18/03/17

Uno, nessuno, centomila pianeti. 1: I plutoniani tornano alla carica… *

Ho preferito unire in un solo articolo, spezzato in due, un argomento che, come già detto ripetutamente, ha un senso fisico piuttosto limitato, ma che continua a imporsi come fonte di dibattiti e polemiche. Iniziamo con il redivivo americano “Plutone” e il suo stato sociale “secondario”. Poi passeremo a qualcosa di più “solido”, anche se ancora molto aleatorio.

Lasciatemi fare una battuta semipolitica: l’arrivo di un presidente come Donald Trump potrebbe essere stata la causa scatenante. Infatti, al grido di “Facciamo di nuovo grandi gli Stati Uniti” potrebbe aver deciso di restituire il rango di pianeta a Plutone, proprio perché l’unico veramente “americano”.

A parte gli scherzi (?), l’affaire Plutone e il suo rango di pianeta nano sta di nuovo imperversando in ambiente “scientifico”. Continua oltretutto la strana e un po’ buffa manovra di Alan Stern, grande scienziato, sicuramente, oltre che leader della fantastica missione New Horizons che ci ha mostrato le meraviglie di quella coppia straordinaria formata da Plutone e dal suo fratello-satellite Caronte. Proprio lui che aveva stabilito in un vecchio lavoro la regola di tipo dinamico che escludeva, dal rango di pianeta, un corpo che non avesse “pulito “ la sua orbita, torna alla carica per la riabilitazione di Plutone,  considerando trascurabile e non indicativo il suo stesso lavoro, oltretutto molto interessante.

Ne avevamo già parlato, ma vale la pena richiamare la situazione e cercare di commentare la recente nuova proposta di riabilitazione e le sue quasi ridicole conseguenze.

Non riesco a capire Stern, che mi sembra un po’ Fantozzi, quando era riuscito a rovinare finanziariamente se stesso e non sapeva se essere contento o sconvolto.

La sua regola dinamica (che è anche qualcosa di ben più profondo) sulla pulizia dell’orbita, che poi vuole dire stabilire se la vita del corpo celeste in questione non sia più messa a rischio da un altro oggetto dinamicamente “stabile”, che condivida la sua regione di spazio, è decisamente valida da un punto di vista di “differenza” fisica e, perciò, del tutto condivisibile se proprio si vuole creare una classificazione dei corpi planetari. Inoltre, il rischio che la “sua” missione New Horizon potesse perdere valore scientifico e mediatico a causa del declassamento di Plutone, è stato ampiamente scongiurato. Plutone e Caronte, pianeti o pianeti nani che siano, hanno impartito lezioni fondamentali sull’evoluzione dell’intero Sistema Solare. Infine, Alan è veramente uno scienziato serio e preparato e non mi è mai sembrato alla ricerca di posizioni di prestigio non solo scientifiche. La paura che vi sia qualcosa di “politico” alle spalle di tutto ciò diventa sempre meno una “battuta”…

Ma veniamo all’analisi della nuova proposta. Il punto chiave sta in questa frase: “ Pluto has everything going on on its surface that you associate with a planet. ... There's nothing non-planet about it. (Plutone ha sulla sua superficie tutto ciò che può venire associate a un pianeta… Non c’è niente che lo faccia differire da un vero pianeta)”. Poi si continua dicendo che una vera definizione di pianeta deve basarsi sulle qualità intrinseche del corpo celeste e non su fattori esterni come la sua orbita e la presenza di altri oggetti che la condividano. La definizione dovrebbe limitarsi un corpo di massa sub-stellare che non abbia mai subito un minimo processo di fusione nucleare e che abbia abbastanza gravità da mantenere una forma approssimativamente rotonda (a parte un possibile rigonfiamento equatoriale dovuto alla gravità e alla presenza di una stella o di un pianeta massiccio nelle vicinanze)”.

In poche parole Stern, e i suoi colleghi “conservatori”, hanno tolto di mezzo la parte che aveva descritto lui stesso… giudicandola un qualcosa che niente ha a che vedere con il corpo celeste vero e proprio.

Beh… prima di proseguire, fatemi dire che io sono piuttosto contrario a questa visione della faccenda (ne avevo già parlato approfonditamente QUI). Il fatto di aver pulito la propria orbita vuol dire avere agito non solo secondo regole puramente dinamiche, ma anche fisiche, dato che sono entrate in ballo le perturbazioni, gli effetti mareali, l’eliminazione di tutti gli intrusi. Insomma, un processo ben più complesso di un puro colpo di fortuna.

Personalmente, non me la sento di escludere l’evoluzione dinamica se proprio si deve dare una definizione a tutti i costi (ma su questo torneremo più tardi). Stern cerca di dare forza a questa esclusione dicendo un qualcosa che sembra veramente volersi arrampicare sugli specchi: se niente e nessuno deve disturbare l’orbita di un pianeta, allora non sono pianeti nemmeno Giove, la Terra, Marte e Nettuno, che condividono la loro orbita con pochi o molti asteroidi. In parole spicciole sta parlando dei troiani, ossia di quegli oggetti che si sono rintanati nella risonanza 1:1 con i pianeti (punti lagrangiani L4 e L5), trovando una sicurezza per la loro vita futura. Stern è troppo bravo per non sapere cosa sono i punti lagrangiani. Essi fanno parte del campo gravitazionale formato da tre corpi in rotazione e sono casi particolari di sopravvivenza alla gravità imperiosa del pianeta principale. Essi si salvano per particolari meccanismi dinamici e fisici, nascondendosi in qualche modo alla caccia spietata del signore della zona. E lo fanno imitandoli in tutto e per tutto, senza dare alcun fastidio.

E’ come dire che se un certo monarca avesse sconfitto, ucciso o disperso tutti i suoi nemici, tranne qualche insetto o topolino rintanati in profonde caverne o su qualche vetta inviolata, non potrebbe essere considerato un vero padrone assoluto del territorio. Non avrebbe più alcuna paura di insurrezioni e di rivoluzioni. Ben diversa sarebbe la situazione se il monarca si dichiarasse unico padrone, quando in tutta la sua nazione vi fossero ancora imponenti focolai che tentino di ribellarsi e di fare un colpo di stato. In parole astronomiche: una cosa è accettare che qualcosa si sia rintanato senza poter creare alcun disturbo (in modo del tutto conforme alle regole delle risonanze basate sulla gravitazione) e un’altra cosa è essere sempre a rischio di un impatto distruttivo.

E’ vero che la Terra e Marte (e anche gli stessi Giove e Nettuno) potrebbero essere colpiti da oggetti ESTERNI al sistema relativo alla loro zona di influenza, ma questi sarebbero nemici imprevedibili e non certo stabilmente definiti. Essi sarebbero proiettili posti su orbite caotiche, che non permetterebbero, spesso, contromisure efficaci. Siamo nel caso dei NEA (Near Earth Asteroids) per la Terra o le comete di passaggio per tutti e quattro. Classico è l’esempio della cometa Shoemaker-Levy  9, che Giove ha sapientemente saputo trattare, disgregandola con le forze mareali e accettandola come polvere solo un po’ fastidiosa, quando le è caduta addosso.

D’altra parte, se contassero anche questi impatti per escludere un corpo dalla categoria dei pianeti, non ve ne sarebbe più nessuno, dato che le micro meteoriti li colpiscono tutti continuamente e in gran numero.

No, la difesa sollevata da Stern e colleghi non sta in piedi e non è fisicamente valida. Fermo restando che io non mi preoccuperei affatto di dover costruire classi specifiche (scientifiche) per i corpi planetari nella loro globalità (ma ci toneremo alla fine).

I sostenitori di questa azione reazionaria si lanciano ben più avanti, sapendo bene che cosa comporterebbe la loro proposta. Dovrebbero essere pianeti anche la Luna, il satellite Europa e, aggiungo io, anche il piccolo Rea, perfettamente auto gravitante. E qui le cose, però, si complicano… questi oggetti possono anche sembrare pianeti a una prima occhiata, ma non possiamo dimenticare che la loro evoluzione sia interna che superficiale è stata profondamente comandata dal pianeta intorno a cui rivolvono. Non solo… se non ci fosse Giove, Europa potrebbe essere sopravvissuto per miliardi di anni, da solo, in quella zona? Probabilmente sarebbe stato strapazzato dalle perturbazioni di Saturno e oggi non ci sarebbe più. Ne segue che la sua caratteristica fisica di pianeta dipende fortemente dalle sue caratteristiche orbitali e dall’aiuto protettivo di Giove.

Insomma, si potrebbe parlare per ore e confutare punto per punto una visione troppo mediatica e poco scientifica.

Gli autori, comunque, non si spaventano nemmeno di un’altra ovvia conseguenza: i pianeti oggi conosciuti nel Sistema Solare sarebbero almeno 110, tra asteroidi isolati, satelliti, Kuiper Belt Object, ecc., ecc. E diventeranno ben presto centinaia o migliaia…

No, non ci siamo, anche perché il confronto con i “pianeti” degli altri sistemi planetari non può essere fatto con oggetti che forse mai riusciremmo a vedere con gli attuali telescopi e soprattutto poter classificare come dominati dalla auto gravitazione oppure no.

Alla fine, però, l’articolo sembra mostrare le sue vere carte nascoste…

In pratica, dice che questa “espansione” planetaria non potrebbe che servire all’opinione pubblica, che si sentirebbe più partecipe delle esplorazioni planetarie: da un punto di vista psicologico avere più pianeti aumenterebbe di pari passo l’interesse della popolazione verso di loro. Giuro che non riesco a vederci un filo veramente logico o -almeno- scientifico.

Inoltre, essi dicono che la nuova definizione non richiederebbe nessuna approvazione da parte di un organismo ufficiale (leggi IAU, Unione Astronomica Internazionale) e aiuterebbe la ricerca planetaria, dato che darebbe una definizione di tipo puramente geofisico, coinvolgendo gli studiosi delle scienze geologiche che rimangono sempre ai margini dell’astrofisica (?).

Gli autori sono ottimisti, dato che la nuova definizione è già stata utilizzata dalla PSRD (Planet Science Research Discoveries) un sito web divulgativo fondato alle Hawaii da un gruppo di scienziati. Essi concludono: “Noi vogliamo che il pubblico si innamori dell’esplorazione planetaria  e sia sempre più pronto a condividere e a supportare le future esplorazioni”.

A questo punto, si capiscono molte cose e mi rattrista una visione sempre più mediatica della scienza, in completo accordo con i robottini su Marte, gli alberghi sulla Luna, le miniere sugli asteroidi (e magari il loro uso come astronavi da crociera) e i campi di patate su Marte!

Come avevo già scritto tempo fa, io ho vissuto in prima persona i momenti chiave del tentativo (poi riuscito) di declassare Plutone. Ero, in quel periodo, proprio il presidente della commissione IAU dei corpi minori del Sistema Solare. Mi ricordo le liti e i dibattiti anche molto accesi tra esimi scienziati, impostati soprattutto sull’americanità” di Plutone. Tutto, in fondo, era nato dalla richiesta molto pratica del caro vecchio amico Brian Marsden, allora Direttore del centro sui piccoli corpi (MPC) di Cambridge (Mass.). I numeri degli asteroidi salivano alla svelta e lui chiedeva cosa fare dei Kuiper Belt Objects, ancora senza codice numerico. Avrebbe voluto dargli i numeri da 10 000 in poi, ma bisognava decidere se dare quel numero a Plutone oppure no. Una questione di pura archiviazione burocratica, che non voleva imporre niente di veramente scientifico. Da quel momento in poi ne ho viste (e subito) di tutti i colori…

In ogni modo, resto (anzi penso che restiamo tutti) di ben altra idea. Non vi sono vere classificazioni nel Cosmo. Possiamo anche crearne di fittizie per comodità di archiviazione o per vere motivazioni fisiche, ma ai pianeti, ai satelliti, agli asteroidi e alle comete proporrei la definizione che usiamo spesso in queste pagine: corpi planetari. Punto e basta (ad essi è dedicata QUESTA serie di articoli).

Poi, ognuno di loro avrà le sue caratteristiche… orbitare attorno a un altro corpo più grande, correre il rischio di impattare contro un altro, essere dominato dalle forze di coesione della materia oppure dall’autogravitazione, avere un interno caldo oppure freddo, avere oceani di acqua tiepida o di metano, cambiarsi il vestito spesso e volentieri, o quello che vogliamo.

Essi restano sempre e soltanto figli della stessa mamma Sole.

Il lavoro sarà presentato tra pochi giorni all’annuale meeting planetologico americano e vedremo se diventerà un caso mediatico...

Nella seconda parte del nostro articolo tratteremo qualcosa di più … serio, anche se ancora di carattere molto speculativo.

L’immagine riunisce Plutone e Caronte, ripresi da New Horizon e mostra chiaramente caratteristiche superficiali che confermano processi estremamente complessi avvenuti nel corso di miliardi di anni. Il loro interesse fondamentale è assicurato, senza bisogno di chiamarli nuovamente “pianeti”. Fonte: NASA/JHUAPL/SwRI
L’immagine riunisce Plutone e Caronte, ripresi da New Horizon, e mostra chiaramente caratteristiche superficiali che confermano processi estremamente complessi avvenuti nel corso di miliardi di anni. Il loro interesse fondamentale è assicurato, senza bisogno di chiamarli nuovamente “pianeti”. Fonte: NASA/JHUAPL/SwRI

 

NEWS del 11/9/2018 - Plutone potrebbe tornare ad essere considerato un pianeta

2 commenti

  1. Mario Fiori

    Daccordissimo Enzo, si classifica solo per comodità espositiva e di archiviazione, si studia senza remore e senza preferenze, soprattutto senza "razzismi" e senza troppa mediaticità.

  2. Frank

    Ricordo quando iniziò la polemica sulla classificazione, mi venne subito in mente il tentativo di definire le razze umane e me ne disinteressai quasi subito ritenendo il tutto una sciocchezza. Forse con un poco di buon senso e onestà, se proprio occorre una distinzione, una classificazione antropocentrica risolverebbe il problema. Non servirebbe a nulla scientificamente ma risolverebbe la diatriba, toglierebbe dall'imbarazzo parecchie persone e ai fini di archiviazione funzionerebbe. Anche i casi border line sarebbero facilmente risolti con una presa di posizione arbitraria.

    Cool

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