20/08/14

Feynman e la QED. 10: la doppia fenditura e un evento “spezzato” **

Per una trattazione completa dell'Elettrodinamica Quantistica (QED), si consiglia di leggere il relativo approfondimento, in cui è stato inserito anche il presente articolo

 

In questo articolo ci dedichiamo all’esperimento della doppia fenditura e ci accorgiamo che è diventato veramente banale e intuitivo. La QED lo descrive in modo perfetto e … “logico”. Anche la parte più assurda ha una "spiegazione" più che convincente.

Con tutto quello che abbiamo imparato finora (soprattutto, le regole di calcolo della probabilità di un evento attraverso le frecce associate alle traiettorie percorribili da un fotone), non è  difficile riprendere il celebre esperimento della doppia fenditura, su cui tanto a lungo abbiamo discusso, e descriverlo con grande naturalezza. Ci sembrerà più che ovvio. Addirittura, tenendo conto della separazione degli eventi in passi successivi, si può anche dare una risposta alla parte più assurda, ossia quella relativa al guardare o non guardare da dove passa il fotone. Vale proprio la pena descriverlo nuovamente, cercando di afferrare bene non tanto le operazioni (ormai banali) ma i concetti che ne derivano, soprattutto l’ultimo.

Prepariamo l’esperimento con la sorgente S e la parete con i due fori A e B, distanti tra loro pochi millimetri, e il rivelatore R. Poniamo il foro A proprio nella direzione SR (ma potevamo anche cambiare la posizione dei fori).  La cosa veramente importante è che i fori siano molto piccoli. Perché? Dovreste ricordarvelo: se i fori sono piccoli le traiettorie che li attraversano danno luogo a una combinazione delle  frecce di ampiezza comparabile, indipendentemente dalla lunghezza della traiettoria seguita e dal tempo impiegato a percorrerla. In altre parole, la traiettoria SAR  ha la stessa probabilità finale di SBR, malgrado la seconda sia decisamente più lunga. Ricordiamo, per avere un’idea più chiara delle grandezze in gioco, che se i due fori distassero un metro, il loro diametro dovrebbe essere di un decimo di millimetro

Partendo da questa verità, non è quindi difficile superare la prima apparente assurdità della situazione: se chiudo A ottengo un certo risultato su R. Se chiudo B ottengo lo stesso identico risultato. In numeri (come esempio): se S invia cento fotoni, uno solo passa attraverso A (con B chiuso) e arriva su R (facendo “tic”). Se chiudo A, e mando altri cento fotoni, R farà nuovamente “tic” una sola volta, confermandoci che il percorso SBR ha la stessa probabilità di SAR. Questo è un risultato già abbastanza assurdo per la vita normale, ma sappiamo spiegarlo benissimo con un fascio di traiettorie molto strette.

Accettiamo quindi che la probabilità di arrivare su R da S, sia attraverso A che B, sia la stessa, ad esempio l’1%. Apriamo, ora, entrambi fori. Se ragionassimo come siamo abituati a fare, dovremmo dire che, se lanciamo 100 fotoni da S, ne arrivano 2 su R: uno attraverso A e uno attraverso B. Questa è la nostra logica. Chi non ha letto quanto scritto finora si stupirebbe non poco del fatto che, invece, il numero di fotoni che giunge su R varia da un valore minimo di zero a uno massimo di 4.

Noi, però, siamo già abbastanza preparati da sapere che non possiamo sommare le probabilità nel modo più banale, ossia 1 + 1 = 2! Qual è l’evento che devo studiare? Il fotone parte da S e arriva in R con due percorsi alternativi (esso è verificato sia se il fotone passa da A sia se passa da B). Alternativi? Ma allora sappiamo benissimo come fare: dobbiamo disegnare le ampiezze di probabilità per le due traiettorie possibili (attraverso A e attraverso B), fare girare il cronometro, che gira di più per il percorso più lungo, e sommarle vettorialmente. La probabilità finale è il quadrato dell’ampiezza finale.

Tutto dipende, quindi, dalla distanza tra i fori, ossia dalla differenza di percorso effettuato nelle due traiettorie alternative, ossia, da quanto ha girato la lancetta nei due casi. Per una certa distanza tra i fori potremmo avere che le due frecce vanno nello stesso verso e quindi prima sommiamo le frecce: 1 + 1 = 2 e poi eseguiamo il quadrato, che mi dà una probabilità finale di 4 (il 4%). Per un’altra distanza tra i fori, potremmo avere che le due frecce vanno in verso opposto, ossia 1- 1 = 0, il cui quadrato resta 0 (lo 0%).

E’ la stessa cosa che abbiamo trovato con la doppia riflessione sulla lastra di vetro sul rivelatore R1, niente di più e niente di meno. Non sappiamo assolutamente perché il fotone decida di passare da A o da B, ma sappiamo benissimo calcolare la probabilità di ogni traiettoria possibile del singolo fotone e combinarle in modo da ottenere la probabilità finale dell’evento.

Ovviamente, invece di spostare i fori, potremmo spostare il rivelatore R e troveremmo che, mentre si muove, la luce passa da un massimo (4%) a un minimo (0%), in relazione alla rotazione della lancetta, ossia alla distanza totale percorsa nelle due strade alternative. Questo fenomeno, che sappiamo trattare benissimo con le nostre frecce, è seguito pari pari dalla Natura e viene chiamato “normalmente” interferenza.

Quanto detto lo illustriamo in Fig. 46

Figura 46
Figura 46

Se, invece, apriamo uno alla volta i fori, abbiamo due eventi separati: uno che dice di andare da S a R attraverso A e un altro che dice di andare da S a R attraverso B. Non vi sono alternative e quindi la freccia che arriva in R è una e una sola per ogni evento. Chiudendo A e aprendo B, la sola traiettoria possibile è SBR. Chiudendo B, l’unica traiettoria possibile è SAR.  Non abbiamo un evento con due alternative, ma due eventi, ciascuno senza alternative. Non dobbiamo quindi sommare vettorialmente le frecce, ma sommare “brutalmente” le percentuali dei due eventi, così come abbiamo fatto sommando le percentuali trovate nel rivelatore che riceve la doppia riflessione e in quello che riceve la trasmissione attraverso la lamina di vetro.

Ogni evento ha, come già detto, la probabilità dell’1%. I due eventi sono separati e quindi se vogliamo sapere quanti fotoni arrivano su R, passando da A o da B, dobbiamo sommare “brutalmente” le due probabilità e otteniamo 1 + 1 = 2. Non andiamo contro la QED e la differenza del risultato dipende solo da come è definito l’evento. Impariamo bene questo concetto e analizziamo sempre con molta attenzione le caratteristiche dell’evento di cui vogliamo calcolare le probabilità di riuscita.

Esistono ancora problemi di comprensione tra il fatto che, quando il foro è singolo, il fotone si comporta come “vera” particella, e il fatto che, quando i fori sono due, il fotone si comporta come un’onda? Un’onda che nei due fori dà luogo a due onde che interferiscono tra loro. No, direi proprio di no. Ormai nella logica della QED questo è un risultato ovvio e comprensibilissimo.

E’ bastato pensare un fotone come un insieme di particelle virtuali che possono essere ovunque, o, meglio ancora, trattare il comportamento di un fotone come un insieme di traiettorie ognuna con la propria ampiezza di probabilità di soddisfare un certo evento

Se questo fatto non vi risulta banale e ovvio, vi consiglio di ricominciare da capo la QED… Ma spero che non capiti a nessuno!

Ridendo e scherzando abbiamo descritto l’interferenza e abbiamo visto perché dipende dalla separazione dei fori o dal punto in  cui si mette il rivelatore. Abbiamo dimostrato che le particelle (e i fotoni lo sono perché fanno “tic” sul rivelatore) vanno trattate attraverso ampiezze di probabilità per ottenere i risultati che segue la Natura. Nessuna vera dualità particella-onda, ma solo freccia e cronometro… Mi raccomando, stiamo sempre bene attenti a definire perfettamente l’evento!

Fin qui nessun problema direi… Il bello viene adesso. Comunque, vedremo che la QED riesce anche a spiegare “a modo suo” il famoso fotone dispettoso che diventa particella se lo guardi e rimane onda se non lo guardi. Ossia il nocciolo di fondo di tutta la MQ. E non lo fa assolutamente dando all’osservatore e al suo cervello una capacità miracolosa…

Proseguiamo allora con molta calma. L’esperimento rimane tale e quale a prima, ma adesso al posto dei fori A e B, usiamo due fori muniti di un rivelatore incorporato. Ossia un qualcosa che, in pratica, ci dice se il fotone passa attraverso quel foro. Non dobbiamo confonderci: noi trattiamo nella QED il fotone come un insieme di ampiezze di probabilità che, in questo senso, possono passare sia da A che da B e combinarsi assieme. Tuttavia, il fotone resta una particella e in  realtà o passa da A o passa da B, non può passare mezzo da A e mezzo da B o cose del genere. Quelli che arrivano in R devono essere passati da qualche parte come particelle. Siamo solo noi, che non sapendo come spiegare la scelta dei fotoni, li abbiamo trattati e descritti come ampiezze di probabilità. L’importante è che facendo così riusciamo a descrivere perfettamente la Natura!

Torniamo ai due fori “intelligenti” o -molto meglio- capaci di registrare in qualche modo se un fotone passa o no attraverso di lui (basta la tecnologia e non l’intelligenza…e già la MQ cambia un po’ la sua visione troppo legata all’uomo… ma ci torneremo sopra, ovviamente). Il risultato lo sappiamo bene: l’interferenza scompare e il rivelatore R si comporta come ci saremmo aspettati fin dall’inizio: 1 + 1 = 2 e non certo 0 oppure 4!

Una soluzione apparentemente e normalmente NORMALE che, adesso, non ci soddisfa più e ci mette in crisi! Se ci sta succedendo questo, vuol dire che siamo entrati nel mondo di Alice e stiamo pensando come lei: il normale diventa assurdo e l’assurdo diventa normale.

Non sembra, però, che vi sia nessuna regola descritta finora che possa spiegare questo strano comportamento. La normalità del risultato sta distruggendo le nostre certezze basate sulla QED. Ma ne siamo proprio sicuri? Come abbiamo già detto varie volte, dobbiamo essere sempre certi di aver definito perfettamente l’evento. Due eventi uguali devono dare risultati uguali. A noi sembra che aggiungere i fori “intelligenti” non abbia cambiato l’evento e, invece, è proprio così. Seguiamo bene il ragionamento perché è veramente fondamentale (anche se rispecchia pari pari quanto detto poche righe sopra)

Per essere sicuri che l’evento non sia cambiato dobbiamo analizzare molto bene le condizioni iniziali e finali in modo da accorgerci se esse sono variate. Se così fosse, tutto l’evento sarebbe stato modificato e il risultato potrebbe benissimo essere diverso.

Descriviamo bene l’evento senza fori “intelligenti”. Cosa dice esattamente? Molto semplice: la luce parte da S, può passare da A o da B, e il rivelatore R fa “tic”. L’unica variazione di condizioni che avviene durante l’esperimento è il “tic” del rivelatore. O lo fa o non lo fa. Noi non possiamo sapere come si è mossa effettivamente la luce e quindi la descrizione data dalla QED ci dimostra che vi deve essere interferenza e la Natura lo conferma.

Quando inseriamo i fori “intelligenti”, noi cambiamo profondamente l’evento che adesso diventa: la luce parte da S, A o B registrano il passaggio del fotone, il rivelatore R fa “tic”. Non ditemi che è la stessa cosa di prima! Vi sono ben tre condizioni: la registrazione effettuata del foro A, quella del foro B e il solito tic di R (che c’era anche prima). L’evento non è più lo stesso!

Questo evento è in realtà scomponibile in due eventi distinti e completi: (1) la luce parte da S, passa  da A e fa tic in R; (2) la luce parte da S, passa da B e fa tic in R. Due eventi completamente separati, che vanno trattati in modo diverso secondo le regole imparate.

Scomponiamo (1) in due passi: da S ad A e da A a R. Dobbiamo farlo per studiarlo adeguatamente perché in A cambiano le condizioni, così come capitava nell’esperimento della doppia riflessione e in altri esempi. La freccia che arriva in A deve essere MOLTIPLICATA con quella che va da A a R. Tuttavia, questo evento è perfettamente uguale a quello con solo A aperto. Il foro intelligente non cambia la probabilità finale, ma implica solo che l’evento completo (da S a R) deve essere spezzato in due eventi separati.

Ripetiamo ancora il concetto. L’evento che porta all’interferenza dice solo e soltanto: parti da S e arriva in R facendo “tic”. Esso, per come è formulato, ammette due strade alternative, il passaggio da A o da B. Basta allora che faccia la somma vettoriale finale sulle frecce. La QED e le sue regole ce lo impongono! L’evento invece che vuole un  passaggio registrato da A e un  “tic” in  R, ma che vuole anche un passaggio in B e un “tic” in R, non è un  singolo evento. Infatti, se abbiamo un passaggio da A non esiste strada alternativa: passare da A è l’unica strada possibile. Se, contemporaneamente, vogliamo che l’evento ammetta la possibilità del passaggio da B dobbiamo concludere che è una cosa del tutto diversa, dato che l’unica strada possibile è passare da B. L’evento non è uno solo, ma è composto da due eventi del tutto diversi.

Trattiamoli allora come tali. E’ facilissimo. (1) ci dice che se la luce può passare solo da A e arrivare in R, la probabilità finale è dell’1%, tale e quale al caso di un unico foro aperto. (2) ci dice la stessa identica cosa: la luce deve passare da B e arrivare in R. Nuovamente uguale al caso di un unico foro aperto. Anche la sua probabilità finale e l’1%. I due percorsi non sono vie alternative di un solo evento, ma sono due eventi complementari: o se ne segue uno o se ne segue un altro, tale e quale al caso della lastra con doppia riflessione e i due rivelatori messi in R1 (che raccoglie la luce riflessa) e in R2 (che riceve la luce trasmessa attraverso il vetro). Cosa dovevamo fare in quel caso: sommare tra di loro le probabilità dei due eventi, dato che la luce o fa una cosa o fa l’altra. Lo stesso capita adesso: anche se il rivelatore è adesso sempre lo stesso R, devo comunque sommare le percentuali dei due eventi differenti, dato che o capita (1) o capita (2).

Ripeto ancora, non fatevi ingannare dal fatto che il rivelatore rimanga sempre R. In parole povere, R fa un doppio lavoro: registra la probabilità dell’evento (1) e quello dell’evento (2), proprio come se avessimo fatto coincidere R1 e R2 nel caso della doppia riflessione. Non confondiamo nemmeno la situazione con quella delle Fig. 43 e 44. Nel caso attuale i due eventi non sono strade indipendenti che verificano lo stesso evento, ma due eventi completamente separati (li avevamo chiamati complementari), dato che in un caso è obbligatorio il passaggio da A e nell’altro il passaggio da B. Nel caso delle sorgenti X e Y, invece, volevamo verificare l’evento, definito così: partendo da X e da Y, due fotoni arrivano in A e in B . le strade XA e YB andavano moltiplicate perché erano vie indipendenti ma entrambe necessarie affinché l’evento si avverasse. Lo stesso capitava per YA e XB. Le due frecce ottenute da queste due azioni indipendenti, ma plausibili, si ricavavano attraverso la moltiplicazione e le loro ampiezze dovevano poi essere combinate con la regola della somma vettoriale, dato che erano vie alternative per l’attuazione dell’evento completo.

Pensiamo  anche a un problema aggiuntivo, ma facilmente risolvibile: “E se i fori non fossero tanto intelligenti? Ossia, se ogni tanto individuassero il passaggio e ogni tanto se lo “perdessero”?”. Ebbene, la soluzione è veramente ovvia: a mano a mano che scende la credibilità dei due fori  “intelligenti” l’interferenza aumenta e si avvicina al valore massimo che si ha con fori del tutto “ignoranti”! Insomma, si ha un mix delle due soluzioni, in quanto in certi casi vale l’evento unico e in altri l’evento spezzato in  due. E’ vero o non è vero che la QED è, in fondo, logicissima?

Questo articolo ci ha detto due cose molto importanti e fondamentali. Innanzitutto ci ha insegnato a stare molto attenti a definire un evento. Variazioni che sembrerebbero non incidere lo stravolgono completamente e lo spezzano addirittura in due eventi. Come conseguenza, abbiamo anche “capito” perché se i fori sono intelligenti il risultato è diverso. Non perché andiamo a curiosare quello che non dovremmo vedere, ma solo e soltanto perché abbiamo cambiato drasticamente l’evento, spezzandolo in due eventi del tutto separati. Potremmo anche  non voler sapere da che parte è passato il fotone, ma se esiste qualcosa (i rivelatori vicini ai fori) che potrebbe dirci da che parte è passato, vale, comunque, la separazione degli eventi. Si può anche dire che gli "stati" finali sono differenti, dato che adesso le condizioni finali sono, praticamente, distinguibili tra loro....

Attenzione! Questo ragionamento non risolve certo il problema di fondo della MQ e che tanto ha fatto e  fa ancora discutere gli esperti. Chi e che cosa deve intromettersi sul percorso di un fotone perché lui diventi veramente una particella? Sembrerebbe che basti cambiare la struttura dell’evento e il gioco è fatto. Sì, ma come si cambia questa struttura? Se noi non  potessimo verificare la diversità, la presenza del foro intelligente non servirebbe a niente. Quindi sembrerebbe che la nostra presenza ottica o uditiva (o quello che volete) sia sempre necessaria. E se ci fosse un gattino ad ascoltare il tic? O magari solo un’altra particella curiosa? O, molto più semplicemente, un qualcosa di esterno che si intromette in un fenomeno circoscritto e chiuso in se stesso?

Quest’ultima è la soluzione che preferisco… La particella si muove attraverso ampiezze di probabilità quando agisce in un sistema chiuso. Non appena viene a contatto con qualcosa che appartiene al mondo esterno (foro intelligente, occhio dell’uomo o anche quello del gatto) l’evento si modifica e l’onda collassa (tanto per usare il linguaggio più tipico della MQ). In parole più semplici, però, possiamo anche dire che se qualcosa dimostra che la particella fotone passa in un certo punto, tutti gli altri fotoni virtuali spariscono (e, in qualche modo, cadiamo nelle particelle entangled …).

Tuttavia, non possiamo seguire questa strada (adesso) e lascio a voi i confronti tra i vari modi di descrivere la MQ. Noi dobbiamo andare avanti con la QED che, adesso, utilizzando le poche regole definite finora (che sono perfettamente confermate dalla Natura), ci permette di descrivere  tutti i fenomeni della fisica, al di fuori della gravità e di ciò che capita dentro al nucleo atomico. Vi sembra poco? Direi proprio di no, dato che anche la chimica, la biologia e molto altro ancora si basano solo sulle interazioni tra luce e materia.  Accontentiamoci e vedrete che non saremo delusi!

Devo essere sincero fino in fondo. Le cose cominceranno a diventare un po’ più difficili e saremo obbligati a fare riferimento a qualche formula che non potremo, però, ricavare, dato che bisognerebbe entrare nella QED e nelle sue espressioni matematiche. Questo sarebbe troppo, anche per me… ve lo assicuro. Prenderemo per buone alcune conclusioni, ma capiremo cosa vogliono significare (questo è l’importante). Introdurremo anche il tempo, anzi lo spazio-tempo e la trattazione ci porterà a concetti e a dimensioni difficilmente visibili con occhi normali. Abbiamo i mezzi per parlare e capire il linguaggio di Alice, ma l’impegno non sarà trascurabile.

Un consiglio:  andate a riguardare l’articolo elementare che avevo scritto come aggiunta al libro di Rosetta (QUI), senza curarvi dell’espansione.  Potrebbe venire utile ai meno esperti.

18 commenti

  1. Paolo

    Caro Enzo, la QED mi sembra sempre più simpatica e interessante.

    Ho provato ad applicare quanto spero di aver appreso dagli articoli precedenti, spostando la posizione del rilevatore (invece di modificare la distanza tra le due fessure), ottenendo proprio minimi e massimi di probabilità (da 0 a 4%).

    Per calcolare la probabilità sono partito dall'ampiezza del vettore di probabilità di 0,1 dato che il suo quadrato è pari all'1%.
    http://www.astrobin.com/full/108209/X/

    Quando tra i due percorsi alternativi (S-A-R ed S-B-R) il tempo impiegato è lo stesso, oppure differisce di un giro di cronometro (o suoi multipli) le probabilità si sommano (massime), mentre quando differiscono di mezzo giro (o suoi multipli) si annullano.

    Ho anche provato, usando lo stesso schema precedente, a calcolare le probabilità in caso di fori “intelligenti”.

    In questo caso, se non ho capito male, si tratta di due eventi distinti, poiché avendo per esempio identificato la posizione del fotone mentre attraversa la fenditura A, tale certezza ha annullato ogni possibile suo percorso alternativo passante per il foro B.

    Dunque il percorso S-B-R non è più alternativo al percorso S-A-R, e viceversa.

    Si tratta di due percorsi indipendenti, ognuno dei quali può far arrivare i fotoni dalla Sorgente al Rilevatore (nel nostro caso in parti uguali), e ciò si traduce nella mera somma aritmetica delle singole percentuali di probabilità.
    http://www.astrobin.com/full/108209/Y/

    In ultimo ho provato a confrontare i risultati ottenuti nelle due diverse situazioni (con o senza fori intelligenti) usando due grafici, per mostrare le percentuali di probabilità in funzione della posizione del Rilevatore.

    Con i fori liberi il grafico descrive un onda di probabilità, con minimi e massimi che si alternano in funzione della posizione del rilevatore, oltre ovviamente ad una serie di posizioni intermedi con percentuali che variano tra 0 e 4%.

    Non è difficile immaginare cosa apparirebbe su uno schermo: una serie di bande luminose (probabilità che si sommano) alternate a bande scure (probabilità che si annullano).

    Mi chiedevo, dato che abbiamo imparato ad assegnare una diversa velocità di percorrenza in base al colore (maggior o minor lunghezza d'onda), se aumenta la velocità di percorrenza, il cronometro potrebbe compiere più giri , per cui dovrebbero esserci più minimi e massimi tra le pozioni periferiche (P4 e P5) dei rilevatori, o sbaglio?

    Paolo

  2. perfetto, caro Paoleynman!!!! tutto perfetto... ti stringo la mano a distanza, attraverso, ovviamente, qualche mia particella entangled :mrgreen:

  3. alexander

    Come sempre articolo fantastico!
    Non vedo l’ora che finiscano (sperando di riuscire a capire anche quelli finali) in modo tale da poter ricominciare a leggerli tutti dal primo…
    Sono proprio curioso di vedere con che occhi leggerò i primi articoli, sono sicuro che troverò tantissimi spunti di “riflessione” ( :lol: ) di cui, inizialmente, sicuramente non mi ero accorto…
    Ora, spero di non deluderti troppo addentrandomi in un argomento che rischia di mettere a nudo il fatto che magari non ho capito troppo bene la costruzione logica su cui si sono basati tutti gli articoli, però io mi sentirei un po’ più tranquillo se riuscissi in qualche modo a ricollegare alle ”classiche” definizioni della MQ (che abbiamo sempre usato in passato) i discorsi che si son fatti fino ad ora sulle lunghezze delle frecce (che corrispondono all’ampiezza di probabilità), sulla loro direzione e sulla probabilità di un evento che corrisponde al quadrato delle lunghezze delle frecce.

    Perché insomma, dopo aver letto i tuoi articoli sembra tutto chiarissimo e semplicissimo però se dopo 10 minuti mi faccio la semplice domanda, tipo, cos’è un fotone, vedo che comincio subito ad avere difficoltà ad esprimere il concetto con parole mie e chiare (e quindi vuole dire che ci sono aspetti che non ho chiari)

    In pratica, secondo le definizioni classiche, io dovrei descrivere il fotone come attraverso una funzione matematica che associa, ad ogni punto dello spazio, la probabilità di trovarci il fotone stesso e questa funzione descrive, appunto in modo matematico, le combinazioni tra ampiezze di probabilità e versi delle frecce (determinata dalla frequenza del fotone) che noi abbiamo “imparato” a studiare in modo geometrico e che produce come risultato quel famoso moto ondulatorio nello spazio di cui parliamo tanto…

    Che ne dici ci può stare come definizione da mettere nel mio personale glossario?

  4. caro Alex,
    quello che tu dici si applica a tutte le particelle e non solo al fotone. Il fotone ha il vantaggio di non avere massa e quindi può viaggiare alla velocità c. Qualsiasi cosa esso sia, l'importante è che non siamo in grado di capire il perché si comporta in un certo modo e non in un altro. Non ci resta che calcolare la probabilità che si trovi in un certo punto dello spazio e che sia in grado di verificare un certo evento. Il fotone è quindi rappresentabile come un'ampiezza di probabilità e questa scelta ci permette di verificare tutti i fenomeni naturali della luce. In fondo, la materia è fatta di fluttuazioni di campi e usiamo il nome particelle per motivi di semplificazione e di legami con il passato. Il principio di Heisenberg ci obbliga a non pretendere di più. Se localizziamo la posizione, dobbiamo scordarci la direzione del moto e viceversa. Questa è la MQ, ma sembra che la Natura si diverta a confermarla sempre di più. Una trattazione iniziale puramente matematica è diventata ormai una rappresentazione "realistica"... Le particelle esistono proprio come onde probabilistiche... e molte sono state scoperte proprio agendo in questo modo. Potrei anche dirti che il fotone è un quanto di energia che si propaga in un campo e la trasporta. Un messaggero, insomma. Tuttavia, quando interagisce con un altra "particella" si fa sentire... come ci dice l'effetto fotoelettrico. Un campo è definito da un vettore che oscilla e il fotone ne è l'essenza stessa. C'è poco da fare... la MQ si accetta e si descrive, ma non si può CAPIRE.

    Comunque, va bene la tua definizione... :wink:

  5. caro Alex,
    aggiungo una notazione forse più esplicativa:
    esse si comportano in modo diverso a seconda delle condizioni, ossia hanno un diverso "stato". Pensaci bene e vedrai che è proprio quello che succede cambiando le condizioni di un evento... L'ampiezza e le sue azioni sono in grado di descrivere tutti gli stati...

  6. Paolo

    Caro Enzo ci sono alcune osservazioni che vorrei fare sull'ultima parte dell'articolo.
    Innanzitutto, certi fenomeni descritti dalla MQ, a volte vengono rappresentati in una forma antropocentrica (o meglio osservatorcentrica), quasi come se si volesse attribuire all'osservatore il potere di decidere la forma che dovrà assumere la realtà.
    In pratica, tornando alla doppia fenditura, si attribuisce all'osservatore il potere di decidere se la luce è onda o particella.
    Tale interpretazione, la trovo ambigua e poco condivisibile.
    Cambiando osservatore, i risultati dell'esperimento della doppia fenditura (con e senza fori intelligenti) sarebbero identici, e sarebbe del tutto inutile chiedere agli osservatori di pensare intensamente al risultato che vorrebbero ottenere.
    Preferisco essere particellocentrico, nell'analizzare i due diversi comportamenti.
    Giusto per usare un'analogia metaforica prendo ad esempio il gioco degli scacchi.
    Prima di decidere quale mossa fare, vi sono molteplici possibilità di muovere il pezzo, ma quando il pezzo viene mosso, non esistono più altre possibili mosse per quel tratto di “strada”.
    Ora, posizionando un “sensore” in prossimità di una delle due fessure, costringiamo la nostra simpatica particella a rendere manifesta la sua mossa e questo annulla tutte le altre possibili mosse (che è cosa assai diversa dal pensare che i “sensori” in prossimità delle fessure, interferiscano fisicamente con le particelle osservate).
    Piccola domanda: siamo così sicuri che questa condizione (costringere una particella a rendere manifesta la sua mossa, o meglio la sua posizione) riprodotta in un esperimento non possa verificarsi anche in natura?
    Vorrei, però, aggiungere che nell'esperimento descritto, è stato posto un presupposto, ossia che i fori sono molto piccoli e questo si traduce in una possibilità che da ogni foro l'1% dei fotoni raggiunga il rilevatore, qualunque sia la sua posizione (fenomeno già trattato qui: http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2014/07/31/feynman-e-la-qed-6-un-trucco-probabilistico-per-osservare-luniverso/ ).
    Dunque nel nostro esperimento con i fori intelligenti, dalla fessura A ogni cento fotoni identificati, solo 1 raggiunge il Rilevatore, gli altri 99 seguono altri percorsi.
    Sarà pur vero che l'identificazione del fotone in A annulla il percorso alternativo S-B-R, ma nel tratto rimanente (da A ad R) rimangono una serie di possibili percorsi alternativi che il fotone deve ancora percorrere per giungere al rilevatore.
    Quando quel fotone tra i 100 lanciati raggiungerà il Rilevatore, nuovamente la sua mossa si renderà manifesta (fine dell'evento) e spariranno tutti gli altri possibili percorsi alternativi.
    Quello che mi sembra di aver intuito è che l'osservatore non è il padrone degli eventi che si manifestano durante l'esperimento, ma non può nemmeno essere considerato neutrale o esterno a questo, poiché in quel frangente rappresenta l'altro giocatore di scacchi, che con le sue azioni costringe la particella a manifestare la sua mossa o meglio la sua posizione .
    Sto sbagliando qualcosa?
    Avrei in realtà anche una veloce domandina sull'entanglement ed in particolare su quanto hai trattato qui http://www.astronomia.com/2013/09/05/5-informazioni-istantanee/, ma così finiremmo fuori tema..... e rimando volentieri la domanda nella speranza che tale argomento venga trattato nei prossimi articoli.

    Paolo

  7. caro Paolo,
    sempre lucido e preciso...

    Sulla prima parte del tuo discorso posso dirti che quello che conta è verificare da dove passa il fotone, ossia cambiare le condizioni dell'evento. Normalmente si dice che abbiamo preso coscienza del fenomeno. Tuttavia, non è assolutamente chiaro CHI deve prenderne coscienza... magari, come detto nell'articolo, basta un gattino o un'altra particella. Questo è ancora tutto da dimostrare... Ma senza osservare non possiamo risolvere il problema e ricadiamo nel caso precedente... Nel caso del gatto di Scrodinger si pensa, infatti, che il gatto non sia mezzo vivo e mezzo morto, ma che l'interazione con il sistema cassetta possa fare collassare subito la "particellona". Questo è abbastanza ovvio per un corpo macroscopico, ma potrebbe anche capitare per le particelle. Tutto va bene se il sistema in cui si svolge l'azione è chiuso, senza alcuna interazione esterna. Il rivelatore in A o B può essere qualsiasi interazione decisiva per cambiare l'evento. Mi trovi, quindi, perfettamente d'accordo... e penso che Feynman l'abbia dimostrato abbastanza bene.

    Sulla domanda, invece, devi tener presente qual'è l'evento che si considera. Esso implica che il fotone arrivi in R e quindi tutte le altre possibilità DOPO il passaggio dal foro sono escluse, dato che non verificano l'evento. Esse fanno parte delle probabilità che vanno sommate brutalmente... per arrivare a 100%. Le traiettorie che portano a R, invece, possono essere sintetizzate in una sola traiettoria proprio perché il foro è piccolissimo e la somma delle loro probabilità è praticamente quella di una sola traiettoria (quella rettilinea). E' il discorso che abbiamo fatto quando abbiamo trascurato le vie alternative considerando solo quella rettilinea. Se allargassi la fenditura non sarebbe più vero...

    Ho capito quello che volevi dire? :?:

  8. Paolo

    Provo a riformulare la domanda.
    E' possibile che per esempio il sensore del fora A conti 10 passaggi ed il rilevatore faccia un solo clic?
    Ossia dal foro A al Rilevatore la traiettoria è unica, ma non è detto che un fotone che passa dal fora A colpisca necessariamente il rilevatore, potrebbe finire anche altrove o sbaglio?
    Ovviamente ciò non cambia nulla nel calcolo di probabilità che un evento si realizzi, poichè in tal caso conta solo il fotone che raggiunge il rilevatore (2% con fori intelligenti e da 0 a 4% con fori liberi).

    Paolo

  9. caro Paolo,
    avevo capito bene, allora... Ovviamente il fotone può ancora andare dove vuole, ma per l'evento considerato interessa solo se arriva in R. Tuttavia, ormai è diventato "particella" e non potrà fare interferenza ovunque arrivi, ossia ovunque io metta il rivelatore R. La sua ampiezza non si sommerà vettorialmente a quella del secondo foro... L'importante è che ormai si sa da dove è passato! :wink:

  10. Paolo

    Eh si la possibilità di presentarsi come onda e di produrre interferenza se l'è giocata definitivamente nello stesso istante in cui è stato individuato il passaggio dalla fenditura.

    Ti dirò che dopo questo articolo anche l'esperimento di Mandel (che hai descritto tempo fa) non mi sembra più così assurdo (della serie che basta anche solo seguire gli indizi, dedurre la posizione della particella, per far crollare tutte le altre probabilità ed addio onde e interferenza).

    Paolo

  11. di bene in meglio Paolo! :wink:

  12. Massimo

    Scusa Enzo, se clicco sul link nel testo che rimanda all’articolo relativo al libro di Rosetta mi da errore e facendo "cerca" sono diversi gli articoli. Mi potresti dire quale articolo devo guardare? Grazie per la grande disponibilità.

  13. caro Massimo,

    penso sia questo (se ricordo bene...). Non so come mai è sparito... misteri di internet & co....

    http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2014/11/15/introduzione-elementare-allo-spazio-tempo-un-paesino-e-una-scuola/

     

  14. Caro Massimo,

    forse sarebbe meglio che tu leggessi direttamente la QED inserita nell'archivio e non le varie puntate singole. Avevo cambiato qualcosa e forse anche fatto alcune correzioni....

    http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2015/01/09/lelettrodinamica-quantistica-lottica-sotto-unottica-diversa/

     

     

     

     

  15. Massimo

    Grazie infinite Enzo

  16. Massimiliano

    Un chiarimento... spero sia solo una conferma di quanto ipotizzo altrimenti vuol dire che ci ho capito poco e devo ricominciare a studiare da capo.

    Supponiamo che in casa mia io sia riuscito a costruirmi tutto il necessario per vedere il fenomeno dell'interferenza.

    Ho una sorgente luminosa rivolta verso il muro del soggiorno, tra questa sorgente e il muro ho una lastra con due fori del diametro giusto (pochi decimi di mm) alla giusta distanza tra loro.

    Spengo la luce del lampadario e chiudo le finestre in modo che in soggiorno ci sia un buio perfetto.

    Accendo la sorgente luminosa di cui sopra e sul muro mi si disegnano non due puntini in corrispondenza dei fori ma dei cerchi concentrici (mi pare sia questo l'effetto dell'interferenza).

    Se in ognuno di quei due minuscoli fori riuscissi a inserire un fotorilevatore in modo da "vedere" se un fotone passa di là cosa succederebbe sul muro?

    1. Resterebbe tutto com'è, le figure caratteristiche del fenomeno dell'interferenza resterebbero tali e quali, come prima che inserissi i fotorilevatori nei fori;

    2. Le figure legate all'interferenza sparirebbero perché adesso so dove passano i fotoni, sono due eventi indipendenti non più due modi di verificarsi di uno stesso evento e quindi ecc. ecc.

    Io sono quasi sicuro della 1 però accetto anche una risposta del tipo "è impossibile realizzare fotorilevatori che entrino in fori di pochi decimi di mm quindi stai applicando la teoria partendo da un'ipotesi assurda e quindi non è possibile rispondere".

    Cordiali saluti,

    Massimiliano

     

    P. S. So che il prof. Zappalà ha qualche problema a seguire il blog in questo periodo quindi va benissimo che risponda qualcun altro e se non fosse possibile non importa, posso aspettare una risposta per tutto il tempo necessario.

  17. Daniela

    Ciao Massimiliano, la risposta al tuo dubbio la puoi trovare nella presentazione, usata dal prof. in occasione di alcune conferenze divulgative, inserita in questo articolo

    http://www.infinitoteatrodelcosmo.it/2015/08/09/6046/

    ...e se ti sembra assurda, non devi preoccuparti: il perché te lo spiega Feynman in persona nella citazione riportata in quello stesso articolo!

  18. Paolo

    Ciao Massimiliano.

    Dunque: innanzitutto la figura di interferenza è composta da una serie di linee verticali bianche... poichè le creste delle onde di probabilità si sommando, mentre creste e avvallamenti si annullano, per cui alla fine si creano delle linee bianche dove le probabilità per i fotoni si sono sommate, e scure dove le probabilità per i fotoni si sono annullate.

    Se si posiziona un rilevatore in prossimità di una delle due fenditure, nel momento stesso in cui è chiaro da dove passa il fotone l'onda di probabilità collassa, per cui scompare ed i fotoni finiscono per posizionarsi dietro alle fenditure, per cui la figura di diffrazione scompare.

    L'osservatore è parte dell'esperimento e non esterno a questo, poiche se si osserva o si capisce da dove passa il fotone, addio all'interferenza tra onde di probabilità ed addio alla figura di diffrazione.

    Comunque nella presentazione che ti ha linkato Daniela, tutto questo è spiegato decisamente meglio.

    Paolo

     

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