Categorie: Meccanica quantistica Racconti di Vin-Census
Tags: I giorni che sconvolsero la Fisica principio di Heisenberg
Scritto da: Maurizio Bernardi
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I giorni che sconvolsero la Fisica (2)
Nel linguaggio televisivo e cinematografico si chiamerebbe "prequel", ma anche nella narrativa si sente a volte la necessità di fare un passo indietro e spiegare gli antefatti, scavare nel passato e fare riemergere particolari che gettano una luce nuova su eventi cronologicamente successivi. Come resistere alla tentazione di applicare questa opzione narrativa a "L'effetto Ortega", tornando alle origini, agli incredibili anni '20 del novecento e ai giganteschi personaggi che, proprio in quel periodo hanno scritto la storia della fisica ?
Copenaghen, venerdì 25 febbraio 1927
La pioggia fine del sabato aveva lasciato il posto ad una malvagia nebbiolina che ristagnava sulla città di Lipsia. Nel campus universitario vagavano le ombre indistinte degli studenti che si trasferivano da un blocco di edifici all'altro per raggiungere le aule delle lezioni.
Nel suo studio-laboratorio del Niels Bohr Institute, Werner Karl Heisenberg era intento a scrivere le note finali del lavoro iniziato un paio di anni prima, con Born e Jordan, a Gottinga.
«Per quanto fin qui dimostrato, si può trarre la conclusione che le leggi naturali non conducono a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere è piuttosto rimesso al gioco del caso.»
Posò la penna e passò il tampone di carta assorbente sull'ultimo paragrafo prima di rileggerlo con una più che giustificata soddisfazione. Tuttavia, congiuntamente a quella soddisfazione, ora che l'opera era compiuta, provava anche una sensazione di vuoto, di mancanza di orizzonti da inseguire.
Ripensò alle conclusioni raggiunte dopo tanto lavoro. Sostanzialmente aveva praticato una profonda incrinatura nella muraglia delle certezze scientifiche, addirittura nel significato della parola “realtà”.
Alla solida realtà che imponeva scelte e dilemmi, veniva a sostituirsi un magma liquido di incertezze miste a certezze. Non più il dilemma angosciante tra “essere o non essere”, ma un perverso intreccio di “essere E non essere”, galleggiante su una ambigua, turbinante zuppa di possibilità equiprobabili.
Si alzò e infilò il soprabito, poi uscì dall'ufficio e scese lo scalone di marmo che conduceva al vasto atrio d'ingresso. Uscì dall'istituto imboccando la Ritterstrasse e svoltò a sinistra nella Goethestrasse, costeggiando il parco dello Shwanenteich, in direzione della Hauptbahnhoff.
Quando arrivò alla stazione era quasi l'una. Decise di concedersi uno spuntino prima di partire con il treno delle 14.
La birreria di Hugo era affollata di studenti e satura dell'odore di wurstel e crauti che costituivano il piatto standard del locale. C'erano comunque altre opzioni, ad esempio un delizioso arrosto di vitella con patate, che era il piatto preferito di Werner. Il girarrosto appariva però stranamente inoperoso, vuoto e immobile.
“Buongiorno Professor Heisenberg!”
Inga, la moglie di Hugo, gli si fece incontro ondeggiando nell'abbondanza dei suoi ottanta chili.
“Buongiorno Inga, niente porchetta oggi?”
“Non me ne parli professore, è dalle dieci che il povero Hugo è alle prese con questo problema. Ogni volta che mette la carne sul girarrosto e avvia il motore, non si capisce cosa succede, ma la carne scompare.”
“Come scompare? Non può scomparire, Inga...”
“Lo so, professore, dovrebbe essere una cosa impossibile, eppure succede. Capisce che, non vedendo la carne, non si può neppure sapere quando è cotta. Ci si può basare solo sull'odore, quello si sente, ma non basta certo a controllare la cottura.”
“Ma poi ricompare... o no?”
“Dipende, a volte sparisce per sempre, a volte riappare, non c'è una regola, è qualcosa di incerto, indeterminato.”
“Va bene, oggi mangerò i wurstel... pazienza.”
Mentre sorseggiava il suo boccale di birra Werner rifletteva su quella stranezza e un vago senso di inquietudine si faceva, via via, strada nella sua mente. Davvero curioso il fatto che, proprio alle dieci, avesse formulato in termini espliciti quel pensiero sulla percezione della realtà come una mera istanza tra molte possibilità equiprobabili. La contemporaneità tra quella sua presa di coscienza e il verificarsi dello strano fenomeno riferito da Inga gli appariva in una luce sinistra.
Aveva sempre avuto il sospetto che le cose accadessero in virtù del fatto che qualcuno le stava osservando: in assenza di un osservatore non esiste il fenomeno. Non è vero che la Luna esiste anche se nessuno la sta guardando; almeno, non abbiamo la prova che esiste finché non la guardiamo. Ma questa volta si stava andando ben oltre: la consapevolezza che lui, Werner Heisenberg, aveva conquistato, sembrava poter agire sulle percezioni di altre persone, all'insaputa di tutti.
Hugo non aveva mai ricevuto l'informazione che una porchetta, trascinata in rotazione dal girarrosto, potesse diventare così elusiva da non riuscire a dire dove si trovava nello spazio. Se Hugo fosse stato consapevole di questo, la cosa sarebbe “forse” risultata spiegabile, ma così...
Si riscosse e guardò l'orologio; doveva affrettarsi se non voleva perdere il treno. Finì la birra, pagò la consumazione e si avviò alla biglietteria.
“Un biglietto di andata per Copenaghen, prego...”
“Ecco il suo biglietto, signore.”
“Vedo che il binario è ancora libero. Forse il treno è in ritardo?
“Ecco, questo non glielo saprei proprio dire… E' tutta la mattina che i treni fanno quello che gli pare: appaiono, scompaiono, si vedono bene solo se sono fermi, appena si mettono in movimento non si capisce più dove sono finiti.”
“Intende dire che spariscono nella nebbia?”
“Ma che nebbia! Spariscono anche sotto la cupola della stazione, basta che si muovano appena appena.”
Il professor Heisenberg si ritrasse dallo sportello per lasciar posto ad un altro viaggiatore. Stringeva il biglietto nella mano come cercando conforto e sicurezza in quel rettangolino di carta giallina.
Possibile? Anche i treni, adesso?
Si sedette su una panchina a riflettere. Il treno non si vedeva. Forse avrebbe fatto meglio a tornare in ufficio e rimettere mano al documento che rifletteva la sua visione della realtà. Sentiva che questa era una decisione necessaria e urgente per rimetter a posto le cose, prima che fosse troppo tardi.
Lungo tutto il percorso di ritorno cercò di dominare il nervosismo che andava crescendo. Ma non fu cosa facile: persone, animali, veicoli apparivano dal nulla e sparivano nel nulla. Due corvi, che prima non c'erano, si materializzarono sui rami di una betulla. Contemporaneamente ad un lacerante stridio di freni, apparve un'auto che stava per investire un invisibile pedone, giusto in mezzo alla strada.
Heisenberg continuava a ripetersi “Non può dipendere da quello che ho scritto, è assurdo, non è colpa mia”, ma in cuor suo sentiva che aveva combinato un bel pasticcio e non vedeva l'ora di rimediare.
Arrivò quasi ansimante all'istituto, salì i gradini dello scalone a due per volta, entrò quasi di corsa nel suo ufficio e stracciò in mille pezzi l'ultima pagina del suo rapporto. Poi, sentendosi più calmo, sedette e modificò l'ultimo paragrafo:
«Nell'ambito della realtà le cui particolari condizioni sono formulate dalla teoria quantistica, le leggi naturali non conducono quindi a una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l'accadere (all'interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso, a questo LIVELLO MICROSCOPICO ed UNICAMENTE AD ESSO, al gioco del caso»
Subito dopo, esausto ma felice, si coricò con la certezza che il giorno dopo avrebbe gustato la porchetta più tenera e saporita che la Inga avesse mai cucinato.
Tutto a posto finalmente? Per novant'anni sì... fino a quella dannata intuizione di El Memorion che vi racconteremo nella prossima puntata...
QUI tutti gli articoli dedicati ai giorni che sconvolsero la fisica
A proposito del concetto di realtà, QUI l'infinito dialogo tra Einstein e Bohr, nel quale anche il nostro Heisenberg ha avuto un posto di assoluto rilievo (a fianco di Bohr, naturalmente!).
3 commenti
C'è molta più verità di quanto si pensi... chissà mai che un giorno non si impari a mantenere "isolato" anche un sistema molto complesso, come un bel gattone, ad esempio...
Penso che potremo arrivarci Enzo e comunque bravo Maurizio. Per sapere, hai tra le braccia una delle tue micie, per caso, Enzo?
Grazie, amici per il vostro apprezzamento. State sintonizzati, la storia continua...