Categorie: Corpi minori Sistema Solare
Tags: affaticamento termico Earth-crosser Eros Fabio Migliorini Marco Delbo Mars Crosser megaregolite NEA regolite Vincenzo Zappalà
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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I MIEI AMICI ASTEROIDI (15): Una, anzi due, tipiche storie (scientifiche e umane) italiane…
Anche parlare di regolite e Mars-crosser che si trasformano in NEA (Near Earth Asteroids), può essere un'occasione per ricordare rapporti umani e professionali che lasciano un piccolo ma significativo segno nel cammino del progresso scientifico e... uno immenso nei miei ricordi più cari, che mi fa piacere condividere con voi, cari amici lettori.
Una tipica storia scientifica italiana (3/4/2014)
Approfitto di una interessante scoperta fatta da un gruppo di ricercatori di varie nazioni sull’evoluzione della superficie degli asteroidi, per raccontarvi una tipica storia italiana, una delle tante…
Gli asteroidi, come quasi tutti i corpi celesti rocciosi privi di atmosfera, non subiscono erosione dovuta al vento, alla pioggia e cose del genere. E, se abbastanza piccoli, nemmeno hanno avuto fenomeni vulcanici. La loro superficie si modifica essenzialmente a causa degli impatti continui delle meteoriti. Ovviamente, di tanto in tanto, una collisione più grande può rimescolare quanto si è costruito lentamente, ma sappiamo che gli eventi catastrofici si sono nettamente ridotti col passare del tempo.
La nostra stessa Luna ci mostra crateri enormi, ma antichi, mentre il terreno attuale è stato “modellato” dai micro impatti delle ultime centinaia di milioni di anni. Qualcuno forse lo ricorderà. Uno dei problemi che assillavano le prime missioni lunari erano legati alla consistenza del suolo lunare: era abbastanza compatto da sostenere una navicella o era una profonda e soffice distesa di sabbia molto fine che avrebbe ceduto a un peso eccessivo? In parole povere, quanto era spesso e di quali grani era composto la “regolite” lunare?
Regolite è proprio ciò che un corpo planetario roccioso mostra allo spazio, l’ultimo vestito, il confine tra l’interno e l’esterno. Normalmente questo vestito relativamente sottile (una specie di velo) è opera dei piccoli impatti che frantumano la crosta più superficiale fino a sminuzzarla. Gli stessi impattori partecipano a questa sabbia di granelli molto fini. La stessa cosa, anzi forse più consistente, dovrebbe succedere sugli asteroidi. Per loro si era perfino coniata la parola megaregolite, tanto spessa sembrava questa sabbia che serviva da vestito. Gli asteroidi vivono in un teatro cosmico in cui i bombardamenti sono continui, la pioggia di detriti insistente e forse sarebbe meglio portarsi un ombrello per passarvi un periodo di ferie.
Nessuno però aveva fatto studi accurati sulla possibile “fine” di ciò che veniva impattato e di ciò che impattava. Normalmente, e io per primo, ci dedicavamo agli impatti catastrofici, all’espulsione di grandi masse, alla riaccumulazione sotto forma di “ammassi di pietre”(pile of rubble), al trasferimento del momento angolare, all’origine delle famiglie e dei NEA, e a cento altri problemi macroscopici. La nuova ricerca, invece, ha proprio voluto scendere verso il piccolo, verso un processo che sembrava quasi “ovvio”. Ebbene, quanto si considerava naturale non lo era mica così tanto.
Gli impatti delle micro meteoriti creano mini crateri e conseguente espulsione di piccoli frammenti. Gli asteroidi, però, sono normalmente piccoli e spesso a bassa densità, per cui la loro gravità è cosa da poco. Talmente da poco che la maggior parte degli “ejecta” degli impatti ha sufficiente velocità da scappare verso lo spazio. Insomma, la sabbia che si crea se ne va per i fatti suoi e non rimane al suolo. E allora… chi forma la regolite asteroidale?
Gli asteroidi spesso ruotano molto velocemente sul proprio asse e quindi qualsiasi punto della loro superficie passa dal caldo al freddo in tempi brevissimi. La roccia che è costretta a sopportare questi continui e periodici sbalzi di temperatura si frantuma per lo stress termico e si riduce a piccoli grani. Sono stati fatti esperimenti di laboratorio utilizzando meteoriti di vario tipo (che sono proprio pezzi dei vestiti asteroidali un po’ più profondi) e si è visto che il processo funziona e molto più rapidamente dell’accumulo di granelli dovuti ai micro impatti. Questo processo è stato chiamato “affaticamento termico” e sembrerebbe essere quello fondamentale per il vestito dei piccoli corpi rocciosi.
Una scoperta estremamente interessante, che apre nuove strade per lo studio evolutivo degli asteroidi. Non per niente, il lavoro è stato accettato sulla prestigiosa rivista Nature.
E qui veniamo alla storia “italiana”. Il primo nome dell’articolo è quello di Marco Delbo, un ragazzo (è ancora piuttosto giovane) che si è laureato presso l’Osservatorio di Torino e che ha fatto di tutto pur di rimanere presso il nostro Istituto. Posso assicuravi, e lui lo sa benissimo, che ho fatto i salti mortali per tenermelo stretto nel gruppo di planetologia. Marco era sveglio, preparato, a volte ascoltava poco i miei consigli (e forse aveva anche ragione), ma era creativo, entusiasta e non aveva certo paura di girare e imparare. Purtroppo i posti erano limitati e continuavano a essere tagliati sempre di più. Tutto ciò che si era riusciti a trovare per lui era un posto da tecnico. Ok, un buon parcheggio, poteva anche considerarsi fortunato. C’era chi stava peggio. Ma possiamo dare torto a Marco se aspirava a qualcosa di più e con uno stipendio conforme al suo livello di studi? Quando uno comincia a essere conosciuto nel mondo per le proprie ricerche, comincia ad acquistare sicurezza in se stesso e nelle proprie idee, è più che giusto che sia ricompensato adeguatamente.
Marco per molti anni ha accettato quello stato di “limbo”, aspettando un concorso che non arrivava mai e per il quale, oltretutto, c’erano già almeno un paio di pretendenti più anziani in trepida attesa. Valeva la pena subire umiliazioni, rifiuti e lotte tra colleghi per un posto da ricercatore che la Francia gli offriva su un piatto d’argento? Alla fine, Marco ci ha salutato ed è andato ad accrescere il numero di ricercatori italiani che si erano trasferiti a Nizza, ottenendo immediatamente un posto da ricercatore effettivo e una quasi certezza di fare velocemente carriera. Fatemelo dire in silenzio… ma i ricercatori italiani se li mangiano vivi quelli francesi (almeno, lo facevano fino a una decina d’anni fa). Persone che da noi sarebbero rimaste, per bene che andasse, ricercatori per sempre (non faccio nomi), trasferitisi in Francia sono arrivati nel giro di pochi anni a professore associato e infine a professore ordinario. Alta qualità, giustamente ben pagata in un paese che pensa alla ricerca come mezzo insostituibile per il progresso.
E pensare che presso il mio gruppo ho avuto un certo numero di ricercatori stranieri di ottimo livello (sia francesi che finlandesi) che si sarebbero anche fermati. Fermati come, però? Non riuscivamo a tenerci quelli che si erano laureati con noi, figuriamoci i colleghi stranieri. E così se ne sono andati in giro per il mondo, ottenendo spesso ottimi risultati. Noi li preparavamo e poi se li prendevano quando erano “cotti” al punto giusto. Potete immaginare la mia soddisfazione…
Torniamo a Marco Delbo. Che dirvi, sono felicissimo per lui e per le sue continue prove di grande fantasia ed esperienza lavorativa. Abbiamo lavorato insieme per la missione GAIA, per le osservazioni eseguite con Hubble e molto altro ancora. Lo conosco bene anche dal punto di vista umano. Forza Marco, continua così, senza badare alla smorfia che non riesco a trattenere quando penso alla stupidità del nostro paese. Non sei stato l’unico… e sono costretto a ripensare al caso ancora più triste di Fabio Migliorini (in calce al presente, un articolo del 2012 in cui parlo di lui).
Una delle “teste” più brillanti che abbia mai conosciuto. E’ stato qualche anno da noi, abbiamo svolto insieme lavori importanti, ha accettato un parcheggio in Irlanda dove aveva dato segnali che non erano certo passati inosservati. Ma lui voleva lavorare a Torino: c’erano tante cose da fare! E ricordo bene quando in un congresso in Texas uno dei massimi studiosi sull’origine del Sistema Solare , George Wetherill, un mostro sacro, aveva parlato a lungo con lui, rimanendone profondamente impressionato. E da come me ne aveva parlato era chiaro che sarebbe stato pronto a offrigli ponti d’oro per averlo con lui. Fabio resisteva, ma scalpitava. Sì, era molto giovane, ma anche se si è giovani vi è bisogno di un lavoro (non era di famiglia ricca) che non sia un contratto a termine di consistenza ridicola. Come sperare in una posizione fissa -o quasi fissa- quando vi erano ottimi ricercatori di quasi quarant’anni ancora a spasso?
Poi, un tragico destino, ha risolto i dubbi di Fabio che ci ha lasciato per sempre in un’avventura un po’ troppo spericolata in montagna. Forse, avesse avuto un posto vero, avrebbe anche rallentato la sua voglia di fare sempre cose al limite. Chissà… ogni tanto mi sento un po’ in colpa… Permettetemi qualche ricordo in più. Era stato un week-end a casa mia. La sera avevamo parlato superficialmente di ricostruzione di una famiglia asteroidale, ossia di riuscire a partire dai frammenti e tornare al corpo originario. Avevamo buttato giù qualche idea. La mattina dopo, sul suo taccuino, vi erano già le equazioni che dovevamo sviluppare. Il computer sarebbe arrivato dopo, a tempo debito: prima la testa!
Va beh… Pensiamo alla regolite “calda e fredda” che è anche un po’ italiana… e cerchiamo di non ricordare quello che un “grande”, “illuminato” e “potente” politico italiano aveva detto qualche anno fa: “La ricerca scientifica di base è un lusso che l’Italia non si può permettere". Meglio tacere…
Insomma, torniamo a sorridere e pensiamo a tuffarci su un asteroide. Probabilmente cadremmo su morbido (ma non fidatevi troppo)!
Articolo originale QUI
QUI tutti gli articoli finora pubblicati della serie "I miei amici asteroidi"
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Il pericolo viene da Marte (25/9/2012)
Si parla tanto di Marte. Normalmente, lo si fa vedendo o cercando di vedere il piccolo pianeta rosso come un possibile luogo che abbia ospitato o che ospiti ancora una qualche forma di vita estremamente primitiva. Vale, insomma, l’equazione Marte = Vita. Tuttavia, questo è un ruolo ancora molto dibattuto e con scarse possibilità di essere confermato. E’ invece molto più sicuro un ruolo diametralmente opposto, che porta all’equazione, meno piacevole, Marte = Morte. Sembra uno scioglilingua, ma è una relazione assolutamente vera. La morte si riferisce, purtroppo, alla vita del nostro pianeta. Fortunatamente, i tempi sono abbastanza lunghi e le probabilità non eccessivamente alte. Ma, prima o poi…
Proseguendo nel racconto di alcuni momenti scientifici della mia “carriera” astronomica, voglio questa volta parlare di una scoperta abbastanza recente (fine anni ’90), che vede coinvolto un giovane e brillantissimo ricercatore, scomparso prematuramente a 26 anni, in una tragica disgrazia di montagna. Parlo di Fabio Migliorini, laureatosi a Padova, che ero riuscito velocemente a “catturare” a Torino con una borsa di studio. Mi sento sempre un po’ turbato e commosso a parlare di lui. Tuttavia, reputo che sia il modo migliore per far conoscere e valorizzare il suo breve, ma fondamentale ruolo nella ricerca asteroidale.
Bando alle tristezze e veniamo al dunque. Io sono sempre stato soprattutto un “fisico”, ma non mi è mai dispiaciuto, di tanto in tanto, affrontare problemi di dinamica, anche se senza una preparazione ultra specialistica. E forse questa mia limitazione è stata una fortuna.
Mi ricordo, come fosse oggi, la chiacchierata con Fabio nel mio studio. Avevamo da poco collaborato a una delle tante ricerche eseguite sui meccanismi di trasferimento dei frammenti asteroidali della fascia principale verso i pianeti interni attraverso le risonanze di moto medio con Giove (ne ho già parlato in vari articoli su questo sito). Ritenevo, però, strano che si dovessero solo considerare quelle “potenti” macchine che sono le risonanze e che non ci fosse qualcosa di meno evidente, ma altrettanto importante per “allungare” le orbite asteroidali fino a intersecare quelle della Terra (e anche di Venere e Mercurio).
Era da un po’ che mi girava in testa un’idea a prima vista balzana e -forse- eretica: qual era l’evoluzione dei Mars-crosser? Mi spiego meglio. Si sa benissimo che esistono asteroidi di fascia principale che riescono ad attraversare l’orbita del pianeta rosso. La mia domanda era: “Le perturbazioni causate da Marte non potrebbero influenzare a lungo andare le orbite di questi oggetti (i Mars-crosser, appunto) e trasformarli in NEAR Earth Asteroids?”
Solitamente, la risposta dei meccanici celesti era: “No, Marte è troppo piccolo e la sua incidenza trascurabile. Al limite potrebbe causare lievi variazioni orbitali temporanee e nulla più.” Probabilmente, mi dissi, avevano ragione, ma nella mia “ignoranza” dinamica pensavo non fosse assurdo lasciare libera la fantasia. E ne parlai con Fabio, sempre pronto a recepire nuovi stimoli per buttarsi a capofitto in qualsiasi ricerca, anche se ancora non aveva basi sufficienti per l’argomento in questione. Era velocissimo a leggere e a comprendere: in poco tempo si creava un bagaglio conoscitivo di alto livello professionale. E così capitò anche quella volta. Alla mia solita domanda, rispose: “E perché no? Non ci resta che verificare e provare”.
Si mise a cercare nella bibliografia e confermò che nessun lavoro specifico era mai stato fatto. Si accettava l’idea che Marte era troppo piccolo e che non valeva la pena eseguire integrazioni numeriche lunghissime per ottenere un risultato scontato fin dall’inizio. Non restava che passare all’azione. Recuperò da vari colleghi i più moderni programmi per il calcolo dell’evoluzione orbitale degli N-corpi, scelse quello che ci sembrava il più adatto al nostro scopo, inserì un certo numero di Mars-crosser statisticamente valido e poi fece partire il programma. Ci sarebbero voluti mesi di calcolo per vederli evolvere dinamicamente per milioni e milioni di anni.
Ogni tanto davamo una controllata alla situazione e tutto sembrava andare nel verso previsto dagli specialisti: piccole variazioni che rientravano velocemente. Poi, finalmente, iniziarono le prime sorprese che presto divennero la norma. I Mars-crosser si trasformavano in Earth-crosser, non perché vi erano passaggi veramente ravvicinati con Marte tali da dargli uno “schiaffo” decisivo, ma perché le sue leggere ma continue perturbazioni avevano fatto lentamente variare il semiasse orbitale dell’asteroide fino a inserirlo in qualche risonanza di moto medio con Giove e quindi a immetterlo velocemente in orbite interne.
C’era voluto del tempo, in media 60 milioni di anni, ma avevamo avuto ragione. Quella regione, così densamente popolata, poteva essere considerata a tutti gli effetti un potente serbatoio di asteroidi pericolosi. Insieme a colleghi veramente “dinamici”, scrivemmo due articoli a riguardo, uno su Icarus (qui) e uno su Science (qui).
I Mars-crosser sono oggi universalmente considerati sorgente fondamentale dei NEA. Vi è però un grosso problema… Mentre tra i NEA sappiamo che ben raramente gli oggetti superano il chilometro di diametro, con un numero limitatissimo tra i 5 e i 10 km (solo uno, Eros, oltre i 20 km), tra i Mars crosser si trovano veri giganti, qualcuno superiore ai 40 km e forse uno di circa 100 km. Purtroppo, la massa non influisce molto sull’evoluzione dinamica (tutti i Mars-crosser restano di massa trascurabile rispetto a quella dei pianeti) e quindi la stessa probabilità di diventare oggetti a rischio d’impatto ce l’hanno sia le schegge sia i mostri di decine di chilometri… Le stime danno che in media, ogni milione di anni, si originano due oggetti NEA superiori ai 5 km di diametro.
Consideriamo questi risultati solo da un punto di vista scientifico senza estrapolarli verso visioni catastrofiche. Sicuramente, se fa già paura pensare ai danni fantascientifici causati da un “oggettino” di 10 km, come capitato 65 milioni di anni fa, possiamo facilmente immaginare il risultato di un urto con un killer di 40 km!
Quando osserviamo le immagini di Marte e del suo paesaggio triste e desolato, pensiamo anche che, sotto sotto, potrebbe prima o poi vendicarsi della sua splendida sorella poco più vicina al Sole.
Ma questi sono solo alcuni dei pericoli, e non i più gravi, che potrebbero provenire da Marte... leggete QUI se ne avete il coraggio ;-)
QUI tutti gli articoli finora pubblicati della serie "I miei amici asteroidi"
5 commenti
"La ricerca di base è un lusso che l'Italia non si può permettere"?!
In altri Paesi non si permettono politici di questo genere...e infatti stanno meglio di noi.
e infatti i ricercatori scappano a ritmo crescente... tagliamo i fondi e saremo presto il fanalino di coda a livello mondiale... e poi si vuole iniziativa e fantasia... poveri noi!!!!
Penso che il problema di fondo sia proprio la struttura di questo sistema sociale-produttivo che costringe le persone (non solo nel campo della ricerca) a competere invece che collaborare, perché per mangiare è necessario un posto di lavoro, possibilmente stabile, che garantisca uno stipendio possibilmente fisso. Queste tue preziose testimonianze provano invece che il progresso scientifico, indispensabile al progresso sociale, necessita di collaborazione e la collaborazione porta necessariamente a sviluppare i rapporti umani grazie ai quali l'uomo entra nella sua vera dimensione dove può esprimere il massimo di sé. Immaginiamo cosa potrebbero realizzare la scienza e comunque tutte le potenzialità intellettive e intellettuali umane se non fossero soggiogate dal profitto economico ma dal progresso sociale.
Grazie per aver condiviso con noi questi tuoi ricordi.
siamo profondamente in sintonia, caro Franco...
oggi da noi e già da molti anni fa in America la competizione è ed era sovrana. Fare in fretta, cercare di nascondere, al limite qualche trucchetto con il modello e cercare di sembrare il più bravo. Da noi non sempre è stato così. Mi ricordo che ogni qualche mese ci trovavamo a Pisa con due colleghi, andavamo in un aula enorme con tante lavagne e si cominciava a parlare delle varie problematiche, scherzando ed esprimendo, a volte, ipotesi del tutto assurde. Erano giorni di pensiero libero e senza freni. Nessuna paura tanto poi i si dividevano i compiti. E le idee uscivano quasi da sole, con un po' di gesso e uno strofinaccio. Poi sarebbe arrivato il PC e i modelli. Nessuno avrebbe pensato di sfruttare un'idea da solo, anche se era venuta a lui...
Oggi ci siamo americanizzati e i piccoli aggiustamenti al modello perché il risultato sia quello che vogliamo aumentano a dismisura. Resta, però un'enorme differenza tra noi e gli USA. Qui, se l'idea è buona, non basta di certo... Devi conoscere, promettere, intrallazzare... e poi devi chiedere 100, sperando che ti diano 10. Per tanti va bene così, soprattutto se hai promesse da parte di chi può... All'estero no (prima fra tutti la comunità europea): tu devi chiedere il giusto, dimostrandolo,e poi rispettare i patti e usare i fondi per quello che hai chiesto. Se chiedi 100 potresti anche avere 110. Insomma, se sei bravo e onesto te ne vai all'estero: se deve essere competizione che competizione sia, ma almeno con regole giuste e per reale bravura. Noi abbiamo cercato di copiare col precariato, tanto i fondi non ci sono, i posti nemmeno e con gli spiccioli fai pure quello che vuoi...
quanti libri si potrebbero scrivere....
Tanti, veramente tanti....!!!