I lipidi ballerini: la storia di una membrana
È la sera della gara di ballo più importante della stagione sulla nave da crociera Gaia. Dei simpatici omini chiamati lipidi dovranno affrontarsi per aggiudicarsi il titolo di campione.
Le loro code non amano l’acqua, la evitano, e per farlo rivolgono al prezioso liquido la loro testa. Quest’ultima farebbe volentieri una nuotata.
Comincia la sfida. I concorrenti sono tanti ma la sala è un po’ piccolina. I balli di coppia si sviluppano tra il caos totale e le code dei lipidi interagiscono unendosi ma si staccano dopo poco tempo. Ai lipidi piacciono i balli di gruppo. Stare uno accanto all’altro, testa contro testa.
Ad un tratto un rumore. La nave sbanda. Ha urtato un iceberg ed è irrimediabilmente danneggiata. Bisogna abbandonarla. Non tutti i lipidi raggiungono la scialuppa di salvataggio. La maggior parte cade in acqua per effetto dell’inclinazione della nave. Orrore, le code non possono toccare l’acqua.
Ed ecco la magia. I simpatici omini interagiscono uno affianco all’altro di testa formando uno strato. Se ne forma un altro. Le code dell’uno si trovano di fronte le code dell’altro e interagiscono.
Si è formata una sfera di lipidi formata da due strati, uno interno e uno esterno. Sembrano trovarsi bene in acqua formando questa struttura. Anche l’interno dello strato più interno sta bene nonostante abbia inglobato acqua. D’altronde alle teste piace nuotare.
È fu cosi che nacque la sferula, l’antenata della membrana cellulare e dunque della cellula.
Ho raccontato in modo fantasioso la nascita di una membrana, che è poi il preludio della nascita della prima cellula, l’unità funzionale della vita.
Le cellule, infatti, sono provviste di una sorta di un involucro esterno, la membrana cellulare, che permette di creare un ambiente interno, abbastanza protetto, nel quale molecole e ioni sono immersi in un fluido in concentrazioni tali da permettere alle funzioni vitali di svolgersi al miglior modo possibile.
Le membrane costituiscono anche l’involucro degli organelli, compartimenti utili alle cellule più evolute poiché svolgono determinati compiti, utili alla sopravvivenza cellulare.
Per capirci, possiamo paragonare la cellula a un’automobile nella quale il carburatore, la batteria, e le altre componenti sono gli organelli che svolgano funzioni determinate, atte a far funzionare tutto il sistema.
La cellula, in sintesi, al suo interno e nella sua periferia, svolge reazioni chimiche importanti per la sua crescita, sviluppo e riproduzione. La membrana ha il delicato compito di mantenere l’equilibrio tra le varie parti separando la cellula dall’ambiente esterno, che è invece molto caotico. Non è una barriera insuperabile. Alcune molecole e ioni riescono a passare facilmente attraverso i lipidi, altre hanno bisogno di marchingegni costituiti principalmente da proteine che si insinuano tra i lipidi stessi.
Se io vi chiedessi: quali sono gli ingredienti base della vita?
Probabilmente il primo pensiero va al DNA, il codice genetico. Si potrebbe anche parlare delle proteine. I lipidi, invece, vengono etichettati come i grassi, che hanno la fama di fare ingrassare le persone e quindi sono cattivi.
In realtà il ruolo dei lipidi è fondamentale. Probabilmente le cellule senza i lipidi, che hanno la capacità di creare una membrana protettiva, non avrebbero senso di esistere. La vita stessa forse non sarebbe potuta nascere, almeno quella terrestre.
Torniamo alla morale della storiella. Il meccanismo con cui si formò la primitiva membrana è che, in presenza di acqua, i lipidi tendono a formare una “sfera” particolare. Le teste interagiscono l’una affianco all’altra, formando uno strato. Questo strato si unisce ad un altro perché le code dell’uno interagiscono con le code dell’altro, formando la struttura sferica: la sferula (la membrana primitiva).
Questa sferula inglobava di tutto, liquidi e anche molecole organiche importanti come amminoacidi (precursori delle proteine) e nucleotidi (precursori degli acidi nucleici). Le sferule potevano fondersi quando entravano in contatto, un po’ come quando si scontrano due galassie. Il contenuto dell’una quindi si mischiava con il contenuto dell’altra, favorendo interazioni tra vari tipi di molecole.
Le membrane, inglobando ulteriori lipidi, crescono ma, raggiunta una dimensione “massima”, la sferula si sfalda in due, formando due sferule separate.
Questa opera di sfaldamento e fusione tra le membrane deve essere stato caotico all’inizio. Una riproduzione cellulare primitiva ma priva di controllo.
Nelle sferule avrebbero trovato rifugio dalle perturbazioni esterne e prima o poi avrebbero costruito qualcosa di importante, Dna e proteine, grazie alle quali questa sferula ora era in grado di replicarsi e produrre energia per mantenersi tale.
Era nata la prima cellula. Era nata la vita.
Riassumendo.
Capire come la prima cellula sia nata, può farci riflettere su quali sono le difficoltà della formazione del vivente. I lipidi hanno un'estrema facilità a rinchiudersi e formare l’involucro caratteristico della cellula in presenza di acqua: la membrana cellulare. Quest’ultima ha permesso a molecole e ioni di interagire tra loro offrendo loro un ambiente protetto e questo prima o poi ha permesso la creazione delle molecole della vita.
Ancor più del dna, quindi, la membrana ha avuto un’importanza cruciale nell’origine della vita. Poi essa è andata sofisticandosi con l’aggiunta di proteine e di carboidrati per far compagnia ai lipidi.
Lode ai lipidi dunque!!!
(Peppe)
17 commenti
Bravo Peppe, proprio un bell'articolo d'introduzione alla vita.
Certo, dovrai farne di strada visto che, dalla membrana primigenia di qualche miliardo di anni fa, ci condurrai fino al ..... 2015!
Partendo dal presupposto che tutto si è svolto casualmente (con buona pace dei creazionisti) mi par di capire che quelle membrane abbiano ospitato inizialmente ogni sorta di molecole, di ioni e ... chissà cos'altro, a formare delle piccole comunità promiscue i cui componenti non dovevano avere molto in comune.
Presumibilmente, la grande o grandissima parte di tali comunità non avrà avuto successo, magari perchè i singoli componenti si saranno "divorati" vicendevolmente o saranno "morti" perchè in un ambiente ostile o chissà ...
In alcuni forse pochi casi, si deve però essere costituita la giusta miscela di componenti che, "aiutandosi" mutuamente, ha dato origine ad un "multiorganismo" capace di sopravvivere. Naturalmente il "mutuo aiuto" va inteso nel senso di un vantaggio di cui ciascuno ha goduto grazie alle attività dell'altro: è quello che ancora oggi accade spesso in natura tra specie anche molto diverse senza che ci sia alcun accordo!
Questi "multiorganismi" dovevano essere, inizialmente, poco o punto organizzati ma con il tempo devono essere state selezionate quelle "attività" che hanno portato un effettivo vantaggio all'intera comunità interna alla membrana e .... cammina cammina .....
D'altra parte, data la presumibile sovrabbondanza di membrane con "ospiti", sarebbe bastata una percentuale esigua di comunità "riuscite" per consentire l'avvio della grande avventura della vita.
Quello che maggiormente mi stupisce della natura è che con pochissimi presupposti di straordinaria semplicità, avendo ovviamente a disposizione tesori di tempo, è riuscita ad erigere questo incredibile monumento che è la vita.
Per converso, proprio coloro che si ritengono il meglio di questa produzione, inventano le più improbabili ed improponibili "teorie" per "spiegare" ciò che si spiega da sè.
Trovo davvero fantastico che possano esistere individui di tale dabbenaggine.
Caro Peppe, ho barbaramente sintetizzato quello che mi figuro possa essere avvenuto, considerando le mie limitatissime conoscenze di biologia ed evoluzione.
Se ho scritto fesserie decisamente inaccettabili, attendo rettifica e bacchettate ... a profusione!
nei vari articoli, dimostreremo come la cellula sia fatta di vari componenti che fanno parte del sistema non come unità separate, ma si comportano come i giocatori di una squadra. Queste strutture, da sole, non hanno senso di esistere. Insieme creano i presupposti della vita. La vita esiste perchè queste strutture lavorano in sinergia, in modo coordinato.
La membrana non è altro che un pezzo del puzzle. Possiamo definirlo come il bordo del puzzle stesso. Racchiudendo tanto materiale in sè, ha permesso a questo di poter reagire insieme. Queste molecole avranno reagito miliardi e miliardi di volte per dare origine a qualcosa di biologico, ovvvero importante perchè la vita possa nascere.
Miliardi e miliardi di volte affinchè si scatenino le reazioni per una crescita e duplicazione di una cellula.
Fisicamente, la membrana da sola aumenta di dimensioni, ma arrivata a un certo punto si divide. è tutto spontaneo. A un certo punto però qualcosa al suo interno ha cominciato a "comandare questo meccanismo" e a guidarlo in maniera più controllato.
Quindi, la membrana ha offerto un ambiente interno favorevole affinchè tra queste molecole e ioni inglobati, qualche molecola della vita possa essersi stabilizzata abbastanza in modo da non sfaldarsi facilmente e cominciare un opera di comando per far partire la vita. Chiaro che il concetto detto cosi è estremamente semplificato.
chiedo scusa per il disegno. perdonatemi, non sono un grafico
sma l'articolo attualmente si trova in "senza categoria". grazie sempre per la tua disponibilità
Ottimo articolo, molto chiaro! Si parla sempre del dna, senza dare il giusto spazio alle altre strutture cellulari considerate quasi di serie B e che invece, come si capisce bene dal tuo articolo, sono assolutamente attori di primo piano. Se posso, ti chiederei solo due cose: da dove siano venute tante molecole di lipidi affini capaci di organizzarsi in quel modo, e se puoi spendere qualche parola in piu sul motivo per il quale le code rifuggono l'acqua.
Non avevo capito che stesse x partire una serie sulla vita, spero che la prossima puntata sia presto!
grande Peppe!!
bellissimo il tuo approccio. Due considerazioni molto personali: tempo fa avevo scritto un libricino sulla fermentazione alcolica e sulle fatiche d'Ercole che dovevano essere fate per ricavare l'energia senza avere disposizione ossigeno.
Il valore della membrana mi fa ricredere molto sulla mia "pancetta", anche i grassi servono e come
E poi aspetto con ansia la comparsa degli enzimi, senza di loro ci vorrebbero secoli per riuscire a compiere processi chimici fondamentali... i veri eroi di tante battaglie!!!!
Continua così e poi, riuniti tutti assieme, ci sarà uno stupendo racconto sulla vita!!!!
Un grazie va anche al nostro SMA che tiene le fila, controlla e organizza. In questo momento mi è veramente di grandissimo aiuto.
Bellissimo articolo Peppe, grazie mille
ciao mik
rispondo alle tue domande
dove sono venute tutte le molecole affini di lipidi?
come esiste un'evoluzione tra le specie viventi, esiste, per così dire, un'evoluzione a livello di molecole. basta il cambio di un elemento e puoi creare una nuova molecola magari migliore della precedente, che svolge in modo migliore alcune funzioni.
come per le specie, riguardo le quali un antenato comune ha dato poi origine a tutta la diversità che vedi oggi sulla Terra, più o meno lo stesso è successo per le molecole. bastano delle modifiche e crei una nuova molecola.
nel secondo scenario, che si affianca al primo, i tipi di lipidi possono essersi originati perchè l'affinità tra le parti di molecola è tale da permettere questo legame, magari pure spontaneamente.
in modo grossolano, il lipide è fatto di una testa e di due code (principalmente).
è possibile che più di una testa possa legare le code poichè hanno buone affinità di legame. Facendo varie combinazioni ottieni molecole sempre diverse.
per la seconda domanda.
Ciò che ho descritto è un quadro estremamente semplificato. è una questione di solubilità in acqua e di polarità. in genere le teste sono polari e quindi solubili in acqua e quindi riescono a interagire con le molecole di acqua, mentre le code sono apolari e meno solubili (o per nulla) in acqua e quindi non riescono a interagire con l'acqua.
é questione di chimica, ovvero di legami elettrostatici o cosidetti legami a idrogeno.
spero di aver reso l'idea, altrimenti appena ho tempo cerco di fare un discorso un pò più fluido
ah l'acqua è una molecola polare
..... solo quelle del mare artico però ......
battutina ... battutina ....
grande alvy....
info per giorgia e per tutti...se non erro ho letto di una congiunzione marte - venere nel week end...magari se ci scappa una fotografia sempre se è possibile.
Una congiunzione Marte-Venere? Proprio loro?
E tu vuoi fotografarli???? Ma che razza di gente frequenta questo blog!
VOYEUR!
alvy non ho capito la tua ironia
io da perfetto ignorante di astrofotografia, ho lanciato l'idea
se non è fattibile, pazienza
Scusami Peppe , come direbbe Enzo, a volte sono un pò .... ermetico.
La mia facezia è relativa alla congiunzione (leggi unione) carnale ... tra Marte, così focoso, e Venere, così sensuale ...
Sai, non è bello sbirciare certe cose, figuriamoci fotografarle!
figurati alvy,
scusami tu perchè non avevo colto il senso della tua battuta
ragazzi!!!! mi raccomando... niente sesso siamo inglesi! (era così, no?)
Propongo la lettera di Plinio il Giovane a Tacito, scritta in occasione della morte dello zio, Plinio il Vecchio, naturalista ante-litteram.
Propongo il documento in questo spazio, trattandosi di una figura spesso ricordata in ambito biologico-naturalistico.
Il racconto della sua morte, contenuto in questa lettera, ha contribuito all'immagine di Plinio come protomartire della scienza sperimentale (definizione di Italo Calvino), anche se, sempre secondo il resoconto del nipote, si espose al pericolo anche per recare soccorso ad alcuni cittadini in fuga dall'eruzione.
La morte sopravvenne a seguito dell'eruzione del Vesuvio che distrusse Pompei ed Ercolano nel 79 d.C.
Lettera a Tacito
di Gaio Plinio Cecilio Secondo
A Tacito
Chiedi che io ti scriva la morte di mio zio, affinchè tu possa con più verità tramandarla a’ futuri. Te ne so grado. Imperciocchè io ben veggo, che un’immortal gloria s’apparecchia alla morte di lui, ove sia da te celebrata. Poichè quantunque nella ruina di bellissimi paesi (1), egli, del pari che i popoli e le città, sia con memorando esempio perito in guisa da viverne quasi eternamente; quantunque molte e durevoli opere egli abbia composte (2); tuttavia la immortalità de’ tuoi scritti sarà non picciola giunta alla sua. In effetto io stimo fortunati coloro, a’ quali si concede per favor degli Dei o di far cose degne di essere scritte, o di scriver cose degne di essere lette; fortunatissimi poi coloro, a’ quali è concesso e l’uno e l’altro. Mio zio sarà di questo numero in grazia de’ suoi scritti e de’ tuoi. Il perchè io non pure adempio di buona voglia ciò che tu mi domandi, ma eziandio lo pretendo. Egli era a Miseno (3) che comandava in persona alla flotta. Al primo di novembre, verso le sette ore, mia madre lo avvisa essere apparsa una nuvola d’insolita forma e grandezza. Egli dappoichè era stato al sole e al bagno freddo, avea fatto colezione a letto, e studiava; chiede le pianelle, e monta sur un luogo, donde si potea meglio vedere quella maraviglia. Una nube (chi la osserva da lunge non sapea ben da qual monte; si conobbe di poi ch’essa venia dal Vesuvio) una nube sorgeva, di tal qualità e sembianza, che nessun albero l’avrebbe meglio espressa di un pino. Imperciocchè rizzandosi come sur un tronco grandissimo, si allargava in una specie di rami; io penso che sollevata dallo spirar del vento, poi abbandonata al cessar di quello, o vinta dal suo stesso peso, si dileguasse per l’aria; ed appariva or candida, or lorda e macchiata, secondo che s’impregnava di terra o di cenere. Illustre spettacolo, e degno di esser guardato più da presso da un uom dottissimo, com’era lui. Comanda che gli si allestisca una liburnica (4), e mi dà agio di andar con lui se mi piace. Risposi ch’io preferiva di studiare; e per ventura egli stesso m’avea dato qualcosa da scrivere. Usciva di casa, quando ricevette un biglietto di Retina, moglie di Cesio Basso, la quale, atterrita dall’imminente disastro (poichè la sua villa vi era sottoposta, nè si potea scampar che per acqua), il pregava a volerla liberare da tanto pericolo. Egli muta consiglio; e ciò che avea con posata cura incominciato, è tutto ardore nel compierlo. Fa uscire le quadriremi; vi monta sopra egli stesso, per soccorrere non pure a Retina, ma a molti altri, poichè quella spiaggia per la sua amenità formicava di gente. Egli s’appressa colà, donde gli altri scampano; e in mezzo al pericolo regola il corso e dirige il timone con sì impavido animo, da poter dettare e notare tutti i movimenti e gli aspetti di quel fenomeno come gli si rappresentavano agli occhi. Già la cenere cadea sulle navi, tanto più calda e fitta, quanto ei più si venia accostando, e pomici altresì, e pietre nere, arse tutte e stritolate dal fuoco (5); già era apparso d’improvviso un guado, già il lido per la ruina del monte era fatto inacessibile. Egli esitò alquanto se dovea dar indietro, poi disse al piloto, che a ciò lo confortava: La fortuna ajuta gli audaci, andiamo da Pomponiano. Questi era a Stabia (6), ma sicurato dal frapposto seno (7); però che il mare, per lo girare e incurvarsi del lido, non v’entra che a poco a poco. Quivi, benchè non fosse ancora imminente il pericolo, tuttavia alla vista di esso, il qual crescendo si faria più vicino, avea fatto recar sulle navi le sue bagaglie, per assicurarsi lo scampo, caso che si quietasse il vento contrario. Col favor del quale arrivato in quel punto mio zio, abbraccia l’amico tremante, lo incuora, il conforta; e per alleviare l’agitazione di lui con la calma sua propria, vuol essere recato nel bagno; come fu lavato, siede a tavola, pranza tutto allegro, o, ciò che è più, in sembianza d’allegro. In questo mezzo risplendeano da più luoghi del Vesuvio delle fiamme assai diffuse e degli alti incendii (8), il cui chiarore e la cui luce si accresceva per la scurità della notte. Lo zio, per calmare l’altrui timore, andava dicendo, che quelle che ardevano erano le ville lasciate in balia del fuoco de’ paurosi coloni, e però abbandonate e deserte. Quindi si pose a dormire, e in fatto il suo dormire non fu che troppo vero. Imperciocchè per la soverchia mole del corpo essendo la sua respirazione assai grossa e sonora, era questa udita da coloro, che il codiavano d’in sulla porta. Ma nel cortile, per cui si andava a quell’appartamento, si era per tal guisa ammonticchiata la cenere mista alle pietre, che per poco ch’ei si fosse fermato nella stanza, non avria potuto più uscirne (9). Svegliato, ei n’esce, e ritorna a Pomponiano e agli altri, che non avean chiuso occhio. Fanno consulta fra loro, se debbano rimanere in casa, o vero uscire all’aperto; perrocchè da’ frequenti e lunghi tremuoti barcollava la casa, e come smossa da’ fondamenti, or mostrava di cader da una parte, or dall’altra (10). E a uscirne di fuori, si temea nuovamente la caduta delle pietre, ancorchè tenui e consunte (11). Il conflitto de’ pericoli fece però sceglier quest’ultimo partito; prevalendo in lui una più matura riflessione, negli altri un più forte timore. Si pongono sulla testa de’ guanciali, e gli stringono con fazzoletti; il che fu loro di schermo a ciò che accadeva dall’alto. Già altrove facea giorno, ma colà era notte, più scura e fitta di tutte quante le notti; ancor che molte fiamme e varii lumi la rompessero (12). Egli volle uscir sul lido, e guardar da vicino se fosse da mettersi in mare; ma questo era tuttavia procelloso e contrario. Quivi disteso sur un povero lenzuolo, dimanda e bee per due volte dell’acqua. Intanto le fiamme, e un odor sulfureo annunziator delle fiamme, fa che gli altri fuggano, ed ei si risenta. Sostenuto da due servi, si leva, e spira nel punto istesso; impeditogli, sì come io penso, dalla soverchia caligine il respiro, e serrato lo stomaco, che già di sua natura era debole, stretto e soggetto ad un frequente bruciore (13). Come fu giorno (era il terzo, a computar da quello della sua morte), il corpo di lui fu trovato intero ed illeso, con indosso i medesimi panni, e in tale atteggiamento, che parea più presto d’uom che dorme, che d’uom ch’è morto. Io e mia madre eravamo frattanto a Miseno. Ma ciò non pertiene all’istoria; nè tu altro da me volesti sapere, fuor che la sua morte. Farò dunque punto. Aggiungerò solo: che t’ho freddamente esposto tutto ciò, che vidi io medesimo, o che (non ricordandosi singolarmente che i fatti veri) intesi subito dopo dagli altri. Tu ne cava fuori il meglio; poichè altro è scrivere una lettera, ed altro un’istoria; altro parlare ad un amico, ad altro al pubblico. Addio.
Note
1. Le città di Ercolano, Pompei e Stabia, ed altri luoghi minori della Campania, che rimaser tutti sepolti dalle ceneri del Vesuvio, e che tutti sono diligentemente ricordati dagli accademici ercolanensi nel capo XII, della loro dissertazione isagogica.
2. Le opere di Plinio il vecchio sono, una per una, ricordate da Plinio il giovine della lett. 5 del libro III; io qui non farò che recarne i titoli: Del tirar d’arco a cavallo, libro uno. - Della vita di Pomponio Secondo, libri due. - Della guerra di Germania, libri venti. - Tre libri di eloquenza divisi in sei volumi. - Delle parole di dubbio senso, libri otto. - Trenta un libri di storie, in continuazione di quelle di Aufidio Basso. - Della storia naturale, libri trentasette. Lasciò poi morendo censessanta volumi di Commentarii, scritti d’ambo le facce, e in lettera minutissima. Fa pietà che tutte queste opere, salvo i libri della storia naturale, siano andate miseramente perdute.
3. Bisogna distinguere col dotto Romanelli (Antica topogr. istor. del regno di Napoli. Nap. 1819, tom. 3, f. 504 e segg.) la città, il promontorio ed il porto di Miseno. La città era nel sito, che oggi si appella Casaluce, dove sorgono alcune povere case di pescatori. Il promontorio è presso la città ed il porto, cui oggi si dà il nome di Monte Miseno; e non è già il Monte Procida, come si sforzò di provare Marcello Scotti. Il porto finalmente, presso il quale sorgeva la splendida villa di Lucullo, aprivasi in un picciolo seno interno fra il detto promontorio e l’opposta punta di Bauli, detta de’Penati. È soverchio il dire, che a Miseno stanziava una delle due flotte, stabilite da Augusto per la custodia del doppio mare d’Italia, mentre che l’altra dimorava a Ravenna.
4. I Liburni, che furono i primi padroni della navigazione de’ nostri mari, furono eziando i primi ad inventare certe barche agili e leggere, che da loro presero il nome di liburniche. Zosimo e il p. Farlati (Illyr. sacr. in proleg.) hanno contrastato ai Liburni questa invenzione; ma il co. Giovanni Kreglianovich Albinoni, con l’autorità di Vegezio e di Appiano, l’ebbe ad essi restituita. Veggansi le sue memorie per la storia della Dalmazia (Zara 1809, tom. I, f. 65 e segg.), dove altre cose son dette circa a questeliburniche, le quali erano per solito a due ordini di remi, e per l’impeto, con cui si lanciavano, emulavan l’effetto delle più forti macchine rostrate. I Dalmati, successori de’ Liburni, non furono men periti nella scienza della navigazione; e però noi li veggiamo utilmente impiegati da’ Romani nelle loro lotte. Ne recherò per pruova la seguente inscrizione di un optione della liburnica, chiamata Nettuno, la qual si legge nella Guida di Pozzuoli del Sarnelli a c. 18, e nell’opera testè citata dal Romanelli a f. 507.
D.M.
G. VALERIO FINITO OPTI
ONI LIBVRN. NEPT. EX CLAS.
PR. MISEN. NAT. DALM. AN. LV
MILIT. AN XXVIIII VIXIT
M. APPONIVS FIRMVS
GERES. B. M. F.
L’erudito sig. Clemente Cardinali ci diede il catalogo, così delle liburniche, come di tutte le altre navi romane nel N.°V. vol. I. delle memorie romane di antichità e di belle arti. Roma 1824, 8.vo.
5. Cenere adunque e pomici e pietre furono la materia, sotto la quale restaron sepolti i luoghi adiacenti al Vesuvio; e non già lava, o materia liquida infocata, come da taluni si stima. Quanto al alguado apparso d’improvviso, di cui qui parla Plinio, esso si è formato dal concorso di cenere, arena e pietre in quel sito, per cui un tratto di mare restò come chiuso fra questa ruina e la sponda opposta. Ecco il perchè la detta sponda (oltre che per lo cader di tanta materia dal monte) per lo improvviso apparire di questo guado divenne inaccessibile.
6. Stabia era ab antico un celebre castello, il qual distrutto da Silla nella guerra sociale, si convertì poi in diverse ville qua e là sparse per que’ contorni; sì come ci avvisa Plinio stesso nel lib. 3, cap. 5 della sua storia nat. Rimasta sepolta nella eruzion del Vesuio, un’altra Stabia sorse sul monte Lattario, dove è oggi la città diLettere; e questa ebbe da tempi antichissimi il suo vescovo, poichè troviamo che del 499 un Orso vescovo di Stabia sottoscrisse al sinodo romano tenuto sotto papa Simmaco. Pare che sin dal sesto secolo gli Stabiani siano discesi dal monte, e stabilitisi nel sottoposto seno, quivi abbian fondato la nuova città, che negli antichi codici è detta Castrum maris, o Civitas Castri maris de Stabia, e che oggi chiamasi Castellamare.
7. In effetto consultando la carta topografica dell’antica Italia cistiberina, che ci diede il lodato sig. ab. Romanelli, chiaro si vede, che da Ercolano venendo a Stabia, il lido s’incurva e forma un seno di mare, il quale essendo frapposto tra il Vesuvio e la città di Stabia che è detta, rendea gli abitanti di questa assai più sicuri dall’eruzione di quello, che non eran gli abitanti delle città di Ercolano e Pompei, le quali vi giaceano immediatamente suggette. È inutile però avvertire, che questa sicurtà durò assai poco, essendo stata anche la povera Stabia incolta dal medesimo destino delle altre città e luoghi adiacenti al Vesuvio.
8. Il dirsi da Plinio, che il Vesuvio ardea in più luoghi (pluris locis), fa prova, che non tutta dalla bocca del monte scoppiò la materia ch’ei conteneva, ma che questa si aperse eziandio tante uscite, quante eran le fessure che si vedeano in quel monte, prima ancora de’ tempi di Tito, come ci attestano lo Strabone (lib. V), e Lucio Floro (lib. III). Osservisi adunque con gli accademici ercolanesi (dissert. isagog.), quanta sia la esattezza di Plinio, che chiamaflammas latissimas (fiamme assai diffuse) quelle che uscivan da’ fianchi del monte, e si stendevano per la sottoposta pianura, e alta incendia (alti incendii) quelle che dalla bocca del monte salivano in alto.
9. In fatti la piova delle pomici e della cenere scagliate dal Vesuvio crebbe poi tanto, che, a detta degli accademici ercolanensi (l. c. f. 86), essa arrivò a Stabia all’altezza di circa nove palmi.
10. I tremuoti e gli scotimenti di terra furono i forieri e i compagni di quella eruzione terribile; e in grazia di essi molte case ed altri edifizi perirono, che l’ardente piova del Vesuvio avria bensì sepolti, ma lasciati in piedi. Per tacer d’altri fatti, basti quello che ci raccontano gli accademici ercolanensi, di aver trovato al di dietro del tempio d’Iside in Pompei uno scheletro seduto ad una mensa di marmo, su cui stavano delle ossa di pollo, de’ gusci d’uovo, e dei vasi di creta; il che mostra che quell’infelice, il quale era forse il custode del tempio, fu schiacciato, mentre desinava, dalle ruine della stanza, la qual cadde per tremuoto, prima che la città fosse sepolta dall’eruzione del Vesuvio.
11. Non bisogna credere, che le pietre che scagliava il Vesuvio fossero tutte sottosopra di pari grossezza. Abbiamo infatto veduto, che mentre Plinio s’indirizzava in soccorso di Retina, cadevano delle pietre sulla sua quadrireme, mentre che delle altre ne cadevan nel mare, in modo da formare una specie di diga. È chiaro dunque, che le prime eran pietre più leggiere, come son quelle qui nominate; le altre poi erano le più grosse, che ammonticchiandosi nel medesimo sito, ne formaron quel guado, di cui si è ragionato sopra.
12. Che la eruzione del Vesuvio, fra gli altri fieri accidenti, sia stata accompagnata anche da quello della scurità, ne abbiamo una prova nell’essersi trovati a Pompei, sullo strato delle pomici, de’ cadaveri con appresso delle lanterne; il che mostra, non tanto che quegl’infelici furon colti di notte, quanto che una nuvola di fumo e di fuoco tolse loro d’improvviso il raggio del sole, siccome narra Sifilino: Deinde magna copia ignis, fumique, ita ut omnem acrem obscuraret, occultaretque solem non aliter ac si defecisset. Igitur ex die nox, et tenebrae ex luce faciae erant.
13. Svetonio, e chi è altro l’autore delle vite degli uomini illustri, ci racconta con queste parole la morte di Plinio il vecchio: Vi pulveris ac favillae oppressus est, vel, ut quidam existimant, a servo suo occisus, quem aestu deficiens, ut necem sibi maturaret, oraverat. Il Rezzonico (Disq. Plin.) ammettendo quest’ultima opinione, tenta di giustificare e con la consuetudine de’ Romani di liberarsi con una volontaria morte da’ dolori della vita, e col sistema di filosofia di Plinio il vecchio, il qual non pare che sentisse direttamente sulla immortalità dell’anima. Ma chi non vede, che qui la scusa è peggior della colpa? La signora di Genlis ha descritto ancor ella la morte di Plinio il vecchio nel suo Libro: Les Tableaux de m. le Comte de Forbin. Paris, 1817; e quantunque ci assicuri che c’est uniquement unmorceau d’histoire, vi fece però tali frange, che ne riuscì il più grazioso romanzetto del mondo.
(*) Gaio Plinio Cecilio Secondo (63-113 ca.) noto anche con lo pseudonimo di Plinio il giovane, scrittore e politico romano.
ciao sma,
ti avevo già mandato un nuovo articolo da pubblicare. però ora ti ho mandato un suo aggiornamento.