20/02/21

La Relatività Generale al microscopio. 9: Il commutatore **** e qualche riflessione *

Questo è l'undicesimo articolo della serie "La Relatività Generale al microscopio"

 

Introduciamo una nuova operazione matematica definita dal cosiddetto COMMUTATORE

[A,B] = AB - BA

Sembrerebbe una sciocchezza, dato che se A e B fossero dei semplici numeri, il risultato sarebbe sempre e comunque uguale a zero. due per tre  meno tre per due è uguale a sei meno sei!

La faccenda cambia se nel commutatore inseriamo l'operazione di derivata e una funzione...

[∂/∂x, f(x)] = ∂f(x)/∂x

Dimostriamolo in modo piuttosto "semplice"...

Il commutatore vale:

[∂/∂x, f(x)] = ∂/∂x f(x) - f(x) ∂/∂x

Cerchiamo di dare una spiegazione molto "leggera" di quello che si sta facendo... La derivata è un'operazione che deve essere eseguita su qualcosa. Inseriamo, perciò un vettore V come quantità da derivare. Tuttavia, stiamo bene attenti a scrivere la seconda parte del commutatore, quella dopo l'uguale. Il primo membro vuol dire applicare qualcosa alla funzione e quindi sia il vettore V che la funzione f(x) devono essere considerati un tutt'uno. Il secondo membro, invece, vuole significare svolgere l'operazione  tra f(x) e la derivata del vettore

La scrittura esatta deve essere quindi:

∂/∂x (V f(x)) - f(x) ∂V/ ∂x

ripeto: Il primo membro esegue la derivata ANCHE su f(x), il secondo moltiplica f(x) per la derivata.

La prima parte è, però, la derivata di un prodotto e vale la ben nota relazione:

∂V/∂x  f(x) + V ∂/f(x)∂x -  f(x) ∂V/∂x                  

Il primo e l'ultimo termine si eliminano e il risultato è proprio quello voluto, tenendo conto che V è stato inserito solo per rendere "pratica" un'operazione che si effettua tra entità diverse da numeri (una derivazione e una funzione). Siamo nel campo di una matematica puramente astratta, che solo un grande fisico come Einstein è stato capace di riuscire ad applicare a casi "pratici". Torniamo, perciò, alla nostra curvatura, dopo aver conosciuto una strana operazione che tornerà utile per la descrizione dei risultati.

Facciamo viaggiare un vettore

Ormai abbiamo imparato che l'esistenza di una curvatura si manifesta attraverso il  percorso "chiuso" di un vettore su un certo campo. Se rimane identico (oltre che nel modulo) anche nella direzione e nel verso siamo in uno spazio piano, altrimenti siamo in uno spazio curvo. Cerchiamo di quantificare tutto ciò, conoscendo già molto bene come si collegano e si trasformano i vettori (e i tensori) al cambiare degli assi di riferimento, siano essi ortogonali che qualsiasi.

Trasformazioni che abbiamo eseguito sia sui vettori che sulle loro combinazioni, assumendo uno pezzetto di spazio estremamente piccolo che può essere fatto tendere a zero.  Abbiamo i mezzi tecnici per trasformarli e i mezzi tecnici per applicarli a qualsiasi tipo di curvatura sapendo come misurarla. Ricordiamoci, sempre e comunque, l'invarianza delle relazioni al variare del sistema di riferimento, obbligo assoluto per qualsiasi tensore. Senza dimenticare, però, che la derivata di uno stesso vettore (o tensore) non si mantiene cambiando sistema di riferimento, come ci hanno dimostrato i simboli di Christoffel. Anche in quel caso, però, abbiamo in mano le correzioni da eseguire, così come il tensore metrico ci permette di applicare il teorema di Pitagora a qualsiasi triangolo curvilineo.

Una serie di formule matematiche molto complesse e  -forse- molto fredde e concentrate su concetti astratti, stanno  dando luogo, nella visione fisica di Einstein, a una rete di assi comunque curvi, in quattro dimensioni, dove ogni posizione e movimento è perfettamente descrivibile. Un'estensione mostruosa del famoso spazio della relatività ristretta in cui si doveva costruire una rete di orologi e righelli (ricordate la sfida con Newton?, "uno strano esame", dopo Fig. 13) per controllare, passo dopo passo, come tutto poteva variare in sistemi puramente inerziali.

Questa stessa rete viene estesa a uno spazio curvo dove i sistemi non sono più inerziali e i movimenti danno luogo a derivate, ossia ad accelerazioni. Operazione gigantesca che, però, deve continuare a essere invariante, come ordinato dal principio di equivalenza. Ogni movimento non inerziale, ogni posizione acquisita deve essere indipendente dal sistema, ma, al contempo, essere causata da una struttura spaziotemporale a quattro dimensioni, dovuta solo e soltanto dalla presenza di una massa. Le masse che si muovono in questo intreccio di percorsi più o meno obbligati obbediscono alla deformazione della massa che ha deformato lo spazio. La massa dice allo spazio come curvare, lo spazio dice alle masse come muoversi...

Parliamoci chiaro: un conto è "divertirsi" attraverso simboli ed equazioni complicatissime e astratte a descrivere superfici, spazi non euclidei e determinare trasformazioni matematicamente geniali, ma ben altra cosa è riuscire ad applicare tutto ciò a uno spazio REALE, ossia a quello dell'Universo che è sotto i nostri occhi e in cui viviamo. Grande merito ai matematici più sublimi, ma passare dalla teoria pura ai fatti più concreti è più che geniale. Scusate il piccolo sfogo, ma troppe volte si cerca di sminuire il lavoro di Einstein, quasi come fosse stato un furbacchione che abbia rubato idee a destra e a sinistra.

Perché questi stessi grandi matematici non sono riusciti ad applicare le loro descrizioni, trasformazioni, involuzioni, alla realtà? In altre parole, ciò che rimaneva nell'ambito del puro pensiero fine a se stesso è diventato grazie ad Einstein un modo per descrivere con una semplicità concettuale fantastica tutto ciò che ci circonda.

RIFLESSIONE: Con grande fatica e molta superficialità matematica stiamo mostrando come si riesca a descrivere attraverso sistemi di coordinate che  non cambino il valore dei tensori, qualsiasi essi siano, uno spazio a n dimensioni. un bellissimo esercizio che permette di passare da uno spazio euclideo a uno spazio curvo. Tutte le dovute correzioni si stanno tenendo in conto in modo da dare una rappresentazione completa. Un lavoro eccezionale, di pura matematica. Ma... il problema è che ciò che stiamo faticosamente costruendo non ha niente a che vedere con una "realtà", ma solo con una serie di parametri che caratterizzano qualsiasi tipo di spazio a n dimensioni, partendo da una visione locale e allargando la visione a uno spazio comunque esteso.

Tuttavia, il concetto veramente importante è che questo spazio così descrivibile deve essere causato da qualcosa per essere proprio quello in cui vive l'Universo. Ed ecco, quindi, il passo veramente geniale: determinare cosa deforma lo spazio e, poi, descrivere ciò che viene fuori. In altre parole, una cosa è descrivere un qualsiasi spazio curvo e un'altra è descrivere proprio quello che viene causato da un processo essenzialmente fisico. Siamo entrati nell'uguale della formula di Einstein. A sinistra c'è una descrizione matematica che permette di caratterizzare qualsiasi spazio curvo, a destra c'è la motivazione fisica che impone un certo tipo di spazio curvo. Una volta descritto compiutamente proprio QUELLO spazio curvo, potremo anche descrivere come si muovono gli attori dell'Universo quando sono costretti a viverci.

La Gioconda: un esempio che non so se sia veramente calzante. Ho davanti a me la Gioconda: capisco, in una visione d'insieme, lo spirito che vuole rappresentare, l'equilibrio tra Natura ed essere umano che vive in essa e ne rappresenta una specie di riassunto, mentre, d'altra parte, lo stesso essere umano si dissolve lentamente nello spazio della Natura. Un concetto fantastico, bellissimo, anche comprensibile. La Natura dice all'essere umano come formarsi, l'essere umano si dissolve nella Natura stessa.

Bisogna, però, descrivere sulla tela questi stati d'animo e per farlo è necessario usare un certo linguaggio pittorico. Sicuramente c'è bisogno di colori, di sfumature speciali, di pennellate più o meno decise, e cento altre accortezze. Tutto questo bagaglio conoscitivo è fondamentale, dato che l'idea di base deve essere rappresentata e descritta al meglio. Proprio questa idea ha quindi bisogno delle sfumature tecniche in grado di rendere ogni particolare della visione che è nella mente dell'autore. Le varie tecniche e le varie strategie pittoriche devono perciò adattarsi allo scopo finale e renderlo pratico e non più solo mentale. E' l'idea di base che crea lo spazio in cui vive la Gioconda e la sua stessa apparizione, ma solo le migliori tecniche di base possono permettere di descriverle compiutamente e renderle visibili e comprensibili. L'idea dice alle tecniche come agire e le tecniche, adatte allo scopo, dicono a chi ammira cosa si vuole rappresentare.

Conclusione molto personale (non picchiatemi!): la descrizione quasi parossistica della gamma di colori, del tipo di pennellata, del gioco di sfumature fanno parte della tecnica necessaria, ma il vero capolavoro è l'idea di base. Essere riusciti a rendere "tattile", pratica, APPLICABILE, questa idea geniale, crea il vero capolavoro assoluto. Leonardo sceglieva (e in parte creava lui stesso) le tinte giuste e più ricercate, ma utilizzava il meglio che vi era sul mercato per potere esprimere la migliore tecnica. Ma è quell'UGUALE, che unisce descrizione tecnica a concetto universale e senza tempo, che crea la meraviglia assoluta.

2 commenti

  1. Nicola Grandis

    Sei un grande. Mi sono fatto passare i tuoi articoli sugli sviluppi di Taylor e McLaurin...ho finalmente compreso a cosa servono, come sono nate le formule e come usarle. Capire perché e come prima di tutto...solo così la matematica può piacere: trascendendo il formalismo puro alla Giovanni Prodi, per utilizzarla subito nella pratica di tutti i giorni. Grazie. Un abbraccio. Un ex iscritto ad astronomia in quel di Padova.

  2. caro Nicola,

    ma sono io che ti ringrazio per la passione e i complimenti. Cerco di dare il meglio e commenti come i tuoi non possono che darmi forza!

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