella annosa vicenda che vide contrapposte le idee dei due in occasione della soluzione del problema della misurazione della longitudine di un punto in mare, all'epoca di fondamentale importanza per la navigazione. La disputa ebbe momenti di grande amarezza per Harrison (un semplice artigiano orologiaio, convinto che era la misurazione del tempo il nocciolo del problema, mentre Maskelyne, sostendo l'impossibilità di ottenere un misuratore del tempo sufficientemente preciso, si affidava a soluzioni astronomiche). Harrison si vide inizialmente messo da parte in favore dell'astronomo reale ma si concluse, dopo anni, con la consacrazione dell'orologiaio. Per lungo tempo le navi hanno avuto a bordo un orologio (chiamato appunto "l'Harrison") in grado di mantenere grande precisione in qualunque condizione di mare e pertanto affidabilissimo misuratore dei tempi di navigazione e padre dei moderni orologi meccanici che portiamo al polso che ne hanno ridotto le dimensioni ma mantenuto le straordinarie idee realizzative.

  2. Daniela

    Grazie mille Guido, ho inserito le tue interessanti segnalazioni nell'articolo sotto forma di note.

  3. Alberto Salvagno

    Se penso alla mia pratica di laboratorio nella facoltà di chimica, non ho tanto il ricordo degli scarsi risultati quanto della grande fatica per minimizzare gli errori. Lavaggi dei contenitori fino a sfiorare il maniacale, prove in bianco a non finire, azzeramento degli strumenti, eccetera, eccetera. Il tutto per interpretare il risultato di una reazione in quella cacchetta rimasta sul fondo della provetta.

  4. Guido

    Mia figlia Zoe, secondo anno di chimica, sottoscrive tutto il tuo commento, caro Alberto!

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