Categorie: Curiosità Racconti di Vin-Census
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Scritto da: Daniela
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I Racconti di Vin-Census: L'ASCENSORE
"Possiamo perdonare un bambino quando ha paura del buio. La vera tragedia della vita è quando un uomo ha paura della luce." (Platone)
Quell’enorme grattacielo lo aveva sempre incantato e spaventato. Un misto di meraviglia e di paura. Era così alto con i suoi 250 piani che spesso le nuvole avvolgevano la parte superiore, soprattutto nelle grigie giornate d’inverno. Non vi era mai salito proprio per quella contraddizione di sentimenti, ma in fondo gli dispiaceva di non averne avuto il coraggio. E così, quel giorno che gli fu ordinato di recapitare un pacco urgente al centotrentasettesimo piano, fu come se avesse avuto una liberazione. Una specie di alibi che lo costringeva finalmente a vincere l’avversione latente ed il senso di disagio.
Alle nove del mattino di uno splendido giorno autunnale si avvicinò alla porta scorrevole dell’ascensore con il “lavoro” sotto al braccio. Era l’unico a salire e fu colto da un attimo di apprensione. Poi scrollò le spalle e disse ad alta voce: ”E' possibile che a cinquanta anni sono ancora così stupido?” Ed entrò deciso nell’abitacolo, con uno sforzato sorriso sul volto. Schiacciò il pulsante del suo piano e attese mentre un brivido leggero gli scorreva lungo la schiena. Sentì come un peso sullo stomaco. Forse era l’accelerazione, ma in cuor suo sapeva che non era solo quello. Poi lentamente si calmò. Accidenti c’era gente che andava su e giù ogni giorno e nemmeno ci faceva caso. Non aveva mai letto di nessun incidente capitato in quel palazzo e quindi tutto doveva essere perfettamente funzionante. Sullo schermo che indicava i piani, i numeri scorrevano velocemente: 70, 80, 90, 100 … Ormai stava per arrivare e niente era ovviamente successo. Si vergognava profondamente della sua dabbenaggine. 110, 120, 125, 130… Mentre stava aspettando che la porta si aprisse, con un grande sorriso stampato sul volto, cominciò addirittura a pensare di andare fino alla cima dopo aver consegnato il pacco. Che male c’era? Avrebbe perso solo una decina di minuti, ma avrebbe visto un panorama mozzafiato.
135, 136, 137, 138 … Accidenti, in preda alla sua stupida angoscia si era sbagliato a schiacciare il pulsante. 140, 150, 160 … Impossibile! Come aveva potuto sbagliare di così tanto? 170, 180, 190, 200 … Ma si! Che sciocco. Aveva schiacciato il 237 invece del 137. Era ovvio. Meglio così. A questo punto era meglio raggiungere subito la cima e poi scendere al suo piano. 230, 235, 236, 237, 238 … Perché non si era fermato al 237? Che pulsante aveva mai premuto? 240, 250, 251 … 251?! Ma era assurdo. Sapeva benissimo che il palazzo aveva solo 250 piani, non uno di più né uno di meno. 260, 270, 280 … O si era sempre sbagliato? Eppure no: non vi erano pulsanti oltre al 250. Che fossero piani non abilitati ai normali visitatori? Ma no, ma no! Come avrebbe fatto a schiacciare un pulsante che non esisteva? Il sudore cominciò a scendergli lungo la fronte e le gambe iniziarono a tremare. 290, 300, 350, 400 … E nessun segno di rallentamento. Cominciò a strofinarsi gli occhi ed a darsi pizzicotti. Forse stava ancora sognando e tra breve si sarebbe svegliato madido di sudore. Era talmente grande la paura per quell’avventura che sicuramente aveva avuto un incubo. Doveva solo svegliarsi e tutto sarebbe finito. 500, 550, 600… Gli uscì addirittura il sangue dalle ferite che si era fatto con le unghie sul braccio, ma i numeri continuavano a scorrere implacabili.
650, 700, 750… Ma dove lo stava portando quel maledetto ascensore? Non poteva esistere un palazzo così alto. Si costrinse a ragionare con freddezza. Forse si era solo rotto il contatore. Lui in realtà si era già fermato, ma lo schermo continuava a scrivere numeri a caso. Doveva suonare l’allarme. Guardò tutt’attorno, ma non vide nessun altro pulsante. Tanta tecnologia, e poi si erano dimenticati di mettere una cosa così essenziale. Maledisse la casa costruttrice, i collaudatori e tutti quelli che non avevano fatto presente una mancanza così grave. Cominciò a sbattere la porta con forza, sperando di essere udito da qualcuno. Ma sembrava un’impresa senza speranza, con quel rumore di sottofondo. Rumore? Oh Dio! Era vero. C’era il rumore del motore. E quindi voleva dire che l’ascensore continuava a muoversi. Come aveva fatto ad illudersi di essere fermo? 900, 1000, 1100… Iniziò a piangere e si coricò per terra. Prima o poi si sarebbe schiacciato contro il soffitto o sarebbe precipitato a folle velocità. Era la fine, ne era sicuro. Ecco perché aveva sempre avuto paura di quel maledetto grattacielo. Non aveva voluto dare retta alla sua premonizione ed ecco il bel risultato.
Cercò di ricordarsi qualche preghiera, ma non ne gliene venne in mente nessuna. Ormai non riusciva più a pensare ed a connettere. Era in preda al terrore più agghiacciante.
Ed intanto il contatore continuava imperterrito… 1700, 1800, 1900… Ma quando sarebbe arrivata la fine? La stava aspettando quasi come una liberazione. Cominciò a pensare alla sua vita, alle poche gioie ed alle numerosissime delusioni. Cinquanta anni ed il suo lavoro era ancora quello di fattorino. Gli era sempre mancata la forza di decidere, di rischiare, di tentare qualcosa di nuovo. Ed era rimasto scapolo, senza una famiglia, una nullità completa. E pensare che l’unica volta che aveva provato ad andare contro la sua apatia e la sua perenne paura, ecco che stava per essere anche l’ultima. 2200, 2300, 2400 … Quanto tempo era passato da quando quella spaventosa porta si era chiusa dietro di lui? Mezz’ora, un’ora, un giorno, un anno o un secolo? Stava impazzendo. O forse era già diventato pazzo… Non aveva più il senso del tempo né dello spazio: era completamente in preda al panico. 3000, 3100, 3200… Poi fu sopraffatto dalla stanchezza e si addormentò di piombo. Forse era il suo stesso sistema nervoso che era arrivato ai limiti e gli aveva concesso un po’ di calma. O magari era morto per infarto. Niente di tutto ciò. Si risvegliò sudato ed in preda ad incubi spaventosi.
Con un senso terribile di angoscia si ricordò che stava vivendo una tragica realtà e gli occhi si volsero al contatore di cinque cifre (perché così tante? Prima non ci aveva nemmeno fatto caso…) Indicavano tutte zero e lampeggiavano ritmicamente. Ed anche il rumore era cessato. Una calma spettrale avvolgeva l’abitacolo. C’era una luce quasi abbagliante. Eppure era ancora all’interno. Nessuno lo aveva fatto uscire. Si rimise in piedi e si fece forza. Era vivo, ma che fare? Poi vide quel pulsante piccolo nell’angolo a sinistra della parete della porta. Possibile che non lo avesse visto prima? Niente di più facile, tanto forte era stato il panico che lo aveva assalito. Sotto c’era scritto “apertura PORTA”. Stava per schiacciarlo, con la smania di uscire finalmente all’aria aperta e riprendere la sua monotona e squallida vita. Poi si fermò. Dove sarebbe uscito? Sicuramente non al pian terreno. Cosa avrebbe trovato di fuori? Tutta quella luce che filtrava gli faceva paura. Il sudore riprese a scorrergli giù per il collo. No, basta pazzie. Ne aveva avuto abbastanza per quel giorno o per quell’anno o per quella vita. Non capiva più niente e voleva tornare alla “sua” normalità.
Schiacciò quasi con violenza il pulsante che indicava PT, PIANO TERRENO, e chiuse gli occhi per la paura di una nuova terribile delusione. Sentì il solito rumore, ma non osò guardare. Gli sembrava di scendere, ma non si voleva illudere. Poi alla fine si decise. 99900, 99800, 99700… Stava davvero scendendo, evviva!!
Ma quante erano quelle cifre, che senso aveva? Non si soffermò nemmeno un attimo a cercare di risolvere quel diabolico dilemma, l’importante era che il numero calasse sempre di più. 99000, 98000, 97000… Ebbe paura che tutto si bloccasse improvvisamente, erano ancora così tanti quei maledetti numeri. 90000, 80000, 70000… Avrebbe voluto dormire e svegliarsi solo quando tutto fosse finito. Ma era troppo teso e timoroso di sperare. 20000, 10000, 5000… Tutto continuava a funzionare perfettamente. Il rumore era regolare e gli dava fiducia. Toccò a più riprese il contatore. No, non stava sognando. “Scendi, scendi!!”, sentì se stesso urlare a squarciagola. Lo sentissero pure, non poteva importargli di meno!
3000, 2500, 2000… Era ancora lontano, ma i numeri scorrevano bellissimi e nitidi. 1500, 1000, 500… Solo tre cifre. Era quasi arrivato… 400, 300, 250… 250! Adesso gli pareva di essere tornato veramente a vivere. 250 era un numero sensato, reale, normale. 200, 150, 137… Quello sarebbe stato il suo piano. Ma al diavolo il piano, il pacco, lo stupido lavoro. 100, 80, 50… C’era quasi ormai: “doveva” essere tutto a posto, non avrebbe potuto sopportare un altro incubo. 40, 20, 10, 5, PT. La porta si aprì dolcemente e lui stette un attimo fermo e imbambolato. Era vero? Era tutto finito? Poi si rese conto del rischio che stava correndo a rimanere immobile in quella posizione e si lanciò fuori dall’abitacolo senza nemmeno voltarsi a guardare l’ascensore.
Corse al bar sulla strada e trangugiò un doppio whisky. Ne aveva proprio bisogno. Voleva dimenticare tutto, convincersi di avere solo sognato. Ne bevve altri tre e poi, sotto lo sguardo un po’ preoccupato del barista, decise che era abbastanza intontito per tornare a casa. Buttò il pacco nel cestino dell’immondizia. Al diavolo! Passò velocemente davanti alla porta del grattacielo, ma non riuscì ad evitare che gli occhi guardassero per un attimo verso l’ascensore.
Stava proprio aprendosi la porta e gli sembrò di vedere uscire una splendida libellula azzurra dagli occhi dolcissimi.
Allungò il passo e si mise a correre. Non voleva più pensare a niente, ma era ormai convinto di aver buttato al vento l’occasione della sua vita!
Tutti i racconti di Vin-Census sono disponibili, insieme a quelli di Mauritius, nella rubrica ad essi dedicata
QUI una semplice spiegazione del fenomeno dell'assenza di peso che si verifica all'interno di un ascensore in caduta libera
2 commenti
Una frase molto bella liberamente riscritta da me,che ho sentito del prof.Gardini:"Quando andiamo a ritroso nei sedimenti nelle stratificazioni storiche,riscoprendo eventi e frasi attraverso i secoli,ci allunghiamo la vita al passato,perché attraverso essi riviviamo altre vite altre libertà,Così come attraverso una mia scrittura,quell'atto grafico farà condividere con qualcuno nel futuro il mio tempo,allungandomi la vita in avanti".In questo c'è similitudine con lo studio dell'universo .
parole d'oro Gianni!