Categorie: Astericcio e altri racconti Curiosità Fisica classica
Tags: ampere energia Verità su unità di misura
Scritto da: Maurizio Bernardi
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La verità sulle unità di misura (1): l'Ampere
Inizia, con questo primo episodio, una serie di racconti sui protagonisti del periodo eroico di discipline quali l'Elettrologia e la Termodinamica. Si narrano le vicende dei pionieri di un mondo che ha portato, in tutti i sensi, luce e calore alla società. I loro nomi sono immortalati nelle stesse unità di misura delle grandezze fondamentali che governano questi fenomeni naturali.
Questo racconto, che viene pubblicato per gentile concessione dell' Editore, è tratto dalla antologia “Voci dalla Rete”, opera che raccoglieva i testi dei finalisti del primo torneo di Infinite Storie, pubblicata da Longanesi nell'anno 2000.
L’Ampère
Da ragazzo, studiando fisica, mi imbattei nelle unità di misura delle grandezze elettriche e, tra esse, in quella utilizzata per misurare la corrente elettrica: l’Ampère.
Ora, questo Ampère appariva un poco strano, essendo definito come l’intensità di quella corrente che, in un minuto secondo, deposita mg 1,119 d'argento metallico sul catodo di un voltametro ad argento.
Ciò che soprattutto appariva indecente, per una unità di misura, era quel valore 1,119 che sembrava scelto più per confondere le menti degli studenti che per seri motivi scientifici.
Sarebbe certo stato più adatto un bel numero tondo tondo, come 1 mg, punto e basta; anche più logico e credibile, più facile da misurare negli esperimenti di laboratorio e, arbitrario per arbitrario, più facile da ricordare dell’ infausto 1,119.
Messe da parte queste legittime considerazioni, mi ingegnai a ricordare il numero meglio che potei, cosa che mi riuscì abbastanza agevolmente, data la buona memoria della giovane età.
Trascorsi diversi anni, il destino mi fece la grazia di rivelarmi la genesi del numero misterioso attraverso la lettura di un diario dell’ Ampère stesso che, conservato per un secolo e mezzo (il diario), in una cascina di Tavarnuzze (Firenze), capitò del tutto casualmente nelle mie mani.
Ecco come si svolsero realmente i fatti ...
Nell’ anno di grazia 1822 Andrè-Marie Ampère fece visita alla cugina Giuditta Frescobaldi, nella di lei dimora di campagna, a Tavarnuzze.
L’Ampère era persona gioviale e di buona compagnia, perciò, dopo pochi giorni, era già divenuto il beniamino di tutte le persone che frequentavano casa Frescobaldi, tra le quali, in particolare, il Priore Giangiacomo Castellazzi, grande appassionato delle ricerche scientifiche ed egli stesso sperimentatore.
Una mattina di primavera di quel lontano 1822 Giuditta aveva deciso di dedicarsi alla pulizia delle argenterie di casa, lavoro assai tedioso dato che, non essendo ancora la chimica progredita come l’è oggi, si doveva strofinare con la cenere del camino tutti gli oggetti da ripulire, stoviglie, brocche, piatti, con dispendio di tempo e di energie.
Poiché proprio in quel periodo Andrè stava dedicandosi allo studio della conduzione elettrica nei liquidi, gli venne in mente un esperimento che avrebbe potuto evitare alla cugina la fatica della pulizia degli argenti.
Così, sotto lo sguardo perplesso di Giuditta (Juditta come la chiamava lui), Andrè mise un piccolo cucchiaio da caffè in una bacinella piena di acqua salata, collegando l’uno e l’altra rispettivamente al polo positivo e negativo di una pila voltaica.
“Vedi, Juditta, con questo sistema l’argento si pulirà senza fatica; basta lasciare che la corrente elettrica prodotta dalla pila rimuova lo sporco dell’ossido dalla superficie del cucchiaino.”
Andrè estrasse dal panciotto l’orologio e annotò l’ora: le nove e un minuto.
“Tra pochi minuti potremo vedere il risultato, Juditta.”
In quello stesso momento bussò all’uscio il Priore Castellazzi che veniva in visita, per una di quelle conversazioni scientifiche con l’amico Ampère che tanto assorbivano entrambi.
“Entrate mon amì, arrivate giusto a proposito; oggi mi piacerebbe discutere delle stranezze delle correnti elettriche quando si mescolano alle correnti dei fluidi, come l’acqua salmastra o quella acidulata.”
Al sentire enunciare il tema della giornata, il Priore mise su un'espressione da ghiottone, tanto trovava l’argomento di suo gradimento, e si sprofondò, a suo agio, nella comoda poltrona che Andrè gli indicava con un cenno d'invito.
I due s'immersero nella discussione, dibattendo di cariche, di forze, di flogisto e di etere, di corpuscoli in movimento turbolento etc., etc., noncuranti del trascorrere del tempo.
Fu solo quando la grande pendola del salotto buono batté i dodici rintocchi di mezzogiorno che Andrè si ricordò dell'esperimento del cucchiaino e, venendo la cosa a proposito, pensò di invitare il Priore ad esaminare con lui il risultato.
Ma prima che potesse dar seguito a tale intendimento si udì la voce di Giuditta che esclamava: “ Dio bono ! ‘un c’è più, ‘un c’è più !”
Andrè ed il Priore si affrettarono verso la cucina quasi scontrandosi con Giuditta che, visibilmente contrariata, puntava ancora il dito verso la bacinella vuota.
Il cucchiaino d’argento era sparito.
Ora, se c’è una cosa che manda in bestia qualsiasi cristiano di buon senso, è quell’atteggiamento distaccato, proprio degli uomini di scienza che, davanti a qualsiasi episodio, ancorché grave, spiacevole o catastrofico, ne colgono unicamente l’aspetto fenomenologico, restando del tutto indifferenti alle sue conseguenze pratiche .
Perciò, mentre Andrè si limitava ad annotare l’ora, le dodici in punto, mormorando “fantastique!” ed il Priore intingeva imprudentemente il dito nella soluzione salina, portandolo poi alle labbra, Giuditta, da buona massaia toscana, si preoccupava della perduta integrità del servizio da dodici e, torcendosi le mani imprecava contro l’ignoto ladro.
“Maremma maiala! Andrè, non era punto questo il risultato che m’aspettavo! Che mai dite - fantastique ! - quando qui c’è stato un malandrino a portar via il mi' cucchiaino ?”
“Mais non, mais non, Juditta , vi sbagliate. È stato il catodo a prendere il vostro cucchiaino.”
“Ah ! Quindi voi lo conoscete, il briccone ! Ebbene allora ditegli a codesto vostro amico, signor Catodo, che, se non vole avere noie con la giustizia, mi restituisca subito il maltolto.”
“Ma, ma chérie, non posso dirglielo, vedete, il catodo non è un uomo.”
“Ma bene ! Non solo gli è ladro ma gli è anche pervertito ! Fatemi il piacere, Andrè, omo o finocchio che sia, il Catodo l’ha da ridarmi il mi' cucchiaio entro stasera”
E se ne uscì dalla cucina con aria offesa e con il volto paonazzo.
Andrè ed il Priore, rimasti soli, si misero a discutere sull’accaduto e, dopo tortuosi ragionamenti, convennero che, anche invertendo le polarità della pila, non sarebbe stato possibile fare ricomporre dalla corrente elettrica il cucchiaino scomparso.
Così Andrè decise di fare l’unica cosa possibile per placare la cugina: un breve viaggio a Firenze, alla bottega artigiana di messer Lapo, l’argentiere, da cui era stato acquistato tempo addietro il servizio di cucchiaini, per acquistare un facsimile di quello distrutto dalla corrente elettrica.
Avrebbe poi spiegato a Giuditta che il Catodo, pentito della malvagia azione, aveva spontaneamente restituito la refurtiva.
Prima di uscire per la commissione, in compagnia del Priore, volle però riportare nel diario degli esperimenti le sue considerazioni sullo strano accadimento.
Così alla pagina del 27 Aprile si legge ...
“...essendo che la corrente, nel sospingere le minute particelle d'argento metallico verso il catodo, impiegò il tempo intercorso tra le nove ed un minuto primo e le ore dodici in punto, ne consegue che la detta corrente ha trasportato grammi 12 d'argento (peso del cucchiaino) in tanti secondi quanti ce ne stanno in due ore e cinquantanove minuti primi, ovvero 10.720 minuti secondi.
La corrente in questione che per comodità chiamerò con il mio proprio cognome (Ampère), è quindi quella in grado, per ciascun minuto secondo, di depositare al catodo, 12 gr / 10.720 = 1,119 millesimi di grammo d'argento.”
Così si conclude l’appunto di Andrè-Marie Ampère, nato a Lione nel 1775 e morto a Marsiglia nel 1836, fisico e matematico nonché inventore dell'unità di misura della intensità della corrente elettrica.
Davanti a tale evidenza non ci resta che chinare rispettosamente il capo e prendere atto della assoluta legittimità scientifica di quel misterioso 1,119.
QUI potete trovare racconti di vario tipo dello stesso autore, Mauritius, insieme a quelli di Vin-Census e QUI la serie di racconti dedicati alla verità sulle unità di misura
10 commenti
Caro Maurizio bel racconto e bella storia che ci dice anche qualche cosa : ci dice come all'epoca si facesse cultura, si formasse la cultura; attraverso il dialogo tra Ampere e il Priore, attraverso la curiosità e la meraviglia di quest'ultimo, la voglia di capire e scoprire con la curiosità di un bambino. Bello, bello.
Grazie Mario, giuste osservazioni. Ma qualcosa rimane anche oggi di quella curiosità, pur in un mondo dove lo spazio per l'ingenua meraviglia si è ristretto molto.
Resta in ascolto, altri episodi sono in arrivo.
Ciao!
un luogo in cui questo avviene ancora è questo Circolo!!!!
bravo Mau
C'è qualcosa di strano in questo: se l'argento metallico si è ossidato, passando in soluzione come ione, allora il cucchiaino era un ANODO e non un catodo. Al catodo al contrario sarebbe avvenuta la riduzione dello ione Ag+ ad argento metallico.
Infatti la definizione recita: "definito come l’intensità di quella corrente che, in un minuto secondo, deposita mg 1,119 d'argento metallico sul catodo di un voltametro ad argento."
Quindi al catodo l'argento sarebbe dovuto al limite aumentare (se ci fossero stati ioni Ag+ in circolazione), non certo scomparire!
Grazie, Pavel per il tuo commento. La dinamica che descrivi corrisponde sostanzialmente a quanto è avvenuto nel racconto.
L'inizio dell'esperimento viene annunciato con queste precise parole...
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Così, sotto lo sguardo perplesso di Giuditta (Juditta come la chiamava lui), Andrè mise un piccolo cucchiaio da caffè in una bacinella piena di acqua salata, collegando l’uno e l’altra rispettivamente al polo positivo e negativo di una pila voltaica.
Quindi, l'uno ( il cucchiaino) è il polo positivo (o Anodo) e l'altra (la bacinella) è il polo negativo (Catodo) proprio come scrivi nel tuo post.
Possiamo quasi vedere gli ioni di Argento migrare dal cucchiaino (Anodo), che diventa sempre più piccolo fino a svanire, al Catodo (la bacinella) che se ne appropria. In realtà l'argento era sempre nei dintorni, depositato sulla superficie del contenitore, non più in forma di cucchiaino.
In altre parole il Catodo aveva “divorato” questo benedetto cucchiaino scomparso, o con le parole di Ampere, l'aveva “rubato”.
Per evitare che qualcuno possa essere tentato di sperimentare la cosa, magari rovinando la propria relazione familiare con il coniuge, per un cucchiaino, fornisco una “ricetta” più pratica per la pulitura degli argenti, senza l'uso di alcuna batteria.
Diluite in un litro abbondante di acqua un cucchiaino di bicarbonato e un cucchiaino di sale.
Fate bollire la soluzione in un tegame di alluminio. Mettete le posate d'argento da pulire nel recipiente in modo che ogni oggetto tocchi il fondo e sia coperto dalla soluzione. Lasciate l'argento nel tegame per una quantità di tempo da mezzo minuto a due minuti, a seconda dello stato in cui era l'argento. Togliete poi le posate, sciacquatele con acqua fredda ed asciugatele con un panno morbido. Fatto!
L'argento a contatto con l'alluminio, e circondato dalla soluzione calda, ha mandato in soluzione lo strato nerastro (solfuro d'argento), poi l'alluminio ha sostituito l'argento nel solfuro e l'argento, libero, si è ridepositato sul materiale d'argento iniziale.
In questo procedimento vengono asportati dal tegame minuscole quantità di alluminio. Ecco la ragione per cui è consigliabile usare un vecchio tegame d'alluminio, che sia riservato a questo scopo.
Perfetto, ora ho capito perché il "ladro" era il catodo! Mi ero concentrato tutto nel cucchiaino e non avevo pensato più alla bacinella...
Grazie mille!
riassumendo (mi permetto): a Giuditta interessava il cucchiaio e non l'argento...
Eh sì, Vincenzo, hai perfettamente centrato il nocciolo del problema. Detto tra noi, Giuditta doveva essere una indomita bisbetica e deve avere perseguitato il cugino per tutta la vita. Pensa che l'epitaffio che Ampère scelse per la sua tomba, nel cimitero di Montmartre, è : "Tandem Felix", ("Finalmente Felice").
Però... si potrebbe usare l'idea per qualche furtarello di qui e di là (un cucchiaino oggi, uno domani...). Chissà se Pautasso ci starebbe???
Guardi, Professore, l'idea è buona. Però lei, che è uno studioso, dovrebbe trovare il modo di aumentare la "velocità molecolare" dell' argento, altrimenti ci vuole troppo tempo e magari qualcuno si accorge.