Categorie: Cosmologia Storia della Scienza
Tags: Beatrice dante Alighieri Dante-Riemann-Einstein ipersfera visione non euclidea
Scritto da: Gli Eretici
Commenti:2
DANTE-RIEMANN-EINSTEIN: Dio e il Big Bang (5 AB) - Solo l’ipersfera può spiegare i versi di Dante **
Abbiamo celebrato a modo nostro il settecentenario della morte di Dante Alighieri, riproponendo un progetto di cui andiamo molto fieri (questa è l'ultima puntata), nel quale letteratura, storia e scienza si intrecciano lungo un intervallo di tempo che va dal medioevo più cupo alla cosmologia più moderna: un entusiasmante viaggio durante il quale abbiamo dimostrato, tramite l'analisi dei suoi stessi versi, la capacità del Sommo Poeta di immaginare una struttura teologica e scientifica ben al di là dei suoi tempi, anticipando di fatto la visione matematica di Riemann e quella fisica di Einstein.
QUI la serie completa pubblicata nel 2018
In questo articolo finale tiriamo le fila costruite sia attraverso una visione puramente geometrica che attraverso una visione storica un po’ fuori dalle righe. Vi è sicuramente qualche ripetizione, ma -come detto sovente- meglio ripetere che saltare... Abbiamo evidenziato un Dante genio, non solo della letteratura, ma anche in grado di immaginare una struttura teologica e scientifica al di là dei suoi tempi. Non ci resta che dimostrare con i suoi stessi versi la validità della sua visione globale che anticipa quella matematica di Riemann e quella fisica di Einstein.
Dante teologo e Dante “scienziato”
I viaggi dal Purgatorio al Paradiso sono praticamente due, uno di carattere prettamente teologico e l’altro di carattere geometrico-cosmologico. Ovviamente, il primo assume un ruolo prevalente, ma il secondo è sempre latente tra le righe. Per entrambi la maestra di Dante è Beatrice, vera donna “catara”, libera e superiore nel pensiero, che riesce a trasformare lentamente le capacità terrestri e materiali del poeta, preparandolo ad ammirare ciò che non gli sarebbe possibile se fosse rimasto uomo a tutti gli effetti. Non più pura materia attirata verso il basso, ma anima attirata verso l’alto, verso l’Empireo, la sede di Dio.
Spesso le due spiegazioni, teologica e scientifica, si uniscono e portano a conclusioni simili. Noi, ovviamente, cercheremo di mettere in evidenza soprattutto il percorso cosmologico e i punti salienti che permettono di costruire con sempre maggiore chiarezza l’Universo dantesco. In particolare, faremo vedere come i suoi versi, assolutamente privi di ambiguità, non possono che confermare una costruzione geometrica fuori da qualsiasi canone euclideo.
Come già detto, Dante vuole far “quadrare” l’Universo aristotelico e tolemaico ed è, perciò, obbligato a fare un passo che sembrerebbe impossibile per un periodo scientifico e culturale come il Medioevo, non ancora legato a canoni rigidi e matematici. E, invece, è proprio questa visione quasi infantile a permettere a Dante una concezione capace di andare “oltre” con apparente naturalezza. E’ un po’ come nella meccanica quantistica: meglio affrontarla da bambini, ancora privi delle nozioni della fisica classica, che non da adulti ormai inquadrati in una visione rigorosa e -solo apparentemente- molto più logica. Dante si mostra incapace di capire il suo viaggio verso i misteri dell'Empireo e si affida completamente a Beatrice, alle sue parole e ai suoi occhi, che lentamente lo portano a elevare la sua capacità di comprensione in funzione del moto sempre più rapido delle sfere. Un passaggio da uomo limitato ad anima profondamente immersa nella struttura teologica. Forse, un segnale in più che Dante manda per far capire che la sua geometria dovrà superare i limiti di quella esistente, legata alla visione tradizionale.
Diciamo, però, fin da subito, che Dante non anticipa la metrica di Riemann né la Relatività di Einstein, ma arriva a conclusioni estremamente simili solo perché una costruzione legata a una geometria euclidea non gli avrebbe mai permesso di realizzare la visione teologica e cosmologica che la sua mente geniale gli stava proponendo. Dante non è uno scienziato (anche se i suoi studi a riguardo erano più che profondi e lo si nota spesso nella Divina Commedia), ma è un vero genio, capace di sintesi e di immaginazione, prerogative che non hanno vincoli col periodo storico in cui si vive.
Come Giotto aveva lasciato il pennello che fu poi raccolto da Masaccio, così sembra quasi che Dante arrivi alla visione globale solo attraverso un’intuizione geniale, l’unico modo possibile per far coesistere il mondo del bene e quello del male in un’unica struttura, e poi lasci la descrizione puramente geometrica e fisica alla metrica di Riemann e alla Relatività di Einstein.
Verso il Primo Mobile
Muoviamoci, quindi, velocemente con Dante e Beatrice lungo le diverse sfere celesti che portano verso il Primo Mobile, l’ultima sfera che imprime il movimento a tutte le altre.
Già a questo punto merita fare un discorso spesso non considerato, ma che risulta fondamentale. Nel passaggio dall’Inferno alla base del Purgatorio e poi in cima fino al Paradiso Terrestre, Dante e Virgilio, pur considerando la Terra come una sfera, si sono mossi in linea retta, ossia lungo una direzione ben definita che va da Gerusalemme alla cima del monte del Purgatorio.
A questo punto Dante e Beatrice si lasciano andare verso l’alto, entrando in sfere sempre più larghe e in movimento rotatorio costante, sempre più rapido andando verso l’alto. Tralasciamo, per il momento, la lunga spiegazione teologica data da Beatrice e pensiamo al viaggio in sé e per sé. Dante passa di sfera in sfera, di pianeta in pianeta, trascinato anch’esso dal loro moto. Non è più un viaggio unidirezionale, ma nelle tre dimensioni. In poche parole, qualsiasi percorso geometrico è accettabile. Lo scopo finale è quello di arrivare al Primo Mobile, a una sfera e non a un punto.
Per semplicità, raffiguriamo le varie sfere (2-sfere) come cerchi concentrici (1-sfere), che Dante e Beatrice possono raggiungere in qualsiasi suo punto, indipendentemente dal luogo “terrestre” da cui sono partiti, come mostra la classica rappresentazione del 1855 di Michelangelo Cactani.
Arriviamo così al canto XXII, dove abbiamo introdotto in rosso un ipotetico percorso, durante il quale Dante e Beatrice si fermano di tanto in tanto, trascinati dal cielo del pianeta corrispondente. Infine, entrano nel cerchio (1-sfera) delle stelle fisse (Fig. 34)
Fino a quel punto la trattazione è soprattutto teologica e la stessa Beatrice e i vari beati hanno risolto molti dubbi al poeta. Non mancano continui riferimenti astronomici (come la spiegazione delle macchie lunari) e pesanti accuse alla cattiva gestione della chiesa (probabilmente Dante sceglie coloro che non godono al momento di buona reputazione per non incorrere nell’accusa di eresia: grande genio, ma anche sapiente conoscitore delle idee del tempo).
Ormai, però, si è vicini ai confini aristotelici e la geometria riprende il sopravvento. E’ la stessa Beatrice che invita Dante a rivolgere gli occhi in basso e osservare il tragitto che hanno percorso grazie alla sua guida, in modo da acquistare gioia prima di incontrare la prossima schiera di beati.
Dante vede i sette Cieli che hanno superato e che circondano la Terra, una piccola sfera dall'aspetto del tutto insignificante. Nel frattempo ruota insieme alla costellazione dei Gemelli e poi torna a fissare lo sguardo di Beatrice. I suoi occhi sono ormai diventati come una specie di telescopio, capace di acuire la “vista” del poeta sia sul piano teologico che su quello fisico. Vale la pena riportare questi versi…
«Tu se’ sì presso a l’ultima salute»,
cominciò Beatrice, «che tu dei
aver le luci tue chiare e acute;
e però, prima che tu più t’inlei,
rimira in giù, e vedi quanto mondo
sotto li piedi già esser ti fei;
sì che ‘l tuo cor, quantunque può, giocondo
s’appresenti a la turba triunfante
che lieta vien per questo etera tondo».
Col viso ritornai per tutte quante
le sette spere, e vidi questo globo
tal, ch’io sorrisi del suo vil sembiante;
e quel consiglio per migliore approbo
che l’ha per meno; e chi ad altro pensa
chiamar si puote veramente probo.
Vidi la figlia di Latona incensa
sanza quell’ombra che mi fu cagione
per che già la credetti rara e densa.
L’aspetto del tuo nato, Iperione,
quivi sostenni, e vidi com’si move
circa e vicino a lui Maia e Dione.
Quindi m’apparve il temperar di Giove
tra ‘l padre e ‘l figlio: e quindi mi fu chiaro
il variar che fanno di lor dove;
e tutti e sette mi si dimostraro
quanto son grandi e quanto son veloci
e come sono in distante riparo.
L’aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom’io con li etterni Gemelli,
tutta m’apparve da’ colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli.
Paradiso XXII (124-154)
La cosa che più c’interessa è che il luogo da cui usciranno nel PRIMO MOBILE è un suo punto qualsiasi e non prestabilito.
Una situazione analoga e ancora più precisa si ripete nel canto XXVII, quando finalmente Dante (ormai preparato spiritualmente e fisicamente al passo successivo) e Beatrice salgono al Primo Mobile.
Dante vede le anime dei beati salire lentamente in alto, verso l’Empireo; il suo sguardo le segue finché non sono troppo distanti e le perde di vista, quindi Beatrice invita Dante ad abbassare lo sguardo e ad osservare quanto spazio egli abbia percorso ruotando insieme ai Gemelli. Il poeta si accorge di aver percorso circa novanta gradi. Dante arde dal desiderio di guardare nuovamente Beatrice, come se dai suoi occhi provenisse saggezza e capacità visiva (una specie di specchio magico). La virtù degli occhi della donna stacca Dante dalla costellazione dei Gemelli e lo spinge nel IX Cielo, il Primo Mobile che ruota velocissimo: esso è uniforme in ogni sua parte, per cui il poeta non saprebbe più dire in quale punto sia penetrato nella sua sfera trasparente.
E la virtù che lo sguardo m’indulse,
del bel nido di Leda mi divelse,
e nel ciel velocissimo m’impulse.
Le parti sue vivissime ed eccelse
sì uniforme son, ch’i’ non so dire
qual Beatrice per loco mi scelse.
Paradiso XXVII, 97-102
L’ultima terzina riassume in modo perfetto ciò che Dante aveva già elaborato salendo verso i cieli superiori. E questo è proprio il punto chiave di tutta la visione cosmologica che ne segue.
Beatrice spiega che il movimento del Primo Mobile è impresso dalla volontà di Dio, ma questo poco importa , in fondo, alla geometria della configurazione, la parte che a noi più interessa.
Dante volge ansioso lo sguardo all’Empireo, ma la luce è troppo forte e deve utilizzare nuovamente gli occhi di Beatrice come specchio. Poi, può voltarsi e rendersi conto che l’immagine vista negli occhi della donna amata corrisponde alla verità (ormai è in grado di reggere la luminosità incredibile)
Il punto centrale è abbagliante ed estremamente piccolo, tanto che anche la stella più debole sembrerebbe la Luna se paragonata ad esso. Intorno alla sorgente vi sono cerchi concentrici che girano velocissimi e che rallentano allontanandosi dal punto. Tutti superano per velocità il Primo Mobile. I cerchi che compongono l’insieme sono anch’essi nove. Una visione praticamente ribaltata di ciò che Dante si è lasciato alle spalle, una nuova serie di sfere concentriche, in cui la velocità di rotazione continua, però, a crescere al diminuire del loro diametro.
Poscia che ‘ncontro a la vita presente
d’i miseri mortali aperse ‘l vero
quella che ‘mparadisa la mia mente,
come in lo specchio fiamma di doppiero
vede colui che se n’alluma retro,
prima che l’abbia in vista o in pensiero,
e sé rivolge per veder se ‘l vetro
li dice il vero, e vede ch’el s’accorda
con esso come nota con suo metro;
così la mia memoria si ricorda
ch’io feci riguardando ne’ belli occhi
onde a pigliarmi fece Amor la corda.
E com’io mi rivolsi e furon tocchi
li miei da ciò che pare in quel volume,
quandunque nel suo giro ben s’adocchi,
un punto vidi che raggiava lume
acuto sì, che ‘l viso ch’elli affoca
chiuder conviensi per lo forte acume;
e quale stella par quinci più poca,
parrebbe luna, locata con esso
come stella con stella si collòca.
Forse cotanto quanto pare appresso
alo cigner la luce che ‘l dipigne
quando ‘l vapor che ‘l porta più è spesso,
distante intorno al punto un cerchio d’igne
si girava sì ratto, ch’avria vinto
quel moto che più tosto il mondo cigne;
e questo era d’un altro circumcinto,
e quel dal terzo, e ‘l terzo poi dal quarto,
dal quinto il quarto, e poi dal sesto il quinto.
Sopra seguiva il settimo sì sparto
già di larghezza, che ‘l messo di Iuno
intero a contenerlo sarebbe arto.
Così l’ottavo e ‘l nono; e chiascheduno
più tardo si movea, secondo ch’era
in numero distante più da l’uno;
e quello avea la fiamma più sincera
cui men distava la favilla pura,
credo, però che più di lei s’invera.
La donna mia, che mi vedëa in cura
forte sospeso, disse: "Da quel punto
depende il cielo e tutta la natura." »
Paradiso XXVIII, 1-42
Verso la soluzione di un assurdità
Un nuovo Universo? L’Universo del Bene, la sede di Dio che si contrappone a quello in cui Lucifero rappresenta il centro? Sicuramente questa è la prima conclusione che sembrerebbe trarsi, ma la completa casualità del punto da cui viene visto l’Empireo impone una visione del tutto rivoluzionaria.
Utilizziamo la Fig. 35 per mostrare quanto risulta insensata e ingenua questa tesi, rimanendo in una rappresentazione in un piano. In ogni punto del cerchio massimo, ossia il Primo Mobile, Dante dovrebbe poter vedere i nove cerchi angelici con Dio al centro. Ricordiamo ancora che il punto di arrivo è del tutto casuale. La supposta dualità può anche rimanere, ma la concezione generale deve essere diversa.
Facciamo, allora, un passetto in più e immaginiamo di lasciare il piano euclideo e di tracciare i vari cieli fino al primo mobile come cerchi tracciati sulla superficie di una 2-sfera (paralleli). Euclide comincia a sparire... Ovviamente, il Primo Mobile rappresenta in questo caso l’equatore della 2- sfera terrestre, che ha come polo la Terra. Da questo cerchio massimo Dante vede una situazione del tutto simile verso l’esterno: un’altra semisfera con altrettanti paralleli che vedono come polo lo stesso Dio. Stiamo sempre lavorando con dei cerchi, ossia con delle 1-sfere, ma li abbiamo sistemati su una superficie sferica (non euclidea).
Sicuramente siamo ancora lontani dalla situazione reale, ma nella configurazione non euclidea possiamo risolvere il problema della indipendenza della visione dal punto del Primo Mobile da cui si vede l’Empireo. Basta fare coincidere il Primo Mobile con il cerchio massimo (il nono) dell’Empireo, come mostra la Fig. 36. Le due semisfere a due dimensioni combaciano lungo l’equatore e ne deriva che da ogni punto dell’equatore (Primo Mobile) si può vedere sia la parte geocentrica che quella diocentrica.
Tutto risolto? Nemmeno per sogno… La visione aristotelica e quella che segue Dante parlano di sfere concentriche e non di cerchi concentrici.
Siamo obbligati, e Dante con noi, a disegnare le due semisfere precedenti come una serie di semisfere aventi tutte lo stesso centro. La Figura precedente si trasforma in due serie di 2-sfere (tagliate a metà), la cui sfera più grande è il primo mobile (Fig. 37).
Sembrerebbe di aver fatto il passo decisivo… ma non è così, dato che sia verso la Terra che verso Dio si devono vedere due sistemi di sfere complete e non dimezzate. Il cerchio massimo della semisfera più grande del sistema geocentrico non può più coincidere con il cerchio massimo della semisfera del sistema diocentrico. Eppure, se non li facciamo coincidere la dualità resta intatta e la posizione di uscita sul primo Mobile non può essere qualsiasi.
Con tutta la buona volontà, la completa assunzione dell’Universo tolemaico-aristotelico ci riporta all'immagine di Fig. 38 , dove al posto di due serie di cerchi concentrici (disegnati su un piano), abbiamo ora due gruppi di sfere concentriche disegnate su uno spazio a tre dimensioni.
Due sistemi di sfere indipendenti che, al limite, si toccano in un punto. Ma questo non può soddisfare Dante, dato che qualsiasi punto del Primo Mobile dovrebbe permettere la visione dell'Empireo (la seconda serie di sfere concentriche). Un obbligo che a Dante preme moltissimo, dato che lo fa ben presente sia attraverso la descrizione dei vari movimenti eseguiti trascinato dalle sfere rotanti, sia attraverso l'omogeneità del Primo Mobile. Ribadiamo ancora: qualsiasi punto della sfera del Primo Mobile deve permettere la stessa visione.
Dante non può essere arrivato fino a questo punto, imponendo paletti ben chiari e assolutamente non ambigui, per poi abbandonare l’impresa di grande unificazione del doppio Universo. Attraverso gli occhi di Beatrice riesce un po’ alla volta a superare le problematiche della geometria euclidea che ormai gli va troppo stretta, inconsciamente o consciamente che sia.
L’ultimo passo che compie è veramente esaltante e possiamo esprimerlo parafrasando ciò che Feynman ha detto su Einstein e la sua teoria: “Non è tanto la rappresentazione finale di Dante a stupirmi quanto il fatto che abbia potuto pensarci”. Oltretutto, per non rischiare l’eresia, ha dovuto descrivere il tutto attraverso concetti quasi puramente teologici, anche se la visione geometrica traspare nitidamente.
L'unica soluzione è far coincidere tutta la superficie dalla nona 2-sfera geocentrica con quella della nona 2 -sfera diocentrica, ossia far coincidere il Primo Mobile con la più grande delle sfere diocentriche (analogamente a quanto fatto nella Fig. 36, nel caso dei cerchi). Per compiere questo passo abbiamo già visto, trattando dell'ipersfera, che non esiste nessuna possibilità grafica semplice. Rimane una visione astratta, di pura immaginazione che solo la matematica di Riemann potrà descrivere compiutamente e regalare alla visione cosmologica di Einstein.
In altre parole, fare collassare una proiezione eseguita attraverso un certo numero di 2-sfere in una sola 3-sfera, la cui visione globale potrebbe essere data solo portandosi su uno spazio a 4 dimensioni. In fondo, assomiglia molto al terremoto che Heinlein ha introdotto per fare collassare la sua proiezione in 3d della ipercasa in una effettiva casa a 4 dimensioni.
La soluzione che comporta il superamento della dualità viene riportata da Beatrice (ancora una volta) attraverso giustificazioni puramente teologiche (apparentemente). Lei deve dimostrare come quel punto di luce quasi insostenibile riesca veramente a contenere il tutto. Esattamente ciò che capita descrivendo una 3-sfera.
Una nostra speculazione? Nemmeno per sogno, perché ci sono tre versi che ne danno una traduzione puramente geometrica. Superato il Primo Mobile ed entrati direttamente nell’Empireo (Dante deve gradatamente acquistare la vista necessaria per fronteggiare la luce abbagliante)
Forse semilia miglia di lontano
ci ferve l’ora sesta, e questo mondo
china già l’ombra quasi al letto piano,
quando ’l mezzo del cielo, a noi profondo,
comincia a farsi tal, ch’alcuna stella
perde il parere infino a questo fondo;
e come vien la chiarissima ancella
del sol più oltre, così ‘l ciel si chiude
di vista in vista infino a la più bella.
Non altrimenti il triunfo che lude
sempre dintorno al punto che mi vinse,
parendo inchiuso da quel ch’elli ‘nchiude,
a poco a poco al mio veder si stinse:
per che tornar con li occhi a Beatrice
nulla vedere e amor mi costrinse.
Paradiso XXX , 1-15
Dante pronuncia la frase forse più significativa riguardo alla sua ipersfera (penultima terzina):
quel punto luminoso (Dio) che vinse la mia vista, e che sembra racchiuso da ciò che esso stesso racchiude.
La logica entrata in scena dell’ipersfera
Dante riesce a immaginarsi il Primo Mobile, che è una 2-sfera, come confine tra due serie di 2-sfere. In poche parole tutto collassa nella 3-sfera in cui è più che logico che un punto diventi esso stesso una superficie che circonda tutto il resto. Dante stesso non sa esprimere oltre questo concetto intuito, ma non certo compreso nella sua essenza geometrica e matematica. Non può far altro che rifugiarsi negli occhi di Beatrice, nella sua bellezza e nella sua capacità di superare la materia e portarlo a una visione ultraterrena.
Dio stesso rappresenta l’ipersfera e la sua concezione va ben oltre la limitata e ambigua visione aristotelica, ma anche, addirittura, dell’altrettanto semplice e limitata visione copernicana e newtoniana. Solo Giordano Bruno, inserendo il concetto di infiniti mondi in un infinito spazio porterà una visione altrettanto globale e universale. Purtroppo Giordano ha nominato una parola eretica per eccellenza: infinito. Dante, si è rifugiato negli occhi di Beatrice costruendo una visione eretica attraverso una trattazione puramente teologica il cui vero scopo finale era oscuro a tutti coloro che avrebbero potuto accusarlo.
Lo stesso finale del Paradiso ci trascina con forza nella geometria e in uno dei grandi e insoluti problemi dell’antichità: la quadratura del cerchio.
Qual è ‘l geomètra che tutto s’affige
per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond’elli indige,
tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne
l’imago al cerchio e come vi s’indova;
ma non eran da ciò le proprie penne:
se non che la mia mente fu percossa
da un fulgore in che sua voglia venne.
A l’alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e ‘l velle,
sì come rota ch’igualmente è mossa,
l’amor che move il sole e l’altre stelle.
Paradiso XXXIII, 133-145
Traduciamo in parole semplici tutta la parte finale, in cui Dante umanamente non riesce a superare lo scoglio della visione globale, ma la sua immaginazione ci riesce grazie all’aiuto di Dio, colui che (viene ancora ribadito) muove il Sole e l’altre stelle… cioè il Tutto.
"Come lo studioso di geometria, che si ingegna a misurare la circonferenza (la quadratura del cerchio) e non riesce a scoprire l’elemento mancante, così ero io davanti a quella visione incomprensibile: volevo capire come l'immagine umana si collocasse al suo interno di quel cerchio; le mie ali non erano purtroppo sufficienti a effettuare un simile volo (non ne avevo la capacità). Ma, ecco che la mia mente subì una folgorazione. Alla mia immaginazione mancarono le forze; ma ormai l'amore divino, che muove il Sole e le altre stelle, muoveva anche il mio desiderio e la mia volontà, come una ruota che è mossa in modo regolare e costante (Dio aveva appagato il mio desiderio)".
Conclusione
Dante supera, proprio per mancanza di regole scritte in modo esauriente, una rappresentazione euclidea e la sua immaginazione lo porta a immaginare una superficie a tre dimensioni, un’ipersfera. Solo così riesce a distruggere le contraddizioni dell’Universo aristotelico-tolemaico. Il primo che prospettò questa visione, inconscia da un lato, ma geniale dall’altra, fu il matematico svizzero Andrea Speiser nel 1926. Un fondamentale passo ulteriore fu fatto da Horia-Roman Patapievici, fisico e filosofo rumeno, nel 2004, attraverso il libro “Gli occhi di Beatrice. Com’era davvero il mondo di Dante?”
Più recentemente molti matematici si sono associati a questa ipotesi non solo suggestiva, ma confermata da versi altamente significativi e privi di ambiguità. Noi abbiamo cercato di andare un po’ oltre, spiegando da un lato, in modo accurato anche se essenzialmente divulgativo e parziale, la struttura della 3-sfera e dall’altro inquadrando il pensiero e le conoscenze di Dante nell'ambito di un medioevo percorso da fremiti di cultura e di tradizioni scientifiche, cancellate solo apparentemente dalla chiesa attraverso gli eccidi eseguiti in nome dell’eresia. La stessa motivazione che porterà Giordano Bruno al rogo e costringerà Galileo all’abiura.
Dante non è dissimile, ma la sua preparazione teologica riesce a farlo passare attraverso i limiti dogmatici della chiesa come fosse un labirinto, rimanendo sempre al di fuori della cerchia degli eretici. Proprio lui che, forse, nella sua visione globale di un Universo centrato in Dio poteva essere il più eretico di tutti, avendo praticamente “ridicolizzato” la visione ingenua, incompleta e irrisolta di Aristotele e Tolomeo, che la chiesa aveva fatta propria, anche se con molto ritardo. Nell’ultima parte della nostra trattazione abbiamo cercato di dimostrare in modo estremamente didattico gli scalini superati da Dante e giungere all’unica conclusione logica e degna di un genio grandioso come il suo.
Inoltre, la tesi dell’ipersfera cancella l’assurdo di un Universo centrato su Lucifero che emerge dai disegni che hanno accompagnato il mondo di Dante fino ai tempi moderni e mette in luce una cosmologia teologica elegante e coerente. Ma – cosa più importante – fa apprezzare in tutta la sua bellezza letteraria la cantica del Paradiso, la meno conosciuta, proprio perché, come osservò Umberto Eco, l’uomo moderno ha perso i codici teologici e cosmologici dell’uomo medievale.
Vi assicuriamo che per noi è stato un vero piacere rileggere con estrema attenzione quei canti che abbagliano per la luce interiore ed esteriore che emanano. Speriamo che questa lettura riesca a dare le stesse emozioni anche a voi.
Barbara e Vincenzo Zappalà, ossia... gli eretici!
2 commenti
Bellissimo!
grazie Adriano... di vero cuore!