Categorie: Astrobiologia Riflessioni Sistemi extrasolari
Tags: Ariel Miranda oceano paradosso di Fermi Urano
Scritto da: Vincenzo Zappalà
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Una vita più tranquilla su Urano & co. **
Ariel, una delle lune di Urano, ha mostrato di possedere elementi chimici abbastanza anomali sulla sua superficie, come ad esempio la CO2. Fino a poco tempo fa la migliore teoria per spiegare la presenza continua di biossido di carbonio era considerata l'interazione tra la superficie e le particelle cariche della magnetosfera di Urano, capace di rompere i legami molecolari attraverso la ionizzazione. Uno studio recente suggerisce, però, un'alternativa estremamente interessante. Il continuo rifornimento di CO2 potrebbe provenire dall'interno dl satellite, ammettendo un oceano di acqua liquida sotto la crosta ghiacciata. Un'alternativa che ha tutte le ragioni di essere messa in evidenza, sapendo quanto sia ormai comune l'esistenza di oceani sotterranei su satelliti più o meno grandi.
Ariel darebbe, perciò, la mano al piccolo Miranda le cui esasperate strutture geologiche superficiali fanno pensare a un interno che sia stato - e forse lo è ancora- decisamente molto attivo, tanto da riuscire a mantenere -nuovamente- un oceano sotterraneo. In poche parole, entrambi potrebbero contenere un oceano di acqua liquida che, ovviamente, non fa che dimostrare come questa caratteristica sia decisamente molto comune. Ancora una volta, il meccanismo capace di mantenere questa situazione è di tipo mareale, come spiegato in maggiore dettaglio QUI.
Questo processo permette un metodo estremamente accurato per verificare l'esistenza di un oceano sotterraneo. E' stato creato un modello che osserva le piccole oscillazioni nel periodo con cui il satellite rivolve attorno al Pianeta. L'ampiezza di queste oscillazioni differisce sensibilmente tra il caso di un corpo solido e quello in cui vi è una massa liquida su cui può "galleggiare" il ghiaccio esterno. In poche parole, vi sarebbe una discontinuità apprezzabile che potrebbe permettere di stimare anche la quantità di acqua liquida presente. Ad esempio, se le oscillazioni su Ariel portassero a spostamenti di un centinaio di metri ne seguirebbe un oceano profondo almeno 150 km, sormontato da un guscio di ghiaccio di circa 30 km di spessore. QUI un video che mostra le oscillazioni aspettate nei due casi.
Il tutto sarebbe fattibile, però, solo recandosi vicino ai satelliti da studiare. Proprio per questo è stata avanzata la proposta di una missione su Urano, pianeta forse troppo presto dimenticato, così come i suoi satelliti.
Fino a qui, abbiamo parlato di Scienza e di risultati legati alla nostra conoscenza del Cosmo. Una conoscenza che è sicuramente ancora molto limitata.
Permettiamoci, allora, di volare un po' con la fantasia, senza cadere, però, nella pura fantascienza basata su illazioni e su processi del tutto arbitrari.
Urano, così come Nettuno, fa parte di quella classe di pianeti chiamati giganti di ghiaccio. Pianeti estremamente comuni nell'Universo, più numerosi di qualsiasi altro tipo di pianeti finora osservati. Il fatto che un pianeta delle dimensioni e delle caratteristiche di Urano presenti almeno due lune (ma potrebbero essere di più) capaci di mantenere un oceano di acqua liquida e tiepida al proprio interno, ha delle ripercussioni estremamente più generali, in grado di mettere in dubbio molte conclusioni sulla definizione stessa di zona abitabile.
Permettetemi il seguente ragionamento... e non picchiatemi!
Chiamiamo zona abitabile quella regione dello spazio interplanetario che riesce a mantenere l'acqua allo stato liquido, sulla sua superficie. Questa definizione si basa principalmente su quanto si può osservare dall'unico esempio in cui è presente una forma di vita. In realtà, se l'acqua liquida fosse necessaria, ma non limitatamente alla parte esterna, potremmo definire zona abitabile anche tutti i mondi - e sono molti di più- che hanno oceani nascosti da croste di ghiaccio.
Condizioni sicuramente lontane dalla nostra visione di vita "evoluta", ma pensiamo un attimo ai vantaggi indiscussi di una situazione di questo tipo. Avere una specie di scudo di ghiaccio limiterebbe i pericoli derivanti da attività frenetiche della stella che li ospita. Ne segue che anche le Nane Rosse (e sono molte di più delle stelle di tipo solare) potrebbero non causare conseguenze drammatiche. Non solo, però... renderebbe molto meno importante anche il fatto di essere bloccato marealmente e presentare sempre la stessa faccia. Uno scudo di ghiaccio proteggerebbe anche dalla collisione con asteroidi e comete.
Lo so, lo so... mancherebbe la fotosintesi, la molla fondamentale per l'evoluzione della vita sul nostro pianeta. Sappiamo, però, che alcuni organismi terrestri riescono a farne a meno e che la stessa formazione di ossigeno, come sottoprodotto della fotosintesi, ha sicuramente distrutto molte possibili specie viventi primitive che vedevano l'ossigeno come veleno. In fondo non vi è differenza tra energia regalata dal Sole e energia derivante da minerali: sempre di chimica si tratta. E la chimica non è altro che una delle conseguenze della meccanica quantistica e noi sappiamo ancora ben poco delle sue reali possibilità.
La vera domanda è: "Se la vita fosse iniziata in un mondo ghiacciato avrebbe trovato altre strade per evolvere verso forme sempre più complesse?". Forse la risposta può esserci data solo dalle particelle fondamentali e dai loro giochi apparentemente impossibili.
Così come le forme di vita biologiche terrestri si sono sapute adattare alle condizioni molto variabili del loro pianeta, perché non pensare che qualche strategia altrettanto efficace si stata trovata ed elaborata negli oceani sotterranei. I misteri dell'Universo sono ancora così tanti (non sappiamo ancora come è nato e come finirà...) che non mi stupirei più di tanto se questa strategia fosse attiva anche nel nostro Sistema Solare.
Inoltre, ribadisco, le Terre abitabili sono esageratamente meno comuni dei pianeti ghiacciati e dei satelliti con un proprio oceano liquido e tiepido. Se il riscaldamento di quest'ultimo dipendesse soltanto da effetti mareali, niente vieterebbe che possa durare molto a lungo e permettere alle reazioni chimiche di sperimentare tutte le strategie per diventare VITA. Le zone abitabili sarebbero anche molto lontane dalla stella e potrebbero durare anche dopo una sua eventuale trasformazione in nana bianca. Problema, questo, però, che sarebbe poco importante per le Nane Rosse la cui vita in sequenza principale è decisamente molto, molto più lunga di quella del Sole.
Abbiamo fatto 30 e possiamo fare anche 31... Se la vita potesse svilupparsi ed evolvere anche senza la luce stellare, ossia senza fotosintesi, potremmo rispondere più facilmente al paradosso di Fermi. Sì, la vita è molto comune, ma quasi solamente negli oceani sotterranei. Quella superficiale è decisamente più rara, molto più rara, dato che dovrebbe fronteggiare pericoli ben maggiori e avrebbe una durata sicuramente inferiore.
Purtroppo, l'Universo che conosciamo noi sarebbe precluso all'osservazione degli esseri viventi marini che non sentirebbero la necessità di comunicare con chi non sanno nemmeno che possa esistere. E se riuscissero a guardare oltre al loro scudo ghiacciato avrebbero sviluppato tecnologie di comunicazione completamente diverse dalle nostre.
Ah... dimenticavo! Guarda caso la celebre Sirenetta si chiama proprio Ariel...
Articolo originale QUI.