07/05/14

Luccica, luccica, piccola stella ***

Il titolo richiama una celebre filastrocca inglese: “Twinkle, twinkle, little star…”, ma si applica benissimo a uno dei successi osservativi più strabilianti di questi anni. E’ stato, infatti, raggiunto un record a dir poco spaventoso riguardo alla misura di una pulsar, attraverso lo studio della sua scintillazione. La tecnica va al di là degli scopi di questo blog, ma i risultati meritano di essere conosciuti. Un salto di qualità che ha veramente del mostruoso.

Poche parole per ricordare la motivazione dello scintillio delle stelle nel cielo e della differenza rispetto ai pianeti. Le stelle sono sorgenti lontanissime e il loro diametro angolare è, quindi, piccolissimo. Possiamo immaginare (e lo abbiamo fatto spesso) che la luce proveniente da loro sia approssimata molto bene da un cono allungatissimo con un diametro apparentemente irrisolvibile con le tecniche più normali. La stella è un punto e rimane un punto quasi perfetto. A titolo di esempio, consideriamo che abbia un diametro dell’ordine di un millesimo di secondo d’arco.

Essa deve attraversare la nostra atmosfera, che ha una regione altamente turbolenta nella troposfera, ossia entro circa quindici chilometri dalla superficie terrestre. Questa turbolenza dà luogo a piccole zone di densità diversa che presentano, quindi, indici di rifrazione diversa. Delle vere e proprie “bollicine”  in rapida evoluzione sia fisica che dinamica (ossia corrono velocemente). I raggi luminosi vengono più o meno deviati quando le attraversano, dando luogo a momenti di maggiore e minore intensità, se visti da terra.  Si ottiene, cioè,  il ben noto “sfarfallio” dell’immagine e anche la sua separazione in piccolissime macchioline traballanti. Il tutto dipende non solo da ciò che la luce attraversa, ma anche dalla posizione dell’osservatore. Per potere causare un effetto visibile, queste bolle devono avere dimensioni paragonabili a quelle del cilindro di luce della stella, che, come ipotizzato, è di 1/1000 di secondo d’arco. A circa 10 km d’altezza queste bolle dovrebbero, perciò, avere un diametro dell’ordine di pochi micron. Proprio le dimensioni tipiche delle “bolle” atmosferiche.

I pianeti subiscono lo stesso fenomeno, ma il cono del loro fascio luminoso raggiunge un angolo di apertura di parecchi secondi d’arco (Giove, ad esempio, sottende circa 40 secondi d’arco). Per potere creare scintillio nella loro immagine, le bolle atmosferiche dovrebbero, perciò, avere una dimensione uguale, all’altezza di 10 km. Questo valore vuol dire circa venti centimetri. Impurità, in rapido movimento, di quest’ordine di grandezza sono estremamente rare, per cui la luce non riesce a scintillare. O -meglio- le varie parti del dischetto scintillano in modo diverso e gli effetti si annullano tra di loro. Attenzione: se vi fosse un faro molto luminoso su un pianeta, che producesse un fascio molto piccolo, tale da essere paragonabile a quello di una stella, lo potremmo vedere scintillare. Insomma, basterebbe per fare segnalazioni interplanetarie!

Possiamo immaginare l’atmosfera come un grande e placido fiume che scorre. Visto da vicino si notano, comunque, piccole increspature e piccoli gorghi; visto da lontano sembra piatto e tranquillo. Se mettessimo una lampadina sott’acqua simuleremmo la luce di una stella. Se essa inviasse un fascio strettissimo (raggio laser, ad esempio) la vedremmo “ballare”. Se invece fosse un lampione non ci sarebbe scintillazione: gli effetti delle increspature millimetriche si annullerebbero tra loro.
Non solo abbiamo richiamata la motivazione dello scintillio della stella (e non dei pianeti), ma abbiamo visto che esso aumenta con il diminuire delle dimensioni angolari della sorgente.

Normalmente, lo sfarfallio è un problema osservativo o -almeno- lo era. Oggi, si è in grado di calcolarlo e di utilizzare l’ottica adattiva che permette di modificare la superficie dell’obiettivo in tempo reale in modo da annullare la deformazione subita dalla luce da parte dell’atmosfera. Ma si è fatto molto di più. Proprio nella correzione di questo “disturbo” si riesce a ricostruire il diametro angolare dell’oggetto che scintilla, anche se il diametro del telescopio sembrerebbe non permetterlo (tecnica della speckle interferometry). Non possiamo andare nei dettagli, ma con questo metodo, altamente tecnologico, si sono riuscite a separare stelle doppie strettissime e molto altro ancora.

Tuttavia, anche l’atmosfera ha i suoi limiti e le bolle capaci di mandarci segnali trattabili non possono scendere troppo in dimensioni.  Però, però… esiste qualche altra cosa che può fare lo stesso nel Cosmo ed è il mezzo interstellare, che sembra vuoto, ma che vuoto non è ed è pieno di insiemi di particelle che possono deviare la luce di una stella lontana.

Il tutto è ben rivelabile in radioastronomia. A causa delle nubi di plasma esistente tra stella e stella si possono riconoscere e misurare sorgenti che abbiano dimensioni angolari estremamente piccole (solo loro scintillano). A 100 parsec si possono, perciò, riconoscere sorgenti che hanno un diametro reale anche dell’ordine di poche migliaia di chilometri. Le pulsar sono state scoperte proprio perché scintillavano ripetendosi a intervalli di tempo di secondi e anche meno. Infatti, come detto, più la sorgente è piccola (anche pochi chilometri) è meglio è. Le dimensioni delle “bolle” cosmiche, increspature “abbastanza” grandi, se viste da terra, sono, ovviamente, estremamente piccole. Con questo metodo di analisi si era riusciti, finora, a misurare sorgenti con dimensioni angolari dell’ordine di 50 milionesimi di secondi d’arco.

La nuova tecnica, ultra sofisticata, che studia le oscillazioni sfruttando interferenze di ordine superiore (mi fermo lì perché il discorso sarebbe troppo complicato anche per me…) è riuscita a ottenere dimensioni angolari un milione di volte inferiori, ossia di soli 50 picosecondi d’arco. Qualcosa di veramente mostruoso, inferiore alle dimensioni di circa 5 km alla distanza della pulsar (B0834+06, a circa 640 parsec). Non solo si è risolta la sorgente, ma addirittura un’area di emissione radio più ristretta. Lo studio delle pulsar e di altre zone limitatissime come dimensioni spaziali (pensiamo, ad esempio, alla zona limite tra orizzonte degli eventi e disco di accrescimento di un buco nero) potrebbe veramente essere rivoluzionato.

Tanto per darvi un’idea di cosa vuol dire 50 picoarcsec, immaginate di risolvere la doppia elica dei nostri geni dalla Luna. Non ho parole…

6 commenti

  1. beppe

    8-O 8-O 8-O
    Le incredibili possibilità dell'interferometria!!! 

  2. Michael

    Chissà... magari si riuscirà finalmente a fotografare il buco nero da 14 milioni di euro (mando fosse un Wanted del Far West).  :mrgreen:

  3. Michael

    Ops! Errore di battitura:"manco fosse", non "mando fosse".  :-|

  4. Mario Fiori

    Veramente notevole caro Enzo

  5. Valerio Ricciardi

    50 picosecondi d'arco... nemmeno Chuck Norris da giovane, strizzando un poco gli occhi...  :mrgreen:

  6. Lampo

    Semplicemente impressionante...

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