Categorie: Astronomia Elementare Curiosità Storia della Scienza
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Scritto da: Daniela
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La rinascita della ricerca scientifica**
Il presente articolo è stato inserito nella sezione d'archivio "Quattro passi nella storia della Scienza"
I SECOLI BUI ED IL SISTEMA "QUASI" ELIOCENTRICO DI COPERNICO
Il motivo per cui, dopo Tolomeo, per ben quattordici secoli la scienza astronomica non fece più progressi, si può individuare in varie cause. Prima fra tutte il decadimento dell’Impero romano e la netta scissione tra Europa occidentale e orientale che lo caratterizzò: ciò contribuì a far sì che in Occidente si dimenticasse quasi completamente il bagaglio scientifico dei greci. Inoltre la diffusione del cristianesimo portò con sé una tendenza ad interpretare letteralmente la Bibbia. Nel libro della Genesi sono riportate ingenue nozioni astronomiche prese a prestito da altri popoli. Affermazioni di questo tipo non furono particolarmente dannose per il popolo ebreo che non aveva mai avuto un grande interesse per l’astronomia, ma determinarono un grave regresso e rallentamento dello sviluppo di questa scienza in occidente. Si ritornò perfino a deridere la sfericità della Terra, prima grande scoperta dei greci.
Bisogna aspettare il sedicesimo secolo perché si avvii una vera e propria rivoluzione astronomica. Anche se il merito di tale cambiamento epocale viene dato solitamente a Niccolò Copernico (1473-1543), va ricordato che egli fu in pratica solo l’iniziatore di un lungo e tormentato processo di rinnovamento culturale che portò alla visione newtoniana del mondo.
Il modello, detto eliocentrico, di Copernico in realtà non portava grandi semplificazioni nei calcoli per la previsione delle posizioni degli astri. Uno dei motivi fondamentali che portarono Copernico ad abbandonare il sistema Tolemaico fu il desiderio di eliminare l’equante, cioè la presenza di un moto circolare la cui velocità era uniforme non rispetto al centro della circonferenza, ma ad un altro punto, in evidente contrasto con il dettato platonico.
Per poter spiegare tutti i fenomeni, senza ricorrere ad equanti, dovette comunque introdurre sfere eccentriche ed epicicli, pertanto il sistema copernicano non rappresenta il sistema eliocentrico oggi noto. I moti ellittici dei pianeti erano ancora interpretati come composizione di moti circolari.
Soltanto con le leggi empiriche di Keplero si riuscì a superare questo antico “pregiudizio”. Il vero aspetto rivoluzionario dell’opera di Copernico risiede nel fatto che, dopo di lui, molti scienziati cominciarono a credere nella realtà fisica del modello.
Vediamo allora in maggiore dettaglio quali furono i punti fermi su cui si basò l’opera di Copernico :
1 – Non vi è un unico centro per tutte le orbite celesti
2 – Il centro della Terra non è il centro dell’universo, ma soltanto il centro di attrazione dei corpi pesanti e dell’orbita lunare
3 – Tutte le orbite “circondano” il Sole, che si trova “nel mezzo”, poiché il centro del mondo è vicino al Sole
4 – La distanza del Sole dalla Terra è piccolissima rispetto alla distanza delle stelle fisse
5 – Ogni moto che paia appartenere alle stelle fisse non trae origine da esse ma dalla Terra. Perciò la Terra compie una completa rotazione attorno al suo asse, mentre il firmamento, o ultimo cielo, rimane immobile
6 – I moti che ci sembrano propri del Sole sono dovuti alla Terra ed alla sua orbita sulla quale rivolve attorno al Sole, come ogni altro pianeta
7 – I moti retrogradi e diretti dei pianeti, non sono causati da loro, ma dalla Terra. Il solo moto della Terra è sufficiente a spiegare un gran numero di irregolarità nei cieli
Da questi assiomi preliminari si vede subito che la rottura di Copernico con la vecchia cosmologia non è così netta come ci si sarebbe aspettato. Il centro del cosmo di Copernico non è nel centro del Sole ma vicino al centro del Sole. Precisamente esso è situato nel centro dell’orbita terrestre, la quale è eccentrica rispetto al Sole. Il centro della Terra continua poi a mantenere nel cosmo una funzione privilegiata essendo il punto verso cui convergono tutti i corpi pesanti ed il centro dell’orbita lunare. Ma le basi rivoluzionarie ci sono tutte, soprattutto nella frase: “la Terra rivolve attorno al Sole come ogni altro pianeta”.
La figura che segue illustra in maniera estremamente elementare e schematica il sistema copernicano.
Come si vede, i moti sono sempre circolari ed uniformi. Copernico ricorre sempre agli epicicli, tranne che per la Terra e per la Luna. La Terra è mostrata ruotare attorno al Sole, ma in realtà il centro della sua orbita è vicino alla stella, come si vedrà nella figura successiva. La Luna le orbita attorno ed entrambe non hanno epicicli. La posizione delle stelle fisse non è in scala, infatti dovrebbero essere inserite a ben più grande distanza. La prossima figura mette in relazione il moto della Terra con quello di Marte. In essa si vede bene che la Terra circola sul cerchio interno, centrato in un punto che non coincide con il centro del Sole. Questo punto è Il centro effettivo del sistema e prende il nome di Sole medio. Il Sole è invece il centro del deferente di Marte. La figura mostra chiaramente l’ulteriore privilegio, già menzionato, che Copernico accorda alla Terra: essa, a differenza di quella degli altri pianeti, è priva di epiciclo. Nemmeno Copernico riesce a declassare la Terra al rango di comune pianeta.
Terra e Luna non hanno epicicli. Come si vede la Terra ruota intorno a C’ (Sole medio), mentre il deferente di Marte ha centro in C (Sole).
In conclusione, si potrebbe dire che la teoria copernicana sia una sintesi tra una ardita innovazione ed un bagaglio tecnico-culturale del passato. L’aver posto il Sole “quasi” al centro del sistema ha comunque consentito notevoli facilitazioni nella spiegazione delle apparenti irregolarità dei moti planetari. Ma le affinità con Tolomeo rivelano un chiaro legame con le costruzioni aristoteliche. Non per niente Keplero ebbe a dire che Copernico avrebbe fatto meglio a interpretare la natura, anziché Tolomeo.
TYCHO BRAHE E LA PERFEZIONE DELLE OSSERVAZIONI
Poco prima dell’inizio dell’era telescopica, l’astronomo danese Tycho Brahe (1546–1601) raggiunse un livello insuperato nella precisione delle osservazioni astronomiche ad occhio nudo. Egli fece veramente della scienza dell’osservazione astronomica una regola di vita assoluta. Malgrado rifiutasse il sistema “quasi” eliocentrico di Copernico e considerasse nuovamente la Terra immobile, il suo contributo costituì sicuramente uno dei fattori indispensabili per giungere alla verità che sarebbe stato compresa appieno da lì a poco attraverso le osservazioni di Galileo, le leggi empiriche di Keplero e più tardi con la geniale sintesi di Newton che diede il via alla meccanica classica.
La figura che segue descrive schematicamente il sistema di Tycho.
La Terra è nuovamente al centro del cosmo con la Luna ed il Sole che le ruotano attorno su orbite circolari. Mercurio, Venere, Marte, Giove e Saturno circolano invece intorno al Sole, così come le stelle fisse. Il modello potrebbe essere considerato un tentativo di conciliazione tra le idee antiche e quelle nuove. D’altronde Tycho non elaborò mai il suo sistema fino a farne una teoria planetaria completa come quelle di Tolomeo e Copernico, anche se forse ne aveva l’idea.
Tuttavia, mentre la Luna ed il Sole le ruotano attorno direttamente, gli altri pianeti ruotano intorno al Sole ed insieme ad esso intorno alla Terra. L’orbita del Sole diventa un deferente e le traiettorie planetarie degli enormi epicicli.
Malgrado contrario alle sue idee, il contributo di Brahe al successo del modello eliocentrico fu determinante. Oltre che rendere possibili le scoperte di Keplero, egli distrusse completamente il concetto di sfere solide su cui giacevano i pianeti, introducendo quello vero e proprio di orbita. Infatti, nel suo modello l’orbita del Sole interseca quelle di Mercurio, di Venere e di Marte, cosa che sarebbe impossibile se tali pianeti fossero trasportati nel loro moto dalle antiche, e mai prima messe in dubbio, sfere cristalline. Inoltre la Terra, anche se immobile, non è più il vero centro di rotazione di tutto l’universo, dato che questo ruolo viene in massima parte assunto dal Sole.
GIOVANNI KEPLERO E LE SUE LEGGI
Il tedesco Johannes Kepler (1571-1630), fu matematico, ottico, astronomo e apprezzato musicista. Collaboratore di Brahe dal 1599 al 1601, fu il primo a liberarsi dalla circolarità delle orbite e ideare un modello nel quale i pianeti si muovevano intorno al Sole seguendo orbite ellittiche. E’ entrato nella storia della Scienza per avere formulato le famose tre leggi empiriche che descrivono il moto dei pianeti. Tuttavia, per importanti che siano, le leggi di Keplero forniscono solamente una descrizione del movimento dei pianeti intorno al Sole ma non ci danno alcuna indicazione del perché i pianeti si muovono in quel modo.
La terza legge è importantissima: infatti i periodi di rivoluzione dei pianeti attorno al Sole sono molto facili da misurare cosicché è sufficiente conoscere la distanza di un singolo pianeta (per esempio la Terra) dal Sole per calcolare immediatamente le distanze dal Sole di tutti gli altri pianeti.
LA VITA DI GALILEO
Galileo Nasce a Pisa il 15 febbraio 1564 da famiglia abbastanza agiata. Il padre è il musicista Vincenzo Galilei, la madre Giulia degli Ammannati. Galileo studia letteratura e logica a Firenze dove si trasferisce con la famiglia nel 1574. Nel 1581 entra nella Facoltà di Medicina dell’Università di Pisa, ma con interesse molto relativo. Lasciata l’Università pisana, ritorna a Firenze. Qui inizia a sviluppare una vera passione per la meccanica, costruendo macchine complesse e approfondendo la matematica. Si avvicina alla fisica sotto la guida di Ostilio Ricci.
Sono di questo periodo i primi teoremi di geometria e meccanica mentre, analizzando gli studi di Archimede nel 1586, scopre la “bilancetta” per determinare il peso specifico dei corpi (la celebre bilancia idrostatica). Nel 1589 ottiene la cattedra di matematica all’Università di Pisa che manterrà fino al 1592; in questo periodo si interessa al movimento dei corpi in caduta libera e scrive il “De Motu”.
Nel 1593 Galileo viene chiamato a Padova dove la locale Università gli offre una prestigiosa cattedra di matematica, geometria e astronomia. Galileo accetta con entusiasmo e vi rimarrà fino al 1610. Intanto nel 1599 conosce Marina Gamba, che gli darà tre figli: Maria Celeste, Arcangela e Vincenzio.
E’ questo il periodo in cui guarda alla teoria copernicana del moto planetario con crescente interesse e particolare fiducia. Inizia le prime osservazioni con il cannocchiale costruito in Olanda, a cui egli stesso apporterà continui e significativi miglioramenti. E’ proprio a Padova che compie le osservazioni della Luna nel dicembre 1609 e l’importante scoperta dei satelliti di Giove il 7 gennaio 1610.
Nel marzo 1610 li annuncia nel “Sidereus Nuncius” e li battezza “Astri Medicei” in onore di Cosimo II de’ Medici, Granduca di Toscana.
La scoperta di un centro del moto che non fosse la Terra comincia a minare alla base la teoria tolemaica del cosmo. Le teorie astronomiche di Galileo Galilei vengono ben presto ritenute incompatibili con le verità rivelate dalla Bibbia e dalla tradizione aristotelica.
Una prima conseguenza è un’ammonizione formale del cardinale Bellarmino. Galileo, dopotutto, non fa altro che confermare la teoria copernicana, teoria già conosciuta da tempo. Tuttavia con le sue osservazioni ne cambia non solo la visione matematica, ma la stessa essenza fisica.
L’Inquisizione ecclesiastica non sente ragioni, bolla come eretico questo impianto cosmologico e proibisce formalmente a Galileo di appoggiare tali teorie. Nel frattempo, il testo “De Revolutionibus Orbium Coelestium” di Copernico viene messo all’indice. Nell’aprile del 1630 Galileo, pur preoccupato dalla piega presa dagli eventi, non interrompe la sua straordinaria esplorazione scientifica, fino a scrivere il polemico e impietoso “Dialogo sui due Massimi Sistemi del Mondo”, nel quale le teorie copernicana e tolemaica vengono messe dialetticamente a confronto, concludendosi con un vero “massacro” della seconda. In un primo tempo concorda con il Vaticano alcune modifiche per poter far stampare l’opera, ma decide poi di stampare la versione integrale a Firenze, nel 1632.
Arrivata nelle mani di Papa Urbano VIII, costui ne proibisce la distribuzione e fa istituire dall’Inquisizione un processo contro Galileo.
Lo scienziato, ormai anziano e malato, viene chiamato a Roma e processato (1633). Imprigionato, minacciato di tortura, umiliato a vestire un misero sacco, Galileo abiura pubblicamente e viene condannato alla prigione a vita. Si dice che nell’occasione Galileo, riferendosi alla Terra, mormorasse fra i denti la celebre frase “eppur si muove“.
La pena viene poi commutata in ciò che oggi chiameremmo arresti domiciliari: gli viene concesso di scontare la pena nella sua villa di Arcetri, vicino a Firenze, carcere ed esilio fino alla morte, che lo coglie l’8 gennaio 1642, circondato da pochi allievi e nella quasi totale cecità.
Per fortuna, nel 1638, nonostante il divieto della Chiesa, Galileo riuscì a far pubblicare in Olanda “Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze”, un compendio di quanto da lui studiato nella sua lunga vita (dalla caduta dei gravi al pendolo, dalla trazione delle corde alla velocità della luce, dall’acustica alle scienze delle costruzioni, dal moto rettilineo uniforme al moto uniformemente accelerato, dai principi della dinamica al principio d’inerzia), che costituirà una pietra miliare nella storia della fisica, fonte d’ispirazione per grandi scienziati come Newton, Lagrange, Laplace, Torricelli, solo per citare i nomi più conosciuti, che non esitarono a riconoscere pubblicamente il contributo di Galileo, citandolo nelle proprie opere, ai rispettivi campi di ricerca.
Galileo è universalmente riconosciuto come il primo grande sperimentatore della nuova fisica del Seicento e come lo scopritore dei principi della scienza moderna.
A questo punto, approfondiamo la conoscenza di due delle sue più importanti opere, quelle che hanno rivoluzionato la visione dell’universo o, meglio, del “Mondo”, come veniva chiamato a quei tempi.
IL SIDEREUS NUNCIUS
Il "Siderejus Nuncius", l’opera in cui il grande Galileo riporta le prime osservazioni eseguite con il suo perspicillum (cannocchiale). Descrive la Luna, la Via Lattea, le stelle, per concludere con la sua più importante scoperta: i satelliti di Giove. Per capire la genialità, l’entusiasmo e la freschezza del libro, ne estrarremo le parti più importanti (tradotte in italiano e scritte in corsivo); le accompagneremo con immagini riprese da telescopi moderni per mostrare la grande precisione delle osservazioni galileiane, eseguite con uno strumento oggi considerato “ridicolo”; inseriremo alcuni disegni originali; commenteremo passo dopo passo lo scritto del sommo pisano evidenziandone le conclusioni corrette (molte) e quelle errate (poche); quando necessario, aggiungeremo note più tecniche relative alle immagini. Sarà sicuramente una lettura entusiasmante e piena di sorprese, conosciuta da pochi e ricca di spunti di riflessione. Forse vi farà anche venire voglia di accostarvi maggiormente alla visione del Cielo.
La dedica
“…Ecco dunque quattro stelle dedicate al vostro nome illustre, ma non scelte tra quelle fisse, numerose e servili, ma nella schiera dei pianeti … Quando le scoprii sotto i vostri auspici, serenissimo Cosimo, ancora ignote a tutti gli astronomi precedenti, con ragione decisi di insignirle con l’augusto nome della vostra Casa…”
Anche Galileo doveva mangiare. Il suo dono al serenissimo Cosimo trasuda di rispetto, deferenza ed ossequio. E non dona al Signore di Firenze una “cosa” qualsiasi. E’ ovvio: anche il suo dono deve essere nobile come chi lo riceve.
Le scoperte
“… Grande cosa è stata aggiungere alla immensa moltitudine delle stelle fisse, visibili fino ad oggi ad occhio nudo, altre innumerevoli, mai prima osservate, il cui numero supera più di dieci volte quello delle conosciute…”
“…Bellissima e piacevole cosa è stato anche vedere il corpo della Luna, lontano da noi quasi sessanta raggi terrestri, così vicino come se si trovasse a soli due raggi… la Luna non è ricoperta da una superficie liscia e levigata, ma scabra ed ineguale e, proprio come la Terra, piena di sporgenze, cavità ed anfratti…”
“… Ma quello che supera ogni possibile meraviglia è stato aver scoperto quattro astri erranti, da nessuno mai visti precedentemente, che come Venere e Mercurio attorno al Sole, ruotano attorno ad un astro tra i più grandi conosciuti…”
Il cannocchiale
“… Circa dieci mesi fa mi giunse notizia che un certo Fiammingo aveva costruito un “occhiale” attraverso il quale oggetti molto lontani e confusi si vedevano molto vicini e distinti… Ciò fu causa della mia disperata volontà di ottenere uno strumento analogo, che riuscii a costruire basandomi sulla teoria della rifrazione luminosa… Posto l’occhio dalla parte concava vidi gli oggetti tre volte più vicini e nove volte più grandi di quanto potessi fare ad occhio nudo. Poi ne costruii uno più accurato che mi permise di vedere gli oggetti ingranditi sessanta volte. Infine, senza risparmiare fatica e spese, riuscii a realizzare uno strumento eccezionale, con il quale arrivai a vedere le cose trenta volte più vicine e mille volte più grandi che viste ad occhio nudo …”
Anche se forse non fu proprio il primo a costruirlo, Galileo ama il suo gioiello quasi fisicamente. Sa che deve migliorarlo in tutti i modi e lo fa con grande fatica sia fisica che finanziaria.
La scoperta dei satelliti di Giove
“… Descriverò adesso le osservazioni dei quattro PIANETI da me scoperti e mai visti prima d’ora dal principio del mondo e darò notizie delle loro posizioni, mutamenti, movimenti, invitando tutti gli astronomi a studiare e definire i loro periodi che finora non riuscii a stabilire per la limitatezza del tempo avuto a disposizione (due mesi soltanto). Ricordo però che per compiere queste osservazioni è necessario utilizzare un cannocchiale “esattissimo” come quello di cui parlai all’inizio…”
Importantissimo brano per comprendere il carattere di Galileo e la sua emozione di fronte ad un nuovo Universo che gli si apre improvvisamente davanti agli occhi. Innanzitutto l’orgoglio non molto velato, poi il suo caloroso invito a seguirlo nella conquista del Cosmo senza paure o remore ed infine la sua ammirazione per lo strumento da lui creato, ma anche la paura che le sue potenzialità non vengano adeguatamente comprese se riprodotto senza la necessaria abilità.
“… Il giorno sette gennaio, dunque, dell’anno milleseicentodieci, a un’ora di notte, mentre col cannocchiale osservavo gli astri mi si presentò Giove; poiché avevo preparato uno strumento eccellente, vidi (e ciò prima non mi era accaduto per la debolezza dell’altro strumento) che intorno gli stavano tre stelle piccole ma luminosissime; sebbene le credessi fisse, mi destarono una certa meraviglia, perché apparivano disposte esattamente secondo una linea retta e parallela all’eclittica, e più splendenti delle altre di grandezza uguale alla loro. Esse e Giove erano in questo ordine:
cioè due stelle erano ad oriente ed una ad occidente. La più orientale e l’occidentale apparivano un po’ maggiori dell’altra. Non mi curai minimamente della loro distanza da Giove, perché, come ho detto, le avevo credute fisse. Quando, non ne so nemmeno il motivo, mi rivolsi di nuovo alla medesima indagine il giorno otto, vidi una disposizione ben diversa: le tre stelle infatti erano tutte ad occidente rispetto a Giove, e più vicine tra loro che la notte antecedente e separate da eguali intervalli, come mostra il disegno seguente"
C’è da rimanere estasiati di fronte alla semplicità, il rigore, l’emozione che scaturiscono da queste poche righe. Galileo si accorge di avere fatto una scoperta epocale, ma cerca di mantenere la calma e non rigetta subito l’ipotesi di trovarsi di fronte a delle stelle fisse (quindi niente di speciale) ma non può non esprimere il suo dubbio in proposito.
A questo punto vale la pena di fare una breve constatazione. Nel corso dei secoli sono state molte le speculazioni riguardo alle capacità osservative di Galilei. In particolare ci si è chiesti come mai le osservazioni dei satelliti medicei siano state tanto accurate mentre al contrario i disegni lunari mostravano una certa approssimazione. In realtà se si analizzano accuratamente le posizioni dei satelliti si scopre che anche queste osservazioni sono abbastanza approssimative. In diversi casi il Nostro non riuscì a vedere distinti i satelliti quando erano piuttosto vicini tra loro oppure quando qualcuno era alla massima elongazione dal pianeta. Del resto, un normale binocolo è oggi in genere di gran lunga più corretto dei cannocchiali galileiani, per cui è difficile rendersi conto delle difficoltà incontrate dal grande scienziato pisano. Tuttavia, rileggere le sue descrizioni e le sue considerazioni è tuttora uno straordinario esempio di grande Scienza ed in particolare di grandissime capacità osservative e deduttive.
Lo stupore
“…A questo punto, non pensando assolutamente allo spostamento delle stelle, cominciai a chiedermi in qual modo Giove si potesse trovare più ad oriente di quelle stelle fisse, quando il giorno prima era ad occidente rispetto a due di esse. Ed ebbi il dubbio che Giove si muovesse ben diversamente da quanto descritto dai calcoli astronomici, ed avesse col proprio moto oltrepassato le tre stelle. Per questo aspettai con grande ansia la notte successiva. Purtroppo il cielo coperto di nubi mi precluse l’osservazione. Ma il giorno dieci le stelle mi apparvero in questa posizione rispetto a Giove:
cioè ve n’erano due soltanto, ed entrambe orientali: la terza, come immaginai subito, era nascosta da Giove.”
Lo stupore c’è davvero. Ma non siamo del tutto sicuri che Galileo pensasse veramente ad un movimento imprevisto di Giove che avrebbe distrutto le teorie in cui credeva ciecamente. Sapeva già di trovarsi di fronte a qualcosa di nuovo ed aveva quasi paura della sua eccezionale scoperta. Voleva esserne sicuro e non illudersi troppo presto. Alla successiva osservazione non ha alcun problema a pensare subito che “la terza stella” non visibile sia nascosta dal pianeta. Aveva già capito tutto, ma aspettava la conferma definitiva.
La spiegazione
“…Erano sempre lungo la stessa direzione rispetto a Giove, e lungo la linea dello Zodiaco. Quando mi accorsi di questo compresi che simili spostamenti non potevano in alcun modo essere attribuiti a Giove, sapendo inoltre che le stelle osservate erano sempre le stesse (non vi erano altre stelle di pari luminosità lungo un notevole tratto della linea dello Zodiaco, sia prima che dopo)…”
Ogni reticenza cade e la spiegazione fluisce senza tentennamenti. Probabilmente il cambiamento da “perplessità a meraviglia” era già avvenuto nel suo intimo ed esplode l’orgoglio, più che giustificato “la mutazione… era delle stelle da me scoperte”.
“… Dopo pochi giorni capii anche che le stelle che compivano i loro giri attorno a Giove non erano solo tre, ma quattro. Misurai anche le loro reciproche distanze, annotai tutte le ore delle osservazioni, soprattutto quando ne feci molte in una stessa notte. Infatti le rivoluzioni di questi pianeti sono così veloci che spesso si notano differenze anche orarie …”
L’emozione e la gioia dell’uomo lasciano nuovamente il posto alla precisione, al rigore ed allo scrupolo dello scienziato.
Le conclusioni
“…Queste sono le osservazioni dei quattro Astri Medicei da me scoperti recentemente e per la prima volta, sulle quali, pur non essendo ancora possibile dedurre i loro periodi, si deducono già importanti conclusioni. In primo luogo, poiché talvolta seguono e talvolta precedono Giove ad intervalli uguali e si allontanano da esso solo per un breve tratto, sia ad oriente che a occidente, accompagnandolo sia nel suo moto retrogrado che in quello diretto, a nessuno può nascer dubbio che non compiano attorno a Giove le loro rivoluzioni e, nello stesso tempo, effettuino tutti insieme il loro giro intorno al centro del mondo in un periodo di dodici anni…”
La spiegazione è precisa, attenta ed esauriente, permeata nuovamente di orgoglio (“da me scoperti”). Ed alla fine quasi accusa di stupidità chiunque osi confutargli la sua interpretazione.
Una nuova visione dell’Universo
“…Notai anche che sono più veloci le rivoluzioni dei pianeti che descrivono orbite più strette intorno a Giove… Ho ottenuto quindi un valido ed eccellente argomento per togliere ogni dubbio a coloro che, accettando tranquillamente nel sistema di Copernico la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, sono ancora turbati dal fatto che solo la Luna giri intorno alla Terra… Ora, infatti, non abbiamo un solo pianeta che gira intorno a un altro (la Luna attorno alla Terra) mentre entrambi percorrono la grande orbita intorno al Sole, ma ben quattro stelle erranti fanno lo stesso attorno a Giove ed insieme al grande pianeta, completano la loro ampia orbita attorno al Sole in un periodo di dodici anni…”
Galileo pone l’accento sulla parte fondamentale della sua scoperta: non solo la Terra ha un satellite, ma anche Giove, ed addirittura quattro. Questo non solo distrugge definitivamente le vecchie teorie geocentriche, ma leva ogni dubbio a chi ancora tentennava vedendo che il nostro pianeta era il solo ad avere il privilegio di una Luna tutta sua. La breve descrizione e le ferme e chiare conclusioni di Galileo fanno nascere la nuova visione dell’Universo, che aprirà in breve le porte all’astrofisica moderna.
Conclusioni
Quale miglior regalo si poteva fare al proprio “mecenate”? Sicuramente Galileo non riusciva ancora a rendersi completamente conto della portata immensa delle sue scoperte. Aveva definitivamente distrutto la visione stereotipata, immutabile e rigida dell’Universo ed aveva offerto al suo Signore ed alla conoscenza dell’uomo un bene inimmaginabile. Il tutto grazie ad un primitivo strumento, che oggi non sarebbe considerato buono neanche come giocattolo per bambini, usato però da una mente che già sapeva cosa avrebbe osservato… chissà cosa avrebbe potuto fare Galileo con strumenti un po’ più sofisticati!
IL DIALOGO SUI DUE MASSIMI SISTEMI DEL MONDO
Il Dialogo, pubblicato a Firenze con un parziale imprimatur ecclesiastico, dopo laboriose trattative con Roma, ha lo scopo di difendere, mediante opportune argomentazioni, le teorie copernicane. E’ impostato sotto la forma di dibattito, diviso in quattro giornate, fra tre personaggi creati parzialmente dalla fantasia di Galileo. Due di questi, Filippo Salviati e Giovanfrancesco Sagredo, si riferiscono a figure effettivamente esistite e scomparse da pochi anni. Il primo è il difensore ufficiale delle tesi copernicane, mentre il secondo, nobile veneziano colto e liberale, ben disposto ad accettare le nuove idee, è una sorta di moderatore, posto fra Salviati ed il terzo personaggio, di pura fantasia, un certo Simplicio, sostenitore agguerrito di Aristotele. Il nome di quest’ultimo è già di per sé un chiaro indizio della tattica galileiana, volta a distruggere gli avversari, sotto la copertura dell’ossequio formale. Simplicio, pur essendo stato uno dei più celebri commentatori di Aristotele, manifesta nel nome la chiara allusione alla semplicità di spirito. Galileo utilizza i due scienziati come portavoce dei due massimi sistemi del mondo, cioè delle due teorie che in quel periodo andavano scontrandosi. Il terzo interlocutore rappresenta invece il discreto lettore, l’intendente di scienza, colui a cui è destinata l’opera: interviene infatti nelle discussioni chiedendo delucidazioni, contribuendo con argomenti più colloquiali, comportandosi come un medio conoscitore di scienza.
La prima giornata è dedicata essenzialmente alla contestazione radicale della cosmologia aristotelica, in particolare alla distinzione dei corpi fra celesti e sublunari. Nella seconda e terza giornata cerca di dimostrare la possibilità dei moti terrestri, ricorrendo all’argomento della relatività del moto e ovviando con la dialettica alla mancanza di prove dirette. La quarta introduce, infine, quello che, per Galileo, è l’argomento più valido a sostegno dei movimenti terrestri: l’esistenza delle maree. Ma, ciò che è più importante è il tipo di argomentazioni usato costantemente dallo scienziato pisano.
Nell’opera viene abbandonata la forma tradizionale di impianto scientifico e, scegliendo la forma del dialogo, si dà vita ad una vera e propria vivacissima “comedia filosofica”, in cui la tesi copernicana si nasconde e si vela sapientemente per sfuggire ai sospetti dell’Inquisizione. D’altra parte però, l’ironia generata dal confronto e dallo scontro tra i tre interlocutori mette in luce il suo vero scopo: la salda e razionale coscienza scientifica di Sagredo e Salviati contrapposta all’ingenuità ed all’ostinazione del personaggio quasi comico di Simplicio, “filosofo peripatetico, al quale pareva che niuna cosa ostasse maggiormente per l’intelligenza del vero, che la fama acquistata nell’interpretazioni Aristoteliche”.
Purtroppo sono proprio le qualità artistiche del Dialogo, l’ironia non troppo velata, la sottile e attenta caratterizzazione umana ed intellettuale dei personaggi, a rivelare ai contemporanei la portata rivoluzionaria dell’opera, ed a portare il suo autore ad un drammatico destino. Proprio nel ritratto di Simplicio, così audacemente ancorato nelle sue certezze, si riconoscerà il papa Urbano VIII. Quindi il Dialogo dei Massimi sistemi verrà sequestrato, Galileo processato e costretto ad abiurare. Come conseguenza la scienza italiana non troverà più sbocchi in patria ed i grandi progressi si svilupperanno al di fuori dei suoi confini.
IL PROCESSO, LA CONDANNA E LA (TARDIVA E PARZIALE) RIABILITAZIONE
E’ interessante notare che la teoria copernicana, per un lungo periodo, non fu assolutamente condannata: solo quando Galileo dimostrò di sostenerla apertamente la Chiesa passò all’azione. Il motivo di questa pacifica convivenza tra Chiesa e dottrina copernicana, che comunque minacciava le Scritture sostenendo un Sole immobile, mentre invece nella Bibbia si trovava chiaramente scritto che fu ordinato al Sole di fermarsi, é essenzialmente questo: la teoria copernicana si presentava come un modello essenzialmente geometrico e matematico. Un’ipotesi e nulla più, una rappresentazione astratta. Galilei invece, proprio attraverso le osservazioni compiute con il suo cannocchiale, dimostrò che la teoria copernicana era una realtà fisica: la Terra girava effettivamente intorno al Sole e non stava ferma, il che gli “valse” processo e condanna per eresia da parte dell’Inquisizione.
Contrariamente a Giordano Bruno, che é condannato al rogo, Galileo abiura, ossia firma un documento dove c’é scritto che le sue teorie sono false e si salva. E’ stato anche spesso criticato per aver fatto marcia indietro, rinunciando alle sue teorie, pur di scampare al rogo. In realtà c’é una questione di fondo più profonda: la diversità degli atteggiamenti di questi due intellettuali, dai loro interessi. Galilei é uno scienziato, non un filosofo: i risultati delle sue ricerche sono tangibili e lui è consapevole del fatto che l’abiura non li avrebbe lesi. Ma se Giordano Bruno avesse abiurato, sarebbe rimasto un personaggio anonimo e pressoché sconosciuto. Le idee filosofiche non valgono come le dimostrazioni pratiche. Galilei può permettersi di pensare: “io ho firmato il documento, sono salvo e posso proseguire i miei studi. Nonostante l’abiura, la verità da me sostenuta continua ad essere vera: la Terra continua a muoversi con o senza di me e, prima o poi, questa verità sarà conosciuta da tutti!”
I processi galileiani in realtà sono due: il primo avviene in seguito alla pubblicazione del Sidereus Nuncius, nel quale vengono riportate “solo” le sue scoperte astronomiche, che però già dimostrano la verità della teoria copernicana. In questo processo non si può arrivare a condannare Galileo, bensì la dottrina copernicana che potendo essere riconosciuta valida in ambito fisico va contro i principi della Chiesa. Galileo è per il momento soltanto un incolpevole testimone oculare di fenomeni che potrebbero sostenere una visione alterata della realtà. Egli non si erge ancora a sostenitore della teoria rivoluzionaria. Tuttavia in questa condanna indiretta vi é anche un ammonimento rivolto a Galileo che viene invitato a non sostenere più queste dottrine “pericolose”. Lui obbedisce perché vuole rimanere un ”buon cristiano” per tutta la vita… e forse lo farebbe anche, ma ha molti amici che svolgono incarichi importanti nell’ambito della Chiesa e che gli consigliano teologicamente come poter difendere le sue dottrine; questo dimostra come anche nella Chiesa vi fossero, accanto alle personalità più retrograde, anche uomini innovatori e pronti ad accogliere le novità. In particolare tra i suoi amici c’é proprio il cardinale Maffeo Barberini, che nel 1623 viene nominato papa col nome di Urbano VIII. A Galileo pare proprio questo il momento migliore per tornare sulla questione copernicana.
Lo stesso papa propone il titolo per l’opera di Galileo, dove si indica chiaramente la volontà di esporre la dottrina copernicana, ma solo confrontandola criticamente con il sistema tolemaico–aristotelico, che era quello più classico e favorito dalla Chiesa. La parola ”dialogo” implica infatti proprio un aperto dibattito tra due personaggi, uno che difende la teoria copernicana e l’altro quella tolemaica, con un terzo personaggio che fa da ”arbitro“. Nonostante la pubblicazione sia spalleggiata dal papa, il modo di scrivere e l’ironia che permea il dialogo non può non far scattare la censura e la condanna.
La sentenza della Chiesa è dura ed impone l’abiura dello scienziato se vuole aver salva la vita:
“… diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiariamo che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo Santo Officio veementemente sospetto d’eresia … e conseguentemente sei incorso in tutte le censure e pene dai sacri canoni e altre constitutioni generali e particolari contro simili delinquenti imposte e promulgate. Dalle quali siamo contenti sii assoluto, pur che prima, con cuor sincero e fede non finta, avanti di noi abiuri, maledichi e detesti li sudetti errori e eresie … E acciocché questo tuo grave e pernicioso errore e transgressione non resti del tutto impunito, e sii più cauto nell’avvenire e essempio all’altri che si astenghino da simili delitti, ordiniamo che per publico editto sia proibito il libro de’ Dialoghi di Galileo Galilei. Ti condaniamo al carcere formale…”
A questa condanna segue l’abiura dello scienziato:
“Io Galileo … giuro che sempre ho creduto, credo adesso, e con l’aiuto di Dio crederò per l’avvenire, tutto quello che tiene, predica e insegna la Santa Cattolica e Apostolica Chiesa … sono stato giudicato veementemente sospetto d’eresia, cioè d’aver tenuto e creduto che il Sole sia centro del mondo e imobile e che la Terra non sia centro e che si muova; pertanto, volendo io levar dalla mente delle Eminenze Vostre e d’ogni fedel Cristiano questa veemente sospizione, giustamente di me conceputa, con cuor sincero e fede non finta abiuro, maledico e detesto li sudetti errori e eresie … in Roma, nel Convento della Minerva, questo dì 22 giugno 1633, io Galileo Galilei ho abiurato come di sopra, mano propria”.
Così egli può trascorrere il resto della sua vita nella sua casa di Arcetri, nei pressi di Firenze, assistito dalla figlia suor Celeste fino alla prematura morte di lei, aiutato nelle ricerche dagli allievi e venerato da coloro che venivano a incontrarlo anche da molto lontano. Muore l’8 gennaio1642.
La “riabilitazione” dello scienziato da parte della Chiesa Cattolica arriva solo nel 1822, 180 anni dopo la sua morte, con la concessione dell’imprimatur all’opera “Elementi di ottica e astronomia” del canonico Settele, che dava come teoria consolidata e del tutto compatibile con la fede cristiana il sistema copernicano. A riprova di tale accettazione, nell’edizione aggiornata del 1846, tutte le opere sul sistema copernicano vengono tolte dall’Indice. Tuttavia, papa Giovanni Paolo II nel 1979 auspica ancora che l’esame del caso Galilei sia ulteriormente approfondito. Egli dice testualmente:
“… io auspico che teologi, scienziati e storici, animati da uno spirito di sincera collaborazione, approfondiscano l’esame del caso Galileo e, nel leale riconoscimento dei torti, da qualunque parte provengano, rimuovano le diffidenze che quel caso tuttora frappone, nella mente di molti, alla fruttuosa concordia tra scienza e fede…”
Il 3 luglio 1981 viene istituita un’apposita “commissione di studio” che concluderà i lavori solo 11 anni dopo. Nella relazione finale, datata 31 ottobre 1992, si ammette che la condanna del 1633 fu ingiusta, per un’indebita commistione di teologia e cosmologia pseudo-scientifica ed arretrata, ma afferma anche che essa poteva essere giustificata dal fatto che Galileo sosteneva una teoria radicalmente rivoluzionaria senza fornire prove scientifiche sufficienti a permettere l’approvazione delle sue tesi da parte della Chiesa.
Assolto sì, ma non senza colpe…
Liberamente tratto da "L'occhio infinito di Galileo" di Domenico Licchelli e Vincenzo Zappalà, di cui abbiamo parlato anche QUI
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Il presente articolo è stato pubblicato per la prima volta il 13/9/2016 come appendice a QUESTO RACCONTO, seconda puntata di una "passeggiata" nella storia delle principali tappe del pensiero scientifico, condotta all'insegna di semplicità e divertimento, ma anche rigorosa fedeltà alle notizie storiche e alle leggi scientifiche di cui in essa si parla.
Questo articolo è stato inserito nella pagina d'archivio GIOVE E I SUOI TESORI, in SISTEMA SOLARE.