Categorie: Fisica classica Pianeti
Tags: accrescimento planetario calore elementi radioattivi planetesimi raffreddamento planetario secondo principio della termodinamica
Scritto da: Vincenzo Zappalà
Commenti:33
Il cacciatore di pelli e il raffreddamento dei pianeti *
Questo articolo è inserito nella sezione d'archivio "Dall'atomo alle galassie"
Un cacciatore ubriaco e disordinato
Siamo nell’epoca degli esploratori e dei pionieri che vanno dall’est verso l’ovest dei futuri Stati Uniti d’America in cerca di fortuna e di terra. Chiudendo gli occhi sui mezzi che sono stati utilizzati a scapito dei nativi, tra le tante figure a dir poco leggendarie del mitico Far West, vi erano sicuramente i cacciatori di pellicce. Spesso restavano soli per mesi e mesi e non è difficile immaginare perché molti di loro fossero scorbutici, iracondi e trasandati. Loro conoscevano solo il fucile, le trappole e le prede. Non avevano amici, dato che chi faceva lo stesso lavoro era solitamente un rivale e un avversario.
In realtà non è del tutto vero. Un amico fidato esisteva ed era il whiskey che veniva scolato a “damigiane”. Il nostro eroe era chiamato Joe “Sponge” Trapper ed era capace di far fuori una quantità industriale di whiskey in un solo giorno. Ovviamente non faceva la raccolta differenziata dei rifiuti e buttava dove capitava i recipienti di vetro. Ve ne era ormai una piccola montagna, proprio a lato della sua “casa”.
Chiamarla casa è sicuramente un complimento che non meritava. Poco più che una baracca di legno, con i travi sconnessi: un misero riparo per la notte e per il freddo e poco più. Ma a Joe serviva ben poco durante il giorno, preso com’era a mettere trappole e a recuperare i poveri animali catturati. Creature viventi in cambio di soldi e soldi in cambio di whiskey. La vita di Joe girava attorno a questa semplice equazione.
Il Sole, però, si sentiva parte in causa ed anche molto offeso. Miliardi di anni spesi a creare le condizioni migliori alla vita e poi un solo uomo riusciva a distruggere decine e decine di animali innocenti, capolavori di una meravigliosa evoluzione biologica. Il Sole era ormai una stella molto esperta e sapeva come giocare le sue armi attraverso una guerra davvero “intelligente”: colpire solo e soltanto chi lo meritava. Niente di veramente tragico, ma una punizione severa e -forse - anche capace di far riflettere sui propri errori.
L’idea gli era venuta vedendo tutte quelle bottiglie ammassate a pochi passi dalla baracca di legno. Fu questione di un attimo e inviò un raggio di luce particolarmente violento contro il vetro che aveva contenuto litri e litri di quella bevanda tanto cara a Trapper. La forma e lo spessore del vetro capirono immediatamente le intenzioni della stella e, per mezzo di una semplice legge di ottica, concentrarono la luce verso il bordo della casa. Erano mesi che non pioveva e il calore della luce concentrata ebbe gioco facile a bruciare quel legno secco e poroso. Una piccola fiammata e poi, velocemente, tutta la baracca prese fuoco.
Il fumo si sollevò in cielo e attirò l’attenzione di Joe che tornò di corsa a casa (anzi, alla ex casa). Il solito ghigno altezzoso, che caratterizzava il suo volto sempre arcigno, si trasformò in un’espressione di meraviglia, di delusione e di profonda tristezza. La baracca era ridotta a un cumulo di cenere, una monotona e anonima distesa di particelle microscopiche che il vento trascinava via con sé.
A questo punto la storia di Joe si perde nella leggenda. Si dice che il cacciatore di pellicce passò mesi e mesi ad aspettare che il cumulo di cenere si trasformasse di nuovo nella sua vecchia e comoda baracca di legno. Qualcuno lo sentì urlare e imprecare. Altri lo sentirono piangere e pregare il Sole. La sua mente non riusciva a comprendere perché un’azione così improvvisa e violenta (la distruzione della sua casa) non potesse anche avvenire al contrario. In altre parole: perché la cenere non si trasformava di nuovo in legno sagomato e riprendeva la forma del suo vecchio rifugio? Eppure se lui apriva le trappole, gli animali tornavano a correre per il bosco. Doveva fare ben poca fatica per invertire un’azione e tornare alle condizioni precedenti.
In questo caso, invece, si rendeva conto che avrebbe dovuto tagliare nuovi alberi, ottenere delle travi, usare dei chiodi, la pialla e tante altre cose. Doveva, in qualche modo, ricominciare tutto da capo. No, non ne aveva più voglia e poi il tempo passato a guardare la cenere, il vetro e il Sole gli aveva fatto perdere l’amore per il whiskey e per quel modo cruento di guadagnare soldi.
La tribù indiana, che stava lì vicino, giurò che Joe fu illuminato da un raggio speciale del Sole. Cambiò nome, si trasferì in una città e divenne uno dei più grandi fisici della storia. Si dice anche che fu proprio lui a enunciare il secondo principio della termodinamica. I pellerossa lo sintetizzarono in poche parole: “Solo Manitù ha la capacità di ribaltare le leggi del mondo!” Noi, invece, possiamo enunciarlo un po’ meglio: “Vi sono fenomeni irreversibili in Natura o -se preferite- la freccia del tempo non può essere invertita. A meno di non compiere un lavoro enorme.”
Raffreddare il vino o scaldare il ghiaccio?
In realtà, vi sono molti modi per definire il secondo principio, lo stesso che stabilisce la legge dell’entropia, ossia la legge che dice che tutto ciò che esiste tende al massimo disordine, ossia a un miscuglio di particelle elementari. La freccia del tempo conduce solo e soltanto verso questa soluzione. La ricerca di ordine (come può essere la formazione di una stella, di un pianeta, di una creatura vivente) è solo un fenomeno momentaneo, ottenibile con l’utilizzo di energia, ma destinato a durare un tempo limitato. In parole ben più povere: una casa può bruciare a causa di fenomeni naturali, liberando energia. Non è invece possibile assistere, senza fornire energia, alla ricostruzione di una casa.
Vi sarebbero migliaia di esempi simili. Ad esempio una palla fatta rimbalzare per terra è destinata prima o poi a fermarsi al suolo. Nessuna palla ferma al suolo sarà, invece, capace, da sola, a iniziare a rimbalzare sempre più forte!
Cambiamo completamente soggetto e torniamo alla nostra astronomia “spiccia”. Per rispondere alla domanda insita nel titolo “Come raffreddare i pianeti?” il secondo principio della termodinamica deve essere formulato in un modo un po’ diverso (ma che vuol dire la stessa identica cosa).
Fatemi fare un esempio che mi è particolarmente caro (sapete quanto ami la degustazione dei grandi vini…). Quante volte avete sentito dire (o avete detto): “Mettiamo quella bottiglia in un recipiente pieno di ghiaccio per farlo raffreddare”. Beh… è una frase completamente sbagliata. Il secondo principio della termodinamica ci dice che è impossibile raffreddare qualcosa: la si può solo scaldare.
Mi spiego meglio: non è il ghiaccio che raffredda il vino ma è il vino che riscalda il ghiaccio. Il risultato è lo stesso, praticamente, ma la direzione della freccia del tempo accetta solo una soluzione. Il passaggio del calore può avvenire solo da un corpo caldo verso uno freddo e mai il viceversa. Il raffreddamento deriva solo dalla perdita di calore di una sorgente a favore di un corpo che lo acquista. Può sembrarvi una conclusione banale o una frase ambigua e poco “scientifica”, ma se ci pensate bene è una legge fondamentale della Natura. Non tutte le trasformazioni di energia sono possibili!
Facciamo ancora un esempio per i più piccoli o i meno preparati. Immaginiamo di avere due recipienti pieni di gas (è molto più veloce e comodo). Il primo ha una temperatura di 1000 gradi Kelvin il secondo di soli 10 gradi Kelvin (lo zero Kelvin, come dovreste sapere tutti, è a -273 °C e rappresenta lo zero assoluto, la temperatura più bassa che può esistere in Natura). Ammettiamo che il “calore” del gas più freddo vada verso quello più caldo (contro il nostro principio) e che possa sottrarsi alla sua temperatura. Cosa può ottenere al massimo? Ben poco: può solo fare scendere la temperatura a 990 K. Poi si deve fermare, avendo raggiunto lo zero assoluto. No, non funziona, e ce lo dicono le osservazioni. Vediamo come funziona il caso opposto. Il gas caldo cede il suo calore al vicino. Può farlo tranquillamente, dato che ne ha in abbondanza. Gli regala, ad esempio, 100 gradi. A lui ne restano 900 e l’altro gas arriva a 110. Si può fare meglio e di più, basta che il processo continui. Alla fine, si arriva a una situazione ideale di grande equilibrio: entrambi i gas hanno raggiunto la temperatura di 505 K. Questo è ciò che avviene in Natura e che dimostra che il calore può viaggiare solo in un certo verso. Non pretendo che d’ora in poi diciate sempre: “Dammi quella bottiglia perché vorrei riscaldare un po’ il ghiaccio del secchiello!”. Mi basta che si comprenda il vero concetto di “raffreddare”.
Va bene, abbiamo divagato in lungo e in largo e, infine, siamo arrivati alla costruzione dei pianeti rocciosi.
I pianeti nascono freddi
Il processo non è così semplice come sto per descriverlo, ma è più che sufficiente per il nostro scopo. Nel disco che circonda la stella nascente vi è tanto gas e un po’ di polvere, residuo di altre stelle esplose precedentemente. I granelli di polvere girano attorno all’astro, ma s’incontrano sovente. Gli urti sono a bassa velocità e si ottiene un granello un po’ più grande che sarà capace di attirare altre particelle in un reazione a catena che farà velocemente crescere un nucleo di materia fino a raggiungere dimensioni dei millimetri, dei metri, dei chilometri e delle centinaia o migliaia di chilometri. Bastano pochi milioni di anni, anche meno. Un attimo del Cosmo.
Tutto ciò avviene in un ambiente relativamente “freddo”. Gli urti, infatti, devono essere molto “delicati” altrimenti distruggeremmo e non costruiremmo. Urti a bassa velocità vogliono, però, anche dire bassa energia (cinetica) e quindi minima produzione di calore (una trasformazione di energia ammessa dalla Natura!). Oltretutto, urti violenti produrrebbero calore sufficiente a trasformare i solidi in gas e… addio pianeti.
Cosa possiamo concludere? Qualcosa che è spesso poco noto ai divulgatori mediatici e a chi prepara documentari animati: i pianeti si formano “freddi” e non assomigliano per niente a palle infuocate!
Siamo, infatti, nella fase di accrescimento dei planetesimi e gli urti (lo ripeto ancora) avvengono a bassa velocità relativa. Tuttavia, mentre termina questa fase formativa a bassa temperatura, ne inizia quasi contemporaneamente un’altra ben più energetica. I planetesimi iniziano a scontrasi tra loro. In particolare, i pianeti già “abbozzati” (proto pianeti), subiscono urti da corpi più piccoli e numerosi. Essi, però, provengono un po’ da tutte le direzioni e, quindi, possono avere una velocità di impatto anche molto elevata. Normalmente i proto pianeti sono abbastanza grandi da sopportare gli urti (non sempre e, allora, formano la… Luna, o si distruggono a vicenda com’è successo tra gli asteroidi, o inclinano l’asse di rotazione di Urano…) e “incamerare” l’energia che gli viene regalata dai proiettili vaganti. Questa energia si trasforma in calore e inizia a fondere la superficie. Un po’ alla volta la crosta planetaria diventa fluida, quasi liquida. Adesso sì che possiamo parlare di pianeti come sfere infuocate.
Quest’azione, però, è solo superficiale. L’interno del pianeta non ne risente di certo e continua a essere freddo come prima. O, almeno, dovrebbe rimanere freddo. Esso, però, contiene elementi radioattivi che hanno il vizio di “decadere” in tempi più o meno lunghi. Decadere vuol dire perdere protoni e/o neutroni e trasformarsi in elementi più leggeri. Come sempre avviene nel Cosmo, quando si spostano particelle si produce spesso energia (meno male!). Questa energia riscalda la materia circostante.
Immaginiamo una serie numerosissima di focolai dove si innesca la fusione della materia vicina agli elementi radioattivi. Un po’ alla volta, come in un incendio in un bosco, da pochi focolai si origina una catastrofe termica. Tutto prende fuoco e si riscalda. Stiamo andando contro il secondo principio della termodinamica? Nemmeno per sogno! Stiamo trasformando energia in calore e questo viene trasportato dalle zone calde a quelle fredde. Tutto perfetto.
In tempi piuttosto rapidi l’interno planetario si fonde completamente e si unisce alla parte superficiale già fusa per gli impatti. Abbiamo finalmente una palla di fuoco come vogliono i “documentari” sulla nascita dei pianeti. Bene. Gli elementi radioattivi, essendo molto pesanti, si sistemano al centro della palla incandescente. La fonte di calore è quindi proprio il nucleo centrale ed è da lì che il calore si propaga verso l’esterno.
Le “cipolle” riscaldano lo spazio
Attenzione, quindi: non è il freddo dello spazio interplanetario che raffredda la crosta planetaria e successivamente gli strati più interni. E’ vero esattamente il contrario! E’ la crosta che trasmette il suo calore verso l’esterno, cercando di riscaldarlo, ed esso si disperde facilmente nei grandi spazi a disposizione. Ovviamente, dato che cede calore la sua temperatura scende e la crosta comincia a solidificarsi (ricordate l’esempio dei due recipienti a 1000 e 10 K?).
Sotto la crosta, però, continua a esserci materia ancora calda, che cerca di disperdere il suo calore spingendolo verso l’esterno. Nel frattempo, però, il nucleo centrale continua a produrre calore che si trasferisce verso l’alto. Sembrerebbe un gioco senza fine. Chi vincerà la lotta?
Fatemi riassumere la situazione che sembra un po’ ingarbugliata.
Immaginiamo che il pianeta sia fatto come una cipolla, formata da tanti strati sottili uno dopo l’altro che circondano il nucleo dove si origina il calore. Consideriamo un qualsiasi piccolo strato di materia della cipolla, ad una certa distanza dal centro (Fig. 1). Esso tende a trasferire il suo calore allo strato successivo e questo a quello dopo e via dicendo fino ad arrivare in superficie e disperdersi nello spazio interplanetario. In tal modo, il nostro strato (e quelli successivi) si raffreddano un po’ alla volta. Basta aspettare e prima o poi la temperatura scenderà dappertutto. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare la fonte di calore interna. Essa continua a scaldare il nucleo e ormai il gioco lo sapete. Gli strati esterni al nucleo trasferiscono il calore verso la superficie fino a incontrare il nostro povero strato e lo riscaldano nuovamente. Accidenti,tanto lavoro per niente. Ovviamente, il processo che ho illustrato in modo così elementare non ha momenti di pausa e il calore continua a trasferirsi dal centro verso l’esterno. Niente da fare il pianeta continua a rimanere caldo. Il calore che si perde nello spazio viene rimpiazzato da quello che proviene, strato dopo strato, dal nucleo interno. Possiamo, comunque, fare una constatazione che ci verrà molto utile tra poco: il calore si disperde verso l’esterno attraverso le “bucce” della cipolla planetaria.
Tuttavia, prima o poi la fonte di calore diminuisce, dato che il materiale radioattivo è quello che è e se decade non può essere rimpiazzato. I tempi scala sono a volte lunghissimi, ma lentamente la quantità “attiva” a disposizione si riduce. Il che vuol dire, in poche parole, che il “fuoco” centrale tende a spegnersi nel tempo. E se lui si spegne non produce più calore e questo non viene più trasferito verso la superficie. Un po’ alla volta i vari strati scendono di temperatura. In un futuro ipotetico i pianeti si raffredderanno completamente sia dentro che fuori. In realtà, non è proprio vero, dato che la pressione dovuta alla gravità manterrà sempre caldo in centro del pianeta, ma non scendiamo troppo nei particolari, complicandoci inutilmente la vita. L’importante è che vi sia una fonte di calore. Sicuramente la Terra non ha ancora di questi problemi: la sua stufa funziona benissimo. Possiamo comunque fare un’altra constatazione: la fonte di calore dipende dalla quantità di materiale radioattivo presente nel nucleo e dalla pressione che viene esercitata su di lui dal resto del pianeta. Più brevemente, ancora: la fonte di calore dipende dalla massa del pianeta o, quantomeno, dalla massa del nucleo caldo.
Tenete ben presente queste due constatazioni scritte in grassetto, mi raccomando.
A questo punto ci scontriamo con la vita geologica di un pianeta. Essa si mantiene solo se la crosta non diventa troppo spessa e se vi è uno strato liquido sotto di lei che le permette di scorrere come una zattera su un mare. Per avere continenti come quelli terrestri ci vuole una crosta sottile, che riesca a spaccarsi a causa delle onde di calore che continuano a provenire dall’interno e che possa muoversi sopra il mare liquido del mantello sottostante. In ogni modo, finalmente, possiamo rispondere alla domanda fondamentale di questo articolo… (l’ho fatta lunga, eh?). Mi spiace, potevamo arrivare subito al sodo, ma in questo modo siamo riusciti a fare un ripasso più generale, compresa la leggenda di Joe “Sponge” Trapper.
Riproponiamola chiaramente, dato che proprio dalla sua risposta dipendono le condizioni “fortunate” della Terra:
“Come si raffreddano i pianeti rocciosi?”
Bene, direi che potremmo dire di avere risposto esaurientemente attraverso il secondo principio, il vino e il ghiaccio, la storia della cipolla e cose del genere.
Questa domanda, però, ne comporta una molto meno intuitiva:
“Perché i pianeti più piccoli si raffreddano più velocemente?”
La risposta non è così ovvia e, anzi, potrebbe sembrare contro intuitiva. In fondo la zona calda è lontana dalla superficie e se è ancora attiva dovrebbe facilitare i pianeti più piccoli. Le osservazioni, invece, ci dicono chiaramente che più un pianeta è piccolo e più fa in fredda a raffreddarsi. La crosta è ormai troppo spessa per permettere una vita geologica superficiale. Basta guardare Mercurio, la Luna, Marte stessa e molti satelliti esterni di dimensioni planetarie. Tutti questi oggetti hanno una superficie antichissima. Il loro “vestito” è sempre lo stesso da miliardi di anni e l’unico cambiamento deriva dagli impatti con asteroidi e comete (Marte un po’ meno, dato che è leggermente più grande di Mercurio). Niente si genera più dall’interno: i vulcani si sono spenti da molto tempo e i continenti non sono mai esistiti.
Lasciamo, ovviamente, da parte esempi particolari come Io, Europa, Encelado e Titano (e qualche altro). Per loro i meccanismi di riscaldamento sono ben diversi e ne abbiamo già parlato a lungo.
Torniamo alla domanda che non è così “stupida” come sembrava, soprattutto se ragioniamo in termini del secondo principio (ecco perché ho perso tanto tempo a parlarne…).
Fatemi, però, fare ancora un piccolo inciso, per non creare inutili confusioni. Se l’oggetto è troppo piccolo (un asteroide ad esempio), la massa di elementi radioattivi, pur sempre proporzionale alla massa totale, potrebbe non essere in grado di portare l’oggetto alla temperatura di fusione della materia. L’asteroide rimarrebbe tiepido, ma solido e non si formerebbe il nucleo centrale e tutto il discorso della cipolla globale non esisterebbe se non localmente, attorno ai focolai radioattivi. In poco tempo la fonte di calore si estinguerebbe e il calore se ne andrebbe nello spazio. Forse solo due o tre asteroidi (i più grandi) hanno subito una fusione totale (Vesta sicuramente).
Per i pianeti e i grandi satelliti, ciò non è avvenuto e possiamo accettare che tutti si siano fusi completamente all’inizio della loro vita. In tale modo gli elementi pesanti (e quelli radioattivi) si sono potuti rintanare al centro, continuando a produrre calore come descritto precedentemente. Insomma, sono partiti tutti nelle stesse condizioni. In parole più tecniche, che però già conoscete, essi hanno tutti subito il processo di differenziazione.
Le cipolle piccole si raffreddano prima
Ricordiamoci, allora, delle due constatazioni che abbiamo fatto precedentemente. La fonte di calore F di un pianeta dipende solamente dalla massa. Possiamo quindi dire, senza paura di sbagliare, che un pianeta si riscalda in base alla massa degli elementi radioattivi e questa massa è, ovviamente, proporzionale alla massa del corpo celeste. Un oggetto più piccolo avrà meno massa, ma la parte capace di riscaldare è proporzionale a quella totale. Insomma, le cose sembrerebbero del tutto simili e indipendenti dalla grandezza dei corpi celesti: chi è più piccolo ha meno fonte di calore ma ha anche meno materia da riscaldare.
Cerchiamo di scrivere in modo geometrico e “matematico” quanto abbiamo appena detto. Basta ricordare la definizione di densità. Essa altri non è che la massa divisa per il volume. Non per niente si chiama anche massa volumica. Questa definizione ci permette di scrivere la massa in questo modo:
M/V = ρ , dove ρ è la densità della materia che compone il corpo celeste. Segue anche che:
M = V ρ.
Immaginiamo, adesso, che il pianeta roccioso abbia densità costante (non è vero, ma per il nostro discorso è un’approssimazione che si può fare tranquillamente) e che abbia forma sferica. Si ha, immediatamente:
M = ρ 4/3 π R3 dove ρ è una costante. (Ricordatevi la cantilena che ci regala il volume di una sfera: il volume della sfera qual è? Quattro terzi pi greco erre tre! ).
Trascurando le costanti, la formula di prima ci dice che la massa totale dipende soltanto dal raggio al cubo del pianeta. In altre parole, la fonte di calore F dipende solo e soltanto dal raggio al cubo.
Perfetto. Adesso sappiamo a cosa riferirci quando parliamo di fonte di calore F. Potremmo anche dire che F è la capacità di riscaldare un pianeta.
Tuttavia, il nostro problema è quello di raffreddare i pianeti, tenendo presente che ciò si ottiene, sempre e comunque, trasportando il calore dal centro (caldo) verso l’esterno (freddo). Chiamiamo Rf questa capacità di raffreddare. Come agisce il trasporto del calore? Lo abbiamo già detto e ridetto e possiamo considerarlo come un’onda che si muove dalla zona calda verso quella più fredda. In altre parole, tante bucce sottili di una cipolla, una più grande dell’altra a partire dal centro, che si trasmettono il calore. Il famoso strato della Fig. 1, lo riceve dallo strato più interno e lo “passa” a quello più esterno. Fatemelo ripetere ancora una volta: il calore passa da una buccia all’altra fino ad arrivare all’esterno e a disperdersi. Sono le bucce che trasportano il calore passandoselo tra di loro. Una perfetta catena di montaggio.
Il trasporto di calore, ossia la capacità di raffreddare, dipende, allora, solo e soltanto dalle bucce. Ma le bucce non sono altro che superfici sferiche. Una superficie sferica può essere facilmente esprimibile con una formula matematica veramente semplice:
S = 4 π R2
Ossia, la superficie va con il raggio al quadrato. E, quindi, anche la capacità di raffreddare dipende solo dal raggio al quadrato.
Cosa succede nei dintorni del nucleo caldo che produce calore? La capacità di produrre calore è proporzionale al volume, ossia al raggio al cubo. La capacità di raffreddare (che poi vuol dire di trasportare il calore verso l’esterno) è proporzionale al raggio al quadrato. Basterebbe questo risultato per rispondere alla domanda. Il raffreddamento agisce più lentamente rispetto alla fonte di calore e quindi il raffreddamento è più lento per gli oggetti più grandi.
Vogliamo esprimere questa conclusione con una formula facile facile? Basta fare il rapporto tra la capacità di raffreddare (ossia trasportare il calore) e quella di riscaldare (ossia di produrre il calore). Ossia basta dividere Rf per F. A parte le varie costanti che restano quelle che sono e possiamo inglobare tutte in k, il rapporto dipende solo e soltanto dall’inverso del raggio. Infatti:
Rf/F = k (R2/R3) = k (1/R)
Ossia la capacità di raffreddare rispetto alla capacità di riscaldare è proporzionale a 1/R, ossia decresce al crescere del raggio, o -se preferite- il calore si disperde più lentamente se il raggio è più grande. In altre parole, ancora: se il raggio cresce, diminuisce il valore di Rf/F, ossia diminuisce la capacità di raffreddare. Ne consegue:
I pianeti più piccoli si raffreddano più in fretta
Oppure (ma è la stessa identica cosa):
I pianeti più grandi si raffreddano più lentamente
Ed ecco perché la Terra (gigante dei pianeti rocciosi) è ancora vivo geologicamente, con una crosta continentale sottilissima, mentre Mercurio mostra un vestito vecchissimo che non è mai cambiato da miliardi di anni.
Spero di non avere complicato un concetto semplice, ma vorrei piano piano cercare di trascrivere processi o dimostrazioni descritti a parole nel linguaggio sintetico della matematica. Nel Teatro avevo usato un modo più empirico e ve lo riporto tanto per confrontarlo…
Consideriamo due pianeti, A e B. A è il doppio di B, ossia il suo raggio è 2 volte quello di B. La quantità di elementi radioattivi va con il cubo dei loro raggi. Ne deriva che A si riscalda 8 volte (2 al cubo) più di B. Ma la capacità di disperdere il calore va con il quadrato del raggio. Per cui, A disperde il suo calore interno solo 4 volte più rapidamente di B. Conclusione? Ovvia: la fonte di calore di A si esaurisce più lentamente di quella di B.
Gira e rigira, senza il secondo principio della termodinamica le cose sarebbero state ben più vaghe. E non solo per il "povero" Joe Spugna!
Per chi desidera approfondire l'evoluzione termica dei pianeti: PY4A03_lecture10n11_ineriors.ppt (Fonte)
33 commenti
Molti ricercatori stanno provando a usare il secondo principio della termodinamica per portare Marte ad essere abitabile,immettendo anindride carbonica e altri gas per poi creare un atmosfera calda in modo da far scogliere il ghiaccio imprigionato ai poli ed avere acqua allo stato liquido, per poi renderlo nei successivi 200-300 anni simile alla terra, Caro enzo secondo te questo procedimento potrebbe funzionare per marte?
Ciao a tutti!
Chiaro e perfetto Enzo. La confusione che facciamo quando pensiamo di raffreddare appunto con una cosa fredda, ma in realtà raffreddiamo appunto "riscaldando" la cosa fredda con quella calda è stupendo ma assolutamente da non esprimere , ci darebbero dei pazzi.
Per il resto, caro Enzo, se non sbaglio ci vuoi anche dire che la Terra è appunto della dimensione giusta affinchè il calore interno alimenti questa "convezione " (forse sbaglio il termine) verso l'esterno nei tempi e modi giusta perchè la vita possa sfruttarla.
Quindi nella ricerca di pianeti, diciamo abitabili, oltre alla distanza dalla stella , a questo punto capisco che la massa (sapevo e capivo che era importante) diventa obbligatorio sia da pochissimo meno a pochissimo più della Terra, meglio se uguale?
Poi, come dici chiaramente, se vi sono terremoti molto meglio, viva la tettonica a zolle.
perfetto caro Mario!
@Corvo,
non mi trovi d'accordo sulla "costruzione" di un'atmosfera su Marte. Al limite si riuscirebbe all'interno di una struttura chiusa (ma che vita sarebbe?). Al di fuori... se non c'è riuscito da solo, possiamo mettere quello che vogliamo ma alla fine tornerà tutto come adesso (e molto in fretta).
Meglio cercare un pianeta come il nostro, già fatto...
Un solo passaggio non mi è chiaro. Ho fatto (e faccio) confusione con la questione del decadimento. Leggendo Rosetta e le tre sorelle ho letto nel paragrafo delle supernove che gli elementi più pesanti del ferro si formano a causa del decadimento di un neutrone che decade appunto in un protone prima che venga catturato dal nucleo di ferro. In questo modo si libera energia ma sopratutto si aggiungono protoni ad un atomo di ferro trasformandolo in un elemento più pesante.
Nell'articolo di oggi tu fai riferimento ad un altro tipo di decadimento e ci spieghi che la materia perde protoni liberando energia. Dico una cavolata: all'interno di una supernova c'è la fusione nucleare e all'interno della terra c'è fissione ?
Dammi una mano a capire perchè mi stò perdendo.
Forse la soluzione è: decadimento B- nelle stelle e B+ all'interno della terra ?
Decadimento radiattivo appunto?
esatto Gianluca!
E' la stessa differenza che c'è tra la bomba atomica e la bomba H.
La prima sfrutta la fissione nucleare, ossia il decadimento degli elementi radioattivi. La seconda la fusione nucleare, quella che fonde insieme elementi leggeri per produrne più pesanti (ciò che capita nelle stelle durante la loro vita).
Ricapitolando: le stelle, durante la loro vita costruiscono gli elementi fino al ferro. Le supernove liberano questi elementi e inoltre fabbricano quelli più pesanti fino all'uranio.
Quelli più pesanti (gli elementi radioattivi) decadono diventando più leggeri... e questa è la fissione...
OK?
in qualche modo sì, Gianluca, ma la storia è più complessa. Nelle stelle possono avvenire entrambi e sono passaggi che possono aiutare la fusione. Negli elementi radioattivi il beta + è uno dei possibili decadimenti...
Forse non sarebbe male richiamare questi concetti in un articolo dedicato... ma non certo molto facile. Ci penserò... Grazie, comunque!!
Mi hai illuminato ero convinto che i pianeti nascessero caldi. Tra l'altro non sapevo che nelle
stelle potesse avvenire anche la fissione
caro Adriano,
molti processi come il CNO o il tre alfa hanno passaggi in cui si manifeta un decadimento beta "classico". Sai si dice fissione, ma in pratica è una serie di decadimenti..., analoghi a quanto capita anche nelle stelle. Diciamo che gli elementi radioattivi decadano spesso da soli...
Grazie a te Vincenzo,
se farai un'articolo dedicato ai processi di decadimento sicuro mi cimenterò nella lettura.
Grazie
Perchè nell'esempio "impossibile" dei gas, quello caldo, ricevendo "calore" da quello freddo, scenderebbe a 990 e non a 1010 gradi Kelvin?
Leggende narrano, che Joe chiese spiegazione di come avesse fatto a bruciarsi la baracca al suo amico pescatore! (una nostra vecchia conoscenza, vero Enzo? )
caro luigis,
era solo un modo un po' assurdo di cercare di raffreddare togliendo gradi... ma forse non sta molto in piedi come esempio. Magari lo tolgo del tutto ...
@Jacopo
ma allora conoscevi Joe?????????
@Enzo
Diciamo che ne ho sentito parlare
Il rapporto (s)vantaggioso volume/superficie è la spiegazione anche del motivo per il quale gli elefanti hanno le orecchie grandi, ossia per aumentare la propria superficie e smaltire in modo più efficace il calore corporeo, o la calura africana, che altrimenti li farebbero surriscaldare. Vero?
Bellissimo articolo, soprattutto apprezzo veramente il tentativo di spiegazione in modo logico e narrativo per poi rielaborarlo in una spiegazione matematica semplice.
Ho i miei problemi con la matematica che mi rallenta nella lettura pero' credo sia importante per capire a fondo il concetto...
Stasera se riesco vedo di capire se ho capito!
Caro enzo sono d'accordissimo con te io marte lo sempre visto come un inutile sasso rosso al massimo buono come miniera a cielo aperto ma molti scenziati parlavano dio questa possibilità e quindi volevo sapere anche la tua versione!
Ciao a tutti!
caro MManzato,
direi proprio di sì. Allargareuna superficie vuol dire fare trasferire meglio il calore. Io lo faccio con il risotto. Lo stendo nel piatto, fino agli orli, in modo che si raffreddi più in fretta (ops... che riscaldi più in fretta l'aria intorno a lui ). In fondo, una massa di riso è la fonte di calore che va con il volume. Stenderlo vuol dire aumentare il raggio dello straterello e aiutare il trasferimento verso l'esterno....
Bravo, ottimo commento!
caro Corvo,
Marte non ha nessuna colpa: lui è quello che è. Ed è importantissimo sapere come è fatto e come è giunto fino ad oggi. Lo sbaglio è volerlo trattare come qualcosa di "personale", a misura d'uomo o cercare di imporgli cose che non ha avuto dalla Natura...
Comunque, sono punti di vista...
Ciao Enzo, eccomi anche qui direttamente dal link del buon Stefano Simoni
Come al solito, complimenti per lo splendido articolo.
Veniamo ora alle domande, al solito per vedere se ho capito:
- Se il Sole dovesse improvvisamente sparire, in calore interno della Terra rimarrebbe immutato?
- Se gli asteroidi non si sono mai completamente fusi (anche quelli grandi centinaia di metri), vuol dire che sono solo una massa fatta da tanti minuscoli granelli di polvere?
In sostanza, se un oggetto solido dovesse urtare uno di questi asteroidi, ci finirebbe dentro come un sasso sulla neve fresca?
Come sempre, grazie in anticipo per le tue risposte.
Un caro saluto,
Alex.
finalmente Alex... era ora!!! Sentivo la tua mancanza...
sotto a chi tocca:
1) il calore del Sole riscalda solo l'atmosfera e la superficie. Niente fa all'interno del pianeta. Non per niente, basta scendere qualche decina di metri nel mare e ... addio calore solare! Se il Sole sparisse, converrebbe scendere di qualche chilometro nell'interno della Terra e sfrutteremmo il calore interno che ancora è vivo e vegeto (guarda i vulcani e le faglie oceaniche)
2) beh... non sempre. La pressione dovuta agli impatti formativi ha unito le molecole tra loro e ha creato rocce uniche. Il calore dell'urto poteva essere sufficiente. Dei veri e propri monoliti. Diciamo pure che i primi asteroidi erano corpi solidi proprio come i planetesimi che hanno formato i pianeti. Succede anche alla sabbia di antichi oceani scomparsi: diventano duri come la roccia, anche se per loro giocano molto i fenomeni atmosferici. In altre parole, non stavano assieme solo per autogravitazione, ma anche per le forze di coesione della materia. Sono stati poi gli impatti con piccole o grandi meteoriti a sminuzzare la roccia superficiale e a farla diventare sabbia (il regolite). Essa si mantiene dato che i micro impatti continuano.
Diversa è la situazione dopo un urto catastrofico di grande portata. L'asteroide si rompe in mille pezzi (ognuno monolitico) che poi ripiombano uno sull'altro per autogravitazione. Ma non riescono più a coalescere (manca il calore sufficiente) e rimangano attaccati solo per gravità.
Avevo scritto un articolo dove richiamavo la storia di Paperon de Paperoni in cui Paperino cadeva su un asteroide e gli passava da parte a parte. Ma la gravità non è cosa da poco... per un uomo, almeno, o per una piccola sonda mandatagli contro.
In nessuno caso , però, il riscaldamento interno ha raggiunto le condizioni per la fusione completa dell'intero oggetto: gli elementi radioattivi hanno agito localmente e per zone ristrette. Niente differenziazione completa. Qualcuno forse c'è riuscito: sicuramente Vesta (500 km) e forse Cerere (1000 km, ma lo sapremo presto appenda la sonda arriverà su di lui). Per qualche altro può darsi. D'altra parte vi sono frammenti asteroidali (asteroidi piccoli) che mostrano le caratteristiche di essere appartenuti alla crosta o al mantello o al nucleo centrale di corpi differenziati andati distrutti. Ma non ne siamo completamente sicuri.
fatti sentire più spesso....
Bell'articolo, chiarificatore, anch'io ero convinto di un passato "caldo" dei planetesimi
Quindi non basta avere un pianeta alla distanza "abitabile" ma anche un pianeta di certe dimensioni.
Mi chiedo se anche Marte e Venere abbiano un nucleo fuso... quali saranno le percentuali di elementi radioattivi dei tre pianeti nella zona abitabile?
Possibile che noi siamo stati così fortunati?
Ciao Enzo,
Bell'articolo come sempre... In effetti richiede un certo sforzo pensare che tutto si riscalda, anzichè raffreddarsi... Continuando nella lettura mi è tornato i mente l''articolo di pochi giorni fa della ricerca di vita su Marte. Può essere più probabile che delle forme di vita si sviluppino sui satelliti dei pianeti esterni, come ad esempio su Europa, satellite di Giove, anzichè su Marte? In fondo le forze di marea esercitate dal pianeta potrebbero tenere caldo il nucleo del satellite e favorire lo sviluppo della vita...
Cosa ne pensi in tal proposito?
Giorgia
@beppe,
venere, marte, mercurio, la luna hanno tutti un nucleo caldo, come molti satelliti esterni. La percentuale di elementi radioattivi era praticamente la stessa. La nostra fortuna è stata quella di mantenere il calore abbastanza a lungo da non permettere una crosta troppo spessa. Per tutti vale la fonte di calore, ossia la massa. Per Venere, tutto sarebbe andato come da noi se non fosse intervenuto l'effetto serra e la mancanza d'acqua per fare scorrere i continenti (e formarli). L'interno di Venre è molto simile al nostro e forse ha vulcani ancora attivi.
Parleremo anche dei vari interni planetari... abbiamo lavoro per anni.... povero me!!!
@Georgia,
dici benissimo. Comunque il nucleo si potrebbe mantenere caldo indipendentemente dalle forze di marea (se fosse sufficientemente massiccio). Queste ultime, come dici perfettamente, servono a comprimere e a dilatare l'interno e quindi danno una mano in più a riscaldare, diventando la fonte più importante e arrivando fino in superficie (Io) o poco sotto (Europa)
Ragazzi (e non solo voi due)... sono proprio fiero dei miei lettori !!!! Faremo grandi cose....e -mi raccomando- aiutatemi a divulgare a mano a mano che fate vostri i vari concetti. Un passaparola continuo. Poi, io, potrò anche smettere... (tra qualche secolo )
Tutto ok, veramente chiarissimo.
Questo articolo da la sensazione che la questione trattata sia quasi ovvia e scontata ma sono convinto che per arrivare alle conclusione riproposte ci sia stato veramente un lungo e controverso percorso costellato anche di ipotesi del tutto infondate.
Addirittura credo che agli inizi del secolo scorso si ritenesse impossibile l'impatto di asteroidi o comete contro i pianeti.
Probabilmente queste teorie hanno avuto la loro consacrazione definitiva ai tempi degli anni lavorativi di Enzo.
Se è cosi sarebbe divertente divagare con un racconto personale su come sono stati vissuti queli anni dai diretti interessati (e sulle scoperte piu importanti che hanno contribuito alla definizione della teoria sulla formazione dei pianeti)...
Ovviamente nell'articolo abbiamo discusso "solo" della capacità di riscaldamente e di raffreddamento.Non abbiamo però detto quasi nulla in merito alle temperature effettivamente sviluppate e al tempo di raffreddamento totale del nucleo (immagino sia troppo complesso trattarlo).
Ma a titolo di curiosità quando il nucleo della terra si raffredderà?
E marte, quando si ipotizza si sia raffreddato?
Se non sbaglio marte è la meta della terra e quindi la terra si riscalda 8 volte di piu raffreddandosi solo 4 volte piu velocemente
Questa faccenda del calore del pianeta è davvero intrigante! Mi ha un po' sorpreso leggere che il calore interno del pianeta dipende essenzialmente dal decadimento degli elementi radioattivi. Pensavo che dipendesse quasi solo dalla gravità, come nel centro del Sole (che però raggiunge ben altre temperature). Anche perché deve voler dire che di materiali radioattivi ce n'erano davvero un bel po', e da quello che ho compreso, tutti formatisi in un periodo relativamente breve nella/e supernova/e "nonne" del Sole. E non avrebbero dovuto decadere già molto prima della formazione del Sistema solare?
cerco di rispondere a entrambi...
il calore interno è stato innescato dagli elementi radioattivi, ma poi ha avuto e ha grande aiuto dalla pressione, dato che il nucleo pesante è scivolato nel centro. I tempi di dimezzamento degli elementi radioattivi sono molto vari e qualcuno è ancora attivo. E qui gioca proprio la massa del nucleo. Il suo calore sta scemando (anche se la pressione soffia sul fuoco per mantenerlo acceso), ma il suo trasporto verso la superficie è molto lento (come ben sappiamo). Quando si spegnerà del tutto (se mai lo farà)? Quanto tempo ci vorrà prima che si sentano i riflessi nel mantello e in superficie? Sarà forse più freddo l'interno delle zone superiori? Tutte queste sono domande che possono essere affrontate solo da modelli fisici e matematici molto vaghi... e le risposte sono molto incerte.
Molto meglio (come diceva Giorgia), avere una fonte di calore esterna come la marea. Ma anche questa potrà scemare? Europa è stato caldo fino alla suoperficie ma adesso non lo è più. Idem per Encelado. No, ancora non sappiamo tutto...
Sicuramente ci vorrà un bell'articolo sulle "ipotesi" odierne di tutti gli interni planetari, giganti compresi! Ve lo meritate proprio...
Riguardo alla mia storia... beh, ha un riflesso minimo sulla nascita dei pianeti e sulla differenziazione. Riguarda solo la crosta esterna. Tuttavi, gli asteroidi sono stati un po' il CERN dei primi anni 70. Erano il laboratorio dove si potevano vedere i risultati di impatti tra particelle (grosse comunque) che simulavano (in qualche modo) ciò che era successo o non era successo nel sistema solare primitivo miliardi di anni prima. Acceleratori di particelle... infatti, i primi impatti tra planetesimi erano a bassa velocità, poi le velcoità sono aumentate e gli impatti hanno creato frammenti che oggi possiamo studiare direttamente grazie al CERN asteroidale...
Bell articolo!
Ho solo una curiosita'..quando lei parla di trasferimento di calore nello spazio, l energia cinetica/termica delle molecole a cosa si trasferisce se nello spazio non c' é materia? bastano i soli raggi cosmici e vento solare?
e cosi mi sorge un altra domanda..se io mi trovassi nello spazio sentirei veramente una sensazione di ""fredd"" dato che non ho aria su cui dissipare il mio calore?
Forse ho fatto un po troppe domande:-)
caro Gabry,
non c'è aria ma c'è comunque materia: il vuoto non è un vero vuoto. Il vento solare è composta da particelle ed esse sono dappertutto, anche se la loro densità è molto bassa. E avresti molto freddo sicuramente. la temperatura dello spazio interplanetario si avvicina allo zero assoluto e il tuo corpo dovrebbe tentare di scaldarlo... e quindi, sai che freddo!
E, poi, diamoci del TU...
senza contare la differenza di pressione.
Sarebbe una sciena un pò macabra da immaginare....
Meglio congelare subito e non pensarci nemmeno!
enzo: "il nucleo caldo produce calore e la capacità di produrre calore è proporzionale al volume". vale uguale anche per il campo magnetico? può formarsi solo se vi è un nucleo caldo,no?e maggiore è la massa del pianeta e maggiore sarà il suo campo magnetico?
non è così ovvio, Davide. Innanzitutto, conta molto la rotazione e, inoltre, la trasmissione delle correnti all'interno del nucleo e il magnetismo iniziale... Insomma, il processo per l'origine e per l'intensità di un campo magnetico non è "cosa" risolta del tutto...